ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 26 maggio 2020

Murano e «l’arte che resiste»: Marco Toso Borella realizza una favola in vetro per il Giappone

È un momento difficile per Murano, l’isola veneziana famosa in tutto il mondo per la sua tradizione millenaria del vetro soffiato, simbolo del made in Italy nel mondo.
L’emergenza sanitaria per il Covid-19 ha messo in ginocchio le oltre cento imprese vetraie presenti sul territorio e i loro negozi. Gli ordini nuovi sono molto pochi e il lavoro di questo ultimo scorcio di maggio è legato principalmente a commesse dei primi di marzo, quando il lungo lockdown di questi mesi sembrava un’ipotesi impossibile.
Ma Murano può raccontare anche una storia di resistenza e di speranza, quella di Marco Toso Borella, artista poliedrico la cui attività spazia dalla pittura alla scrittura di saggi e romanzi, senza dimenticare la passione per la musica, che lo vede vestire i panni di direttore, arrangiatore e coreografo del coro Vocal Skyline e dell’orchestra più numerosa d’Italia, la Big Vocal Orchestra, composta da oltre trecento voci.
In queste lunghe settimane di lockdown, l’artista muranese, che recentemente ha firmato anche la Via Crucis di vetro per la Basilica dei Santi Maria e Donato di Murano (quindici icone di vetro decorate a graffito su foglia d’oro e smalti raffiguranti le quattordici stazioni tradizionali più una quindicesima raffigurante la Resurrezione), ha lavorato su una commissione imponente da parte di un magnate giapponese, Yamanishi Hiromichi, per conto della vetreria artistica artigianale Mazzega.
Una volta terminata, l’opera sarà esposta all’interno del Kansai Nursing School, una struttura situata nella regione del Kansai, in Giappone, destinata a diventare una scuola per infermiere.
Il lavoro consta di venti piastre di vetro di Murano, della misura di 75 x 50 centimetri, decorate secondo l’antica tecnica del graffito su foglia d'oro, tradizione che appartiene alla famiglia di Marco Toso Borella da secoli.
Le incisioni riproducono in modo assolutamente fedele un’antica opera giapponese del X secolo, ossia la «Taketori Monogatari», ispirata alla leggendaria «Storia del tagliatore di bambù», considerata la più antica fiaba giapponese. Il racconto, noto anche come «La storia della Principessa Kaguya», narra di una bambina misteriosa scoperta all’interno di una canna di bambù splendente nella notte.
«L'estrema, elegante stilizzazione giapponese -racconta l’artista- è qui al suo massimo. Un piccolo segno leggermente obliquo diventa occhio, un tratto espressione.
Le immagini da cui ho tratto i miei pezzi sono antichissime e il tempo ha sbiadito le cromie originali. Per questo ho voluto usare degli smalti dai colori molto vivaci, lucenti come la «Principessa splendente», la storia animata del 2013 di Isao Takahata candidata all'Oscar.
Il supporto, ossia il vetro, diventa una base lucida che, colorata a smalti, richiama le antiche lacche giapponesi. Questo contesto ha quasi ‘obbligato’ i colori all'estrema sintesi e alla mancanza di ogni sfumatura. Il cromatismo, quindi, è stato portato alla radice, alla 'primarietà' elementare un po' come succede agli smalti araldici, chiaramente definiti, senza mezze misure. I colori diventano e delimitano gli spazi della fiaba e del sogno».
L’opera di Marco Toso Borella rappresenta così un piccolo fuoco di fornace acceso per Murano, un barlume di speranza per la storia unica dell’isola e il talento dei suoi tanti artigiani.

Per saperne di più 
www.marcotosoborella.it

lunedì 25 maggio 2020

Covid-19, dalle Gallerie dell’Accademia alla Guggenheim: a Venezia riaprono i musei

È un segnale importante per la città di Venezia quello di domani, martedì 26 maggio, quando le Gallerie dell’Accademia riapriranno le porte ai visitatori dopo la fase calda dell’emergenza Covid-19, che ha decretato la chiusura di tutti i musei italiani per oltre due mesi. Mentre giunge la notizia dello slittamento al 2021 (con apertura al pubblico da sabato 22 maggio a domenica 21 novembre) della diciassettesima edizione della Biennale di architettura -il progetto espositivo «How will we live together?» di Hashim Sarkis- e il conseguente posticipo della cinquantanovesima edizione della Mostra internazionale d’arte, curata da Cecilia Alemani, alla primavera del 2022, i musei veneziani si preparano alla riapertura nel rispetto delle norme generali di sicurezza studiate dal Mibact per la cosiddetta «Fase 2» dei luoghi di cultura.
Le undici realtà afferenti al Muve – Fondazione Musei civici di Venezia -del quale fanno parte due gioielli marciani come il Correr e il Ducale, la cui riapertura dovrebbe avvenire ai primi di giugno- proseguono in questi giorni di fine maggio la loro attività on-line con tour virtuali alle sedi espositive sul canale Google Arts & Culture e il progetto #IoRestoACasa, con attività social, proposte per i più piccoli e la newsletter «Oggi vi raccontiamo che…», ottima occasione per scoprire curiosità e segreti delle raccolte veneziane.
Molto social, in questi mesi di emergenza, è stata anche la collezione Peggy Guggenheim, con le sue belle lezioni di storia dell’arte on-line. Il museo ha da poco annunciato la riapertura dei suoi spazi, dopo ottantasei giorni di chiusura, per il 2 giugno, la festa della Repubblica italiana, con accesso contingentato e su prenotazione durante i fine settimana (il sabato e la domenica, dalle ore 10 alle ore 18).
«Sarà una nuova fruizione della collezione -assicurano dall’ufficio stampa di Palazzo Venier dei Leoni-, senz’altro più intima e raccolta, all’insegna di una visita riflessiva, in un luogo accogliente e forse più silenzioso rispetto al passato, che permetterà ai visitatori di porsi in ascolto dell’arte, in contatto diretto con la magia surreale de «L’impero della luce» di René Magritte o il mistero assoluto di «Alchimia» di Jackson Pollock o, perché no, di immergersi nella quiete del giardino delle sculture, seduti accanto alla «Donna in piedi (Donna 'Leoni’)» di Alberto Giacometti.
Non a caso la Peggy Guggenheim ha scelto una frase del museologo Georges-Henri Rivière per presentare questa sua «Fase 2»: «Il successo di un museo non si valuta in base al numero dei visitatori che vi affluiscono, ma al numero dei visitatori ai quali ha insegnato qualcosa».
Pronta a un «bell'esercizio di resistenza e resilienza culturale» - per usare le parole di Karole P. B. Vail, direttrice della collezione di Palazzo Venier dei Leoni- sono anche le Gallerie dell’Accademia, che da domani, 26 maggio, saranno regolarmente aperte, nel rispetto di tutte le norme di sicurezza, dal martedì alla domenica dalle ore 8.15 alle ore 19.15, con chiusura settimanale il lunedì (unica variazione rispetto al consueto orario, che prevedeva l’apertura il lunedì dalle ore 8.15 alle ore 14.15).
Per l’occasione è stato messa a punto un'importante iniziativa all'interno del più ampio progetto di valorizzazione dell'arte veneta, vocazione di questa antica istituzione museale fin dalle sue origini: l’esposizione al pubblico della straordinaria «Sant'Anna in trono con la Vergine bambina e i santi Girolamo e Francesco», conosciuta come Pala di Sant'Anna, realizzata da Jacopo da Ponte, detto Jacopo Bassano, nel 1541.
L'opera, dipinta per i Riformati di Asolo e facente parte della collezione delle Gallerie dal 1812, è stata ceduta in deposito alla fine dell’Ottocento alla chiesa parrocchiale di Sossano e successivamente, dal 1956, al Museo civico di Bassano del Grappa.
La decisione di riportare a casa il dipinto, dopo oltre un secolo di assenza, è stata motivata dal riallestimento, in una fase ormai avanzata di elaborazione progettuale, della sezione dedicata alla pittura veneta del Cinquecento, nelle sale attualmente in corso di restauro e adeguamento impiantistico.
La pala, giunta in città lo scorso marzo, verrà esposta temporaneamente nella sala XXIII, ovvero nell’ex chiesa di Santa Maria della Carità, per poi essere trasferita, dopo un intervento di manutenzione, in una sala interamente dedicata alla produzione di Jacopo Bassano, che verrà inaugurata nel prossimo autunno insieme ad altri ambienti espositivi dell’ala palladiana.
La presenza di questo dipinto risulta fondamentale per documentare la fase giovanile del pittore, caratterizzata da un linguaggio composito in cui l’influenza della pittura di Pordenone, da poco uscito dalla scena veneziana, si mescola alle prime sperimentazioni manieriste, che caratterizzeranno la produzione degli anni Quaranta, e alle suggestioni del naturalismo della scuola lombarda. Si tratta, quindi, del recupero di un tassello importante della produzione di Jacopo Bassano, che non era per nulla rappresentato nella pur ricca collezione di opere del pittore in possesso delle Gallerie, tutte appartenenti a una stagione diversa e più avanzata del suo percorso artistico.
Un bel messaggio di speranza, questo, per Venezia, «una città che - dichiara Giulio Manieri Elia, direttore delle Gallerie dell’Accademia- ha nell'arte e nella cultura la sua vocazione e il suo destino, un legame indissolubile che parte dalla comunità locale che si riconosce nel suo patrimonio, e raggiunge il resto del mondo».

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Da Ponte Jacopo Detto Bassano, Sant'Anna in trono con la Vergine bambina e i santi Girolamo e Francesco , olio su tela, cm 147 x 103, cat 1041. Credit © Musei civici Bassano del Grappa, Su gentile concessione dei Musei Civici di Bassano del Grappa. Fotografo: Luigi Baldin Fotografo d’arte – Treviso, Anno: 2011; [fig. 2] Peggy Guggenheim Collection, Venezia; [fig. 3] Gallerie dell'Accademia, Venezia; [fig. 4] Il Muve on-line su Google Arts & Culture

Per saperne di più 
www.gallerieaccademia.it
www.guggenheim-venice.it
www.visitmuve.it

giovedì 14 maggio 2020

«Sguardi di Novecento»: Mario Giacomelli e il suo tempo

Senigallia omaggia uno dei suoi figli più illustri. In occasione dei venti anni dalla scomparsa di Mario Giacomelli, la città marchigiana ospita per tutta l'estate, a partire dal 20 maggio e fino al 27 settembre, due mostre sul fotografo. A Palazzo del Duca l'associazione ONO arte contemporanea propone un dialogo tra l'opera dell'artista e quella di tanti altri protagonisti della cultura fotografica novecentesca come Robert Doisneau, Gianni Berengo Gardin, Brassaï, Henri Cartier-Bresson, Kikuji Kawada, Jacques Henri Lartigue, Herbert List, Nino Migliori, Paolo Monti, Leo Matiz e Ara Güler.
Palazzetto Baviera mette, invece, in mostra una selezione di opere fotografiche dei membri del Gruppo Misa, nel quale Mario Giacomelli mosse i suoi primi passi.
Il progetto espositivo prende spunto e si ispira a «The Photographer’s Eye», la grande mostra del 1964 curata da John Szarkowski -direttore del Dipartimento di fotografia del MoMA di New York dal 1962 al 1991.
Quello fu il primo vero riconoscimento internazionale per Mario Giacomelli che fu esposto insieme ad autori internazionali.
A proposito di quella rassegna il curatore scriveva in catalogo: «[...] le fotografie qui riprodotte sono state eseguite nel corso di centoventicinque anni circa. Sono state scattate per ragioni disparate, da uomini mossi da intenzioni diverse e con diversi gradi di talento. In effetti hanno ben poco in comune, se non il successo che hanno in comune e un lessico condiviso: queste immagini sono inequivocabilmente fotografie. La visione che hanno in comune non appartiene a una scuola o a una teoria estetica, ma alla fotografia stessa». Da questa considerazione è partito il viaggio di «Sguardi di Novecento» (questo il titolo del progetto fotografico che Senigallia dedica a Mario Giacomelli, del quale rimarrà documentazione in un catalogo di Silvana editoriale).
Va ricordato, a tal proposito, che la metà del Novecento è stato un periodo molto denso per la fotografia a livello internazionale e soprattutto per il riconoscimento della figura del fotografo.
La mostra «Sguardi di Novecento», dunque, non vuole essere una ricognizione onnicomprensiva ed esaustiva dei tanti fotografi che attivamente hanno partecipato a quel periodo, ma una selezione di quelli che possono essere messi in dialogo, ideale o reale che sia, con il lavoro di Giacomelli.
Tra gli artisti in mostra ci sono Nino Migliori, nel Gruppo Misa nei primi anni di carriera, e Paolo Monti, fondatore del gruppo «La Gondola» (contraltare de «La Bussola», fondata da Giuseppe Cavalli), che nel 1955 a Castelfranco Veneto premiò Giacomelli denominandolo l’«Uomo nuovo della fotografia».
Lungo il percorso espositivo si trovano anche gli scatti di Gianni Berengo Gardin, spesso accostato per il lirismo dei suoi scatti a Henri Cartier-Bresson, altro autore presente in mostra, pioniere del fotogiornalista e fondatore tra gli altri della celebre agenzia Magnum. Per rimanere sempre in Francia l’esposizione presenta Jacques Henri Lartigue, Robert Doisneau, antesignano della street photography contemporanea, e Brassaï, soprannominato l’«occhio di Parigi» per il suo amore nei confronti della capitale francese e di tutti i personaggi e gli intellettuali che la animavano. Tra gli artisti in mostra ci sono anche il tedesco Herbert List, celebre per le sue foto di moda e di nudi maschili, Ara Güler, storico e documentarista che per sessant’anni ha ritratto le metamorfosi di Istanbul, Kikuji Kawada, uno dei principali fotografi giapponesi fondatore del gruppo Vivo, che ha sempre indagato la connessione tra immagine astratta, realtà e sentimenti, e il colombiano Leo Matiz, artista eclettico, non solo fotografo ma anche caricaturista, pittore, gallerista, editore e attore, celebre per aver documentato con i suoi scatti il rapporto tra Frida Kahlo e Diego Rivera.
Mario Giacomelli è sempre stato un fotografo fortemente radicato alla sua terra, e malvolentieri si spostava da essa, ma riuscì sin da subito attraverso la sua arte a superare i confini geografici, conquistando i grandi critici internazionali come Szarkowski che nel ’64 lo inserì nella collezione del MoMA, colpito dal  suo lavoro caratterizzato da un forte spirito di sperimentazione e da una vorace volontà di ricerca.
Proprio il legame dell'artista con la sua terra è al centro della mostra dedicata al Gruppo Misa, che espone anche le opere di Giuseppe Cavalli e Ferruccio Ferroni. Nonostante la compagine fosse uno straordinario laboratorio di idee, ebbe breve ma intensa vita e si sciolse per una naturale trasformazione ingenerata dalla tenace riflessione sulla fotografia e la necessità di trovare un proprio linguaggio dei giovani fotografi di quegli anni ’50, primi fra tutti Giacomelli, Branzi e Camisa.
Un progetto, dunque, di ampio respiro quello promosso da Senigallia che racconta il forte spirito di innovazione del maestro marchigiano, senza dimenticare le influenze che i fotografi a lui coevi ebbero sul suo lavoro.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Mario Giacomelli, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, 1964/68; [fig. 2] Mario Giacomelli, Io non ho mani che mi accarezzino il volto, 1961/63; [fig. 3] Mario Giacomelli, Scanno, 1957 e 1959

Informazioni utili 
Sguardi di Novecento. Palazzo del Duca e Palazzetto Baviera - Senigallia (Ancona). Orari: fino al 7 giugno 2020 - da mercoledì a venerdì, ore 15-20; sabato e domenica, festivi e prefestivi, ore 10-13 e ore 15-20 | dal 9 giugno al 23 agosto 2020 - da martedì a domenica, festivi e prefestivi, ore17-23 | dal 25 agosto al 27 settembre 2020, da mercoledì a venerdì, ore 15-20; sabato e domenica, festivi e prefestivi, ore 10-13 e ore 15-20. Ingresso: intero € 8,00-cittadini di età superiore ai 25 anni; ingresso agevolato € 4,00-cittadini dell’Unione europea di età compresa tra i 18 e i 25 anni e ai docenti delle scuole statali con incarico a tempo indeterminato, visitatori in possesso del coupon realizzato dalla CNA; ingresso ridotto € 6,00-soci FAI, Touring Club, Coop Alleanza 3.0, Archeoclub d’Italia, Pro Loco e Albanostra-Cassa MutuaG. Leopardi; ingresso agevolato €. 4,00-per i gruppi di visitatori formati da oltre venti paganti);gratuitoper tutti i cittadini appartenenti all'Unione Europea, di età inferiore a 18 anni e per gli iscritti alla LiberaUniversità per Adulti di Senigallia. Informazioni: circuitomuseale@comune.senigallia.an.it. Dal 20 maggio al 27 settembre 2020