Originariamente esposta al primo piano di quello che nel Quattrocento era l'Ospedale di Santa Maria della Morte (poi Palazzo Galvani), simbolico edificio nel cuore antico della città, quell’anno la collezione fu spostata al piano interrato creando un percorso di visita cronologico e tematico per mostrare lo sviluppo dell'arte e della civiltà egiziana dall'Antico regno all'Epoca tarda, in un percorso che spazia tra manufatti di grande importanza storica e di varia tipologia - sculture, bassorilievi, bronzi, ceramiche, papiri e sarcofaghi, ma non solo -, tra i quali spiccano i cinque rilievi della tomba di Horemheb, generale dell'esercito al tempo del faraone Akhenaton che, con Tutankhamon, raggiunse i livelli più alti del comando militare, per diventare infine faraone.
Trent’anni dopo il museo - che è anche stato scelto dal fotografo Martin Parr come scenografia della sua mostra «Short & Sweet», un viaggio ironico e disincantato tra le manie e le eccentricità della società contemporanea - celebra l’anniversario con una serie di iniziative, tra le quali la quarta tappa del progetto espositivo «Il medagliere si rivela», volta a far conoscere la più che ricca collezione numismatica del museo.
Dopo le esposizioni tematiche su San Petronio (il patrono della città), il Natale e le due Torri (la Garisenda e l’Asinelli, che rendono inconfondibile lo skyline bolognese), i riflettori sono puntati proprio sull’Egitto con una vetrina tematica che accoglie una ventina di medaglie realizzate tra il XV e il XIX secolo, le cui iconografie testimoniano il lascito e la permanenza della civiltà egizia nella cultura occidentale.
«L’antico Egitto nelle medaglie del Museo archeologico di Bologna. Suggestioni culturali e sopravvivenze» è il titolo della rassegna - piccola, ma preziosa -, a cura di Paola Giovetti, Laura Marchesini e Daniela Picchi, liberamente fruibile fino al 16 dicembre nell’atrio del museo.
È bene ricordare che la civiltà egizia suscita grande interesse sin dai tempi degli antichi romani, che rimasero affascinati dalla ricchezza e magnificenza artistica della terra del Nilo.
Durante il Rinascimento, la conoscenza di questo Paese era prevalentemente indiretta, ovvero si basava su testi greci e latini. In quel periodo, la difficile comprensione dei geroglifici, interpretati come simboli figurati, fece ritenere l’Egitto un luogo di sapienza profonda e dissimulata, destinata a una cerchia ristretta di savi. A queste istanze culturali sono riconducibili le tre medaglie rinascimentali esposte nella mostra bolognese, nei cui emblemi compaiono elementi egittizzanti caricati di significati misteriosi che rendono, ancora oggi, non univoca l’interpretazione delle iconografie. Quella dedicata al celebre umanista Leon Battista Alberti raffigura un occhio alato e circondato da fiammelle, ispirato all’occhio risanato del dio egizio Horo (udjat). Quella per il condottiero Francesco Gonzaga II raffigura un emblema con piramide la cui interpretazione potrebbe trovarsi negli «Hieroglyphica», il testo più importante dell’epoca consacrato all’interpretazione dei geroglifici, scritto da Pierio Valeriano. A quest’ultimo personaggio è dedicata la terza medaglia che omaggia il suo importante lavoro di raccolta e collazione del sapere antico.
Con lo spirito della Controriforma alla Chiesa viene chiesto di prendere le distanze dal neopaganesimo del periodo precedente. Tuttavia i lavori di ammodernamento e di riassetto urbanistico della Capitale della cristianità portano alla luce numeroso materiale archeologico tra cui anche reperti egizi giunti in città durante l’età imperiale. Il desiderio di riscattare alla cristianità questi simboli dell’idolatria agli dei antichi è alla base delle celebri erezioni degli obelischi sotto il pontificato di Sisto V. A queste colossali imprese di elevazione dei monoliti sono dedicate quattro medaglie esposte al Museo archeologico di Bologna.
Il Seicento eredita l’impiego degli obelischi nel riassetto urbanistico dell’urbe, ponendo particolare cura all’estetica, nel pieno spirito barocco. Alcuni degli esemplari in mostra celebrano questa nuova istanza, con la raffigurazione dell’erezione dell’obelisco domizianeo sulla fontana dei Quattro Fiumi o con il racconto visivo del nuovo assetto di piazza del Popolo, che nel monolite esposto, proveniente dal Circo Massimo, trova il nuovo punto focale e prospettico.
Rinnovato interesse assumono, in questo periodo storico, anche le piramidi, per lo più ignote nelle loro fattezze e dimensioni reali, la cui iconografia nel nostro Paese si ispirava al locale modello del mausoleo di Gaio Cestio a Roma. Quest’ultimo edificio è ripreso in alcune medaglie, dove il significato simbolico di fermezza e incorruttibilità attribuito alle costruzioni egiziane viene riconosciuto per traslazione anche all’effigiato, come nel caso del cantante Farinelli.
Tra la fine del Settecento e l’Ottocento l’Egitto vive un momento di rinvigorito interesse, legato alle campagne napoleoniche di conquista del Paese. Assieme alle truppe militari viaggiava un’equipe di scienziati, storici e letterati, tra i quali il celebre artista e archeologo francese Dominique Vivant Denon (ricordato in una rara medaglia esposta), che ebbe l’importante compito di documentare l’antica civiltà egizia, facendola conoscere all’Europa intera.
L’incontro diretto con la terra del Nilo e la sua storia influenzò l’arte europea, compresa la medaglistica, che durante questa felice stagione toccò vette di raffinata eleganza e inventiva, contribuendo essa stessa alla diffusione di quella cultura entrata nella leggenda.
Con lo spirito della Controriforma alla Chiesa viene chiesto di prendere le distanze dal neopaganesimo del periodo precedente. Tuttavia i lavori di ammodernamento e di riassetto urbanistico della Capitale della cristianità portano alla luce numeroso materiale archeologico tra cui anche reperti egizi giunti in città durante l’età imperiale. Il desiderio di riscattare alla cristianità questi simboli dell’idolatria agli dei antichi è alla base delle celebri erezioni degli obelischi sotto il pontificato di Sisto V. A queste colossali imprese di elevazione dei monoliti sono dedicate quattro medaglie esposte al Museo archeologico di Bologna.
Il Seicento eredita l’impiego degli obelischi nel riassetto urbanistico dell’urbe, ponendo particolare cura all’estetica, nel pieno spirito barocco. Alcuni degli esemplari in mostra celebrano questa nuova istanza, con la raffigurazione dell’erezione dell’obelisco domizianeo sulla fontana dei Quattro Fiumi o con il racconto visivo del nuovo assetto di piazza del Popolo, che nel monolite esposto, proveniente dal Circo Massimo, trova il nuovo punto focale e prospettico.
Rinnovato interesse assumono, in questo periodo storico, anche le piramidi, per lo più ignote nelle loro fattezze e dimensioni reali, la cui iconografia nel nostro Paese si ispirava al locale modello del mausoleo di Gaio Cestio a Roma. Quest’ultimo edificio è ripreso in alcune medaglie, dove il significato simbolico di fermezza e incorruttibilità attribuito alle costruzioni egiziane viene riconosciuto per traslazione anche all’effigiato, come nel caso del cantante Farinelli.
Tra la fine del Settecento e l’Ottocento l’Egitto vive un momento di rinvigorito interesse, legato alle campagne napoleoniche di conquista del Paese. Assieme alle truppe militari viaggiava un’equipe di scienziati, storici e letterati, tra i quali il celebre artista e archeologo francese Dominique Vivant Denon (ricordato in una rara medaglia esposta), che ebbe l’importante compito di documentare l’antica civiltà egizia, facendola conoscere all’Europa intera.
L’incontro diretto con la terra del Nilo e la sua storia influenzò l’arte europea, compresa la medaglistica, che durante questa felice stagione toccò vette di raffinata eleganza e inventiva, contribuendo essa stessa alla diffusione di quella cultura entrata nella leggenda.
Celebratissima dalla medaglistica è l’occupazione dell’Egitto da parte del generale Napoleone Bonaparte, che nel dritto di una medaglia è raffigurato con con il nemes, il copricapo del faraone. Mentre due statue della dea Sekhmet, che l’esploratore e avventuriero Giovanni Battista Belzoni donò alla città di Padova, compaiono sulla medaglia dedicata alle sue scoperte, compiute per conto del governo britannico.
Chiude la breve rassegna un raffinato esemplare d’argento, emesso per l’inaugurazione nel 1839 del Museo Gregoriano Egizio in Vaticano, dove nel ristretto spazio del tondello si vede la prospettiva del vestibolo e della sala dei monumenti. L’allestimento, all’avanguardia per l’epoca, voleva valorizzare i reperti egizi di collezione e quelli rinvenuti sul territorio.
Chiude la breve rassegna un raffinato esemplare d’argento, emesso per l’inaugurazione nel 1839 del Museo Gregoriano Egizio in Vaticano, dove nel ristretto spazio del tondello si vede la prospettiva del vestibolo e della sala dei monumenti. L’allestimento, all’avanguardia per l’epoca, voleva valorizzare i reperti egizi di collezione e quelli rinvenuti sul territorio.
Didascalie delle immagini
[1. e 5.] Medaglia di André Galle per Napoleone, 1799 (diritto e rovescio) Bronzo, diam 35 mm Bologna, Museo Civico Archeologico, inv. 13041 La medaglia ricorda la presa dell’Alto Egitto da parte delle truppe napoleoniche e al dritto mostra il profilo di Napoleone che indossa il nemes, tipico copricapo del faraone. [2. e 6.] Medaglia di Luigi Manfredini per Giovanni Battista Belzoni, 1819 (diritto e rovescio). Bronzo, diam. 53,5 mm. Bologna, Museo Civico Archeologico, inv. 9181 La medaglia, commissionata dalla città di Padova, esprime riconoscenza verso il concittadino G. B. Belzoni che le aveva donato due colossali sculture di Sekhmet, raffigurate al dritto, acquisite durante la sua spedizione in Egitto. [3. e 4.Medaglia di Pietro Girometti per papa Gregorio XVI, 1839 Bologna (diritto e rovescio). Argento, diam. 50,5 mm. Bologna, Museo Civico Archeologico, inv. 7370. La medaglia ricorda l’inaugurazione nel 1839 del Museo Gregoriano Egizio del Vaticano, voluto da papa Gregorio XVI
Informazioni utili
«Il Medagliere si rivela. L’antico Egitto nelle medaglie del Museo Archeologico di Bologna. Sugge-stioni culturali e sopravvivenza», a cura di Paola Giovetti, Laura Marchesini e Daniela Picchi. Museo civico Archeologico, via dell'Archiginnasio 2 | 40124 Bologna. Orari: lunedì, mercoledì, giovedì, ve-nerdì 9.00 - 18.00; sabato, domenica, festivi 10.00 - 19.00; chiuso nei martedì non festivi. Ingresso: la mostra è visitabile liberamente nell’atrio del museo. Informazioni: tel. +39.051.2757211 | www.museibologna.it/archeologico. Fino al 16 dicembre 2024
Nessun commento:
Posta un commento