ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 12 marzo 2014

Dal British Museum a Martigny: la bellezza secondo l’antica Grecia

Ci sono le riproduzioni del «Discobolo» di Mirone e del «Diadumeno» di Policleto tra le sculture che il British Museum di Londra ha prestato alla Fondazione Pierre Gianadda di Martigny, pregevole centro culturale svizzero con una ricca collezione di opere dei più grandi maestri del XIX e del XX secolo, in occasione della mostra «La bellezza del corpo nell’antica Grecia», curata da Ian Jenkins.
Fondato nel 1753 e aperto al pubblico sei anni dopo, il museo britannico è senz’altro uno dei importanti al mondo con le sue raccolte costituite da oltre sette milioni di oggetti, ma deve la propria notorietà soprattutto alle ventiquattro stanze che raccontano Roma e l’antica Grecia, all’interno delle quali si trovano manufatti che vanno dall’inizio della preistoria all'età bizantina.
Su espressa richiesta dello stesso British Museum a Léonard Gianadda, presidente dell’istituzione elvetica, una pregevole selezione di queste opere è in mostra, fino al prossimo 9 giugno, a Martigny, cittadina nella valle del Rodano che vanta origini celtiche e che è ricca di vestigia di epoca gallo-romana, a cominciare dai resti del tempietto su cui sorge proprio la Fondazione Gianadda.
Un felice connubio di pietra, bronzo e marmo unirà, dunque, per i prossimi tre mesi la sezione antica di uno dei musei più visitati al mondo con la capitale del Vallese romano, il Forum Claudii Vallensium, e con le sue testimonianze di un passato glorioso, dalla possente testa bronzea del «Toro tricorne» ai due torsi virili, provenienti dal Mediterraneo orientale e usati probabilmente come ornamento di una sala termale, che sono stati ritrovati nel 2011 in occasione della realizzazione di una nuova strada del quartiere delle Morasses. Entrambi i lavori, raffiguranti un «Ercole con mantello leonino» e un «Apollo Citaredo», sono in mostra nelle sale del museo svizzero, accanto a una piccola replica in marmo bianco dell’«Afrodite di Cnido» di Prassitele, trovata anch’essa a Martigny nel 1939. Il cuore della rassegna è, però, rappresentato dalle opere del British Museum, attraverso le quali si celebra la bellezza seguendo il filo rosso di sette temi: la prestanza del corpo maschile e la grazia di quello femminile, lo sport, la nascita, il matrimonio, la morte, l‘amore e il desiderio. Ecco così apparire davanti al visitatore le forme toniche ed eleganti del «Discobolo» di Mirone, raffigurato in una scultura in marmo del II secolo a.C., copia romana di un originale in bronzo, fuso nel V secolo a.C. e oggi perduto.
Ammalia per il suo portamento statuario anche il «Il Diadumeno», opera in marmo databile intorno al 50 a.C. e ritrovata in Provenza nel 1862, che raffigura un giovane atleta con la testa cinta dalla benda della vittoria ai Giochi olimpici dell'antica Grecia e che riproduce la famosa scultura in bronzo realizzata da Policleto nel V secolo a.C..
Nella sezione dedicata al corpo femminile spiccano, invece, una terracotta del 300-200 a.C. con le fattezze di una nobildonna greca, elegantemente abbigliata con una lunga tunica e un ampio cappello, e una statua bronzea del VI secolo a.C., forse di origine spartana, raffigurante «Una giovane donna che corre» secondo gli usi del tempo, stando a quanto scrive Pausania: «capelli al vento, tunica abbassata fin sotto le ginocchia, spalla destra completamente nuda e spogliata fino al seno».
Lungo il percorso espositivo, di cui è stato pubblicato un catalogo a documentazione, si trovano anche un possente Zeus in bronzo del I-II secolo a.C., un’anfora a figure nere di fattura greca con l’effige del dio Dioniso (520 a.C.) e una copia della piccola scultura «Eros mentre tende il suo arco» di Lisippo, databile alla fine del IV sec. a.C..
Fra divinità del passato e corpi tonici, è esposta anche una statuetta in terracotta del II secolo a.C. raffigurante il «tenutario del bordello», uno dei personaggi ricorrenti del teatro greco, con addosso la maschera da anziano e con la testa incoronata da strisce frammentate. Tanti volti, dunque, scorrono tra le sale della Fondazione Pierre Giannada a raccontare la bellezza, quella virtù che Stendhal definiva «promessa di felicità».

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Il Discobolo, Marmo, periodo romano, II sec. d. C . © The Trustees of the British Museum (2014). All rights reserved; [fig. 2] Il Diadumeno, marmo, 50 d.C. © The Trustees of the British Museum (2014). All rights reserved; [Fig. 3] Giovane donna che corre, bronzo, Grecia, VI sec. a. C. © The Trustees of the British Museum (2014). All rights reserved; [fog. 4] Afrodite di Cnido di Prassitele, marmo © Fondation Pierre Gianadda, Martigny 

Informazioni utili 
«La bellezza del corpo nell’antica Grecia». Fondazione Pierre Giannada, Rue du Forum, 59 - Martigny (Svizzera). Orari: ore 10.00-18.00. Ingresso: adulti ChF 15/€ 12,50; terza età ChF 13/€ 11,00, famiglie ChF 35/€ 28,00; bambini oltre 10 anni e studenti ChF 8/€ 6,00. Catalogo: disponibile in mostra. Informazioni: tel.(+41)27.7223978. Informazioni in Italia: tel. 031.269393. Sito internet: www.gianadda.ch. Fino al 9 giugno 2014.

martedì 11 marzo 2014

«Rhome», la grande bellezza della Capitale raccontata dai migranti

Trentaquattro migranti, dodici fotografi, sessantotto scatti e una città: sono questi i numeri della mostra «Rhome - Sguardi e memorie migranti», allestita fino a mercoledì 30 marzo a Roma, negli spazi di Palazzo Braschi, per iniziativa dell’Assessorato alla cultura e della Sovrintendenza capitolina, con il plauso dell’Unar – Ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali e con la collaborazione di Zetema Progetto Cultura, dell’associazione «éarrivatoGodot», del Cnr – Centro nazionale delle ricerche e di Officine Fotografiche Roma.
L’esposizione, curata da Claudia Pecoraro, nasce come iniziativa di rilievo nell’ambito delle attività cittadine di prevenzione e contrasto delle discriminazioni razziali. Quello dei migranti è, infatti, un vero e proprio popolo a Roma, dove vivono oltre 352mila stranieri, con un’età media di circa 37 anni, single in oltre il 50% dei casi. Trentaquattro di loro, appartenenti a quattordici comunità e di ventisette differenti nazionalità, hanno scelto di raccontare la propria storia e il proprio rapporto con la «Città eterna» davanti all’occhio del fotografo.
«Qual è un luogo di Roma che non dimenticherai mai e che porterai con te anche se dovessi andare a vivere altrove?» è la domanda che fa da filo rosso alla mostra a Palazzo Braschi. Ogni migrante, insieme a un fotografo, è andato nel posto scelto per costruire l’immagine da esporre; le parole dell’uno hanno fatto da regia al lavoro dell’altro. In una specie di intervista a microfono spento, i trentaquattro protagonisti di «Rhome» raccontano così perché hanno lasciato il proprio Paese, in quale luogo e per quale motivo –a Roma– si sono sentiti accolti o rifiutati.
Ne è nata una galleria di volti e luoghi che tratteggia la stretta appartenenza dei migranti interpellati a una città che, talvolta, ha sostituito affettivamente quella di origine, diventando punto di arrivo e di ritorno per le loro nuove vite.
Ci sono immagini che fanno parte dell’iconografia classica di Roma. Il camerunense Jacques Ngomsi ha chiesto, per esempio, a Massimo Bottarelli di ritrarre la magnificenza della Basilica San Pietro. La rumena Cameluşa Strachinaru ha indicato al fotografo Ernesto Notarantonio la Fontana di Trevi. Il peruviano Roberto Montoya ha condotto Marco Santi a immortalare piazza di Spagna. Mentre l’iracheno Nabaz Kamil Nori ha fatto imprimere sulla pellicola fotografica a Nazzareno Falcone le mura antiche del Colosseo.
Lo stesso luogo, considerato da molti stranieri la «carta di identità di Roma» e il «simbolo dell’Italia nel mondo», è stato raccontato da Massimo Bottarelli per la cilena Rosita Castro Dominguez, da Claudio Imperi per l'inglese Laura Sampedro e da Gianclaudio Hashem Moniri per l’indiana Sanjay Kansa Banik. Il camerunense Jean Claude Moniri ha, invece, fatto fotografare ad Elda Occhinero la via dei Fori imperiali; mentre la francese Celine Cougoule ha raccontato di portare nel proprio cuore la vista del Pincio, la californiana Roberta Escamilla Garrison quella del Pantheon e la russa Ekaterina Suleymanova l'Appia antica con il suo silenzio.
Ci sono, poi, in mostra luoghi che rappresentano una personale geografia del cuore. L’albanese Adriano Haska ha fatto, per esempio, imprimere sulla carta fotografica a Emanuele Inversi uno scorcio di via Magnanapoli, la strada in cui lavora. Shammi Perera ha chiesto a Marco Marotto di ritrarre la sua casa in via Molfetta. Mentre l’eritrea Ascalu Tesfai Tzegu ha condotto il fotografo Gaetano Di Filippo alla scuola Fausto Cecconi di Centocelle, dove hanno studiato i suoi figli. José Augusto Alves Dos Santos ha, invece, segnalato come suo posto preferito il Centro di studi brasiliani, dove negli anni Ottanta, appena giunto a Roma, si incontrava con i suoi connazionali e studiava musica. Mentre la statunitense Susan Levenstein ha invitato Alessandro Amoruso a fotografare la pasticceria del ghetto, un luogo nel quale si è sempre sentita ben accolta e che ricorda per «i ‘mattoni’, quei meravigliosi dolci ebraici che, come il vino del contadino, sono sempre uguali ma sempre diversi».
La cinese Wang Fang ha scelto, infine, l’Ospedale Cristo Re: «la porta del Pronto soccorso –ha raccontato- significa, per me, un confine. Qui ho partorito. Questo luogo è la separazione dal mondo di prima al mondo di dopo: ero donna e sono diventata mamma, da ragazza sono diventata moglie. Qui è nato un prodotto misto, frutto di due razze, italiana e cinese. Ha cambiato tutta la mia vita. Prima avevo un po’ di dubbio se andar via dall’Italia o rimanere. Ora c’è una cosa più importante, che è diventata il centro del mio mondo e che mi tiene legata qui».
Storie di integrazione e accoglienza scorrono, dunque, lungo le pareti di Palazzo Braschi raccontando «la grande bellezza» di una città che sa incantare con la sua storia millenaria e i suoi monumenti, che sa emozionare con la sua capacità di aprirsi all’altro.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Sanjay Kansa Banik. Foto di Gianclaudio Hashem Moniri. Officine Fotografiche Roma; [fig. 2] La Pasticceria del ghetto ebraico, luogo segnalato da Susan Levenstein. Foto di Alessandro Amoruso. Officine Fotografiche Roma; [fig. 3] Celine Cougoule. Foto di Nazzareno Falcone. Officine Fotografiche Roma; [fig. 4] Cupola di San Pietro, luogo scelto da Jacques Ngomsi. Foto di Massimo Bottarelli. Officine Fotografiche Roma; [fig. 5] Wang Fang. Foto di Elda Occhinero. Officine Fotografiche Roma

Informazioni utili
Rhome. Sguardi e memorie migranti. Museo di Roma – Palazzo Braschi, piazza Navona, 2 – Roma. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-20.00 (la biglietteria chiude un’ora prima); chiuso il lunedì. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 06.0608 (tutti i giorni, ore 9.00-21.00). Sito web: www.museodiroma.it. Fino al 30 marzo 2014.

lunedì 10 marzo 2014

Venezia, riapre al pubblico Palazzo Cini a San Vio

Giotto, Sandro Botticelli, Filippo Lippi, Piero di Cosimo, Guariento e Dosso Dossi: è un viaggio tra i pittori di area toscana e ferrarese quello che propone la collezione di Palazzo Cini a San Vio, casa-museo veneziana la cui riapertura è programmata per questa primavera, in occasione dei sessant’anni dell’Istituto di storia dell’arte della Fondazione Giorgio Cini.
Main partner dell’iniziativa, che prevede anche un’importante campagna di studio delle opere conservate e la pubblicazione di un catalogo generale per il 2015, è Assicurazioni Generali.
In attesa dell’evento, in agenda dal 24 maggio al 2 novembre, «la Fondazione Cini -spiega Luca Massimo Barbero, direttore dell'Istituto di storia dell'arte- ha iniziato dei lavori di miglioramento dell'illuminazione e conservazione dei dipinti, rendendo più agevole il percorso espositivo pur mantenendo la dimensione domestica, intima ed esclusiva della casa-museo. Inoltre, per promuovere la conoscenza di questi capolavori e per restituire la preziosità filologica delle opere custodite, sono stati coinvolti studiosi di arte antica di nuova generazione per l’analisi dei dipinti e degli oggetti che si trovano all’interno del palazzo». Con la riapertura di queste sale, la città avrà, dunque, l'opportunità di scoprire pregevoli dipinti del periodo tra il XIII e il XVI secolo e significativi esempi di arti applicate, ma anche di accedere, per almeno sei mesi l’anno, alla straordinaria residenza appartenuta a Vittorio Cini, che gli eredi hanno donato alla fondazione veneziana esattamente trent’anni fa e che è ubicata nel cosiddetto Museums mile, tra le Gallerie dell'Accademia, la Collezione Peggy Guggenheim e Punta della Dogana.
Nelle sale del primo piano nobile, arredate con mobili e oggetti d'arte che riflettono il carattere originario dell'abitazione e il gusto personale del suo proprietario, sono esposti una trentina di dipinti di scuola toscana, come «Il giudizio di Paride» di Sandro Botticelli e la «Madonna con il Bambino e due angeli» di Piero di Cosimo, donati da Yana Cini Alliata di Montereale alla fondazione nel 1984. Nelle stesse sale sono visibili anche una serie di dipinti rinascimentali di scuola ferrarese, concessi nel 1989 da Ylda Cini Guglielmi di Vulci, tra i quali si segnala il «San Giorgio» di Cosmè Tura. Non mancano in esposizione, poi, significativi esempi di arti applicate, come un servizio completo di porcellana della manifattura settecentesca veneziana dei Cozzi, placchette e cofanetti d'avorio della bottega degli Embriachi, smalti rinascimentali, oreficerie, sculture in terracotta, credenze, cassapanche di notevole importanza, tra le quali un raro cassone nuziale senese della metà del Trecento e una portantina napoletana del Settecento.
Una collezione, dunque, ricca e preziosa quella di Palazzo Cini della quale viene dato, in questi giorni, un piccolo assaggio nella mostra «Pontormo e Rosso Fiorentino. Divergenti vie della Maniera», in programma al Palazzo Strozzi di Firenze. All’interno dell’esposizione, curata da Carlo Falciani e Antonio Natali, si trova, infatti, il «Doppio ritratto di amici» del Pontormo, pregevole esempio di caratterizzazione psicologica dei personaggi, la cui raffinata tessitura materica è tutta giocata sulla trasparenza delle lacche.


Didascalie delle immagini
[fig. 1] Scala ovale di Palazzo Cini a San Vio, in Venezia, progettata da Tomaso Buzzi; [fig. 2] Pontormo (Jacopo Carucci; Pontorme, Empoli 1494-Firenze 1557), «Doppio ritratto di amici», 1523-1524. Olio su tavola e lacche. cm 88,2 x 68. Venezia, Fondazione Giorgio Cini; [fig. 3] Piero di Cosimo, «Madonna con il Bambino e due angeli», 1505-1510 circa. Olio su tavola, 116x85 cm. Venezia, Fondazione Giorgio Cini

Informazioni utili
Palazzo Cini, Campo San Vio, Dorsoduro 864 – Venezia. Orari: ore 11.00–19.00, chiuso il martedì (ultimo ingresso ore 18.15). Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00. Catalogo: disponibile in mostra guida breve (€ 4,00). Informazioni: info@cini.it. Sito web: www.cini.it. Dal 24 maggio al 2 novembre 2014.