Era il 2 maggio del 1887 quando a Venezia, all’interno dei Giardini napoleonici, poco distante dalla Basilica di San Marco e dal Palazzo dei Dogi, si apriva, alla presenza del re Umberto I di Savoia, la quinta Esposizione nazionale di belle arti.
Nei mesi precedenti alcuni pittori veneziani, maestri della locale scuola del vero e del colore, come Giacomo Favretto, Lugi Nono, Beppe Ciardi e Antonio Rotta, tutti membri del Comitato esecutivo, si erano incontrati ripetutamente ai tavolini del vicino caffè Florian, sotto le Procuratie Vecchie, per discutere in merito alla scelta delle opere da esporre. Tutti desideravano che da quella rassegna potesse emanare la fisionomia di una nuova arte nazionale non più divisa in scuole regionali. L’intento, alla fine, riuscì: dopo un’accurata selezione, a Venezia arrivarono da tutta Italia centinaia di opere di pittura, scultura, architettura e arti applicate all’industria, rappresentative dei più differenti generi.
Incoraggiato dal proprio mercante, Alberto Grubicy, anche Giovanni Segantini (Arco, 1858 – Monte Schafberg, 1899) - che allora viveva nei Grigioni svizzeri, immerso nella natura e nella solitudine dell’alta montagna di Savognino - decise di proporre la sua recente produzione per la mostra lagunare e, alla fine, presentò cinque dipinti. Erano «Alla stanga», «Ritratto», «Tosatura», «Ave Maria» e «Sole d’autunno», tele dalle pennellate larghe e corpose, animate da un nuovo senso del colore e della luce, che fanno propria la frammentazione ottica del Divisionismo.
Una di queste opere è esposta, fino al 26 gennaio 2025, alla Galleria civica «Giovanni Segantini» di Arco in un allestimento, a cura del giovane storico dell’arte Niccolò D’Agati, intitolato «Il capolavoro ritrovato». Si tratta de «Il sole d’autunno», un dipinto di grandi dimensioni (novanta centimetri d'altezza per quasi due metri di larghezza, senza cornice), del quale il carteggio segantiniano con le lettere per la partecipazione alla quinta Esposizione nazionale di belle arti del 1887, conservato nell’Archivio storico della Biennale di Venezia (Asac), fornisce qualche informazione in più: quel quadro, chiamato dall’artista altoatesino anche «Vacca bianca all’abbeveratoio», fu il suo primo dipinto realizzato nei Grigioni e fu il frutto di un «lavoro di cinque anni», nel «tener calcolo del colore come bellezza armonica».
Giunto di recente nelle raccolte d’arte del Comune di Arco, dopo una spesa di 3 milioni di euro, che ne fanno – si legge nella nota stampa - «uno dei più grandi acquisti pubblici mai avvenuti di un’opera del nostro Ottocento e in particolare la maggiore acquisizione segantiniana a partire dal 1927», il quadro ha una storia collezionistica di grande prestigio. Dapprima è nelle mani del mercante Alberto Grubicy (1887), poi passa a quelle dell’importante famiglia Dall’Acqua (1894), transitando, infine, nella raccolta del banchiere milanese Mario Rossello (ante 1926), che nella sua vita, con curiosità e discrezione, ha acquisito opere di importanti maestri dell’arte italiana del XIX secolo quali Giovanni Boldini, Tranquillo Cremona, Giuseppe De Nittis, Francesco Hayez, Domenico Induno, Mosè Bianchi e Giovanni Fattori, come ha raccontato nel 2016 il libro «La collezione segreta», a cura di Elisabetta Staudacher e Francesco Luigi Maspes.
Non più esposto al pubblico dal 1954, l’anno della rassegna «Pittori lombardi del secondo Ottocento», tenutasi a Como, nella sale della Villa comunale dell’Olmo, «Il sole d’autunno» ritorna, dunque, a farsi ammirare dal pubblico dopo settant’anni, mostrando un paesaggio agreste, privo di cielo, con in primo piano una donna, ripresa di spalle, che si abbevera a una fontana, e una mucca, aggiogata a un carretto, e sullo sfondo i prati e le poche case di Savognino.
Strettamente connessa all’opera «Alla Stanga» (1885-1886), oggi conservata alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, la tela di Arco, che si presenta in ottimo stato di conservazione, costituisce un vero e proprio momento di frattura nel lessico stilistico dell’artista trentino. Con questo lavoro, Giovanni Segantini supera, infatti, l’impasse letteraria dell’idillio tragico ed elegiaco che aveva caratterizzato i primi anni Ottanta del XIX secolo. Dal «paesaggio crepuscolare» del periodo in Brianza, dove si era trasferito dopo gli studi a Milano, documentato da tele come «Il bacio alla croce» del 1883 (Amsterdam, Stedelijk Museum) e «A messa prima» del 1885 (Saint-Moritz, Museo Segantini»), l’artista altoatesino approda a un «simbolismo naturalistico», che esalta la natura nei suoi valori essenziali, svincolandola così da una rilettura sentimentale per avvicinarla, invece, a una concezione panica e universale.
Per quanto riguarda il soggetto, tratto dal mondo agreste di cui Giovanni Segantini ama la semplicità e la quiete, «Il sole d’autunno» si presenta in linea di continuità con altri capolavori del periodo come «Ave Maria a trasbordo» del 1886 (St. Mortiz, Segantini Museum), «Allo sciogliersi delle nevi» del 1888 (St. Moritz, Segantini Museum) e «Vacche aggiogate» del 1888 (Basilea, Kunstmuseum).
C'è, in questi lavori, tutto il legame mistico e viscerale con il territorio montano, che l'artista raccontava così: «la Natura era divenuta per me come un istrumento che suonava accompagnando ciò che cantava il mio cuore. Ed esso cantava le armonie calme dei tramonti ed il senso intimo delle cose, nutrendo così il mio spirito d’una melanconia grande, che producevami nell’anima una dolcezza infinita».
Didascalie delle immagini
Giovanni Segantini, Sole d’autunno, 1887, Olio su tela, 90 x 192 cm
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