ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 2 marzo 2021

Torino, al via il restauro della facciata juvarriana di Palazzo Madama


È uno dei monumenti simbolo della storia e dell’arte di Torino, condensando, al suo interno, duemila anni di storia, dal I secolo a.C. all’epoca medievale degli Acaja, dal Barocco delle due «Madame reali» - Maria Cristina di Francia e Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours - fino al Risorgimento, con il Senato del Regno sabaudo, e al costituirsi, nel 1934, del grande Museo civico di arte antica. Per Palazzo Madama, patrimonio mondiale dell’Umanità di Unesco, sta per scriversi una nuova pagina della sua storia. La facciata juvarriana, capolavoro architettonico del Settecento europeo, sarà sottoposta a un importante intervento di restauro e consolidamento dell’avancorpo centrale. Il lavoro è promosso dalla Fondazione Torino Musei e approvato dal Ministero per i beni culturali e dalla Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Torino, con il sostegno dalla Fondazione Crt che ha stanziato 2,4 milioni di euro.
Il progetto, ‘firmato’ dall’architetto Gianfranco Gritella, che in passato diede nuova vita alla Mole Antonelliana, prende le mosse dagli esiti del cantiere studio, realizzato, a partire dal 2018, dalla Fondazione Centro conservazione e restauro La Venaria reale, per valutare lo stato di conservazione della facciata, progettata tra il 1718 e il 1722 dall’architetto Filippo Juvarra per volere di Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours, che ne fece la propria residenza dopo la salita al trono del figlio Vittorio Amedeo II.
Con il coinvolgimento anche del Politecnico e dell’Università degli studi di Torino, sono state condotte indagini scientifiche sui materiali e sulle alterazioni intervenute nel tempo. Le caratteristiche costruttive di Palazzo Madama e il marmo di Chianocco o Foresto utilizzato, estratto fin dal Cinquecento nelle omonime località nella bassa valle di Susa – di semplice lavorazione, ma affetto da «un male antico» legato alla propria friabilità – hanno fin da subito innescato problemi di conservazione e cedimenti strutturali, tanto che i primi tentativi per risolverli risalgono già alla fine del XVIII secolo.
L’intervento - perfetto mix tra tradizione e innovazione, tra antiche tecniche artigianali e metodologie all’avanguardia - inizierà prima dell’estate e durerà circa due anni. Verranno recuperati i marmi originali con l’impiego di materiali contemporanei, come fibre di carbonio, resina e acciaio inox nelle parti nascoste dell’edificio.
Il restauro sarà aperto al pubblico. All’interno di un padiglione appositamente realizzato in prossimità di Palazzo Madama, il pubblico potrà assistere alle principali fasi di restauro delle quattro grandi statue allegoriche. Un sistema di videocamere trasmetterà su alcuni schermi a terra le principali fasi di lavorazione e gli interventi più significativi in corso sulle impalcature. Ma non è tutto. Un ascensore montacarichi consentirà, inoltre, di condurre gruppi di visitatori in determinate aree del cantiere, sino alla quota della balaustra sommitale. Al termine dell’intervento, una mostra a Palazzo Madama illustrerà la storia millenaria dell’edificio e i restauri, e consentirà di conoscere parti del palazzo oggi sconosciute al grande pubblico.
Il progetto prevede, inoltre, un «cantiere della conoscenza» che consentirà, già nelle fasi iniziali, di esplorare parti dell’edificio nascoste, per ampliare gli spazi disponibili e fruibili dal pubblico: si tratta delle cosiddette «Cantine juvarriane», ossia gli affascinanti sotterranei dello scalone monumentale, l’area del fossato antistante la facciata e gli ambienti che, sino agli inizi dell’Ottocento, esistevano nel fossato adiacente al monumento al Cavaliere d’Italia e che conducevano da Palazzo Madama verso l’Armeria reale.
Per quanto riguarda il restauro, gli studi fino a oggi fatti hanno documentato, nello specifico, il cedimento del sistema portante settecentesco della facciata juvarriana, nove travi orizzontali in pietra lunghe sette metri e pesanti due tonnellate ciascuna. Questo ha messo in crisi l’intero sistema strutturale, causando numerose fessurazioni con distacchi di grossi frammenti. Al di sopra degli architravi vi sono tre ambienti ciechi, piccole camere lunghe circa 6 metri e alte 1,20 metri coperte da grandi archi in mattoni simili a tre ponti che, poggiati sulle colonne, sostengono il peso del cornicione, della soprastante balaustra e delle quattro gigantesche statue. Attraverso l’apertura di alcune botole praticate nel cornicione, è stato possibile ispezionare per la prima volta queste «amere nascoste» e verificare l’entità delle lesioni, per progettare il recupero e il consolidamento dell’intera struttura.
La parte più delicata e innovativa del progetto riguarderà senz’altro il consolidamento strutturale dei soffitti e degli architravi lapidei dei tre intercolumni del pronao centrale con la costruzione di tre travi reticolari in acciaio con profilo curvilineo all’interno di ogni campata o camera nascosta. Questi tralicci orizzontali – vere e proprie «protesi» reversibili – dovranno sorreggere gli architravi in pietra fessurati e, soprattutto, mantenere sospesi a particolari perni verticali le centinaia di lastre di marmo dei soffitti, per impedirne il cedimento, preservare e rendere visibili i bassorilievi. L’intervento prevede, quindi, di realizzare e portare in quota grandi piastre in acciaio sagomate e tagliate secondo le forme e le decorazioni presenti sui soffitti.
La facciata presenta degrado e dissesti su tutta la superficie lapidea. Gli agenti atmosferici e l’inquinamento urbano sono la causa principale della disgregazione della pietra, ricca di piccole cavità. Si prevede, quindi, un lungo e delicato lavoro di consolidamento e stuccatura per rendere il più possibile impermeabile, uniforme e priva di microcavità la superficie delle pietre utilizzate per costruire l’edificio. Un intervento mirato con impiego di fibre di carbonio e micro barre in resina e acciaio inox consentirà di prevenire ulteriori distacchi di frammenti e rendere stabili i decori scultorei più degradati, come i grandi capitelli delle colonne principali. Recuperando tecniche artigianali antiche, si risaneranno le principali lacune mediante l’inserimento di tasselli e il rifacimento di parti in marmo identiche all’originale, utilizzando la stessa pietra di Foresto recuperata appositamente per questo specifico restauro.
Mentre uno degli interventi più spettacolari del progetto riguarderà le quattro sculture in marmo di tre tonnellate ciascuna alte quattro metri, rappresentanti le Allegorie delle virtù del Buon governo o le Virtù cardinali (Giustizia, Prudenza, Temperanza e Fortezza), scolpite da Giovanni Baratta nel 1726. A causa del degrado che interessa la superficie delle statue ma, soprattutto, alla luce della frammentazione in più parti dei blocchi che le compongono, il progetto prevede la rimozione delle quattro grandi statue. L’intervento comprenderà il sezionamento della superficie di appoggio del basamento di ciascuna statua sulla balaustra – mediante una tecnica particolare che impiega un filo d’acciaio simile al sistema di estrazione dei blocchi di marmo dalle cave –-, l’inserimento delle statue all’interno di speciali gabbie in acciaio e il loro sollevamento e trasporto alla base dell’edificio. Qui ogni statua sarà restaurata e musealizzata. Al posto degli originali saranno inserite quattro copie identiche. Infatti, per evitare che il cornicione e la balaustra settecenteschi, privati del peso secolare costituito dalle statue, possano subire deformazioni o innescare ulteriori problemi di staticità nell’edificio, durante i restauri ciascuna scultura sarà temporaneamente sostituita sul posto da elementi provvisori dello stesso peso.
Saranno, inoltre, recuperati e restaurati gli undici finestroni vetrati di cinquanta metri quadrati ciascuno, i più grandi serramenti barocchi realizzati in Piemonte: saranno realizzati direttamente in opera dei particolari telai in acciaio speciale, debitamente disegnati e sagomati, applicati a contatto con il serramento in legno e parzialmente nascosti dalle sagome che li caratterizzano. Questi telai metallici avranno lo scopo di rendere indeformabili i finestroni, garantirne la stabilità strutturale e trasferire gli sforzi causati dalla spinta del vento direttamente sulla struttura muraria, scongiurando anche pericolose infiltrazioni d’acqua sullo scalone interno.
Torino si prepara, dunque, a ritrovare la «grande bellezza» della facciata di Palazzo Madama, unico edificio del barocco torinese, oltre alla Cappella della Sacra Sindone, costruito pressoché interamente in pietra, rompendo con la tradizione del costruire sabaudo esclusivamente in laterizio.

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lunedì 1 marzo 2021

Da Marialba Russo a Chiara Fumai, un anno alla scoperta della multidisciplinarietà con il Centro Pecci di Prato

Aggiornato sabato 1° maggio 2021, alle ore 17:30 - Sarà una mostra su Marialba Russo (Napoli, 1947), fotografa che con sguardo antropologico ha documentato gli anni Settanta, un periodo carico di fermenti politici, culturali, lotte operaie e femministe, ad aprire la stagione espositiva 2021 del Centro per l'arte contemporanea «Luigi Pecci» di PratoDa sabato 8 maggio, dopo una serie di slittamenti dovuti alla situazione pandemica, sarà possibile ammirare la serie fotografica «Cult Fiction»,  che riprende in modo sistematico i manifesti dei film a luci rosse apparsi nelle strade di Napoli e Aversa tra il 1978 e il 1981, rappresentativi sia della spinta verso la liberazione sessuale di quegli anni sia di una raffigurazione ancora fortemente oggettificata del corpo della donna. In un allestimento che riproduce la materia effimera e l’impatto forte della pubblicità stradale, verranno presentati oltre cento scatti, scelti tra i più significativi della serie.
Sempre sabato 8 maggio aprirà un'altra mostra che focalizza l'attenzione su una figura femminile: a tre anni dalla sua prematura scomparsa, l’istituzione pratese dedica a Chiara Fumai (Roma, 1978 – Bari, 2017) la retrospettiva «Poems I Will Never Release», a cura di Milovan Farronato e Francesco Urbano Ragazzi, con la collaborazione di Cristiana Perrella.
La rassegna è parte di un ampio progetto che mette insieme diverse istituzioni europee con lo scopo di rivisitare il lavoro dell’artista, preservarne il lascito e trasmetterlo a un vasto pubblico. Presentata alla fine del 2020 al Centre d’Art Contemporain Genève di Ginevra, la mostra farà, poi, tappa nei prossimi mesi a La Loge di Bruxelles e alla Casa Encendida di Madrid, permettendo così a più Paesi europei di approfondire l’indagine su una personalità creativa che ha lavorato in modo marcato sui linguaggi della performance e dell'estetica femminista del XXI secolo.
La rassegna raccoglie un corpus molto completo di opere, che traducono in forma materiale le performance di Chiara Fumai, pur rispettando l’intento programmatico dell’artista di non documentarle. Tra questi lavori ci sono «I Did Not Say or Mean “Warning» (Premio Furla nel 2013) racconto poetico sulla collezione della Fondazione Querini Stampalia di Venezia, la video-installazione «The Book of Evil Spirits» (2015), che documenta le sedute spiritiche della medium Eusapia Palladino, e l’installazione ambientale «The Moral Exhibition House» (2012), presentata per la prima volta a Documenta 13 Kassel, in cui la casa è uno spazio per l'insurrezione femminista sotto forma di un freak show domestico.
L’intero percorso espositivo documenta come Chiara Fumai, ribellandosi a una sorta di pregiudizio latente legato al suo essere un’artista donna, abbia «messo a punto – si legge nella nota stampa - un vocabolario di minaccia, rivolta, violenza ma anche noia, atto ad innescare situazioni scomode, per promuovere i suoi ideali di femminismo anarchico. Le sue opere - collage, ambienti e azioni - evocano figure femminili che, con il loro coraggio e la loro rabbia, hanno lasciato un segno per poi essere escluse o dimenticate».
L'omaggio alla creatività femminile proseguirà il 19 giugno con «Senza Fretta», personale dell'artista e danzatrice Simone Forti (Firenze, 1935), cura di Luca Lo Pinto ed Elena Magini: un focus su una serie di lavori sviluppati a partire dalla metà degli anni Ottanta, le News Animation, che analizzano la relazione tra linguaggio, movimento e fisicità, a partire dalle notizie scritte sui quotidiani.
La mostra include performance, opere su carta, video e opere audio e è accompagnata da una sorta di «colonna sonora», costituita dalla stessa artista che legge il suo «The Bear in The Mirror», una collezione di storie, prosa, poemi, disegni, foto, lettere, appunti e memorie.
La rassegna vedrà, a cadenza settimanale, la presentazione di performance storiche di Simone Forti, tra cui «Scramble», «Sleepwalkers/Zoo Mantras», «Song of the Vowels», «Cloths» e «Rollers». Concluderà il percorso espositivo la presentazione di un nucleo di disegni inediti, concepiti durante il lockdown della primavera 2020: i «Bag Drawings», buste della spesa come espressione diretta di un’emotività legata al quotidiano e al familiare.
A maggio, dal giorno 15, ci sarà anche «Cambio», progetto che parte da un’indagine sulla responsabilità ambientale del design e sull’industria del legno condotta dallo Studio Formafantasma, organizzato in collaborazione con la Serpentine Gallery di Londra.
Nei programmi iniziali del Centro Pecci, che dipenderanno molto dal procedere della situazione pandemica, l’indagine tra arte e design continuerà dopo l’estate, quando saranno protagonisti al Centro Pecci alcuni artisti italiani di fama internazionale, caratterizzati da una comune capacità di eclettica sperimentazione attraverso i linguaggi e i materiali, con la mostra «Domus Aurea», a cura di Cristiana Perrella. «Da un lato Francesco Vezzoli - interessato da sempre all’analisi della storia del gusto borghese, al modo in cui le sue evoluzioni segnano passaggi fondamentali dell’epoca moderna, rivelandone in controluce aspetti psicologici profondi - dall’altro Martino Gamper - designer noto per il suo irriverente approccio ai grandi classici del modernismo - coinvolgono - si legge nella nota stampa - gli oggetti di Gio’ Ponti in un gioco di rimandi visivi e concettuali che riflette sul ‘paesaggio domestico' e sugli elementi che lo abitano. Nella mostra le ceramiche di Ponti saranno messe in relazione alle sculture e ai ricami di Vezzoli, in un allestimento che si avvale degli arredamenti di Martino Gamper, al fine di proporre un’ideale dimensione domestica, una Domus Aurea in cui passato, presente e futuro si mescolano».
Verrà, infine, proposta un’importante mostra personale di Cao Fei (Guangzhou, 1978) con opere che esplorano le trasformazioni della Cina contemporanea affrontando domande universali sul prossimo futuro, con una particolare attenzione all'impatto dell'accelerazione della crescita economica, dello sviluppo tecnologico e della globalizzazione sulla società. Il progetto è realizzato in collaborazione con il Maxxi - il Museo nazionale delle arti del XXI secolo, e vedrà la presentazione in contemporanea, a Prato e a Roma, di due mostre dedicate all’artista, rispettivamente curate da Cristiana Perrella e Hou Hanru e Monia Trombetta.
Infine, prosegue anche nel 2021 la valorizzazione del patrimonio del Centro Pecci: non solo le opere della collezione – protagoniste di un nuovo allestimento tematico – ma anche gli archivi e la biblioteca, risorse preziose per la comunità, diventeranno sempre più accessibili e produttivi in termini di ricerca generata. Anche l’imponente archivio di Lara-Vinca Masini, di circa 200mila oggetti tra libri, documenti e opere, andrà – come desiderio della studiosa recentemente scomparsa – ad arricchire il Cid/Arti visive, Centro di ricerca e documentazione del Centro Pecci.
Gli archivi e i materiali da loro conservati, collocabili fra lo statuto del documento e quello dell’opera d’arte, saranno, inoltre, i protagonisti della mostra «Musei di carta», curata da Stefano Pezzato e Andrea Viliani, curatore e responsabile del Crri - Centro di ricerca castello di Rivoli.
Il lavoro delle artiste donne, la sperimentazione attraverso linguaggi e materiali diversi, l’attenzione alla ricerca e al progetto sono, dunque, i cardini della nuova stagione espositiva del Centro Pecci di Prato, che dovrà fare i conti, come tutti i musei, con l’andamento dell’emergenza sanitaria, rischiando così che la programmazione possa essere soggetta a slittamenti di data o a modifiche dell’ultimo minuto. «Nonostante l'oggettiva difficoltà a fare previsioni, – dichiara la direttrice Cristiana Perrella, appena confermata alla guida del museo per i prossimi tre anni – mi sento di dire che sarà un anno importante. Si raccoglie il risultato di un triennio di lavoro molto intenso e concentrato sul definire un'identità chiara per il museo come centro di ricerca e produzione culturale legato al carattere, alla vocazione, alle storie del territorio ma allo stesso tempo partecipe del dibattito internazionale sui suoi temi più aggiornati e rilevanti e inserito in un'intensa rete di scambi e collaborazioni con principali istituzioni italiane e straniere. Molto è stato fatto in questa direzione e su queste basi continueremo a costruire la programmazione di tutte le attività del Centro Pecci per i prossimi anni del mio mandato».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Chiara Fumai, The Book of Evil Spirits, 2015. Production stills Photo: PRed; [fig. 2, 3 e 4] Exhibition view of Chiara Fumai, Poems I Will Never Release (2007–2017) at Centre d’Art Contemporain Genève (November 28, 2020 ‒ February 28, 2021). © Centre d’Art Contemporain Genève. Photo: Mathilda Olmi; [fig. 5] Chiara Fumai, The Moral Exhibiton House, 2012 Digital Collage Photo: Blerta Hocia; [fig. 6] Simone Forti, A Free Consultation, 2016 Evanston, Illinois January 30, 2016 Cinematography. Jason Underhill; [fig. 7] Cao Fei, Asia One, 2018. Video still © Cao Fei Sprüth Magers e Vitamin Creative Space; [fig. 8] Francesco Vezzoli, Sketch for Domus Aurea,2020. Collage su carta

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venerdì 26 febbraio 2021

Rigoni di Asiago firma il restauro di sette lunette nel Chiostro Grande di Santa Maria Novella a Firenze

Era il 2015 quando la Rigoni di Asiago, azienda veneta leader nella produzione biologica di miele, confetture di qualità e crema di nocciola, sosteneva l’importante intervento di recupero dell’Atrio dei Gesuiti, l’entrata storica del prestigioso Palazzo di Brera a Milano. Due anni dopo, nel 2017, il percorso di valorizzazione dei beni culturali avviato dall’impresa fondata negli anni Venti, con lungimiranza e amore per la natura, da Elisa Rigoni si occupava della riqualificazione della statua di San Teodoro nel Palazzo Ducale di Venezia. L’anno successivo a ritrovare la sua antica bellezza, sempre grazie ai fondi messi a disposizione dalla prestigiosa azienda veneta, che dal 1992 si è convertita alla coltivazione biologica, intraprendendo contemporaneamente anche un cammino di sostenibilità ambientale, era la fontana «Venezia sposa il mare» nel cortile di Palazzo Venezia a Roma. Mentre nel 2019 era la volta del restauro della Chiesa rupestre di San Giovanni in Monterrone a Matera, nel cuore di quei sassi che hanno portato la città lucana a essere insignita del titolo di Capitale europea della cultura 2019.
Cinque anni dopo la Rigoni di Asiago, con il suo percorso «La natura nel cuore di…», scrive una nuova pagina nella sua storia di mecenate a favore dei beni culturali facendo tappa a nella città di Dante Alighieri.
L’attuale iniziativa rientra nel progetto «Florence I Care», promosso nel 2011 dal Comune di Firenze con lo scopo di valorizzare il proprio patrimonio storico-artistico grazie a partner privati.
L’attenzione è stata rivolta al complesso di Santa Maria Novella, uno dei gioielli più preziosi della città toscana, del quale sono stati restaurati i dipinti delle lunette sul lato est e all’angolo del lato sud del Chiostro Grande, grazie al lavoro di Fondaco Italia, società veneziana che opere nel settore della consulenza e della strategia di comunicazione associata al recupero di opere d’arte e di beni culturali pubblici.
L’intervento di restauro degli affreschi nel Chiostro Grande, composto da cinquantasei arcate a tutto sesto edificate fra il 1340 e il 1360 per volere dell’ordine dei Domenicani, è significativo non solo per il valore storico e artistico dell’opera, ma anche perché avviene in un momento così delicato per tutto il Paese. Per Firenze assume così anche il significato concreto di ripartenza grazie alla perfetta sinergia tra pubblico e privati, uniti nell’affermare che l’arte è parte fondamentale della nostra cultura, della nostra storia, di noi tutti.
L’iniziativa di decorare il Chiostro Grande si deve al granduca Cosimo I dei Medici, che nel 1565 aveva assunto il patronato di Santa Maria Novella. All’impresa concorsero molte famiglie fiorentine legate al convento e singoli membri della comunità domenicana. Una parte delle lunette fu commissionata da esponenti della colonia spagnola giunta a Firenze al seguito della duchessa Eleonora di Toledo, che già da tempo si riuniva nella Sala del Capitolo di Santa Maria Novella, in seguito nota come Cappellone degli Spagnoli.
Fu proprio grazie alla consorte di Cosimo I che il Chiostro Grande venne rimaneggiato su progetto dell’architetto e scenografo fiorentino Giulio Parigi. In quel periodo, e più precisamente tra il 1582 e il 1590, vennero anche realizzati gli affreschi. Per l’esecuzione di questo vasto ciclo, che fu terminato con altre pochissime scene tra il Seicento e il Settecento, vennero reclutati oltre quindici pittori dell’Accademia fiorentina noti per aver collaborato in analoghe imprese collettive, fra i quali Alessandro Allori, Santi di Tito, Bernardino Poccetti, Giovanni Maria Butteri, Cosimo Gamberucci, Ludovico Cardi detto il Cigoli e Alessandro Fei detto del Barbiere.
Il ciclo, che si dispiega su ben cinquantadue lunette, è considerato uno degli esempi più rappresentativi della pittura della Controriforma per l’ampiezza, il programma iconografico e la chiarezza didascalica delle storie.
I dipinti raffigurano la vita di san Domenico, alla quale sono dedicati due lati del chiostro, e quella di altri santi domenicani, che si susseguono sui restanti lati; sopra ogni scena un’iscrizione enuncia il contenuto dell’episodio rappresentato.
Sulle lunette delle quattro campate angolari sono, invece, raffigurate scene della vita di Cristo, che introducono e chiudono la sequenza narrativa di ciascun lato; altri episodi cristologici sono inclusi nella decorazione a grottesche delle corrispondenti volte, le uniche del chiostro a essere affrescate. Tutte le storie sono intervallate dai ritratti di illustri esponenti dell’Ordine domenicano legati al convento di Santa Maria Novella.
Le intemperie e le escursioni termiche stagionali, ma soprattutto l’alluvione del 1966, che vide l’acqua, intrisa di ogni impurità, coprire metà della superficie dipinta, hanno causato notevoli danni allo stato di conservazione delle pitture, causando una perdita di colore e stuccature incoerenti e malmesse diffuse.
Allora, in un’epoca agli albori del restauro, per cercare di salvare queste opere, le si sottopose al distacco dalla parete originaria, alla successiva riadesione a un nuovo supporto e alla ricollocazione in loco. I tagli per la rimozione sono ancora visibili e tutte le scene sono abbastanza impoverite di materia a causa dell'operazione di strappo anche se è probabile che senza questo tipo di intervento le lunette sarebbero pervenute a noi in condizioni peggiori.
Come spesso succede per gli affreschi staccati, si potevano, inoltre, notare delle macchie scure dovute alla colla animate non rimossa completamente sulla superficie pittorica, causando un attacco di microorganismi.
L’attuale intervento conservativo, realizzato dal
Consorzio edile restauratori, è consistito nel consolidamento della superficie pittorica, nella pulitura dai depositi di sporco e nella sostituzione delle vecchie stuccature in corrispondenza di fessurazioni e cadute di intonaco.
L’intervento è stato completato dal posizionamento di un nuovo impianto illuminotecnico realizzato da Enel X, società del gruppo Enel dedicata a servizi digitali e innovativi, mobilità elettrica, illuminazione pubblica e artistica.
Termina così la tappa toscana del Grand Tour che da cinque anni la Rigoni di Asiago intraprende a favore della bellezza italiana. I fiorentini possono, dunque, ritornare ad ammirare le sei lunette del lato est, quelle con le storie di San Tommaso d’Aquino e San Vincenzo Ferrer, oltre al dipinto «Cristo che appare alla Maddalena in veste di ortolano» di Giovanni Maria Butteri. Ritornano, inoltre, ricchi di nuovi colori i sei ritratti di monaci domenicani situati nella volta a crociera sotto i capitelli tra le lunette, raffiguranti fra Arcangiolo Baldini, vescovo di Gravina; fra Giovanni Dominicis, arcivescovo di Ragusa in Dalmazia; fra Sinibaldo Alighieri; fra Leonardo Dati, Maestro generale dell’Ordine domenicano; fra Ubertino degli Albizi, vescovo di Pistoia, e fra Alessio Strozzi. Il restauro ha anche interessato la prima lunetta d’angolo del lato sud, con «I ritratti di Ferdinando I e Francesco I de’ Medici nelle vesti dei profeti David e Isaia», anche questa a firma di Giovanni Maria Butteri.


Anche con i musei chiusi – la Toscana è in zona arancione – Firenze non cessa, dunque, di lavorare per la cura e la tutela del suo patrimonio culturale, in attesa di tornare ad accogliere di nuovo, quanto prima e in sicurezza, i visitatori.

Didascalie delle immagini
[Figg. 1 e 2] Chiostro Grande di Santa Maria Novella a Firenze di sera; [fig. 3] Chiostro Grande di Santa Maria Novella a Firenze, alla fine del restauro; [figg. 4 e 5] San Vincenzo Ferrer riceve l’abito di domenicano (nono decennio del sec. XVI) di Ludovico Cardi detto il Cigoli (1559 – 1613). Prima e dopo il restauro; [figg. 6 e 7] Sopra: Putti, nono decennio del sec. XVI. Opera di Alessandro Fei del Barbiere  (1537 – 1592). Sotto: Ferdinando I de’ Medici nelle vesti del profeta David e Francesco I de’ Medici nelle vesti del profeta Isaia, nono decennio del sec. XVI. Opera di Giovanni Maria Butteri (1540 – 1606) 

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