ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 11 novembre 2021

È on-line il fondo canoviano della Biblioteca civica di Bassano del Grappa

Il 2022 sarà l’anno di Antonio Canova (Possagnano, 1757 – Venezia, 1822), uno dei più importanti esponenti del Neoclassicismo italiano, soprannominato «il nuovo Fidia» per le sue sculture dal gesto composto, dall’eleganza armoniosa delle forme e dall’estrema levigatezza del modellato.
In preparazione del duecentesimo anniversario della morte, che ricorrerà il prossimo 13 ottobre, la Biblioteca civica di Bassano del Grappa ha messo on-line, su archiviocanova.medialibrary.it, il fondo di manoscritti dello scultore veneto, visibile ora da qualsiasi parte del mondo ad alta definizione e nella perfetta cromia originale.
L’intera raccolta, donata tra il 1852 e il 1857 dal fratellastro Giovanni Battista Sartori Canova, consta di oltre quarantamila pagine e di seimilaseicentocinquantaotto documenti: lettere, innanzitutto, ma anche diari di viaggio, appunti, riconoscimenti, diplomi, sonetti e conversazioni come quella con Napoleone Bonaparte (per il quale, com’è risaputo, Antonio Canova lavorò). Nel fondo ci sono anche un prezzario delle opere e il quaderno su cui l’artista appuntò le sue lezioni di inglese, ma anche schizzi a penna, intuizioni, appunti visivi su quanto attraeva il suo interesse e disegni preparatori come quello per il monumento a Maria Cristina d’Austria.
«Omo senza lettere» come si definiva, in realtà lo scultore ha, paradossalmente, scritto molto e accumulato un epistolario immenso, mano a mano che la sua fama cresceva e che le relazioni con amici, estimatori, collezionisti e conoscenti lo hanno costretto a scrivere e a far scrivere, a ricevere, leggere e farsi leggere migliaia di missive sui più svariati argomenti: da quelli più strettamente legati agli affetti famigliari e all’attività professionale fino agli obblighi formali derivanti dai molteplici incarichi pubblici che l’artista ricoprì.
Soprattutto a partire dal trasferimento a Roma, la corrispondenza diventa per Antonio Canova indispensabile per intrattenere rapporti con i famigliari a Possagno, gli amici bassanesi, tra i quali Tiberio Roberti, e l’ambiente veneziano da cui si era staccato, ma con l’intenzione di tenere ben stretti i legami. A ciò si aggiungono i contatti epistolari con i committenti e con l’enorme numero di persone con cui l’artista venne in contatto: intellettuali, nobili, artisti italiani e stranieri, uomini di chiesa, scrittori, scienziati, militari, principi, imperatori, governanti.
Il fondo dei manoscritti è estremamente ricco anche grazie alla grande capacità di archiviazione dell’artista, attento sin dalla giovane età a non disperdere alcuna testimonianza della sua attività, in ciò aiutato dai segretari e dal fratello. Ci è giunto così, per esempio, il «Diario» in cui, appena ventiduenne, lo scultore registra il suo viaggio da Venezia a Roma. «Da questa mole di documenti - spiega il direttore della Biblioteca, Stefano Pagliantini - emerge la personalità di un uomo perfettamente conscio del proprio valore e giustamente dotato di una sicura autostima».
I manoscritti sono giunti al Bassano del Grappa insieme agli album dei disegni, alla racconta di incisioni in volume e a gran parte della biblioteca personale dell’artista per la parte di belle arti. Proprio questo patrimonio artistico sarà oggetto di un nuovo progetto di digitalizzazione.
A tal proposito, Barbara Guidi, direttore dei musei civici, ha affermato: «Ad essere stati digitalizzati – grazie anche al contributo di Banca Popolare di Marostica Volksbank – sono, in questo caso, gli scritti, ma il progetto si allargherà in futuro anche ai disegni e al resto del patrimonio artistico canoviano di proprietà dei Musei Biblioteca Archivio di Bassano del Grappa. Il Fondo vanta infatti ben 1756 disegni custoditi nel Gabinetto delle stampe e dei disegni del Museo civico. I Musei civici conservano inoltre i celebri monocromi, una delle più rare e singolari espressioni non solo dell’opera di Antonio Canova, ma più in generale dell’arte neoclassica, e una sessantina di sculture tra cui i preziosi bozzetti preparatori come quello per le Tre Grazie, celebri gessi quali la Venere Italica e Ebe, o, ancora, la serie dei ritratti e delle teste ideali».
L’omaggio allo scultore di Possagnano, in occasione del bicentenario, proseguirà il 4 dicembre con l’inaugurazione della mostra «Canova Ebe», ideata per celebrare il recente restauro del gesso bassanese ridotto in frammenti più di settant’anni fa, durante il bombardamento alleato sulla città del 24 aprile 1945. A ridare vita all’opera ha provveduto un innovativo intervento conservativo, interamente finanziato dal Rotary Bassano e dal Rotary Asolo Pedemontana del Grappa.
Citata da Omero e da Esiodo, Ebe, figlia di Zeus e di Era, è la coppiera degli dei; il misterioso nettare che mesce dona l’immortalità e l’eterna giovinezza.
In un momento di riscoperta dell’antico come la fine del Settecento, Antonio Canova non poteva non rimanere incantato da questo mito greco, che egli seppe condensare in un’immagine emblematica, quella della gioventù colta all’apice della sua fiorente bellezza, in quel fugace momento di perfezione che anticipa l’età adulta.
L’artista realizzò due differenti versioni: nella prima la dea, che si appresta a mescere l’ambrosia, atterra su una spumosa nuvola; nell’altra la giovane è colta mentre appoggia leggiadramente i piedi alla base di un tronco d’albero. Entrambe le versioni, trasposte in marmo, sono il vanto di quattro importanti collezioni pubbliche e private d’Europa: gli Staatlichen Museen di Berlino, l’Ermitage di San Pietroburgo, la Collezione Devonshire a Chatsworth e i Musei di San Domenico di Forlì, dove è conservata la copia scultorea del gesso bassanese, ora «restituita alla sua primitiva bellezza». Ebe risorge così dalle sue ceneri per tornare a essere icona di grazia e armoniosa compostezza.

Didascalie delle immagini
1.Libretto di appunti; 2. Lettera di Napoleone Bonaparte; 3. Diario di viaggio; 4. Libretto di esercizi in lingua inglese; 5. Antonio Canova, Ebe, 1817, gesso. Bassano del Grappa, Museo Civico. Foto: © Slowphoto St

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www.museibassano.it

mercoledì 10 novembre 2021

In Umbria due mostre sui «Longobardi in Italia»

Con i loro Ducati, che si estendevano da Cividale del Friuli a Benevento, dalla Pianura padana all’attuale Puglia, ebbero un ruolo determinante nella formazione della coscienza italiana. Dal loro arrivo nel nostro Paese, nel 568 d.C., alla caduta di Pavia, nel 774 d.C., per opera dei Franchi di Carlo Magno, i Longobardi furono fondamentali nel disegnare l’assetto politico, culturale e sociale non solo dell’Italia di allora, ma anche di quella attuale, dando vita a una nuova identità «proto-nazionale».
Definitivamente superato un vecchio topos che li considerava invasori rozzi e sanguinari - Alessandro Manzoni, nella tragedia «Adelchi» (1822), li definì, per esempio, «rea progenie» e scrisse che per loro «fu gloria il non aver pietà» -, oggi sappiamo di essere debitori nei confronti di questi guerrieri di stirpe germanica per alcune parole della nostra lingua e per parte del nostro patrimonio storico, artistico e architettonico, quello realizzato fra il VI e l’VIII secolo, sintesi esemplare tra tradizione romana, spiritualità cristiana, influenze bizantine e valori mutuati dal mondo germanico. La recente storiografia ha, infatti, messo fine a quei concetti di «decadenza» e «barbarie» che venivano generalmente associati all’età che va dalla caduta dell’Impero romano alla nascita di quello carolingio affermando invece l’idea di un continuum del processo storico caratterizzato dalla positiva compenetrazione di civiltà diverse.
Da dieci anni, dal 25 giugno 2011
, la cultura della gens dalle lunghe barbe - per usare un’espressione del monaco Paolo Diacono, autore dell’«Historia Longobardorum» (789 d.C.) – viene, inoltre, celebrata anche dall’Unesco che ha inserito il sito seriale «I Longobardi in Italia. I luoghi del potere (568-774 d.C.)» nella sua World Heritage List. Fanno parte di questa rete l’area della Gastaldaga e il complesso episcopale a Cividale del Friuli (Udine), l’area monumentale con il Monastero di San Salvatore e Santa Giulia a Brescia, il Castrum con la Torre di Torba e la chiesa di Santa Maria Foris Portas a Torba e a Castelseprio (Varese), la Basilica di San Salvatore a Spoleto (Perugia), il Tempietto del Clitunno a Campello sul Clitunno (Perugia), il Complesso di Santa Sofia a Benevento e il Santuario di San Michele a Monte Sant’Angelo (Foggia).
In occasione del decimo anniversario del prestigioso riconoscimento di Unesco, l’Umbria diventa una vetrina privilegiata per chi volesse avvicinarsi alla conoscenza della civiltà longobarda con due esposizioni, entrambe curate dall’associazione Italia Langobardorum. A Campello sul Clitunno, nelle sale di Palazzo Casagrande, è stata allestita la mostra «Trame longobarde. Tra architettura e tessuti», uno straordinario lavoro di ricostruzione, sulla base di dati archeologici e di fonti letterarie come il testo di Paolo Diacono, della vita quotidiana di questo popolo, che ha lasciato tracce del suo passaggio anche a Pavia (capitale del regno dai tempi di Alboino) e a Monza (dove è custodita la corona ferrea). Mentre a Spoleto, nelle sale della Rocca Albornoz, è ospitata la mostra «Toccar con mano i Longobardi», realizzata in collaborazione con il Museo tattile statale Omero di Ancona.
La prima rassegna, aperta fino al 20 febbraio, è curata da Glenda Giampaoli e Giorgio Flamini, con il confronto scientifico di Donatella Scortecci, ed è inserita nel progetto «Musei che hanno la stoffa» della Regione Umbria.
L’allestimento propone un’accurata lettura delle tecniche antiche di tessitura attraverso una ricostruzione di stoffe, abiti e telai verosimilmente in uso tra VI e VIII se-colo d. C., che ha visto all’opera i detenuti del corso di tessitura, presente nella Casa di reclusione di Spoleto.
«Tutti i vestiti esposti - raccontano gli organizzatori - sono stati realizzati per metà con tessuti fatti rigorosamente a mano su telai orizzontali a licci riproducendo esattamente il numero dei fili di ordito e trama nonché lo spessore degli stessi fili e le torsioni. L’altra metà degli abiti è stata, invece, realizzata impiegando una tela di cotone industria-le proprio per sottolineare che il modello dell’abito riproposto è il frutto di contaminazioni scientifiche e di elaborazioni dei curatori».
La mostra «Toccar con mano i Longobardi», visibile fino al 6 marzo, propone, invece, un percorso tattile tra i beni longobardi di Unesco riprodotti in sette modellini tridimensionali, ma anche in altrettanti modellini relativi alle aree in cui sono situati i monumenti, per permettere l'esplorazione dei loro contesti di provenienza.
A rendere il percorso ancor più accessibile sono le audio descrizioni (in italiano e inglese), registrate dagli attori della Compagnia #SIneNOmine della Casa di reclusione di Maiano a Spoleto, da ascoltare tramite Nfc e Qr code, nonché un catalogo in Braille e uno in large print in libera consultazione, infine, per consentire una fruizione dei modelli inclusiva, sono stati realizzati dei video con la tecnica del compositing nella Lis - Lingua dei segni italiana, insieme ad immagini e animazioni, sottotitoli e audio.
Le due mostre sono anche l’occasione giusta per visitare i due beni longobardi dell’Unesco presenti in Umbria. A Spoleto c’è la Basilica di San Salvatore, un edificio eccezionale per il linguaggio romano classico con cui è stata concepito che conserva la ricca trabeazione con fregio dorico, impostata su colonne doriche nella navata e corinzie nel presbiterio. A Campello sul Clitunno troviamo, invece, invece il Tempietto del Clitunno, un piccolo sacello in forma di tempio corinzio tetrastilo in antis con due portici laterali. La progettualità e la pe-rizia nell’impiego degli spolia antichi accomunano il Tempietto, al San Salvatore di Spoleto. All’interno si conservano dipinti murali di notevole qualità.

Didascalie delle immagini 
1. Tempietto del Clitunno a Campello sul Clitunno (Perugia); 2. Basilica di San Salvatore a Spoleto (Perugia); 3. Complesso episcopale a Cividale del Friuli (Udine); 4. Complesso di Santa Sofia a Benevento; 5. Torre di Torba a Torba (Varese)

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martedì 9 novembre 2021

«La grande arte al cinema», arriva sui grandi schermi «Pompei, eros e mito»

«Quando si parla di Pompei il confine tra verità e leggenda è sfocato. La sua è una storia di sesso, potere, trasgressione e tragedia. La città di Pompei ha dovuto morire per raggiungere l'immortalità». Sono queste parole, recitate da Isabella Rossellini, ad aprire il trailer di presentazione del docu-film «Pompei, eros e mito», in proiezione il 29 e il 30 novembre e il 1° dicembre nelle migliori sale italiane, nell'ambito del progetto «La grande arte al cinema» di NexoDigital.
Il film -diretto dal poliedrico Pappi Corsicato, che di recente ha firmato anche il documentario su Julian Schnabel- porta il pubblico all’interno del sito archeologico più famoso al mondo, visitato ogni anno da oltre quattro milioni di persone provenienti da tutti gli angoli del globo.
Scena dopo scena, lo spettatore viene guidato indietro nel tempo di duemila anni. Viene condotto all’epoca della drammatica eruzione vulcanica del 79 d.C. per scoprire miti e personaggi di una città perduta e ritrovata, animata nel corso dei secoli da passioni violente e dotata di un estro e una vitalità straordinari.
Dalla storia d'amore tra Bacco e Arianna, nella celebre Villa dei misteri, al rapporto ambiguo tra Leda e il cigno, dalle lotte gladiatorie alla disperata ricerca dell'immortalità di Poppea Sabina, la seconda moglie dell'imperatore Nerone, il docu-film porta gli spettatori tra lacerti di affreschi, rovine e reperti della cittadina campana, sopravvissuti alla furia del Vesuvio, facendo scoprire o riscoprire opere che hanno ammaliato e influenzato artisti come Pablo Picasso e Wolfgang Amadeus Mozart.
Questi miti sono rivisitati da Pappi Corsicato in chiave contemporanea; «indossano -si legge nella sinossi- abiti moderni e sono sospesi in un tempo che appartiene sia al passato che al presente, per mostrare quanto l’eredità di Pompei sia ancor oggi una continua fonte di ispirazione artistica».
Guida d’eccezione tra i ciottoli delle strade di Pompei, sito archeologico che oggi è patrimonio mondiale dell’umanità di Unesco, è Isabella Rossellini. 
Il film permette, poi, di ascoltare gli interventi, tra gli altri, di Massimo Osanna (direttore generale del Parco archeologico di Pompei), Andrew Wallace-Hadrill (professore emerito di studi classici all’università di Cambridge), Catharine Edwards, (professore di studi classici e storia antica alla Birkbeck di Londra), Darius Arya (direttore dell'American Institute for Roman Culture) ed Ellen O’Gorman (professore associato di studi classici all’università di Bristol).
La colonna sonora porta, invece, la firma del compositore e pianista Remo Anzovino, che ormai da anni si cimenta raccontando in musica l’arte mondiale, tanto da essere stato premiato ai Nastro d’argento 2019 con una menzione speciale per le colonne sonore originali dei film.
La riscoperta di Pompei porta la data del 1748, quando re Carlo III di Borbone promosse i primi scavi ufficiali a Pompei a seguito dei primi ritrovamenti della vicina Ercolano. Fu da quel momento che cominciarono a riemergere con sempre maggior chiarezza i dettagli della catastrofe del 79 d.C., che seppellì gran parte del territorio intorno al Vesuvio.
Nel corso degli scavi di Pompei sono stati rinvenuti tesori, statue, affreschi, mosaici, reperti di vita quotidiana, ma anche ville e abitazioni private che ancor oggi ci raccontano la vita di una città vivace, con giardini, fontane e imponenti apparati decorativi.
I giochi di potere, i legami amorosi, l’ambizione smodata e il genio creativo, che si percepivano allora per le strade e si respiravano nei templi, tornano così a vivere grazie a questo film, che mette sotto i riflettori -afferma Isabella Rossellini sul finale del trailer- «una civiltà mossa dal genio, avvolta da dissolutezze, trasgressione, erotismo e peccato». Una civiltà che affascinò anche Wolfgang von Goethe, per la sua «pittura eseguita alla perfezione», per i suoi «vivaci colori», per i «lievi e leggiadri arabeschi».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Marte e Venere © Museo archeologico nazionale di Napoli; [fig. 2] Isabella Rossellini in Pompei Eros e Mito. Foto di Daniele Cruciani; [fig. 2] Il Mito di Arianna, Teseo e Bacco in Pompei Eros e Mito. Foto di Federica Belli; [fig. 4] Leda e Cigno © Museo archeologico nazionale di Napoli

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