Si apre con un omaggio a Leonardo da Vinci, in occasione del cinquecentesimo anniversario dalla morte, il nuovo cartellone della rassegna «La grande arte al cinema», promossa da Nexo Digital, con i media partner Radio Capital, Sky Arte e MYmovies.it e in collaborazione con Abbonamento Musei.
Il primo appuntamento della nuova stagione è fissato per le giornate di lunedì 13, martedì 14 e mercoledì 15 gennaio, quando alcuni dei dipinti e dei disegni dell’artista toscano saranno proiettati sul grande schermo delle migliori sale italiane in qualità ultra HD.
Tra le opere incluse nel nuovo docu-film si segnalano, tra le altre, «La Gioconda», «L'ultima cena», «La dama con l'ermellino», «Ginevra de 'Benci», «La Madonna Litta» e «La Vergine delle rocce».
Il progetto filmico si propone, nello specifico, di ripercorrere, attraverso il prisma della sua pittura, anche la vita di Leonardo (1452-1519) e alcuni dei suoi principali tratti distintivi: «l’inventiva -si legge nella sinossi-, le capacità scultoree, la lungimiranza nell’ambito dell’ingegneria militare e la capacità di districarsi nelle vicende politiche del tempo».
I titoli in cartellone per la prima parte dell’anno sono in tutto sette. Il secondo sarà il film «Impressionisti segreti», prodotto da Ballandi Arts e Nexo Digital, per la regia di Daniele Pini.
«Come guardavano il mondo gli impressionisti? Come furono accolte le loro opere? Come sono passate dall’essere rifiutate da critica e pubblico a diventare in pochi anni tra le più amate nel mondo?». Sono queste le domande che tessono la trama del progetto filmico, ideato a partire dall’omonima mostra, in programma fino al prossimo 8 marzo a Roma, negli spazi di Palazzo Bonaparte.
Le due curatrici della rassegna, Claire Durand-Ruel e Marianne Mathieu, accompagneranno il pubblico in un percorso articolato, dove immagini di ampio respiro troveranno il loro contrappunto ideale nelle analisi compiute da esperti, storici, artisti e altre figure legate al mondo della pittura moderna e della cultura visuale.
Al centro del film -in cartellone nelle giornate di lunedì 10, martedì 11 e mercoledì 12 febbraio- ci sono «cinquanta tesori nascosti», fino ad oggi preclusi al grande pubblico, opere di Manet, Caillebotte, Renoir, Monet, Berthe Morisot, Cézanne, Signac e Sisley, che sono il punto di partenza per un approfondimento sui percorsi dei singoli autori e sulle peculiarità del movimento impressionista.
Toccherà, quindi, arricchire la programmazione delle sale cinematografiche italiane al film «Maledetto Modigliani», diretto da Valeria Parisi e scritto con Arianna Marelli in occasione del centenario dalla scomparsa dell’artista (1884-1920).
Dalla Livorno delle origini, patria dei Macchiaioli, alla Parigi di Picasso e di Brancusi, centro della modernità: sono questi i due poli di un percorso all’insegna di un segno unico, tra primitivismo e Rinascimento italiano.
La biografia breve e tormentata dell’artista -in agenda nei cinema italiani lunedì 30, martedì 31 marzo e mercoledì 1° aprile-racconterà anche la storia di amori non consumati, tumultuosi e drammatici con donne dalle personalità estremamente contemporanee come la poetessa Anna Achmatova, la giornalista Beatrice Hastings e la pittrice Jeanne Hébuterne.
La programmazione proseguirà, poi, con «La Pasqua nell’arte», in calendario nelle giornate del 14 e 15 aprile.
«I temi della morte e risurrezione di Cristo -si legge nella sinossi- hanno dominato la cultura occidentale negli ultimi 2000 anni, rivelandosi uno degli eventi di maggior impatto di tutti i tempi, come raccontato dai Vangeli e come rappresentato dai più grandi artisti della storia occidentale».
Girato tra Gerusalemme, gli Stati Uniti e l’Europa, il docu-film distribuito da Nexo Digital esplora le rappresentazioni della Pasqua dai tempi dei primi cristiani sino ai giorni nostri, facendoci vedere come gli artisti abbiano rappresentato la morte e la rinascita in vari modi: chi in maniera trionfante, chi in modo più intimo e primitivo.
Dal 27 al 29 aprile sarà, quindi, il turno di «Botticelli e Firenze. La Nascita della bellezza», prodotto da Sky con Ballandi e Nexo Digital; firma la regia Marco Pianigiani.
Sono gli anni di Lorenzo de' Medici, detto il Magnifico, quelli al centro del docu-film: la bellezza e la cultura convivono con il lato oscuro della città, fatto di lotte per il potere e intrighi di efferata violenza.
Un artista, più di tutti, ha saputo proiettare nelle sue opere, le luci e le ombre di quegli anni, destinati a rimanere indimenticati: Sandro Botticelli (1445-1510).
Sin dall’esordio il maestro toscano si impone come l’inventore di una bellezza ideale, che trova la sua massima espressione in opere come la «Primavera» e la «Nascita di Venere». La morte di Lorenzo Il Magnifico, le prediche apocalittiche di Girolamo Savonarola e i falò delle vanità segnano la parabola discendente del maestro fiorentino, destinato a un oblio di oltre tre secoli. Le sue opere verranno riscoperte dai preraffaeliti e continueranno ad affascinare le successive generazioni di artisti: da Salvador Dalì a Andy Warhol, da David LaChapelle a Jeff Koons e Lady Gaga.
Un mese dopo -dal 25 al 27 maggio- il pubblico della rassegna «La grande arte al cinema» farà un salto nel Rinascimento con «Raffaello. Il giovane prodigio», film diretto da Massimo Ferrari e prodotto da Sky in occasione dei cinquecento anni dalla morte dell’artista rinascimentale.
Dalla madre Magia Ciarla, che morì quando il pittore aveva solo 8 anni, alle estimatrici che lo hanno aiutato nel suo successo, fino alla donna che secondo la leggenda lo porterà alla morte, sono le figure femminili le protagoniste del racconto filmico, teso a mostrare anche come Raffaello (1483-1520) sia stato in grado di concentrare il suo sguardo più che sulla fisicità sulla psicologia delle donne raffigurate, innalzandone in maniera dirompente il carattere.
A chiudere la stagione sarà, dal 22 al 24 giugno, «Lucian Freud. Autoritratto», il docu-film realizzato a partire dalla mostra alla Royal Academy of Arts di Londra, realizzata in collaborazione con il Museum of Fine Arts di Boston, che fino al prossimo gennaio permetterà di vedere oltre cinquanta opere dell’artista, nipote di Sigmund Freud e importante protagonista della scena artistica del dopoguerra londinese.
Un cartellone, dunque, vario quello di questa nuova stagione della rassegna «La grande arte al cinema», che di anno in anno è andata facendosi apprezzare da addetti ai lavori e da semplici appassionati.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Locandina della rassegna «La grande arte al cinema»; [fig. 2] Frame del film su Leonardo da Vinci con il quadro «La dama dell'ermellino», The National Museum in Krakow ® Exihibition on screen; [fig. 3] Momento di preparazione del film «Leonardo. Le opere» ® Exihibition on screen; [fig. 4] Momento di preparazione del fim su Botticelli ® Sky-Federica Belli; [figg. 5 e 6] Momento di preparazione del fim su Raffello ® Sky
Informazioni utili
«La grande arte al cinema» - Nuova stagione 2020. Leonardo. Le opere - 13, 14, 15 gennaio | Impressionisti segreti - 10, 11 e 12 febbraio | Maledetto Modigliani - 30 e 31 marzo e l’1 aprile | La Pasqua nell’Arte - 14 e 15 aprile | Botticelli e Firenze. La Nascita della Bellezza - 27, 28, 29 aprile | Raffaello. Il Giovane Prodigio - 25, 26 e 27 maggio | Lucian Freud. Autoritratto - 22, 23 e 24 giugno. Progetto Scuole: tutti i titoli possono essere richiesti anche per speciali matinée al cinema dedicate alle scuole; per prenotazioni: Maria Chiara Buongiorno, progetto.scuole@nexodigital.it, tel. 02.8051633. Sito internet: www.nexodigital.it.
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
mercoledì 4 dicembre 2019
martedì 3 dicembre 2019
Leonardo e la vigna di Milano: una storia dimenticata. Se ne parla a Mantova
Una storia dimenticata lega Leonardo da Vinci alla città di Milano: nel 1498 il duca Ludovico Maria Sforza detto il Moro regala all'artista, come segno di riconoscenza per gli «svariati e mirabili» servigi, una vigna di circa sedici pertiche, nelle vicinanze del refettorio di Santa Maria delle Grazie e della sua «Ultima cena», sul retro della casa degli Atellani.
Il dono non è casuale. Il maestro toscano viene da una famiglia di vignaioli e il nettare di Bacco rientra fra i suoi molteplici interessi: lo dimostrano le liste della spesa, gli schizzi di parti e momenti importanti del ciclo della vite, i molti appunti rinvenuti fra le sue carte.
Tra il 1499 e il 1500 Leonardo lascia Milano, presa d’assalto dalle truppe francesi, e si sposta inizialmente a Mantova e poi a Venezia, non senza prima essersi occupato della vigna, che viene lasciata in gestione a un certo messer Pietro di Giovanni da Oppreno, padre del suo allievo prediletto: Gian Giacomo Caprotti, detto il Salai.
Due anni dopo il terreno viene confiscato dai francesi e assegnato a un tal Leonino Biglia, per poi essere restituito all’artista nel 1507. È lo stesso Leonardo a porre l’annullamento della confisca come condizione per il suo rientro in città, dove è stato invitato dal luogotenente del re di Francia Luigi XII, Carlo d'Amboise, a concludere alcune opere cominciate sotto gli Sforza.
Il terreno appare nel Codice Atlantico e nel testamento dell’artista, redatto nell’aprile del 1519, un mese prima della sua morte, quale unico bene immobile di sua proprietà. In questo documento, la vigna viene divisa in due lotti: l’uno va Salai, che su quel terreno ha costruito una casa, e l’altro a Giovanbattista Villani, il servitore che ha seguito Leonardo fino alla fine. Quest'ultimo lascia, nel 1534, la sua porzione di terra al vicino Monastero di San Gerolamo, mentre il destino legale dell’altro lotto si perde nel buio, come tanto di quello che riguarda la figura del Salai.
A ricostruire la storia della vigna -e a identificare con precisione il terreno su cui sorge, orientato secondo una direzione all’incirca parallela all’attuale via de Grassi- è stato nel 1920, in un volume edito per le edizioni Allegretti di Milano, lo storico dell’arte Luca Beltrami, massimo studioso del periodo milanese di Leonardo da Vinci.
Nello stesso anno l’architetto Piero Portaluppi avvia il cantiere per la trasformazione di Casa degli Atellani, l’unica dimora ancora in piedi del grande sogno urbanistico di Ludovico il Moro, che nell’attuale quartiere di Porta Vercellina, sui terreni della vigna grande di San Vittore, intendeva costruire un nuovo quartiere residenziale, dove alloggiare i suoi uomini più fedeli.
Oggi il palazzo quattrocentesco del nobile signor Giacometto di Lucia dell’Atella, che dal 1919 è di proprietà della famiglia Conti, è in parte aperto al pubblico, permettendo di ammirare alcuni spazi di grande bellezza come la Sala dello Zodiaco, affrescata con ogni probabilità nel Cinquecento dagli Avogadro di Tradate, la Stanza dei ritratti, che vide al lavoro Bernardino Luini, lo Studio del senatore Ettore Conti e il giardino, dove Matteo Bandello intrecciò la trama delle sue novelle pubblicate nel 1554.
Prima dell'avvio del restauro del Portaluppi, Luca Beltrami varca un cancello di quella zona, in via Zenale, e incredibilmente ritrova, fotografa e tramanda i pergolati ancora vivi di quella che quattro secoli prima era stata la vigna di Leonardo, il luogo dove riposarsi mentre sulle pareti del refettorio di Santa Maria delle Grazie nasceva l’affresco dell’«Ultima cena». Ed è proprio in quest’opera che si trova un riferimento al vitigno: in un dettaglio andato perduto durante gli attacchi aerei dell’ultimo conflitto bellico era presente un grappolo d'uva con la sua caratteristica foglia all’interno di un cesto di frutta posizionato di fronte a un apostolo.
Il restauro dell’area studiato da Piero Portaluppi abbatte la maggior parte dei filari, lasciando in piedi solo la sezione del Salai, che non sopravvive, però, alla Seconda guerra mondiale: viene distrutta da un bombardamento nel 1943.
La vigna di Leonardo, la cui vicenda spazia dal XV secolo agli anni Quaranta del XX secolo, viene dimenticata fino agli inizi del nuovo millennio, quando la Fondazione Portaluppi e gli attuali proprietari di Casa degli Atellani si attivano per restituire a Milano una pagina della sua storia. È il 2004.
Grazie al lavoro dell’enologo Luca Maroni e al contributo decisivo dell’Università degli Studi di Milano, nelle persone della genetista Serena Imazio e del professor Attilio Scienza, massimo esperto del Dna della vite, la vigna leonardesca riapre alla cittadinanza in occasione di Expo Milano 2015. I visitatori possono così scoprire un nuovo volto dell’artista toscano, che, tra i suoi svariati interessi, vanta anche una grande competenza nello studio dei cambiamenti climatici e delle loro ripercussioni sulle coltivazioni.
Durante la fase di studio, l’ateneo milanese riesce dapprima a recuperare il materiale organico sopravvissuto, sotto circa un metro e mezzo di terra e sedimenti, dalla vigna originaria distrutta durante la guerra.
Successivamente i test confermano che i reperti rinvenuti appartengono alla specie vitis vinifera, ossia la comune vite da vino europea; da qui viene ricostruito il profilo genetico completo del vitigno, sottoponendo i campioni di Dna, purificati e aumentati nella loro concentrazione con la Whole Genome Amplification, a diverse sofisticate analisi, dal barcoding ai marcatori molecolari microsatellite, per concludere che il vitigno leonardesco appartiene a un gruppo delle Malvasie, molto in voga all'epoca: la Malvasia di Candia Aromatica, proveniente dal paese di Candia Lomellina, vicino a Pavia.
Un’occasione per conoscere la storia della vigna leonardesca, oggi visitabile tutti i giorni della settimana attraverso tour audioguidati e visite con esperti, è l’incontro «Cronaca di una scoperta» che Mantova organizza per sabato 7 dicembre, alle ore 17, negli spazi della Casa del Mantegna in occasione della mostra «Similiter in pictura».
Container Lab Association ha invitato a parlare il professor Attilio Scienza, che guiderà il pubblico nell'appassionante viaggio della restituzione dell'anima genetica alla vigna leonardesca, tra storia e leggenda, erbari e curiosità scientifiche, dal Quattrocento ad oggi.
La lectio sarà preceduta dall'introduzione «Arte e vino, passione e investimento», a cura di Antonio Urbano, CEO di VintHedge, fondo di investimento a favore del settore enologico italiano. L'intervento è teso ad evidenziare i punti di contatto e le possibilità di investimento in due settori che rappresentano nel mondo due grandi eccellenze del made in Italy, il settore artistico-culturale e quello vitivinicolo.
Una bella proposta, dunque, quella ideata da Mantova per scoprire un tesoro prezioso e ancora in parte sconosciuto di Milano, un paradiso nascosto e incredibilmente affascinante, la cui storia è legata a quella di Leonardo da Vinci e alla sua passione per il nettare di Bacco.
Vedi anche
Presentazione della mostra «Similiter in pictura»
Informazioni utili
Museo Vigna di Leonardo, corso Magenta, 65 - Milano. Orari: dal lunedì al venerdì, dalle 9.00 alle 18.00 | le visite cominciano ogni 30 minuti, ultimo ingresso ore 17.30; sabato e domenica, dalle 9.00 alle 18.00 | le visite cominciano ogni 15 minuti, ultimo ingresso ore 17.45. Ingresso: adulti € 10,00 | ridotti € 8,00 (over 65, bambini e ragazzi da 6 a 18 anni, studenti con tessera) | ridotto TreNord: € 7,00 |gruppi € 8,00 a partire da 20 visitatori | scuole: € 5,00 (contattaci per maggiori informazioni e materiali aggiuntivi) | ingresso gratuito per bambini fino a 5 anni, portatori di handicap e relativi accompagnatori, possessori della card Abbonamento Musei Milano e Lombardia. Modalità di visita: oltre al tour audio-guidato (disponibile ogni giorno) è possibile partecipare al tour guidato esclusivo, disponibile ogni sabato e domenica. Informazioni: info@vignadileonardo.com, tel.02.4816150. Sito internet: vignadileonardo.com.
La vigna di Leonardo. Cronaca di una scoperta. Casa del Mantegna, via Acerbi, 47 - Mantova. Relatori: Attilio Scienza, Antonio Urbano. Data: sabato 7 dicembre 2019, ore 17
Il dono non è casuale. Il maestro toscano viene da una famiglia di vignaioli e il nettare di Bacco rientra fra i suoi molteplici interessi: lo dimostrano le liste della spesa, gli schizzi di parti e momenti importanti del ciclo della vite, i molti appunti rinvenuti fra le sue carte.
Tra il 1499 e il 1500 Leonardo lascia Milano, presa d’assalto dalle truppe francesi, e si sposta inizialmente a Mantova e poi a Venezia, non senza prima essersi occupato della vigna, che viene lasciata in gestione a un certo messer Pietro di Giovanni da Oppreno, padre del suo allievo prediletto: Gian Giacomo Caprotti, detto il Salai.
Due anni dopo il terreno viene confiscato dai francesi e assegnato a un tal Leonino Biglia, per poi essere restituito all’artista nel 1507. È lo stesso Leonardo a porre l’annullamento della confisca come condizione per il suo rientro in città, dove è stato invitato dal luogotenente del re di Francia Luigi XII, Carlo d'Amboise, a concludere alcune opere cominciate sotto gli Sforza.
Il terreno appare nel Codice Atlantico e nel testamento dell’artista, redatto nell’aprile del 1519, un mese prima della sua morte, quale unico bene immobile di sua proprietà. In questo documento, la vigna viene divisa in due lotti: l’uno va Salai, che su quel terreno ha costruito una casa, e l’altro a Giovanbattista Villani, il servitore che ha seguito Leonardo fino alla fine. Quest'ultimo lascia, nel 1534, la sua porzione di terra al vicino Monastero di San Gerolamo, mentre il destino legale dell’altro lotto si perde nel buio, come tanto di quello che riguarda la figura del Salai.
A ricostruire la storia della vigna -e a identificare con precisione il terreno su cui sorge, orientato secondo una direzione all’incirca parallela all’attuale via de Grassi- è stato nel 1920, in un volume edito per le edizioni Allegretti di Milano, lo storico dell’arte Luca Beltrami, massimo studioso del periodo milanese di Leonardo da Vinci.
Nello stesso anno l’architetto Piero Portaluppi avvia il cantiere per la trasformazione di Casa degli Atellani, l’unica dimora ancora in piedi del grande sogno urbanistico di Ludovico il Moro, che nell’attuale quartiere di Porta Vercellina, sui terreni della vigna grande di San Vittore, intendeva costruire un nuovo quartiere residenziale, dove alloggiare i suoi uomini più fedeli.
Oggi il palazzo quattrocentesco del nobile signor Giacometto di Lucia dell’Atella, che dal 1919 è di proprietà della famiglia Conti, è in parte aperto al pubblico, permettendo di ammirare alcuni spazi di grande bellezza come la Sala dello Zodiaco, affrescata con ogni probabilità nel Cinquecento dagli Avogadro di Tradate, la Stanza dei ritratti, che vide al lavoro Bernardino Luini, lo Studio del senatore Ettore Conti e il giardino, dove Matteo Bandello intrecciò la trama delle sue novelle pubblicate nel 1554.
Prima dell'avvio del restauro del Portaluppi, Luca Beltrami varca un cancello di quella zona, in via Zenale, e incredibilmente ritrova, fotografa e tramanda i pergolati ancora vivi di quella che quattro secoli prima era stata la vigna di Leonardo, il luogo dove riposarsi mentre sulle pareti del refettorio di Santa Maria delle Grazie nasceva l’affresco dell’«Ultima cena». Ed è proprio in quest’opera che si trova un riferimento al vitigno: in un dettaglio andato perduto durante gli attacchi aerei dell’ultimo conflitto bellico era presente un grappolo d'uva con la sua caratteristica foglia all’interno di un cesto di frutta posizionato di fronte a un apostolo.
Il restauro dell’area studiato da Piero Portaluppi abbatte la maggior parte dei filari, lasciando in piedi solo la sezione del Salai, che non sopravvive, però, alla Seconda guerra mondiale: viene distrutta da un bombardamento nel 1943.
La vigna di Leonardo, la cui vicenda spazia dal XV secolo agli anni Quaranta del XX secolo, viene dimenticata fino agli inizi del nuovo millennio, quando la Fondazione Portaluppi e gli attuali proprietari di Casa degli Atellani si attivano per restituire a Milano una pagina della sua storia. È il 2004.
Grazie al lavoro dell’enologo Luca Maroni e al contributo decisivo dell’Università degli Studi di Milano, nelle persone della genetista Serena Imazio e del professor Attilio Scienza, massimo esperto del Dna della vite, la vigna leonardesca riapre alla cittadinanza in occasione di Expo Milano 2015. I visitatori possono così scoprire un nuovo volto dell’artista toscano, che, tra i suoi svariati interessi, vanta anche una grande competenza nello studio dei cambiamenti climatici e delle loro ripercussioni sulle coltivazioni.
Durante la fase di studio, l’ateneo milanese riesce dapprima a recuperare il materiale organico sopravvissuto, sotto circa un metro e mezzo di terra e sedimenti, dalla vigna originaria distrutta durante la guerra.
Successivamente i test confermano che i reperti rinvenuti appartengono alla specie vitis vinifera, ossia la comune vite da vino europea; da qui viene ricostruito il profilo genetico completo del vitigno, sottoponendo i campioni di Dna, purificati e aumentati nella loro concentrazione con la Whole Genome Amplification, a diverse sofisticate analisi, dal barcoding ai marcatori molecolari microsatellite, per concludere che il vitigno leonardesco appartiene a un gruppo delle Malvasie, molto in voga all'epoca: la Malvasia di Candia Aromatica, proveniente dal paese di Candia Lomellina, vicino a Pavia.
Un’occasione per conoscere la storia della vigna leonardesca, oggi visitabile tutti i giorni della settimana attraverso tour audioguidati e visite con esperti, è l’incontro «Cronaca di una scoperta» che Mantova organizza per sabato 7 dicembre, alle ore 17, negli spazi della Casa del Mantegna in occasione della mostra «Similiter in pictura».
Container Lab Association ha invitato a parlare il professor Attilio Scienza, che guiderà il pubblico nell'appassionante viaggio della restituzione dell'anima genetica alla vigna leonardesca, tra storia e leggenda, erbari e curiosità scientifiche, dal Quattrocento ad oggi.
La lectio sarà preceduta dall'introduzione «Arte e vino, passione e investimento», a cura di Antonio Urbano, CEO di VintHedge, fondo di investimento a favore del settore enologico italiano. L'intervento è teso ad evidenziare i punti di contatto e le possibilità di investimento in due settori che rappresentano nel mondo due grandi eccellenze del made in Italy, il settore artistico-culturale e quello vitivinicolo.
Una bella proposta, dunque, quella ideata da Mantova per scoprire un tesoro prezioso e ancora in parte sconosciuto di Milano, un paradiso nascosto e incredibilmente affascinante, la cui storia è legata a quella di Leonardo da Vinci e alla sua passione per il nettare di Bacco.
Vedi anche
Presentazione della mostra «Similiter in pictura»
Informazioni utili
Museo Vigna di Leonardo, corso Magenta, 65 - Milano. Orari: dal lunedì al venerdì, dalle 9.00 alle 18.00 | le visite cominciano ogni 30 minuti, ultimo ingresso ore 17.30; sabato e domenica, dalle 9.00 alle 18.00 | le visite cominciano ogni 15 minuti, ultimo ingresso ore 17.45. Ingresso: adulti € 10,00 | ridotti € 8,00 (over 65, bambini e ragazzi da 6 a 18 anni, studenti con tessera) | ridotto TreNord: € 7,00 |gruppi € 8,00 a partire da 20 visitatori | scuole: € 5,00 (contattaci per maggiori informazioni e materiali aggiuntivi) | ingresso gratuito per bambini fino a 5 anni, portatori di handicap e relativi accompagnatori, possessori della card Abbonamento Musei Milano e Lombardia. Modalità di visita: oltre al tour audio-guidato (disponibile ogni giorno) è possibile partecipare al tour guidato esclusivo, disponibile ogni sabato e domenica. Informazioni: info@vignadileonardo.com, tel.02.4816150. Sito internet: vignadileonardo.com.
La vigna di Leonardo. Cronaca di una scoperta. Casa del Mantegna, via Acerbi, 47 - Mantova. Relatori: Attilio Scienza, Antonio Urbano. Data: sabato 7 dicembre 2019, ore 17
lunedì 2 dicembre 2019
Firenze, alla Poggiali Luca Pignatelli tra antico e contemporaneo
È conosciuto in Italia e nel mondo per le sue immagini a carattere archeologico e per un processo di raccolta, recupero, cura e editing iconografico della storia e dell’arte. Stiamo parlando di Luca Pignatelli (Milano, 1962), artista lombardo che, nell’arco di tre decenni, ha raccolto un archivio eterogeneo di immagini memorabili, in cui si riconoscono manufatti e segni figurativi di epoche antiche e moderne, testimonianza di civiltà passate e del progresso industriale, dalle statue greche e romane ai grattacieli e agli aerei in picchiata.
Dopo la rassegna dello scorso inverno al museo Bardini, Luca Pignatelli torna a Firenze, negli spazi della galleria Poggiali, per far riflettere ancora una volta il pubblico sul nostro vissuto e sapere visivo, sul concetto di memoria e di tempo che passa, grazie alla mostra «In un luogo dove gli opposti stanno», a cura di Sergio Risaliti.
L’esposizione, che si sonda nelle due sedi espositive di via della Scala e di via Benedetta, propone una serie di lavori inediti, che scavalcano la linea di demarcazione tra astratto e figurativo, tra citazione e arte povera.
Le opere esposte sono costruite con teloni pesanti tagliati a strisce e pezzature di dimensioni varie, ricucite assieme. I supporti sono assolutamente monocromi, ma le superfici non sono mai piatte: l’immagine completa, infatti, è data dalla gradazione della verniciatura, che è già un racconto e parla da sé. Ricche di significato sono anche le diverse sezioni geometriche dei teloni, ricomposte in unità visiva ed espressiva, come patchwork secondo un’usanza domestica di riciclo del nostro quotifiano e risparmio, in voga fin dai primordi della carriera dell’artista.
A queste opere –cariche di un rosso iodio o di verde petrolio, oppure del colore della malva o della prugna– si aggiungono altri lavori pittorici, coperti da una pittura metallica dalle tonalità argento. La superficie, in questi casi, è diversamente luminosa ed è lavorata con segni grafici, incisioni e abrasioni; al centro è fissata, con un procedimento meccanico, una testa di imperatore romano.
Gli opposti si mettono così in dialogo e la combinazione delle due fazioni espressive appare vincente. La povertà dei teloni ha il suo peso, il materiale porta con sé una sua storia recente, ma pur sempre una storia. L’astratto, in definitiva, non è tale: ha un’anima che ci parla di archeologia industriale. D’altro canto, i quadri iconici non appaiono riducibili al solo linguaggio figurativo, visto che alla citazione antica dominante al centro sono stati aggiunti episodi grafici significativi, di natura gestuale e informe. La fredda e vuota citazione, la superficiale suggestione del passato, è qui carica di ferite e cicatrici, di un vissuto esistenziale, di una pelle e di un corpo che ci raccontano un proprio originale vissuto.
Ancora una volta Pignatelli mette sotto indagine il suo percorso creativo, senza tradirlo, o rinnegarlo, ma insistendo nella sperimentazione, indagando le possibilità espressive e formali della pittura oggi. La presenza di linguaggi opposti innalza la poesia delle immagini a una dimensione quasi sacrale, svuotando di retorica gli stili per fare posto alla narrazione povera dei materiali, quella empatica dei monocromi, al vissuto delle superfici, armonizzando questi materiali così risonanti ed espressivi con le strutture geometriche del supporto, con il codice iconico delle teste.
Costruendo i suoi quadri, Pignatelli si comporta come un musicista classico contemporaneo che fa dell’avanguardia un repertorio tra i tanti e che nelle sue composizioni sperimentali fa stare assieme -ma stare bene e con un senso che non è solo linguaggio e forma, ma poesia ed espressione- materiali di diversa natura e provenienza, storie e contesti differenti, perfino suoni e vocaboli discordanti.
Continuando con ostinata fedeltà a fare pittura, cercando ragioni d’essere profonde alla sperimentazione in pittura, lavorando sui materiali, i repertori iconografici, i colori, l’assemblaggio, l’artista fa del quadro uno strumento possibile e praticabile della sua azione creativa, in cui centrali sono il riciclo, il recupero della memoria e l’archeologia delle immagini.
Le opere di Pignatelli si nutrono così di un fuori tempo, di un tempo differito, quello di immagini che vivono di stratificazioni temporali, annullando, nella dimensione iconica della figura memorabile, nell’eterno presente dell’arte, lo scorrere del tempo, la sequenza di ieri e oggi.
Grazie all’accostamento tra primo piano e sfondo, tra fondo povero e immagine illustre, l'artista lombardo critica, inoltre, la celebrazione di ogni classicità e ogni sua nostalgica rinascenza, chiedendoci di posare lo sguardo sulle ferite e le lacerazioni inferte all’umanità durante le epoche più gloriose del nostro passato in nome e per conto della bellezza e del sacro.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Backstage della mostra. Credit Ph. Giuseppe Anello; [fig. 2] Luca Pignatelli, «L.P./317», tecnica mista su tela; [fig. 3] Luca Pignatelli, «L.P./420», tecnica mista su tela; [fig. 4] Luca Pignatelli, «Caligola», tecnica mista su tela Luca Pignatelli
Informazioni utili
In un luogo dove gli opposti stanno. Galleria Poggiali, via della Scala, 35/A | via Benedetta, 3r – Firenze. Orari: tutti i giorni, ore 10.00-13.00 / 15.00-19.00, domenica su appuntamento. Ingresso libero. Informazioni: tel. 055287748 o info@galleriapoggiali.com. Sito internet: www.galleriapoggiali.com. Fino all’8 febbraio 2020
Dopo la rassegna dello scorso inverno al museo Bardini, Luca Pignatelli torna a Firenze, negli spazi della galleria Poggiali, per far riflettere ancora una volta il pubblico sul nostro vissuto e sapere visivo, sul concetto di memoria e di tempo che passa, grazie alla mostra «In un luogo dove gli opposti stanno», a cura di Sergio Risaliti.
L’esposizione, che si sonda nelle due sedi espositive di via della Scala e di via Benedetta, propone una serie di lavori inediti, che scavalcano la linea di demarcazione tra astratto e figurativo, tra citazione e arte povera.
Le opere esposte sono costruite con teloni pesanti tagliati a strisce e pezzature di dimensioni varie, ricucite assieme. I supporti sono assolutamente monocromi, ma le superfici non sono mai piatte: l’immagine completa, infatti, è data dalla gradazione della verniciatura, che è già un racconto e parla da sé. Ricche di significato sono anche le diverse sezioni geometriche dei teloni, ricomposte in unità visiva ed espressiva, come patchwork secondo un’usanza domestica di riciclo del nostro quotifiano e risparmio, in voga fin dai primordi della carriera dell’artista.
A queste opere –cariche di un rosso iodio o di verde petrolio, oppure del colore della malva o della prugna– si aggiungono altri lavori pittorici, coperti da una pittura metallica dalle tonalità argento. La superficie, in questi casi, è diversamente luminosa ed è lavorata con segni grafici, incisioni e abrasioni; al centro è fissata, con un procedimento meccanico, una testa di imperatore romano.
Gli opposti si mettono così in dialogo e la combinazione delle due fazioni espressive appare vincente. La povertà dei teloni ha il suo peso, il materiale porta con sé una sua storia recente, ma pur sempre una storia. L’astratto, in definitiva, non è tale: ha un’anima che ci parla di archeologia industriale. D’altro canto, i quadri iconici non appaiono riducibili al solo linguaggio figurativo, visto che alla citazione antica dominante al centro sono stati aggiunti episodi grafici significativi, di natura gestuale e informe. La fredda e vuota citazione, la superficiale suggestione del passato, è qui carica di ferite e cicatrici, di un vissuto esistenziale, di una pelle e di un corpo che ci raccontano un proprio originale vissuto.
Ancora una volta Pignatelli mette sotto indagine il suo percorso creativo, senza tradirlo, o rinnegarlo, ma insistendo nella sperimentazione, indagando le possibilità espressive e formali della pittura oggi. La presenza di linguaggi opposti innalza la poesia delle immagini a una dimensione quasi sacrale, svuotando di retorica gli stili per fare posto alla narrazione povera dei materiali, quella empatica dei monocromi, al vissuto delle superfici, armonizzando questi materiali così risonanti ed espressivi con le strutture geometriche del supporto, con il codice iconico delle teste.
Costruendo i suoi quadri, Pignatelli si comporta come un musicista classico contemporaneo che fa dell’avanguardia un repertorio tra i tanti e che nelle sue composizioni sperimentali fa stare assieme -ma stare bene e con un senso che non è solo linguaggio e forma, ma poesia ed espressione- materiali di diversa natura e provenienza, storie e contesti differenti, perfino suoni e vocaboli discordanti.
Continuando con ostinata fedeltà a fare pittura, cercando ragioni d’essere profonde alla sperimentazione in pittura, lavorando sui materiali, i repertori iconografici, i colori, l’assemblaggio, l’artista fa del quadro uno strumento possibile e praticabile della sua azione creativa, in cui centrali sono il riciclo, il recupero della memoria e l’archeologia delle immagini.
Le opere di Pignatelli si nutrono così di un fuori tempo, di un tempo differito, quello di immagini che vivono di stratificazioni temporali, annullando, nella dimensione iconica della figura memorabile, nell’eterno presente dell’arte, lo scorrere del tempo, la sequenza di ieri e oggi.
Grazie all’accostamento tra primo piano e sfondo, tra fondo povero e immagine illustre, l'artista lombardo critica, inoltre, la celebrazione di ogni classicità e ogni sua nostalgica rinascenza, chiedendoci di posare lo sguardo sulle ferite e le lacerazioni inferte all’umanità durante le epoche più gloriose del nostro passato in nome e per conto della bellezza e del sacro.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Backstage della mostra. Credit Ph. Giuseppe Anello; [fig. 2] Luca Pignatelli, «L.P./317», tecnica mista su tela; [fig. 3] Luca Pignatelli, «L.P./420», tecnica mista su tela; [fig. 4] Luca Pignatelli, «Caligola», tecnica mista su tela Luca Pignatelli
Informazioni utili
In un luogo dove gli opposti stanno. Galleria Poggiali, via della Scala, 35/A | via Benedetta, 3r – Firenze. Orari: tutti i giorni, ore 10.00-13.00 / 15.00-19.00, domenica su appuntamento. Ingresso libero. Informazioni: tel. 055287748 o info@galleriapoggiali.com. Sito internet: www.galleriapoggiali.com. Fino all’8 febbraio 2020
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