ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

lunedì 12 ottobre 2020

Dal Moro di Gifuni alle «Storie» di Massini, al Piccolo Teatro un ottobre all’insegna della drammaturgia contemporanea

Il Piccolo Teatro di Milano mette sotto l’occhio di bue la drammaturgia contemporanea. La prestigiosa istituzione meneghina, che ha da poco nominato suo direttore il regista bolognese Claudio Longhi, allievo di Luca Ronconi, con in curriculum la direzione dell’ERT – Teatro Stabile dell’Emilia Romagna e la cattedra in Discipline dello spettacolo all’Università di Bologna, guarda in questo primo scorcio di stagione ad autori e storie del nostro tempo.
Dopo i lunghi mesi del lockdown, lo scorso 6 ottobre il sipario del teatro Grassi, lo storico spazio di via Rovello, si è aperto su un atteso monologo di Fabrizio Gifuni: «Con il vostro irridente silenzio», uno studio sulle lettere e sul memoriale che Aldo Moro scrisse dal 16 marzo al 9 maggio 1978, durante i cinquantacinque giorni della prigionia.
Lo spettacolo, in agenda fino al 17 ottobre, è la nuova tappa del progetto «Antibiografia di una nazione», dedicato alla nostra storia recente, che in passato ha guardato alle figure di Carlo Emilio Gadda e Pier Paolo Pasolini.
Fabrizio Gifuni, che per questo suo ultimo lavoro si è avvalso della collaborazione dello scrittore Christian Raimo e della consulenza storica di Francesco Maria Biscione e Miguel Gotor, mette in scena quello che per lui è «lo scritto più scabro e nudo della storia d’Italia», un fitto insieme di parole che in pochi hanno letto e in molti hanno preferito dimenticare, sconfessandole sin da subito. Le lettere e il memoriale, in parte diffusi all’epoca e in parte ritrovati nel 1990, sono, infatti, tutt’oggi -si legge sul libretto di sala del Piccolo Teatro- «due presenze fantasmatiche, il corpo di Moro è lo spettro che ancora occupa il palcoscenico della nostra storia di ombre».
Durante la prigionia, lo statista democristiano «parla, ricorda, scrive, risponde, interroga, confessa, accusa e si congeda». Si rivolge ai familiari, agli amici, ai colleghi di partito, ai rappresentanti delle istituzioni. Le parole alla moglie Noretta e al nipotino Luca commuovono; quelle agli esponenti della Dc, che rendono inevitabile un martirio evitabile, indignano. Quello di Aldo Moro è un lucido e terribile j’accuse nei confronti dei dirigenti del suo partito, dall’oscuro Giulio Andreotti all’indeciso Zaccagnini.
Parola dopo parola, capiamo che la morte dello statista pugliese è una ferita ancora aperta della nostra storia, uno dei tanti misteri italiani che mette insieme opportunismo politico, carrierismo, falsità, tradimento e che, forse, riletto ci può dare risposte anche sul nostro oggi.
Il Piccolo Teatro Studio Melato ha aperto, invece, il sipario lo scorso 9 ottobre con «Tu es libre», testo di Francesca Garolla, per la messa in scena di Renzo Martinelli, in cartellone fino al 18 ottobre. Lo spettacolo tratta il tema della libertà di scelta attraverso la storia di una giovane donna francese, Haner, che parte per la Siria, unendosi a un gruppo di combattenti. La sua decisione destabilizza la vita di chi rimane in patria, i genitori, un innamorato, un’amica: tutti cercano di capire che cosa abbia spinto la ragazza a una decisione così lontana dall’etica e dalla morale occidentali. Frammenti di ricordi, sentimenti e impressioni dei protagonisti della vicenda aiutano a comporre un quadro umano complesso e conducono a un’unica conclusione: la comprensione deriva dall’accettazione e dal rispetto dell’altro.
La programmazione proseguirà al teatro Strehler con Paolo Rossi e il suo «Pane o libertà», in agenda dal 13 al 25 ottobre, che vedrà in scena acnche i musicisti Emanuele Dell’Aquila, Alex Orciari e Stefano Bembi, che formano la Anciens Prodiges
Lo spettacolo, già presentato nella rassegna estiva della sala milanese, incrocia vari generi, dalla stand-up comedy alla Commedia dell’arte, per raccontare l’incontro dell’artista con grandi protagonisti del nostro tempo come Jannacci, Gaber, De André e Fo. «Giocando con l’illusione di mettermi sul palco rievocherò i miei sogni lucidi – racconta l’attore-, fatti da storie che aiutano a resistere, costretti a scegliere tra il lavoro o la libertà, tra la salute o la libertà, insomma tra pane o libertà (slogan rubato non mi ricordo a quale pagina de ‘La Peste’ di Camus) o a non scegliere proprio».
Si ritornerà, quindi, al Piccolo Teatro Studio Melato con Stefano Massini che, dal 20 al 25 ottobre, salirà sul palcoscenico per raccontare le sue «Storie», «tratte -si legge nella sinossi dello spettacolo- dal patrimonio della letteratura europea, individuate tra le pieghe della storia, rintracciate nella quotidianità». In scena con lo scrittore ci saranno Paolo Jannacci al pianoforte e Daniele Moretto alla tromba.
Quasi in contemporanea, dal 20 ottobre al 1° novembre, il teatro Grassi ospiterà «The Red Lion» di Patrick Marber, una co-produzione La Pirandelliana/Teatri Uniti, per la regia e la colonna sonora di Marcello Cotugno, che vedrà in scena Nello Mascia, Andrea Renzi e Simone Mazzella. L’allestimento traspone il testo originale dalla provincia inglese a quella campana e «analizza -si legge nella presentazione- con ironia e spietatezza il mondo pieno di contraddizioni e ambizioni del calcio dilettantistico, illuminato/oscurato dalla chimera delle giovani promesse di essere lanciate nel paradiso del professionismo». 
La programmazione di inizio autunno ritornerà, quindi, ad accendere i riflettori al Piccolo Teatro Studio Melato, dove, dal 27 ottobre al 1° novembre, il giornalista Michele Serra proporrà «L’amaca di domani», un racconto ironico e sentimentale, per la regia di Andrea Renzi, nel quale lo scrittore e giornalista racconta di sé e del mestiere fragile e faticoso che fa e che, da ventisette anni, lo porta ogni giorno a condividere le proprie opinioni sulle pagine di un giornale. «Le persone e le cose trattate nel corso degli anni – la politica, la società, le star vere e quelle fasulle, la gente comune, il costume, la cultura – riemergono -si legge nella presentazione- dal grande sacco delle parole scritte con intatta vitalità e qualche sorpresa». 
A chiudere la programmazione per il mese di ottobre sarà al teatro Strehler, dal 28 ottobre all’8 novembre, «La notte dell’Innominato», spettacolo tratto da «I promessi sposi» di Alessandro Manzoni, per la regia e l’adattamento di Daniele Salvo
Eros Pagni dà corpo e voce all’Innominato, interpretando le pagine manzoniane dedicate all’arrivo di Lucia al suo castello e alla notte tormentata in cui la giovane, preda della disperazione, pronuncia il voto di verginità alla Madonna, mentre l’uomo vive l’angoscia e i rimorsi, assillato da scrupoli mai provati, facendo i conti con se stesso, con la sua mancanza di fede, la sua ambizione, la sua finitezza.
L’ottobre del Piccolo Teatro, che vedrà in scena anche la quinta edizione del Mit Jazz Festival, propone, dunque, sette spettacoli, scelti con la consulenza del direttore dimissionario Sergio Escobar, che vanno a raccontare la nostra storia recente, recuperando ciò che è stato per farcelo guardare con occhi nuovi, come nella migliore tradizione del teatro civile.

Vedi anche

Didascalie delle immagini
[Fig. 1 Fabrizio Gifuni in «Il vostro irridente silenzio». Foto: Musacchio, Inanniello e Pasqualini;  [fig. 2] «Tu es libre» di Francesca Garolla. Foto di Laila Pozzo; [fig. 3] Paolo Rossi.  Foto: Monique Foto; [fig. 4] Stefano Massini e Paolo Iannacci. Foto: Piccolo Teatro di Milano; [fig. 5] Michele Serra, protagonista dello spettacolo «L'amaca di domani»; [fig. 6] Una scena dello spettacolo «The red lion». Foto: Salvatore Pastore; [fig. 6] Eros Pagni, in scena al Piccolo Teatro di Milano con «La notte dell’Innominato»

Informazioni utili 
Informazioni e prenotazioni al numero 02.42411889 o sul sito Internet www.piccoloteatro.org | News, trailer, interviste ai protagonisti su www.piccoloteatro.tv

venerdì 9 ottobre 2020

Verona, Luigi Carlon svela la sua collezione a Palazzo Maffei

Verona
ha un nuovo punto di riferimento per gli amanti dell’arte. Inaugurato lo scorso febbraio, pochi giorni prima della chiusura di tutti i luoghi di cultura a causa dell’emergenza sanitaria per il Covid-19, Palazzo Maffei, affascinante edificio in stile barocco che si affaccia su piazza delle Erbe, il cui nucleo originario risale al tardo Medioevo e sorge nell’area del Capitolium, è tornato da poco ad accogliere il pubblico.
Scrigno prezioso per le opere della caleidoscopica collezione dell’imprenditore veronese Luigi Carlon, il palazzo è stato sottoposto a un attento intervento di restauro conservativo -curato dallo studio Baldessari e Baldessari, con la direzione dei lavori di Alessandro Mosconi e l’esecuzione della ditta Massimo Tisato.
Il progetto di riqualificazione, oltre alla messa in sicurezza delle parti instabili e al rifacimento degli impianti, ha interessato la facciata, l’imponente scalone di accesso dall’elegante forma elicoidale autoportante, gli stucchi e le pitture murali del primo piano, di impronta classicheggiante, eseguite con ogni probabilità tra il XVIII e il XIX secolo. Dal punto di vista dell’allestimento, -raccontano da Palazzo Maffei- «il percorso è caratterizzato da una scansione di tinte delle pareti dai colori decisi»: blu carta da zucchero intenso per il salone d’ingresso, rosso carico per le prime stanze, ancora blu (ma dalle tonalità calde) per il salotto dall’elegante trama a disegno oro, bianco gesso, quindi, per una stanza dal sorprendente gusto roccaille e ancora bianco, con innesti di fondi neri, per le sale della seconda manica al piano nobile.
All’interno di queste sale trovano posto le oltre trecentocinquanta opere, che spaziano dal Trecento ai giorni nostri, collezionate da Luigi Carlon nel corso della sua vita, in oltre cinquant’anni di ricerca. Si tratta, nello specifico, di quasi duecento dipinti, una ventina di sculture, disegni e un’importante selezione di oggetti d’arte applicata come mobili d’epoca, vetri antichi, ceramiche rinascimentali e maioliche sei- settecentesche, ma anche argenti, avori, manufatti lignei, pezzi d’arte orientale, rari volumi. Il tutto è esposto secondo un’idea museografica di Gabriella Belli, che si è avvalsa per l’occasione dei contributi scientifici di Valerio Terraroli ed Enrico Maria Guzzo.
Nella prima parte del percorso, connotata dagli scenografici affacci su piazza delle Erbe, si è voluto ricreare l’atmosfera di una dimora privata, ma anche il senso di una wunderkammer e di una sintesi tra le arti, con nuclei tematici d’arte antica in cui irrompe all’improvviso il dialogo con la modernità. Ecco così, per esempio, i tagli di un «Concetto spaziale» di Lucio Fontana su fondo rosso, colore simbolo dell’energia vitale, a confronto con preziosi fondi d’oro tre-quattrocenteschi e fogli miniati del XIII e XIV secolo, o ancora la monumentale «Maternità» (1932 – 1933) di Arturo Martini dialogare con soggetti mariani realizzati tra Quattrocento e Cinquecento da artisti come Antonio Badile, Liberale da Verona e Fra’ Girolamo Bonsignori.
Interessante è anche il contrappunto tra le lacerazioni delle «Combustioni» di Alberto Burri e il «Cavaliere disarcionato» di Marino Marini nel bellissimo bronzo «Piccolo miracolo», simboli della condizione di sofferenza in cui versa l’uomo del XX secolo, con le scene di battaglia del pittore veneziano seicentesco Matteo Stom, animate da cavalli abbattuti a terra, soldati disarcionati, nubi scure che sovrastano il campo dove i nemici si fronteggiano, spade che lumeggiano nell’incrociarsi delle lame.
Un cortocircuito emotivo crea anche il raffronto tra le iconografe classiche di dee, eroine e donne mortali con opere novecentesche come la «Medusa» di Lucio Fontana, opera in ceramica del ‘38-’39 con figure distorte e inquietanti, e la straordinaria «Tete di femme» di Pablo Picasso, con cui l’artista spagnolo raffigura nel 1943, con spigolose e drammatiche pennellate nere e grigie, la sua compagna Dora Maar.
Nella seconda parte del percorso espositivo, dedicata al Novecento e all’arte contemporanea, si è, invece, voluta creare una vera e propria galleria museale, nella quale si scorge la passione di Luigi Carlon per il Futurismo e la Metafisica.
Nelle prime sale Umberto Boccioni è in mostra con uno straordinario capolavoro divisionista del 1907 come «Il Canal Grande a Venezia» accanto a Medardo Rosso, Felice Casorati e Carlo Carrà, del quale è possibile ammirare «La donna e l’assenzio (Donna al cafè)» del 1911.
Grande protagonista dell’omaggio al Futurismo è Giacomo Balla, del quale viene esposta, per esempio, l’opera «Compenetrazioni iridescenti n. 1», tratta dalla serie che l’artista realizzò tra ottobre e dicembre del 1912, in Germania, cercando di rendere visibile l’invisibile, ovvero il dinamismo e le rifrazioni luminose. Siamo di fronte a uno dei primi dipinti totalmente astratti del Novecento.
Gino Severini, Ardengo Soffici e Filippo De Pisis traghettano, quindi, il visitatore nelle sale dedicate alle Avanguardie del Novecento, dove trovano posto lavori, tra gli altri, di Mario Sironi, Alberto Savinio, Magritte, Pablo Picasso, George Braque, Giorgio Morandi, Marcel Duchamp.
Il percorso prosegue con l’arte del secondo Dopoguerra, esponendo opere di Afro, Vedova, Fontana, Burri, Tancredi, De Dominicis, Manzoni e molti altri.
«Il saluto dell’amico lontano», dipinto da Giorgio de Chirico nel 1916, un capolavoro metafisico, accompagna il visitatore verso l’uscita. È, questo, un quadro emblematico che racchiude i segreti della biografia dell’artista, i suoi ricordi domestici, ma anche simboli di quell’«oltre» che ha alimentato di sé tutta l’arte del XX secolo. «L’occhio indagatore, al centro della composizione, che osserva e si fa osservare, -raccontano a Verona- è la rappresentazione dello sguardo duplice dell’uomo contemporaneo, pieno di meraviglia per il mondo che lo circonda, ma anche inquieto e incredulo davanti al mistero e all’inganno della vita che sfugge a ogni argomentazione razionale».
Su questi opposti sentimenti si gioca l'intera collezione di Palazzo Maffei, che non vuole essere solo uno spazio espositivo: eventi, incontri, laboratori didattici e iniziative diverse animeranno, infatti, in breve tempo le giornate della casa-museo, che offre anche una biblioteca specialistica su prenotazione e -dalla balconata che sormonta il palazzo- un’impagabile, emozionante vista sulla città e sulle colline circostanti. Un’emozione tra le emozioni suscitate da un percorso che fa incontrare antico e contemporaneo, mettendo sotto i riflettori la passione di un uomo, di un mecenate contemporaneo, per il magico mondo dell’arte.


 Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Sala IX Salotto blu | Tra le opere visibili nella foto, da sinistra a destra: - Giuseppe Capogrossi, Superficie CP/833/A, 1966. Papier collé applicato su tela | - Gerrit Rietveld, Red and Blue Chair | - Josef Albers, Homage to the Square, 1954. Olio su tavola (Foto Paolo Riolzi); [fig. 2] Sala I - Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese… | Sul fondo: - Zenone Veronese, Il ratto di Elena, s.d..Olio su tela; [fig. 3] Sala VI - L'ira funesta. In primo piano al centro: - Marino Marini, Piccolo miracolo, 1951. Bronzo con interventi di pittura grigia a olio. | Tra le opere visibili nella foto, a sinistra: - Alberto Burri, Tutto Nero, 1957. Acrilico, vinavil e combustione su tela; - Antonio Calza (attribuito), Battaglia contro i turchi, s.d.Olio su tela - Marino Marini, Cavallo e cavaliere, 1953. Tempera e tecnica mista su carta | In alto al centro: - Matteo Stom, Battaglia contro i turchi. Olio su tela | A destra: - Leoncillo Leonardi, Racconto rosso, 1963. Terracotta engobbiata e smaltata (Foto Paolo Riolzi); [fig. 4] Scalone elicoidale (Foto Paolo Riolzi); [fig. 5] Maestro veronese, ambito di Bartolomeo, Giolfino e Giovanni Zebellana, Madonna in trono, Secolo XV. Legno policromato e dorato | Lucio Fontana, Conce o spaziale, 1954. Olio rosso e frammenti di vetri colorati incollati su tela (Foto Paolo Riolzi); [fig. 6] Biblioteca (Foto Paolo Riolzi); [fig. 7] Sala d’ingresso (particolare) - Maurizio Nannucci, New Horizons for Other Visions/ New Visions for Other Horizions, 2020. Installazione site specific, neon blu in pasta di vetro (Foto Paolo Riolzi) 

Informazioni utili 
Palazzo Maffei, piazza delle Erbe, 38 - Verona. Orari: dal lunedì al venerdì, ore 10.00 – 18.00; sabato, domenica e festivi, ore 11.00 – 19.00; 1° gennaio, ore 13.00- 19.00; chiuso il martedì e il 25 dicembre. Ingresso: intro € 10,00, rido o € 8,00; tu e le convenzioni e riduzioni sono consultabili sul sito. Informazioni: tel. 045.5118529 o info@palazzomaffeiverona.com. Sito internet: palazzomaffeiverona.com

giovedì 8 ottobre 2020

Roma ricorda Moira Orfei con una mostra fotografica e un’asta dei suoi gioielli

Era per tutti l’indiscussa «regina del circo italiano». Sotto il tendone, tra domatori di leoni e mangiatori di fuoco, aveva mosso i suoi primi passi e i genitori –il padre Riccardo Orfei, conosciuto come clown Bigolon, e la madre Violetta Arata, abile funambola specializzata nella passeggiata sul cavo d’acciaio- l’avevano mandata subito in scena: ad appena sei anni aveva debuttato come cavallerizza. Con il tempo è diventata il simbolo stesso di una forma di spettacolo, di indubbio fascino e magia, capace ancora oggi di incantare il pubblico di ogni età. Sulla pista circolare si è, infatti, esibita come trapezista, acrobata, domatrice di elefanti e addestratrice di colombe; e ha portato il suo circo, fondato nel 1960, a essere apprezzato in tutto il mondo, tanto da vincere un «Clown d’oro» al festival di Montecarlo nel 1987.
Ma Miranda Orfei, conosciuta da tutti come Moira per la sua bellezza mediterranea, non era solo una circense. Era anche un’attrice teatrale e cinematografica, con più di quaranta film in curriculum, capace di non sfigurare accanto ad artisti del calibro di Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Totò, Christian de Sica e Nino Manfredi.
Sul set- dove è stata diretta, tra gli altri, da Pietro Germi, Federico Fellini e Luchino Visconti- aveva conosciuto Dino Laurentis e grazie a lui aveva cambiato look, diventando l’«icona kitsch» che tutti ricordano. I suoi abiti vistosi, i gioielli eccentrici, i capelli corvini raccolti a mo’ di turbante, gli occhi esageratamente truccati, le unghie laccate e il rossetto rosso ciliegia sono entrati nell’immaginario collettivo.
A cinque anni dalla scomparsa, avvenuta nel novembre 2015, Roma ricorda Moira Orfei con una mostra fotografica, in cartellone fino al 28 ottobre negli storici saloni di Palazzo del Monte di Pietà.
A organizzare l’appuntamento è stata Affide, azienda leader in Europa e in Italia nel credito su stima, autorizzata dalla Banca d’Italia, con una copertura quasi totale del territorio che comprende quasi quaranta filiali e più di cento sportelli distribuiti su tutto il territorio nazionale –in prevalenza nel Lazio e in Sicilia– e un totale di duecento e trentotto addetti.
Ideata da Alessandro Serena (di Circo e dintorni) e Aurelio Rota (di Lonato in Festival) nell’ambito di Open Circus, progetto di diffusione della cultura circense, la rassegna esalta l'intensissima vita dell’artista, fatta di spettacolo, cinema, riconoscimenti e amore per la famiglia.
Nata “per caso” a Codroipo, in provincia di Udine, nel 1931, da una famiglia di remote origini sinti, dedita all'arte circense da diverse generazioni, Moira Orfei ha incontrato sotto il tendone suo marito, Walter Nones, che ha sposato nel 1961 e dal quale ha avuto due figli, Lara e Stefano, che come nella migliore tradizione, sono stati battezzati nella gabbia dei leoni. La coppia ha conosciuto grandi successi a partire dagli anni Settanta, con attrazioni come «l’uomo proiettile» e il «circo sul ghiaccio», e ha passato tutta la vita in pista, in quel mondo di fantasia e di meraviglia, ma soprattutto in quella «scuola di vita», che li ha visti sempre vivere da nomadi, senza fissa dimora, come i veri artisti.
La mostra anticipa l’asta, prevista per il 29 ottobre, con più di cento gioielli rari e di alto pregio. Oltre ai quarantotto manufatti lasciati in custodia dalla famiglia presso i caveau di Affide, specchio della personalità eccentrica ed esuberante di Moira Orfei, verranno battuti all’asta anche dei preziosi selezionati coerentemente con lo stile dell'artista, ma che non ne sono stati proprietà.
Tra i pezzi più interessanti, e che è possibile vedere anche nella mostra romana, ci sono un anello con diamante (base d'asta 25.0000 euro) e una collana con smeraldi (base d'asta di 15.000 euro).
Si tratta di gioielli carichi di storia, accompagnati da mille aneddoti. Tra i pezzi all’asta è possibile vedere, per esempio, quelli acquistati durante la tournée del circo in Iran, quando nel 1977 la troupe rimase bloccata alla corte dello scià di Persia con cento artisti e cinquanta animali, in seguito all'insurrezione popolare, e il ministero degli Esteri fece inviare l’«Achille Lauro» a recuperare personale, animali e attrezzature.
Ci sono, poi, pezzi unici acquistati durante le tournée in Italia e in altre località come Belgrado, Berlino, Madrid, Barcellona, Istanbul, Sofia, Teheran, Tripoli, La Valletta, Monte Carlo, Atene, Salonicco e Zagabria. 
Camminando tra le sale del Monte di Pietà si ha così l’impressione di vedere ancora una volta Moira Orfei, con le sue «troppaggini» kitsch, con quello stile da regina che aveva scelto per chiudere i suoi «show»: in piedi su una grande carrozza, le braccia larghe e le mani mulinanti, sotto una mantella di piume e un vestito ricco di paillettes. Felice come una bambina.

Informazioni utili 
 I gioielli di Moira Orfei. Palazzo del Monte, piazza del Monte di Pietà, 32/A - Roma. Orari: tutti i giorni, ore 10.00-18.00. Informazioni: www.affide.it. Fino al 28 ottobre. Asta: 29 ottobre 2020, ore 16.30.