ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 4 giugno 2025

«Casanova, Venezia e l’Europa»: trecento anni tra seduzione e mito in scena alla Fondazione Cini

Si apre con il simposio internazionale «Casanova in time 1725 – 2025» l’intenso programma di appuntamenti ideato dalla Fondazione Giorgio Cini di Venezia in occasione dei trecento anni dalla nascita di Giacomo Casanova (2 aprile 1725- 4 giugno 1798), una delle figure più affascinanti, controverse e misteriose del Settecento, emblematica di un mondo che stava ormai scomparendo, l’Antico Regime e la Repubblica veneziana, ma anche delle inquietudini e delle trasformazioni che animavano la società moderna.

Da mercoledì 4 a sabato 7 giugno una quarantina di studiosi provenienti da università e centri di ricerca di tutta Europa si riuniranno sull’isola di San Giorgio Maggiore, in Sala Barbantini, e negli spazi dell’Aula Magna di Ca’ Dolfin per ripercorrere la storia e l’opera di un uomo dalla vita avventurosa, che fu scrittore, diplomatico, agente segreto, viaggiatore instancabile e giocatore d’azzardo, il cui nome rimane irrimediabilmente legato alla sua fama di seduttore e libertino.

Dagli intrighi nelle ambasciate di Spagna fino alle turbolente missioni in Polonia, dalle amicizie con Manon Balletti o Max Lamberg all’eredità culturale raccolta da intellettuali quali Giovanni Comisso e Federico Fellini, il simposio, promosso in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari, si concentrerà principalmente sullo spirito europeo di Giacomo Casanova.

In questi stessi giorni, nei quali ricorre anche l'anniversario della morte di Giacomo Casanova, avvenuta il 4 giugno 1798, nello sperduto castello di Dux (oggi Duchcov, in Repubblica Ceca), sarà possibile partecipare anche a due inediti appuntamenti musicali. Giovedì 5 giugno, alle 19, all’auditorium «Lo Squero» andrà in scena il concerto-racconto «Vivaldi e Casanova. Incontri fantastici e singolari coincidenze», che ricostruisce un possibile incontro tra «il prete rosso» e il celebre avventuriero, appena sedicenne alla morte del compositore, ma già imperniato di quel mondo fatto di calli, canali, teatro ed eleganza.
«Nessuna fonte – spiega Francesco Fanna, direttore dell’Istituto italiano Antonio Vivaldi - riporta che si siano conosciuti, ma alcune coincidenze suggestive ci hanno portato a immaginare una storia che poggia su fatti, personaggi e luoghi che potrebbero aver avvicinato i due, per tracciare il profilo di un incontro immaginato tra reale e fantastico».

Mentre venerdì 6 giugno, ore 18, al Padiglione delle Capriate, sull’isola di San Giorgio Maggiore, il musicologo e violinista Javier Lupiáñez proporrà al pubblico un viaggio musicale da Venezia a Dresda, alla scoperta del linguaggio espressivo di Antonio Vivaldi e della sua eredità attraverso alcuni dei suoi allievi più illustri, come il violinista tedesco Johann Georg Pisendel e le celebri soliste dell’Ospedale della Pietà, Anna Maria e Chiara.

Il programma che la Fondazione Giorgio Cini dedica a Giacomo Casanova proseguirà per tutto il 2025 con giornate di studi, convegni, workshop, concerti per culminare con la grande mostra che coinvolgerà, da ottobre 2025 a febbraio 2026, la Galleria di Palazzo Cini a San Vio e le due sale, Carnelutti e Piccolo Teatro, sull’Isola di San Giorgio Maggiore.

Al centro dell’esposizione, che si avvale del coordinamento scientifico di Luca Massimo Barbero, ci saranno la straordinaria silloge di caricature presenti nell’Album di Anton Maria Zanetti il Vecchio e una selezione di dipinti, disegni, incisioni, oggetti, libri e ulteriori testimonianze provenienti dalle raccolte della Fondazione Cini unitamente a preziosi prestiti di musei e collezioni italiani ed esteri.

In mostra ci saranno anche i materiali del Fondo Nino Rota conservati dall’Istituto di musica, che si riferiscono al celebre film «Il Casanova di Federico Fellini» (1976): quaderni con appunti musicali, spartiti manoscritti, fotografie. Dal Fondo Malipiero, invece, saranno disponibili altri documenti, che testimoniano la particolare attenzione del compositore per il Settecento veneziano, cui ha dedicato un importante corpus di opere, oltre che un testo («Giacomo Casanova e la musica», in «Il filo d’Arianna. Saggi e fantasie», Einaudi 1966), di cui si conservano appunti e trascrizioni.

Chi fosse a Venezia in questi giorni può immergersi nelle atmosfere dell’epoca casanoviana, riscoprendo la proverbiale eleganza dell'intellettuale lagunare e  lo stile di un'epoca fatta di conversazione, salotti e mondanità, anche grazie alla mostra «Il seduttore», allestita fino al 27 luglio al Museo di Palazzo Mocenigo - Centro studi di storia del tessuto e del costume

Con prestigiosi esemplari provenienti dalle ricche collezioni dei Musei civici veneziani accanto a prestiti dal Museo Stibbert di Firenze, l’esposizione, a cura di Roberta Orsi Landini e Chiara Squarcina, mette in luce come l’abbigliamento maschile abbia subito una progressiva trasformazione: da espressione di potere e forza a simbolo di raffinatezza, cultura e sensibilità. La moda del tempo, che si codifica principalmente nel completo di tre pezzi - marsina, gilè e calzoni - si affina e si semplifica, abbandonando le ridondanze dei secoli precedenti e anticipando l’eleganza discreta che ancora oggi caratterizza il vestire maschile.

Venezia, come altre capitali della moda, gioca un ruolo chiave nella produzione di tessuti raffinati, con sete dai disegni innovativi e colori audaci che definiscono l’eleganza maschile del tempo. L’abbondanza di ricami in oro e argento e l’uso di pietre preziose rendono ancora più raffinati questi abiti, simbolo di un’epoca spesso bollata come civettuola e frivola. L'importanza che, in quel frangente, aveva l'apparenza viene ben delineata dallo stesso Giacomo Casanova nella sua «Histoire de ma vie» («Storia della mia vita», conosciuta anche come le «Memorie»), : «L’indomani di buon’ora il duca mi mandò a dire dal suo paggio che, se volevo andare con lui a baciare la mano al re, dovevo mettermi in abito di gala. Indossai una veste di velluto raso di color rosa, ricamato a lustrini d’oro, e baciai la mano del re, tutta coperta di geloni. Ebbi l'onore di pranzare alla destra della duchessa, che, dopo aver esaminato il mio vestito, si credette in dovere di dirmi che non aveva mai visto una maggiore sciccheria. È in questo modo, signora - le dissi - che io cerco di sottrarre la mia persona ad un esame troppo rigoroso».

Didascalie delle immagini
1. Francesco Guardi, Veduta di San Giorgio Maggiore. Fondazione Giorgio Cini, Gabinetto dei disegni e delle Stampe; 2. Anton Maria Zanetti, Il trillo di Anton Maria Bernacchi. Fondazione Giorgio Cini, Gabinetto dei disegni e delle Stampe; 3. Gerda Wegener, Casanova a Venezia, incisione acquerellata, 1927; 4 e 5. Palazzo Mocenigo, Venezia. Il seduttore. Il rinnovamento dell’immagine maschile al tempo di Casanova, exhibition view. Courtesy: Fondazione Musei civici Venezia 

Per saperne di più
https://www.cini.it/
https://mocenigo.visitmuve.it/

mercoledì 11 dicembre 2024

Bologna, alla Galleria Davia Bargellini un’opera di Bartolomeo Passerotti dalla collezione Geo Poletti

Rimarrà in mostra per cinque anni al Museo civico d'arte industriale e Galleria Davia Bargellini di Bologna il «Ritratto di vedova» di Bartolomeo Passerotti (Bologna, 1529 - ivi, 1592), «bonisimo disegnatore e coloritore», per usare la testimonianza presente nella «Graticola» (1560 circa) di Pietro Lamo, che è stato fondamentale per la formazione della dinastia Carracci e per la nascita della grande pittura bolognese della fine del Cinquecento e dell’inizio del Seicento.
L’opera, concessa in comodato d’uso gratuito ai Musei civici d’arte antica della città felsinea, proviene dalla collezione di Ruggero Poletti, noto a tutti come Geo (Milano 1926 – Lenno, Como 2012), storico dell’arte, connoisseur, pittore e collezionista che formò la sua raccolta tra Milano, Londra e Lugano a partire dagli anni Cinquanta del Novecento.

Acquistato sul mercato antiquario il 24 marzo 1976, in un’asta nella sede londinese di Sotheby’s, e reso noto per la prima volta da Giovanna Poletti (1985), il dipinto è una significativa testimonianza della produzione tarda di Bartolomeo Passerotti, artista formatosi con Iacopo Barozzi detto il Vignola e con il coetaneo Taddeo Zuccari, che, nella sua città natale, si dedicò principalmente all’esecuzione di grandi pale d’altare in cui elementi della pittura nordica si univano a caratteri di stile tipici del Manierismo romano e delle opere modenesi del Correggio.

L’opera, databile intorno o poco dopo il 1585, raffigura senza accomodamenti un’anziana dama, che la veste nera e il velo bianco sul capo indicano in stato vedovile.
La posa con l’indice della mano inserito fra le pagine a tenere il segno nel piccolo libro di preghiera, la cui lettura è stata temporaneamente interrotta, rivela le prerogative della ritrattistica passerottiana, volta a cogliere – scrisse Carlo Cesare Malvasia nel 1678 - i personaggi «non fermi e insensati», ma «in azione e in moto», «a ciascuno […] adattando quell’azione e quel gesto che fu più particolare e frequente alla natura e al genio di quel soggetto».

Nella scheda critica dell’olio su tela, delle dimensioni di 66 x 50 centimetri, Maria Angela Ghirardi argomenta come la tipologia del soggetto rappresentato – quella dell’anziana dama devota – sia propria degli anni inoltrati dell’età tridentina. Nell’immagine si coglie, inoltre, «un nuovo accostarsi al personaggio e alla sua psicologia più «intimo» e «naturale». Illustrata senza orpelli, la vecchia si distoglie un momento dalla lettura e guarda, calma, verso lo spettatore. È forse la cordialità di una pacata vita familiare, quale trapela dall’immagine, ad aver indotto il sospetto di un’improbabile e non fondata identificazione della dama con Cornelia Ricci, seconda moglie di Passerotti».

La formula del «ritratto istoriato», ideata da Passerotti, si affermò con grande successo nell’orizzonte culturale della Bologna pontificia dopo la riforma tridentina, dove il vescovo Gabriele Paleotti stava elaborando il suo celebre trattato, edito nel 1582, in cui esplicitava la funzione pedagogica ed edificante delle immagini. L’esemplarità di vita della vedova devota pareva, quindi, ben conformarsi a questi intenti, rivelando la capacità del pittore di interpretare le esigenze dell’epoca. Tutt’altro, dunque, che finalizzato a uno scopo adulatorio, il ritratto doveva rispettare il criterio del «decoro», restituendo la fisionomia del personaggio con estrema onestà, senza alterarla o correggerla.

Apprezzato anche in altri generi artistici – fu, fra l’altro, l’iniziatore a Bologna di una nuova pittura «di genere» che, alla maniera fiamminga, tornò a guardare la vita con piglio di verità rappresentando le classi più umili nella loro quotidianità – Bartolomeo Passerotti incontra grande fortuna soprattutto come ritrattista, realizzando alcuni dei capolavori della ritrattistica cinquecentesca per l’altissima qualità esecutiva.
L’artista fu attivo per le più alte gerarchie religiose (addirittura per i papi Pio V e Gregorio XIII) e per le famiglie aristocratiche e senatorie, come era uso già nel Quattrocento. Tra queste figurano i Bargellini, per i quali il pittore realizzò una serie di ritratti rievocativi dei membri più illustri, un tempo allestiti nelle gallerie del palazzo in Strada Maggiore. Il ritratto di Filippo Gaspare Bargellini è stato riferito a Bartolomeo Passerotti da Renzo Grandi nel 1987, insieme a quelli di Ovidio e Lattanzio Bargellini; mentre i più noti ritratti di Gaspare, figlio di Filippo, e di Pietro Annibale Bargellini sono da tempo attribuiti all’artista che, secondo la testimonianza di Marcello Oretti, svolse intensa attività per questa famiglia, assieme al figlio Ventura.
«Vivificati dal gesto delle mani» (Angela Ghirardi, 1990), atteggiate secondo l’eloquenza retorica di Quintiliano, i cinque ritratti sono databili entro la prima metà degli anni Settanta del Cinquecento, ed erano probabilmente destinati a comporre una galleria di antenati e illustri esponenti del nobile casato bolognese. E proprio accanto a queste pregevoli opere di grandi dimensioni, gli eredi di Ruggero Poletti hanno espresso il desiderio che anche il «Ritratto di vedova» vada esposto, andando così ad arricchire le collezioni del Museo civico d’arte industriale e Galleria Davia Bargellini.

Grazie a questo ritratto, i bolognesi e i turisti avranno così l’occasione di incuriosirsi e, di conseguenza, di scoprire una collezione d’arte di rilievo all’interno della temperie culturale del secondo Novecento, nata anche dalla consuetudine quotidiana con Giovanni Testori e Roberto Longhi, che guarda principalmente alla pittura lombarda, allora trascuratissima, e agli artisti del Sei e Settecento che si mossero sulle orme del Caravaggio. Tra nature morte, dipinti mitologici, scene sacre e ritratti, la raccolta di Ruggero Poletti, costruita con occhio attento alla qualità e senza preclusioni verso gli anonimi e gli artisti considerati minori, annovera al suo interno artisti come Tanzio da Varallo, Il Cerano, Giacomo Ceruti e Fra’ Galgario, ma anche autori come Bartolomeo Passerotti, Camillo Boccaccino, Pier Francesco Mola e Paolo Pagani, oltre agli spagnoli Velázquez e Ribera.

Didascalie delle immagini
Bartolomeo Passerotti (Bologna, 1529 - ivi, 1592), Ritratto di vedova. Olio su tela, cm 66 x 50. Collezione Geo Poletti

Informazioni utili 
Museo civico d'arte industriale e Galleria Davia Bargellini - Bologna. Orario di apertura: martedì, mercoledì, giovedì 10.00 - 15.00; venerdì 14.00 - 18.00; sabato, domeni-ca, festivi 10.00 - 18.30; Chiuso lunedì non festivi. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. +39 051 236708 o museiarteantica@comune.bologna.it. Sito internet: www.museibologna.it/daviabargellini

lunedì 9 dicembre 2024

Elliott Erwitt e Robert Doisneau, la grande fotografia del Novecento in mostra nel Cuneese

Sarà un inverno all’insegna della grande fotografia d’autore quello che offre la provincia di Cuneo ai suoi abitanti e ai tanti turisti che, in ogni mese dell’anno, raggiungono questo territorio, ricco di storia e tradizioni, alla scoperta delle Langhe e del Roero, le cui colline del vino sono patrimonio mondiale dell’Umanità di Unesco, ma anche del Parco del Monviso o di città come Mondovì, Cherasco e Racconigi.
La Fondazione Artea - rinata nel 2016 per volontà della Regione Piemonte, con l’intento di promuovere il patrimonio culturale materiale e immateriale dell’area geografica costituita dall’arco alpino compreso tra le valli monregalesi e la Val Po – propone, fino al prossimo 23 febbraio, due mostre dedicate ad altrettanti importanti fotografi del Novecento: Elliott Erwitt e Robert Doisneau, entrambi celebri per il loro approccio unico e poetico nel catturare momenti della vita quotidiana.

Quella di Elliott Erwitt, maestro dell’obiettivo scomparso il 29 novembre 2023, a 95 anni, è la sua prima mostra postuma e proprio per questa ragione assume una grande importanza storiografica, riunendo per la prima volta i più celebri capolavori in bianco e nero insieme a una serie di meno note, ma altrettanto mirabili, fotografie a colori.
Scenario dell’esposizione è La Castiglia di Saluzzo, imponente fortezza, risalente agli ultimi decenni del Duecento, dalle cui torri e terrazze è possibile ammirare il circostante borgo medioevale, ma anche, nelle giornate limpide, il maestoso «Re di pietra», il Monviso.
All’interno di questi spazi, dove sono anche allestiti i musei della Civiltà cavalleresca e della Memoria carceraria, scorrono cento scatti dell’autore franco-americano, selezionati da Bilba Giacchetti, già collaboratrice oltre che amica di Elliott Erwitt, e riuniti sotto il titolo «L’ideale fuggevole».
«Le immagini esposte sono quelle che lui amava di più. Un omaggio alla sua filosofia di vita e al suo modo di intendere la fotografia», dichiara la curatrice.
Lungo il percorso espositivo, dal quale emerge la tipica ironia del fotografo franco-americano, pervasa da una vena surreale e romantica, scorrono così gli indimenticabili ritratti di Marilyn Monroe, Grace Kelly, Muhammed Alì, Che Guevara, Jack Kerouac, Andy Warhol e Marlene Dietrich, ma anche fotografie che hanno eternato pagine importanti della grande storia del Novecento, come quella, scattata a Mosca nel 1959, con Richard Nixon che punta il dito contro Nikita Chruščëv, o quella del 1963 con Jackie Kennedy in lacrime, dietro il velo nero, durante il funerale del marito John Fitzgerald Kennedy.
Portano la firma di Elliott Erwitt, e sono visibili nella mostra a Saluzzo, anche lavori iconici come «Umbrella Jump» (1989), con una Parigi piovosa sullo sfondo e un uomo che si libra in aria a simulare il jeté (il passo tipico della danza classica) in primo piano, o «California Kiss» (1956), con un bacio ripreso all’interno dello specchietto retrovisore di una macchina, negli anni del boom economico americano, o, ancora, «Boy, Bycicle and Baguette», scattata in Provenza nel 1954 per la campagna promozionale del Turismo francese, realizzata con l’agenzia Doyle Dane Bernbach, dove è ritratto un bambino dall'aria monella, in sella a una bici dietro al nonno, con, attaccate al portapacchi, due lunghe baguette.
Non mancano in mostra i celebri scatti dedicati ai cani, «creature comprensive, presenti ovunque nel mondo», che «non chiedono le stampe», «persone interessanti con più peli», come aveva dichiarato l’autore franco-americano, con la sua consueta ironia, in un’intervista del 2013. Fra i numerosi esempi, nei quali i cani appaiono catturati in situazioni surreali e buffe, spicca «Usa, New York City, 2000», l’immagine di due bulldog, uno dei quali è ritratto in modo tale da apparire come se avesse delle gambe umane.
Ci sono in mostra a Saluzzo anche le fotografie dedicate all’infanzia, della quale il fotografo franco-americano ci restituisce l’innocenza e la spontaneità, a cominciare dal bellissimo scatto con Ellen, la prima figlia neonata dell’artista, osservata attraverso gli occhi amorevoli della madre.

Se Elliott Erwitt è noto per il suo occhio attento a momenti bizzarri, comici e surreali, spesso nascosti nella routine quotidiana, Robert Doisneau, considerato, insieme a Cartier-Bresson, il padre fondatore della fotografia umanista e del fotogiornalismo di strada, ci restituisce la vita della sua città natale, Parigi, negli anni della Liberazione e del Dopoguerra, con uno sguardo nostalgico e poetico, avvalendosi del rigore e dell’eleganza del bianco e nero.
L’intensa parabola creativa del fotografo francese, che si faceva chiamare «il pescatore di momenti», rivive, questo inverno, al Filatoio di Caraglio, sede, in passato, di una delle più antiche fabbriche di seta esistenti in Europa, fondata nel 1676 dalla famiglia Gallizzo, che oggi, accanto a un qualificato cartellone di mostre temporanee, ospita un museo dedicato all’arte serica, dove vengono spiegati i processi di trasformazione dei bozzoli in tessuti preziosi.
Un centinaio di immagini
– selezionate dai curatori Gabriel e Chantal Bauret, con il supporto di Francine Derouidille e Annette Doisneau – raccontano la periferia parigina e la vita della gente comune, tra banlieue e bistrot, tra bambini che giocano e animali incontrati per strada, a cominciare dallo scatto più famoso, quello pubblicato sulla rivista «Life» nel 1950, che immortala il bacio di una coppia in mezzo a una strada, tra il passeggiare veloce e indifferente della gente, davanti all’Hôtel de Ville di Parigi.
Il percorso espositivo getta, poi, luce anche su un lato ancora poco indagato nella produzione del fotografo d’Oltralpe, quello dedicata al mondo del lavoro e all’attività delle fabbriche francesi.
L’esposizione, intitolata «Trame di vita», inizia, infatti, con un reportage realizzato nel 1945 nella manifattura tessile di Aubusson, nella Francia centrale, su commissione della rivista «Le Poin», dove vengono documentate l’operosità degli artigiani e le varie fasi di realizzazione degli arazzi.
Il progetto fotografico viene esposto per la prima volta al pubblico ed è messo in dialogo con i reportage svolti su incarico di importanti realtà industriali, come la Renault o le miniere di Lens, per raccontare l’evoluzione del mondo produttivo nella seconda metà del XX secolo.
Per la fabbrica automobilistica francese, dove lavora, poco più che ventenne, nella sezione pubblicitaria per cinque anni, Robert Doisneau fotografa le vetture, le catene di montaggio con macchinari e ingranaggi, le mense, i lavoratori, tra le scintille di polveri di magnesio e nei momenti di pausa sdraiati tra gli pneumatici, dimostrando da subito il suo sguardo empatico e rispettoso nei confronti degli altri.
L'artista ha già allora, forse inconsapevolmente, un progetto in testa, lo stesso che anima tutta la sua attività e che racconta a Frank Horvat nel 1990 con queste parole: «Il fotografo deve essere come carta assorbente, deve lasciarsi penetrare dal momento poetico. [...] Quello che cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere».

Didascalie delle immagini
1. Elliott Erwitt, «Boy, Bycicle and Baguette», France, Provence, 1955 © Elliott Erwitt;2. Elliot Erwitt, «Umbrella Jump», France, Paris, 1989 © Elliott Erwitt; 3. Elliott Erwitt, «Usa, New York City, 2000», 2000 © Elliott Erwitt; 4. Elliott Erwitt, Marilyn Monroe, Usa, Reno, Nevada, 1960 © Elliott Erwitt; 5. Robert Doisneau, «Le Baiser de l'Hôtel de ville», Paris, 1950. © Atelier Robert Doisneau; 6. Robert Doisneau, «Aubusson, basse lisse», 1945. ©Atelier Robert Doisneau; 7. Robert Doisneau, «Les frères, rue du Docteur Lecène», 1934. ©Atelier Robert Doisneau

Informazioni utili
«Robert Doisneau. Trame di vita». Filatoio, via Matteotti, 40 – Caraglio (Cuneo). Orari: giovedì e venerdì, dalle ore 15 alle ore 19; sabato, domenica e festivi, dalle ore 10 alle ore 19. Ingresso: intero 12 euro, ridotto 9 euro; sono previste tariffe agevolate per gruppi e scuole di ogni ordine e grado; le agevolazioni e le gratuità sono consultabili sul sito fondazioneartea.org; per dettagli e prenotazioni è possibile scrivere a info@fondazioneartea.org o telefonare allo 0171.1670042 (dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 17.00). Fino al 23 febbraio 2025 

«Elliott Erwitt. L’ideale fuggevole». La Castiglia di Saluzzo, piazza Castello, 1 – Saluzzo (Cuneo). Orari: venerdì dalle ore 15 alle ore 19; sabato, domenica e festivi dalle ore 10 alle ore 19. Ingresso: intero 12 euro, ridotto 9 euro; sono previste tariffe agevolate per gruppi e scuole di ogni ordine e grado; i biglietti sono acquistabili in prevendita su ticket.it o alla biglietteria dello spazio museale. Per informazioni e prenotazioni: musakids@itur.it. Siti internet: www.visitsaluzzo.it | www.fondazioneartea.org. Fino al 23 febbraio 2025