Nei mesi precedenti all’incoronazione, la città si trasformò in un cantiere febbrile: le fonti descrivono archi trionfali dipinti, scenografie con architetture classiche, finte statue, sculture effimere che non esistono più. Tutto ciò faceva parte di una strategia: l’arte italiana era, per Carlo V, il linguaggio adatto a celebrare un dominio «su cui non tramontava mai il sole» («in meinem Reich geht die Sonne niemals unter», diceva l’imperatore) e Bologna doveva diventare una seconda Roma. Per questo motivo, vennero chiamati in città i più capaci architetti, artisti, artigiani del tempo e tra loro c’erano pittori e scultori di grande fama, come Aspertini, Vasari, Parmigianino e Tiziano. Proprio in quei mesi, al convento di San Domenico, si stavano realizzando i «quadri di tarsia» per il dossale del presbiterio, ora visibile sul fondo della cappella maggiore. L’opera era stata commissionata al converso domenicano fra’ Damiano Zambelli (Bergamo, 1480 circa - Bologna, 1549), il «principe degli intarsiatori» rinascimentali, trasferitosi nel 1528 a Bologna, dove rimase attivo per circa un ventennio.
Carlo V – racconta una cronaca autografa, recentemente ritrovata nella Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna - fece visita all’artista e vide quelle opere «così misteriosamente lavorate, e così ben colorite senza punta di pennello, ma si bene coloriti legnami». In quell’occasione il frate domenicano fece dono al sovrano di una Crocifissione e incise anche il nome dell’imperatore in uno dei riquadri del registro inferiore del dossale, dove ancora oggi è visibile.
Questo racconto, già noto alla storiografia, è in parte pubblicato nel catalogo di Éditions Ligéa di Parigi che accompagna la mostra «Fuori dai cori. Tre «quadri di tarsia» di fra Damiano Zambelli da Bergamo», allestita fino al 5 dicembre al Museo Davia Bargellini, in occasione delle celebrazioni internazionali per l’ottavo centenario della morte di San Domenico.
La piccola esposizione bolognese - curata da Mark Gregory D’Apuzzo, Lorenzo Mascheretti e Massimo Medica - presenta per la prima volta al pubblico due nuovi «quadri di tarsia» di collezione privata - in passato nella raccolta di Longari Arte Milano - rappresentanti una Flagellazione e una Crocifissione, affiancati per la prima volta al commesso ligneo conservato, almeno dal 1851, al Museo Davia Bargellini, anch’esso raffigurante una Crocifissione (1530-1540). L’intento dei curatori è stato quello di raccogliere manufatti affini per dimensione e destino, così da raccontare una tecnica artistica posta all’«incrocio di tutte le arti» - per usare le parole di André Chastel - e particolarmente diffusa nel corso del Quattrocento e del Cinquecento, che consisteva nel realizzare mosaici con tasselli di essenze lignee differenti, per colore e texture, che raffiguravano scorci architettonici o paesaggi naturali.
Completa il percorso espositivo un focus, attraverso pannelli esplicativi, all’interno del coro della basilica di San Domenico a Bologna, capolavoro del frate artista bergamasco, eseguito con aiuti a partire dal 1541 e terminato poco dopo la morte dell’artista.
La carriera di fra’ Damiano coincise con la stagione più esuberante, seppur terminale, della pratica artistica dei «quadri di tarsia». Come documenta la mostra bolognese, la sua produzione non si limitò alla realizzazione tradizionale di arredi liturgici e mobili presbiteriali, ma «uscì dai cori» attraverso l’esecuzione di veri e propri lavori destinati a un precoce collezionismo privato. Tra i primi estimatori dell’arte di fra’ Damiano, accanto ai grandi nomi di Carlo V, Alfonso d’Este e Paolo III, si registrano quelli di Francesco Guicciardini, Leandro Alberti e Sabba da Castiglione. Le opere esposte a Bologna sono un esempio di questa fortuna collezionistica e dimostrano la larga richiesta di simili oggetti da parte della committenza aristocratica.
Oltre a creare l’occasione per riflettere sul fenomeno di collezionismo di tale tipologia di prodotti artistici a partire dal XVI secolo, riunire le tre tarsie offre il pretesto per un ragionamento sulle loro tecniche di produzione: l’eccezionale accostamento dei due pezzi gemelli raffiguranti la Crocifissione consente di meditare sulla pratica del riuso dei cartoni preparatori, assai diffusa all’interno delle botteghe coeve.
Infine, si segnala una curiosità. Non è possibile, al momento, correlare la Crocifissione presente in mostra a quella che fra’ Damiano Zambelli donò a Carlo V durante la visita al Convento di San Domenico. Ma la straordinaria ricchezza del manufatto, composto da essenze diverse e dalla presenza di ornamenti in peltro, fa pensare a una destinazione prestigiosa. La riscoperta provenienza del «quadro a tarsia» - la rinomata collezione Krupp von Bohlen und Halbach, famiglia di imprenditori siderurgici tedeschi legata alla dinastia imperiale germanica – fa correre la fantasia.
Didascalie delle immagini
[Figg. 1,2 ,3 e 4] Fra Damiano Zambelli (1480 circa - 1549)
Crocifissione, 1530 circa (dettaglio)
cm 80 x 55,5
Milano, collezione privata
Foto Roberto Serra; [fig. 5]Fra Damiano Zambelli (1480 circa - 1549)
Crocifissione, 1530-1540
cm 87 x 63
Bologna, Museo Davia Bargellini
Foto Roberto Serra
Courtesy Istituzione Bologna Musei
Informazioni utili
«Fuori dai cori. Tre «quadri di tarsia» di fra Damiano Zambelli da Bergamo». Museo civico d’arte industriale e Galleria Davia Bargellini, Strada Maggiore, 44 – Bologna. Orari: martedì, mercoledì, giovedì, ore 10:00 – 15:00, venerdì, ore 14:00 – 18:00; sabato, domenica, festivi, ore 10:00 – 18:30; chiuso lunedì non festivi. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. +39.051.236708 o museiarteantica@comune.bologna.it. Sito internet. www.museibologna.it/arteantica. Fino al 5 dicembre 2021.
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