L’elenco completo dei siti che parteciperanno alla diciottesima edizione della Notte europea dei Musei 2022 - iniziativa ideata dal Ministero della cultura francese e patrocinata dall’Unesco, dal Consiglio d’Europa e da Icom - è consultabile sulla pagina istituzionale del Ministero della cultura: https://cultura.gov.it/evento/notteeuropeadeimusei-2022.
Tra le città che daranno lustro a questa grande festa dell’arte c’è Bologna dove, in occasione della quarantacinquesima edizione di «Arte Fiera», la kermesse mercantile più longeva d’Italia, si terrà la «White Night» di «Art City», il cartellone di iniziative che riunisce, sotto l’egida del Comune, musei, gallerie private, fondazioni e spazi della cultura cittadini.
Questa settimana sulla pagina Facebook vi abbiamo parlato di alcune delle mostre che animeranno il capoluogo felsineo durante il fine settimana, ma anche della nuova Orangerie del Museo Poldi Pezzoli di Milano, del rinnovato percorso di visita della Galleria nazionale delle Marche, e di molto altro ancora. Buona lettura!
«I luoghi del cuore», al via il nuovo censimento del Fai – Fondo per l’ambiente italiano
Per Alessio Boni è l’Anfiteatro Flavio di Pozzuoli, un meraviglioso esempio di architettura romana. Per Amanda Sandrelli è Viareggio, la città dove è nata sua madre e dove ha trascorso l’infanzia. Per Michelle Hunzikher è il borgo ligure di Varigotti, dove portava la figlia da bambina a giocare sulla riva della spiaggia a piedi nudi. Ognuno di noi ha un posto che ama e che vuole salvare dall’abbandono e dall’oblio, consegnandolo alle future generazioni. Proprio a questa speciale carta geografica dell’anima guarda il censimento «I luoghi del cuore», promosso dal Fai – Fondo per l’ambiente italiano con Intesa San Paolo, che dal 2003 ha raccolto 9,6 milioni di voti in favore di oltre 39.000 luoghi in più di 6.500 comuni.
L’undicesima edizione è appena partita. Fino al 15 dicembre si possono segnalare castelli, palazzi, chiesette, eremi arroccati, teatri, musei, parchi e anche interi borghi, luoghi cari da salvare dall’abbandono, dal degrado o dall’oblio, perché, per il bene di tutti, siano recuperati e valorizzati, conosciuti e frequentati.
La potenza e la chiave del successo di questo grande censimento spontaneo del patrimonio culturale italiano sta nel rendere possibile con un piccolo gesto alla portata di tutti, un voto on-line o cartaceo, qualcosa che sembrava difficile anche da sognare. Lo provano i 139 progetti di restauro e valorizzazione realizzati, negli ultimi dieci anni, in 19 regioni.
Basta un click sul sito www.iluoghidelcuore.it o attraverso i moduli di raccolta firme e i luoghi più votati verranno premiati a fronte della presentazione di un progetto (50.000, 40.000 e 30.000 euro saranno assegnati rispettivamente al primo, secondo e terzo classificato, scelti tra i siti che avranno ricevuto almeno 2500 voti).
In questa edizione è previsto, inoltre, un premio speciale di 20mila euro per i borghi, quell'Italia interna, spesso dimenticata dallo sviluppo del Paese, che soffre lo spopolamento e un conseguente degrado di territori e comunità, ma che è anima vera del vivere italiano.
Alcuni comitati sono già attivi e si preparano a raccogliere quanti più voti possibili. È il caso del villaggio operaio di Crespi d'Adda, della Ferrovia Sulmona-Rieti, della splendida ma poco conosciuta Chiesa di San Francesco della Vigna a Venezia, della Fascia olivata Assisi-Spoleto, paesaggio unico che non ha uguali in Umbria, e degli scavi di «Halaesa Arconidea», vicino a Messina.
Per informazioni e votazioni: www.iluoghidelcuore.it.
Inaugurata la nuova Orangerie del Museo Poldi Pezzoli di Milano
Non tutti lo sanno, ma, un tempo, la centralissima via Manzoni di Milano era chiamata corsia «del Giardino» per la presenza di un antico grande orto, quasi un quartiere a sé. Su questa direttrice, dal XVII secolo iniziarono a erigersi palazzi nobiliari e tra questi anche quello che oggi noi conosciamo come il museo Poldi Pezzoli.
Il palazzo, acquistato nel 1777 da Giuseppe Pezzoli d’Albertone (1743- 1818), zio del padre di Gian Giacomo, ha sempre avuto il suo giardino, un gioiello verde nascosto agli occhi dei più, che nel corso dei secoli è stato rivisitato più volte a seconda dei gusti del tempo. Nel 1787 il giardino è disposto «all’italiana» dall’architetto Simone Cantoni (1736-1818), «con quattro aiuole geometriche collegate centralmente da una piccola rotonda». Nel 1838 Rosina Trivulzio, la mamma di Gian Giacomo, fa trasformare l’oasi naturale del palazzo «all’inglese», secondo la moda romantica. Lo spazio è «diviso in diversi tappeti verdi con piante fruttifere, esotiche, fori e con cespugli con montagnata fra vialetti sabbiosi e sul retro due statue di Adone e Diana con un carro e due colombi». Nel 1853, con Gian Giacomo, il giardino viene riprogettato con un impianto a rondò e aiuole collegate fra loro in vari percorsi. Nel 2021 lo spazio verde è nuovamente rivisitato dalla società Square Garden grazie al finanziamento dell’ingegnere Mario Franzini e, in questa occasione, nasce la «nuova» Orangerie del Museo Poldi Pezzoli.
Lo spazio, appena inaugurato, è una sala polifunzionale di oltre cento metri quadri. La struttura, in acciaio e vetro, ha una copertura realizzata in lamiera lavorata e piegata manualmente, come le pensiline dei primi anni del secolo scorso, con vetrate e decori in ferro battuto finemente lavorati: creste Versailles sul colmo e mantovane in stile Milano al di sotto della gronda. I serramenti perimetrali sono anch’essi realizzati in acciaio, come il ferro finestra dei palazzi dell’epoca. La pavimentazione è in legno massello. Il nuovo spazio si presta ad ospitare laboratori, conferenze, attività per tutti i pubblici, oltre a esclusivi eventi privati come aperitivi, cene placée e meeting aziendali.
Il Museo Poldi Pezzoli di Milano apre così – racconta la direttrice Annalisa Zanni - «una grande finestra dalla quale contemplare il giardino, al tempo ‘oasi’ privata di serenità di Gian Giacomo e di cui ora si potrà ammirare la bellezza complessiva», svolgendo anche attività a contatto con la natura.
Informazioni: www.museopoldipezzoli.it.
«Se mi dura questo entusiasmo finirò come Narciso», a Venezia un viaggio fotografico nella vita di Eleonora Duse
La Fondazione Giorgio Cini di Venezia si prepara al centenario della morte di Eleonora Duse (Vigevano, 3 ottobre 1858 – Pittsburgh, 21 aprile 1924), «la Divina del teatro italiano», che si impose all’attenzione della critica e del pubblico con un tipo di recitazione febbrile e di forte impatto emotivo e visivo, lontano dai consueti canoni recitativi dell'epoca, conquistando vasta fama e ammirazione.
Sull’Isola di San Giorgio Maggiore, dove è conservato l’archivio dell’artista, donato nel 1968 dalla nipote Eleonora Ilaria Bullough, conosciuta anche come Sister Mary Mark, riapre, dopo due anni, la Stanza di Eleonora Duse, uno spazio permanente dedicato alla memoria della grande attrice italiana, dove poter ammirare, di volta in volta, lettere, libri, copioni, alcuni dei quali autografati dalla diva o dall’autore del testo, abi¬ti, mobilio, fotografie e molti oggetti personali, provenienti anche dal fondo Signorelli, che accoglie vari e preziosi materiali raccolti negli anni da Olga Resnevič Signorelli, amica e prima biografa dell’attrice.
Dal 13 maggio l’Istituto per il teatro e melodramma, diretto da Maria Ida Biggi, presenta, dunque, una serie di tre mostre preparate in occasione della grande ricorrenza del 2024, che vogliono indagare rispettivamente il rapporto dell’attrice con Venezia e il Veneto (2022), il successo in Italia nel contesto teatrale nazionale (2023) e la fama internazionale (2024). La Stanza di Eleonora Duse sarà visitabile solo su prenotazione contattando il numero 041.2710236 o scrivendo all’indirizzo teatromelodramma@cini.it.
«Se mi dura questo entusiasmo finirò come Narciso. Un viaggio fotografico nella vita della grande attrice. Parte I Eleonora e Venezia», la prima di queste rassegne, è curata da Maria Ida Biggie Marianna Zannoni. Fino al 16 dicembre, sarà esposta una ricca selezione del fondo fotografico dell’Archivio Duse, che ritrae l’attrice in momenti privati e mentre posa in abiti di scena, insieme a una serie di suoi oggetti e documenti.
Il legame di Eleonora Duse con la città di Venezia è forte e duraturo e affonda le radici nell’infanzia. Il nonno, l’attore Luigi Duse, era originario di Chioggia e l’attrice, dopo aver passato i primi anni di vita in laguna, istaura con la città un legame unico e indissolubile. Nel corso della relazione con il compositore e letterato Arrigo Boito (Padova, 1842 – Milano, 1918) Eleonora Duse esprime più volte il desiderio di ritirarsi a Venezia con lui e la figlia Enrichetta alla fine della propria carriera. Dopo averlo tanto desiderato, nel 1894 l’attrice si trasferisce per un periodo a palazzo Barbaro-Wolkoff, sul Canal Grande, di fronte alla Casetta Rossa che ospiterà Gabriele D’Annunzio. Venezia sarà per Eleonora Duse anche una «piazza» di lavoro importante, scenario di episodi centrali per la sua crescita artistica.
Per maggiori informazioni: www.cini.it.
Nelle fotografie: 1. Eleonora Duse in gondola, fotografia di Primoli, 1894 ca., Archivio Duse, Ve FGC 2. Ritratto di Eleonora Duse, 1910 ca., Archivio Duse, Ve FGC
«Opera vita», un’opera di Matteo Baroni per le Serre Torrigiani di Firenze
Un giardino urbano versatile e fruibile. Un luogo di gioco e di riflessione per adulti e bambini. Un’oasi di pace, dove godere del fresco e dei profumi. Un’opera d’arte che incontra la natura. Tutto questo è «Opera viva», la monumentale installazione di Matteo Baroni realizzata alle Serre Torrigiani, all’interno dell’omonimo giardino all’italiana nel cuore di Firenze. Si tratta di una sorta di chiosco fatto di tondini di ferro, studiato per integrarsi con l’ambiente circostante. Grazie al verde che la circonda e che la abita questa struttura, costruita come un antico pergolato di campagna o come la pagoda arabescata di un elegante giardino liberty, non apparirà mai la stessa, ma si evolverà con il passare delle stagioni.
La scultura, che appare come una grande cupola, pervade lo spazio e si espande in altezza, trovando il suo compimento in una grande cupola di otto metri. Sedute e tavoli si sviluppano dalle colonne portanti, mentre dall’alto cadono due altalene e vasi, sempre sorretti dagli intrecci di ferro.
Se la struttura ferrea può dirsi conclusa e fruibile dal pubblico, l’operazione nel suo insieme si modifica invece costantemente, come le sensazioni di chi la usa. Le piante, infatti, con i loro effetti benefici sull’ambiente e sulle persone, sono le vere protagoniste di quest’opera ambientale, che a loro si ispira, nei materiali e nella forma che, con i suoi rami di ferro, rimanda immediatamente al mondo vegetale.
«Opera viva» - spiega il critico d’arte Gianni Pozzi, autore dei testi del giornale che accompagna il visitatore - «è un intervento ambientale, ma anche un’opera che si aggiunge alle tante che caratterizzano lo spazio: la statua di Osiride, dio dei morti e della rinascita, posta all’ingresso, quella di Pio Fedi con ‘Seneca e il giovane Piero Torrigiani’, e poi i vari tempietti, torri e laghetti che costituiscono un singolare percorso esoterico all’interno di questo che è uno dei grandi giardini storici italiani. Non una delle tante installazioni temporanee cittadine ma la ripresa – da parte della ricerca e della committenza artistica – di una reale progettualità ambientale».
Per ulteriori informazioni: https://matteobaroni.it/.
«Un/Veiled», a Roma Cy Twombly tra arte e musica
Concerti, video proiezioni, musica diffusa e una mostra nel segno di Cy Twombly: è questo il ricco programma multidisciplinare messo in campo dalla Fondazione Nicola Del Roscio di Roma per «Un/veiled». Il cartellone, in agenda da sabato 20 maggio a sabato 11 giugno, prevede il coinvolgimento di musicisti e artisti di fama internazionale: Harold Budd (selezione di ascolti), Eraldo Bernocchi, Nils Petter Molvær e Petulia Mattioli (20 e 21 maggio), Isabella Summers (27 e 28 maggio), Thierry Balasse (10 e 11 giugno 2022), Devendra Banhart e Sudan Archives (documentazione di performance).
La rassegna in sei appuntamenti è il frutto inedito di un’ampia ricognizione condotta nel corso degli ultimi tre anni dalla Cy Twombly Foundation nelle sue sedi di Roma e Gaeta per volontà di Nicola Del Roscio, che ha voluto riordinare le composizioni musicali firmate da musicisti internazionali che si sono lasciati ispirare o hanno tentato di costruire un dialogo intimo con le opere di Cy Twombly. Ne è nato un archivio ricco e sorprendente che riunisce le opere di quattordici musicisti afferenti a differenti generi musicali, dal jazz alla musica classica, passando alle esperienze elettroniche più sperimentali.
Gli occhi degli artisti invitati diventano i filtri attraverso cui lo spettatore ha la possibilità di osservare le opere di Cy Twombly da punti di vista nuovi e inusitati, scoprire i riferimenti alla mitologia, alla poesia e alla letteratura moderna, tematiche attraverso le quali l’artista costruiva caleidoscopi per riscoprire il reale.
Per l’occasione sarà possibile ammirare una piccola ma preziosa selezione di opere su carta dei primi anni Settanta, come i due «Study for Treatise on the Veil» nati dall’ascolto del pezzo di Pierre Henry, «Le Voile d’Orphée». Si tratta di lavori nelle quali i segni, le linee e le iscrizioni numeriche si dipanano sulla superficie quasi a suggerire l’idea degli spartiti delle avanguardie musicali del secondo Dopoguerra. Le opere a loro volta sono poste in dialogo con le composizioni in filodiffusione del musicista californiano Harold Budd, tratte dagli album «In the Mist» (2011) e «Bandits of Stature» (2012). L’autore, recentemente scomparso, ha composto i brani «Mars and the Artist (after Cy Twombly)» (2011) e «Veil of Orpheus (Cy Twombly’s)» (2012) ispirandosi a sua volta all’opera di Cy Twombly. Completano il percorso espositivo due video performance dei musicisti Devendra Banhart e Sudan Archives.
Per maggiori informazioni: https://fondazionenicoladelroscio.it/la-fondazione/.
Non tutti lo sanno, ma, un tempo, la centralissima via Manzoni di Milano era chiamata corsia «del Giardino» per la presenza di un antico grande orto, quasi un quartiere a sé. Su questa direttrice, dal XVII secolo iniziarono a erigersi palazzi nobiliari e tra questi anche quello che oggi noi conosciamo come il museo Poldi Pezzoli.
Il palazzo, acquistato nel 1777 da Giuseppe Pezzoli d’Albertone (1743- 1818), zio del padre di Gian Giacomo, ha sempre avuto il suo giardino, un gioiello verde nascosto agli occhi dei più, che nel corso dei secoli è stato rivisitato più volte a seconda dei gusti del tempo. Nel 1787 il giardino è disposto «all’italiana» dall’architetto Simone Cantoni (1736-1818), «con quattro aiuole geometriche collegate centralmente da una piccola rotonda». Nel 1838 Rosina Trivulzio, la mamma di Gian Giacomo, fa trasformare l’oasi naturale del palazzo «all’inglese», secondo la moda romantica. Lo spazio è «diviso in diversi tappeti verdi con piante fruttifere, esotiche, fori e con cespugli con montagnata fra vialetti sabbiosi e sul retro due statue di Adone e Diana con un carro e due colombi». Nel 1853, con Gian Giacomo, il giardino viene riprogettato con un impianto a rondò e aiuole collegate fra loro in vari percorsi. Nel 2021 lo spazio verde è nuovamente rivisitato dalla società Square Garden grazie al finanziamento dell’ingegnere Mario Franzini e, in questa occasione, nasce la «nuova» Orangerie del Museo Poldi Pezzoli.
Lo spazio, appena inaugurato, è una sala polifunzionale di oltre cento metri quadri. La struttura, in acciaio e vetro, ha una copertura realizzata in lamiera lavorata e piegata manualmente, come le pensiline dei primi anni del secolo scorso, con vetrate e decori in ferro battuto finemente lavorati: creste Versailles sul colmo e mantovane in stile Milano al di sotto della gronda. I serramenti perimetrali sono anch’essi realizzati in acciaio, come il ferro finestra dei palazzi dell’epoca. La pavimentazione è in legno massello. Il nuovo spazio si presta ad ospitare laboratori, conferenze, attività per tutti i pubblici, oltre a esclusivi eventi privati come aperitivi, cene placée e meeting aziendali.
Il Museo Poldi Pezzoli di Milano apre così – racconta la direttrice Annalisa Zanni - «una grande finestra dalla quale contemplare il giardino, al tempo ‘oasi’ privata di serenità di Gian Giacomo e di cui ora si potrà ammirare la bellezza complessiva», svolgendo anche attività a contatto con la natura.
Informazioni: www.museopoldipezzoli.it.
«Se mi dura questo entusiasmo finirò come Narciso», a Venezia un viaggio fotografico nella vita di Eleonora Duse
La Fondazione Giorgio Cini di Venezia si prepara al centenario della morte di Eleonora Duse (Vigevano, 3 ottobre 1858 – Pittsburgh, 21 aprile 1924), «la Divina del teatro italiano», che si impose all’attenzione della critica e del pubblico con un tipo di recitazione febbrile e di forte impatto emotivo e visivo, lontano dai consueti canoni recitativi dell'epoca, conquistando vasta fama e ammirazione.
Sull’Isola di San Giorgio Maggiore, dove è conservato l’archivio dell’artista, donato nel 1968 dalla nipote Eleonora Ilaria Bullough, conosciuta anche come Sister Mary Mark, riapre, dopo due anni, la Stanza di Eleonora Duse, uno spazio permanente dedicato alla memoria della grande attrice italiana, dove poter ammirare, di volta in volta, lettere, libri, copioni, alcuni dei quali autografati dalla diva o dall’autore del testo, abi¬ti, mobilio, fotografie e molti oggetti personali, provenienti anche dal fondo Signorelli, che accoglie vari e preziosi materiali raccolti negli anni da Olga Resnevič Signorelli, amica e prima biografa dell’attrice.
Dal 13 maggio l’Istituto per il teatro e melodramma, diretto da Maria Ida Biggi, presenta, dunque, una serie di tre mostre preparate in occasione della grande ricorrenza del 2024, che vogliono indagare rispettivamente il rapporto dell’attrice con Venezia e il Veneto (2022), il successo in Italia nel contesto teatrale nazionale (2023) e la fama internazionale (2024). La Stanza di Eleonora Duse sarà visitabile solo su prenotazione contattando il numero 041.2710236 o scrivendo all’indirizzo teatromelodramma@cini.it.
«Se mi dura questo entusiasmo finirò come Narciso. Un viaggio fotografico nella vita della grande attrice. Parte I Eleonora e Venezia», la prima di queste rassegne, è curata da Maria Ida Biggie Marianna Zannoni. Fino al 16 dicembre, sarà esposta una ricca selezione del fondo fotografico dell’Archivio Duse, che ritrae l’attrice in momenti privati e mentre posa in abiti di scena, insieme a una serie di suoi oggetti e documenti.
Il legame di Eleonora Duse con la città di Venezia è forte e duraturo e affonda le radici nell’infanzia. Il nonno, l’attore Luigi Duse, era originario di Chioggia e l’attrice, dopo aver passato i primi anni di vita in laguna, istaura con la città un legame unico e indissolubile. Nel corso della relazione con il compositore e letterato Arrigo Boito (Padova, 1842 – Milano, 1918) Eleonora Duse esprime più volte il desiderio di ritirarsi a Venezia con lui e la figlia Enrichetta alla fine della propria carriera. Dopo averlo tanto desiderato, nel 1894 l’attrice si trasferisce per un periodo a palazzo Barbaro-Wolkoff, sul Canal Grande, di fronte alla Casetta Rossa che ospiterà Gabriele D’Annunzio. Venezia sarà per Eleonora Duse anche una «piazza» di lavoro importante, scenario di episodi centrali per la sua crescita artistica.
Per maggiori informazioni: www.cini.it.
Nelle fotografie: 1. Eleonora Duse in gondola, fotografia di Primoli, 1894 ca., Archivio Duse, Ve FGC 2. Ritratto di Eleonora Duse, 1910 ca., Archivio Duse, Ve FGC
«Opera vita», un’opera di Matteo Baroni per le Serre Torrigiani di Firenze
Un giardino urbano versatile e fruibile. Un luogo di gioco e di riflessione per adulti e bambini. Un’oasi di pace, dove godere del fresco e dei profumi. Un’opera d’arte che incontra la natura. Tutto questo è «Opera viva», la monumentale installazione di Matteo Baroni realizzata alle Serre Torrigiani, all’interno dell’omonimo giardino all’italiana nel cuore di Firenze. Si tratta di una sorta di chiosco fatto di tondini di ferro, studiato per integrarsi con l’ambiente circostante. Grazie al verde che la circonda e che la abita questa struttura, costruita come un antico pergolato di campagna o come la pagoda arabescata di un elegante giardino liberty, non apparirà mai la stessa, ma si evolverà con il passare delle stagioni.
La scultura, che appare come una grande cupola, pervade lo spazio e si espande in altezza, trovando il suo compimento in una grande cupola di otto metri. Sedute e tavoli si sviluppano dalle colonne portanti, mentre dall’alto cadono due altalene e vasi, sempre sorretti dagli intrecci di ferro.
Se la struttura ferrea può dirsi conclusa e fruibile dal pubblico, l’operazione nel suo insieme si modifica invece costantemente, come le sensazioni di chi la usa. Le piante, infatti, con i loro effetti benefici sull’ambiente e sulle persone, sono le vere protagoniste di quest’opera ambientale, che a loro si ispira, nei materiali e nella forma che, con i suoi rami di ferro, rimanda immediatamente al mondo vegetale.
«Opera viva» - spiega il critico d’arte Gianni Pozzi, autore dei testi del giornale che accompagna il visitatore - «è un intervento ambientale, ma anche un’opera che si aggiunge alle tante che caratterizzano lo spazio: la statua di Osiride, dio dei morti e della rinascita, posta all’ingresso, quella di Pio Fedi con ‘Seneca e il giovane Piero Torrigiani’, e poi i vari tempietti, torri e laghetti che costituiscono un singolare percorso esoterico all’interno di questo che è uno dei grandi giardini storici italiani. Non una delle tante installazioni temporanee cittadine ma la ripresa – da parte della ricerca e della committenza artistica – di una reale progettualità ambientale».
Per ulteriori informazioni: https://matteobaroni.it/.
Foto di Nicoletta Filardi
«Un/Veiled», a Roma Cy Twombly tra arte e musica
Concerti, video proiezioni, musica diffusa e una mostra nel segno di Cy Twombly: è questo il ricco programma multidisciplinare messo in campo dalla Fondazione Nicola Del Roscio di Roma per «Un/veiled». Il cartellone, in agenda da sabato 20 maggio a sabato 11 giugno, prevede il coinvolgimento di musicisti e artisti di fama internazionale: Harold Budd (selezione di ascolti), Eraldo Bernocchi, Nils Petter Molvær e Petulia Mattioli (20 e 21 maggio), Isabella Summers (27 e 28 maggio), Thierry Balasse (10 e 11 giugno 2022), Devendra Banhart e Sudan Archives (documentazione di performance).
La rassegna in sei appuntamenti è il frutto inedito di un’ampia ricognizione condotta nel corso degli ultimi tre anni dalla Cy Twombly Foundation nelle sue sedi di Roma e Gaeta per volontà di Nicola Del Roscio, che ha voluto riordinare le composizioni musicali firmate da musicisti internazionali che si sono lasciati ispirare o hanno tentato di costruire un dialogo intimo con le opere di Cy Twombly. Ne è nato un archivio ricco e sorprendente che riunisce le opere di quattordici musicisti afferenti a differenti generi musicali, dal jazz alla musica classica, passando alle esperienze elettroniche più sperimentali.
Gli occhi degli artisti invitati diventano i filtri attraverso cui lo spettatore ha la possibilità di osservare le opere di Cy Twombly da punti di vista nuovi e inusitati, scoprire i riferimenti alla mitologia, alla poesia e alla letteratura moderna, tematiche attraverso le quali l’artista costruiva caleidoscopi per riscoprire il reale.
Per l’occasione sarà possibile ammirare una piccola ma preziosa selezione di opere su carta dei primi anni Settanta, come i due «Study for Treatise on the Veil» nati dall’ascolto del pezzo di Pierre Henry, «Le Voile d’Orphée». Si tratta di lavori nelle quali i segni, le linee e le iscrizioni numeriche si dipanano sulla superficie quasi a suggerire l’idea degli spartiti delle avanguardie musicali del secondo Dopoguerra. Le opere a loro volta sono poste in dialogo con le composizioni in filodiffusione del musicista californiano Harold Budd, tratte dagli album «In the Mist» (2011) e «Bandits of Stature» (2012). L’autore, recentemente scomparso, ha composto i brani «Mars and the Artist (after Cy Twombly)» (2011) e «Veil of Orpheus (Cy Twombly’s)» (2012) ispirandosi a sua volta all’opera di Cy Twombly. Completano il percorso espositivo due video performance dei musicisti Devendra Banhart e Sudan Archives.
Per maggiori informazioni: https://fondazionenicoladelroscio.it/la-fondazione/.
Nella fotografia:Cy Twombly, Study for Treatise on the Veil, 1970 [Anacapri], Collage/ (drawing paper, transparent adhesive tape), pencil, wax crayon, coloured pencyl, 70.5 x 100 cm, Collection Cy Twombly Foundation, © Cy Twombly Foundation, photo Mimmo Capone
«Lì troverete una Renault 4 rossa», a Roma gli scatti di Gianni Giansanti raccontano «L’affaire Moro»
«Io abitavo a Monte Mario e tutte le mattine in moto passavo da via Fani per arrivare in ufficio. Come al solito alle 8.30, io e Osvaldo Restali, maestro e socio, leggevamo i giornali e ascoltavamo la radio sintonizzata sulle onde corte della polizia. Illegale, ma di routine. A un certo punto sentiamo la voce trafelata di un agente e le parole confuse ‘sequestro di persona, via Fani’. Prendo la moto, la strada la conosco a memoria, arrivo sul posto insieme alla prima ambulanza. Saranno state le dieci meno un quarto, tutto era appena successo, un'apocalisse». Così Gianni Giansanti (Roma, 1956- Roma, 18 marzo 2009), uno tra i più apprezzati fotogiornalisti internazionali, ricordava in un'intervista di Laura Leonelli, pubblicata sul «Sole24Ore» il 1° marzo 2008, la genesi degli scatti che nel 1978 gli valsero, appena ventunenne, la menzione d’onore al World Press Photo. Quelle immagini, il primo documento del rapimento di Aldo Moro (Maglie, 23 settembre 1916-Roma, 9 maggio 1978) e dell'uccisione della sua scorta, sono in mostra fino al 13 maggio a Roma, alla Camera dei Deputati.
«Arte», una tela bianca e un’amicizia in crisi sul palco di Casa Fools
Si chiude all’insegna dell’arte il programma di «Futura», la stagione 2022 di Casa Fools – Teatro Vanchiglia a Torino, decisa insieme al pubblico scegliendo fra le oltre 300 proposte giunte da varie parti d’Italia.
Venerdì 13 e sabato 14 maggio i riflettori saranno puntati sulla compagnia Asterlizze, nucleo di attori e attrici la cui ricerca si concentra sulle connessioni tra artisti e pubblico per interrogarsi su temi attuali attraverso una contaminazione di linguaggi: drammaturgia, performance, arti visive, Nuovi media e partecipazione viva dello spettatore caratterizzano anche l’allestimento di «Arte», commedia brillante e ironica scritta da Yasmine Reza alla fine degli anni ‘80, interpretata da Mauro Bernardi, Alessandro Cassutti ed Elio D’Alessandro – autore anche delle musiche - , con la regia di Alba Porto.
Lo spettacolo si interroga sul valore dell’arte contemporanea e che ha come protagonisti tre amici di lunga data che incarnano tre differenti tipi umani: un dermatologo amante dell’arte, un ingegnere aeronautico e un rappresentante di articoli di cartoleria. L’acquisto da parte di uno dei tre di una tela bianca per duecentomila euro, si trasforma nel confronto fra le certezze e i punti di vista dei tre che si riveleranno estremamente differenti. Il testo, pungente e acuto, scandaglia con sarcasmo le relazioni umane e rivela come i rapporti più stretti possano rapidamente degenerare di fronte a un dissenso. Attraverso una riflessione sull'arte contemporanea, «Arte» pone interrogativi universali sulle dinamiche psicologiche ed emotive della natura umana quando si parla di amicizia fra uomini, fatta anche di egoismi, ipocrisie e falsità.
Il costo del biglietto varia dai 12 agli 8 euro. Per info e prenotazioni scrivere a prenotazioni@casafools.it o chiamare il numero +39.392.340.6259.
Per maggiori informazioni: www.casafools.it.
«Giuseppe Penone. Organica rinascita», a Milano il documentario sulla scultura «Indistinti confini» per il Bosco della Memoria di Bergamo
È stato presentato in settimana a Milano, al Museo nazionale scienza e tecnica «Leonardo da Vinci», il documentario «Giuseppe Penone. Organica rinascita», a cura della regista Valeria Parisi e di Gianluca Rapaccini, realizzato da 3D Produzioni con il contributo della Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti, per raccontare la genesi dell’installazione «Indistinti confini» realizzata nel Bosco della Memoria di Bergamo, nel Parco della Trucca, in ricordo delle vittime del Covid-19.
L’opera, creata per essere esposta a Versailles nel 2013 e oggi e posizionata nel 2022, simbolicamente, di fronte all’Ospedale Papa Giovanni XXIII, si compone di una scultura in marmo bianco di Carrara di grandi dimensioni - alta quasi 3 metri e dal peso di 25 tonnellate - al centro di una sorta di anfiteatro naturale composto da 80 betulle dell’Himalaya che richiamano la profonda connessione con la natura. Pensata come luogo di riflessione e di memoria, si inserisce nella poetica dell’artista che abbatte i confini tra il mondo umano, quello minerale e quello vegetale.
«Le venature scolpite nel marmo richiamano il sistema linfatico delle piante ma anche il sistema circolatorio umano, riferimento alla vita che scorre indistinta nel corpo del mondo e al profondo legame tra uomo e natura. La simbologia dell’installazione vuole certamente rimandare al ricordo delle vittime, ma è anche un inno alla vita, alla rinascita e alla speranza», spiega l’artista. «L’arte di Giuseppe Penone – racconta il critico Gianfranco Maraniello - non è una forma di rappresentazione, ma un gesto che ci invita a trovare continuità tra il fare umano e quello della natura, individua analogie tra i nostri corpi e l’universo del vegetale così come del minerale. È un’arte che è anche processo di conoscenza e, insieme, una disposizione etica, un modo di riconoscere la solidarietà di tutto ciò che costituisce il mondo».
Nell'arte di Giuseppe Penone ogni forma di vita ha tempi diversi di trasformazione ed ogni essere vivente è accomunato da un continuo fluire della vita. Proprio questo messaggio di uguaglianza tra esseri viventi è stato scelto per ricordare le vittime del Covid-19 a Bergamo.
Per maggiori informazioni: www.museoscienza.org.
Presentazione milanese e on-line per «Arte contemporanea», la nuova enciclopedia di Treccani
4 volumi, 435 autori, oltre 3600 voci e quasi 4000 immagini: sono questi i numeri della prima enciclopedia dedicata all’arte contemporanea a livello internazionale, pubblicata da Treccani. L’opera, che compone una accurata testimonianza delle maggiori esperienze artistiche del nostro tempo, è stata presentata in settimana a Milano, All’Armani/Silos e in streaming sui principali social della casa editrice (YouTube, Facebook e la piattaforma https://www.treccanix.it/).
All’incontro sono intervenuti Massimo Bray, direttore generale Treccani, con Valeria Della Valle e Vincenzo Trione, entrambi alla direzione scientifica dell’enciclopedia Treccani Arte Contemporanea, e con il filosofo Mauro Ceruti; ha moderato Cristina Faloci, autore di Rai Radio 3.
Con oltre 3.600 lemmi e 435 autori coinvolti, «Arte Contemporanea», questo il titolo del progetto enciclopedico, offre una raccolta ragionata del panorama artistico del XX e XXI secolo, spingendosi oltre una ricognizione fenomenologica dell’arte contemporanea e proponendo una catalogazione non solo degli artisti, ma anche di storici dell’arte, teorici, critici, curatori e di tutte le figure che hanno avuto e hanno un dialogo significativo con l’Arte. Accanto alle persone, l’enciclopedia presenta luoghi e contesti in cui si crea e si promuove l’arte, insieme ai principali movimenti e tecniche artistiche del nostro tempo.
L’opera raccoglie in una prospettiva ampia e inclusiva le componenti del sistema dell’arte dal 1900 al 2021. Ed è suddivisa in: «voci monografiche, che comprendono artisti singoli e gruppi, ma anche teorici, galleristi, collezionisti e mercanti, musei, mostre e riviste; voci tematiche, in cui sono annoverati movimenti e tendenze, temi e situazioni al confine con altre discipline, nonché città rilevanti nel dibattito artistico; voci-contenitore, che radunano in un unico lemma, esperienze, tecniche, tipologie espositive, gruppi legati a un’unica area geografica o tematica; voci interdisciplinari e transnazionali che riguardano diverse aree geografiche o tematiche».
L’enciclopedia presenta un progetto grafico innovativo curato da Polystudio e una ricca selezione di immagini e opere. In ogni volume è pubblicata un’opera d’arte inedita ispirata all’idea di enciclopedia, di alcune delle maggiori figure dell’arte contemporanea, chiamate a rappresentare uno specifico continente: Anish Kapoor l’Asia, William Kentridge l’Africa, Anselm Kiefer l’Europa e Joseph Kosuth l’America. A queste opere si aggiunge nel primo volume un portfolio di Shirin Neshat, artista che da sempre si muove tra mondi e linguaggi diversi.
Per maggiori informazioni: www.treccaniarte.com.
Allemandi pubblica il catalogo generale delle opere di Bernardino Luini
È stato presentato a Milano, negli spazi della Pinacoteca di Brera, la monografia di Cristina Quattrini dedicata a Bernardino Luini (Bernardino Scapi, Dumenza? circa 1482 – Milano 1532), pubblicata da Umberto Allemandi a fine 2019.
Molto amato dai collezionisti lombardi fra Cinquecento e Seicento ed eletto nel primo Seicento a esempio di pittura devota dal cardinale Federico Borromeo, l’artista incontra a partire dal XVII secolo una vicenda critica singolare. Fuori dalla Lombardia se ne perde il ricordo e molti suoi dipinti vengono attribuiti a Leonardo nelle più importanti raccolte d’Europa fino a che, alla fine del Settecento, Luigi Lanzi non gli restituisce un ruolo di primo piano nella sua Storia pittorica d’Italia (1795- 1796), conferendogli il titolo di «Raffaello lombardo». Durante l’Ottocento Bernardino Luini è celebrato pittore della grazia leonardesca, diventando una sorta di nazareno ante litteram. Mentre la sua fortuna nel Novecento risente in parte del giudizio negativo di Bernard Berenson.
Il volume di Cristina Quattrini, che è curatrice del settore dei dipinti piemontesi lombardi e dell’Italia centrale del Rinascimento della Pinacoteca di Brera a Milano, ricostruisce il percorso dell’artista alla luce degli studi sulla pittura lombarda e padana degli ultimi decenni, con novità sulla committenza e con il catalogo completo delle opere. La storia di Luini viene ripercorsa attraverso la narrazione dei pochi dipinti che rimandano a una formazione ancora oscura e a un soggiorno in Veneto, nel primo decennio del Cinquecento. Nel periodo successivo Bernardino si afferma fra i maggiori pittori di Milano. La sua attività si intreccia a quella di altri maestri, come Zenale e Bramantino, principali punti di riferimento per buona parte della sua attività, e a quella di leonardeschi di stretta osservanza.
Fra i suoi committenti milanesi vi sono cultori di studi sull’antico e sull’architettura, ambienti legati ai francesi presenti a Milano e portatori di istanze di riforma religiosa, e poi, negli anni Venti, anche fedeli degli Sforza tornati agli onori con la restaurazione dell’ultimo duca di Milano, Francesco II. Oltre a importanti cicli di affreschi - come quelli di San Maurizio al Monastero Maggiore a Milano, di Santa Maria dei Miracoli a a Saronno e di Santa Maria degli Angeli a Lugano - e di pale d’altare, Luini realizza un’imponente produzione di quadri a destinazione privata, che talvolta rielaborano in modo originale temi derivati da Leonardo e dalla sua cerchia.
«Io abitavo a Monte Mario e tutte le mattine in moto passavo da via Fani per arrivare in ufficio. Come al solito alle 8.30, io e Osvaldo Restali, maestro e socio, leggevamo i giornali e ascoltavamo la radio sintonizzata sulle onde corte della polizia. Illegale, ma di routine. A un certo punto sentiamo la voce trafelata di un agente e le parole confuse ‘sequestro di persona, via Fani’. Prendo la moto, la strada la conosco a memoria, arrivo sul posto insieme alla prima ambulanza. Saranno state le dieci meno un quarto, tutto era appena successo, un'apocalisse». Così Gianni Giansanti (Roma, 1956- Roma, 18 marzo 2009), uno tra i più apprezzati fotogiornalisti internazionali, ricordava in un'intervista di Laura Leonelli, pubblicata sul «Sole24Ore» il 1° marzo 2008, la genesi degli scatti che nel 1978 gli valsero, appena ventunenne, la menzione d’onore al World Press Photo. Quelle immagini, il primo documento del rapimento di Aldo Moro (Maglie, 23 settembre 1916-Roma, 9 maggio 1978) e dell'uccisione della sua scorta, sono in mostra fino al 13 maggio a Roma, alla Camera dei Deputati.
L’apertura della mostra è coincisa con il giorno in cui, nel 1978, il corpo del politico e accademico pugliese, leader della Democrazia cristiana, fu ritrovato all’interno della famosa Renault 4 rossa, in via Caetani a Roma, assassinato dopo cinquantacinque giorni di rapimento da parte delle Brigate Rosse. Anche questa scena, con la strada piena di agenti e la disperazione dei politici, viene consegnata all'opinione pubblica dal fotografo romano, protagonista con i suoi scatti dei successivi trent’anni di storia nazionale e internazionale, dalla strage di Bologna al disastro di Tesero, fino al lungo pontificato di Giovanni Paolo II.
Gianni Giansanti è sempre stato mosso nel suo lavoro dalla voglia di testimoniare «i momenti veri», semplicemente scattando secondo un raro istinto giornalistico. Lo si evince dalle sue stesse parole che arricchiscono il percorso della mostra romana, significativamente intitolata «Lì troverete una Renault 4 rossa»: «[...] la folla degli agenti -raccontava il fotografo a Laura Leonelli - si avvicina alla Renault e un poliziotto si gira e si mette una mano sulla faccia, disperato. Contemporaneamente, dalla televisione accesa nell'appartamento in cui mi trovavo, si sente un annuncio: ‘Ci arriva in questo istante la notizia che il corpo dell'onorevole Moro è stato ritrovato in via Caetani’. E io stavo là e allora era lui nella macchina. Dalla strada mi vede un poliziotto che mi punta la pistola e mi ordina di scendere e consegnargli i rulli. Mi ritiro dalla finestra e seguo la scena dal riflesso sul vetro. Con me ho una sola macchina e tre obiettivi, un 35, un 50 e soprattutto un 200. Sono l'unico ad averlo. Ma a quel punto a cacciarmi è il padrone di casa, spaventato. Esco e salgo sul tetto del palazzo. […] Mi sporgo, ma è troppo pericoloso. Scendo di corsa e nella confusione assoluta rientro nella casa di prima e il proprietario neanche se ne accorge. Metto il 200 ed è come essere a pochi centimetri dalla scena. Gli artificieri squarciano il portellone, scatto, lo aprono. Tolgo il rullo a colori e lo nascondo negli slip. Rimetto il bianco e nero». Quell’immagine a colori con il corpo di Aldo Moro privo di vita diventa storia. Una storia che, a quarantaquattro anni di distanza, presenta ancora tanti punti oscuri.
Per maggiori informazioni: www.camera.it.
Gianni Giansanti è sempre stato mosso nel suo lavoro dalla voglia di testimoniare «i momenti veri», semplicemente scattando secondo un raro istinto giornalistico. Lo si evince dalle sue stesse parole che arricchiscono il percorso della mostra romana, significativamente intitolata «Lì troverete una Renault 4 rossa»: «[...] la folla degli agenti -raccontava il fotografo a Laura Leonelli - si avvicina alla Renault e un poliziotto si gira e si mette una mano sulla faccia, disperato. Contemporaneamente, dalla televisione accesa nell'appartamento in cui mi trovavo, si sente un annuncio: ‘Ci arriva in questo istante la notizia che il corpo dell'onorevole Moro è stato ritrovato in via Caetani’. E io stavo là e allora era lui nella macchina. Dalla strada mi vede un poliziotto che mi punta la pistola e mi ordina di scendere e consegnargli i rulli. Mi ritiro dalla finestra e seguo la scena dal riflesso sul vetro. Con me ho una sola macchina e tre obiettivi, un 35, un 50 e soprattutto un 200. Sono l'unico ad averlo. Ma a quel punto a cacciarmi è il padrone di casa, spaventato. Esco e salgo sul tetto del palazzo. […] Mi sporgo, ma è troppo pericoloso. Scendo di corsa e nella confusione assoluta rientro nella casa di prima e il proprietario neanche se ne accorge. Metto il 200 ed è come essere a pochi centimetri dalla scena. Gli artificieri squarciano il portellone, scatto, lo aprono. Tolgo il rullo a colori e lo nascondo negli slip. Rimetto il bianco e nero». Quell’immagine a colori con il corpo di Aldo Moro privo di vita diventa storia. Una storia che, a quarantaquattro anni di distanza, presenta ancora tanti punti oscuri.
Per maggiori informazioni: www.camera.it.
«La Vergine col Bambino e santi»,
la lunetta di Luca Della Robbia
è tornata a Urbino
È da poco ritornata a Urbino, alla Galleria nazionale della Marche, la grande lunetta di Luca Della Robbia raffigurante la «Vergine col Bambino e i santi Domenico, Tommaso D’Aquino, Alberto Magno e Pietro martire», realizzata con ogni probabilità intorno al 1450. Dallo scorso 10 maggio, l’opera, restaurata dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, può essere nuovamente ammirata dal pubblico in tutta la sua straordinaria bellezza, nonostante l’ultima parte dell’intervento di ripristino si svolgerà proprio alla Galleria nazionale delle Marche, nella Sala della Jole.
La lunetta era stata commissionata da Maso di Bartolomeo per il portale della Chiesa di San Domenico di Urbino. E lì era rimasta fino all’inizio degli anni Ottanta del Novecento quando fu rimossa e ricoverata in Palazzo ducale «onde evitare l’aggravarsi irreparabile di uno stato di degrado», come si legge nell’analisi che proprio i tecnici dell’istituto di restauro fiorentino stilarono allora durante l’intervento che comprese vari ritocchi pittorici e integrazioni di materiali.
A distanza di quaranta anni, la lunetta robbiana ha avuto bisogno di nuove cure: se n’è fatta carico Laura Speranza, direttore del settore restauro materiali ceramici e plastici dell’Opificio, insieme al suo team: «Siamo intervenuti per evitare che lo smalto si staccasse dalla terracotta - afferma la restauratrice - e quindi abbiamo consolidato alcune parti. Inoltre abbiamo realizzato un intervento estetico sulle parti in terracotta, adesso stuccate in bianco utilizzando materiali naturali, come la polvere di marmo. In più abbiamo rimosso il vecchio supporto ligneo, troppo sensibile alle variazioni climatiche, sostituendolo con uno nuovo, rimovibile in qualsiasi momento, in resina e ‘aereolam’, materiale inerte di notevole garanzia».
In questi ultimi mesi, la Galleria nazionale delle Marche ha anche studiato un nuovo percorso di visita che sta portando, nell’anno in cui si festeggiano i sei secoli dalla nascita di Federico da Montefeltro, a un aumento del 75% del patrimonio fruibile dal pubblico. In totale stanno uscendo dai depositi per farsi ammirare dal pubblico 115 dipinti e 5 sculture, circa 150 maioliche di rara bellezza e una selezione di ceramiche. A tutto ciò si aggiungeranno, di volta in volta, 24 disegni (molti di Barocci e per lo più inediti) che verranno mostrati a rotazione per periodi al massimo di quattro mesi), oltre a due di grandi dimensioni che, proprio per questa natura, saranno permanenti: il «San Gennaro trascinato al martirio con i compagni Festo e Desiderio» e «Il trionfo di Sileno». Sei nuove sale al secondo piano hanno riaperto ai primi di aprile, il resto del riallestimento sarà visibile a partire dal prossimo 14 luglio.
Per informazioni: www.gallerianazionalemarche.it.
È da poco ritornata a Urbino, alla Galleria nazionale della Marche, la grande lunetta di Luca Della Robbia raffigurante la «Vergine col Bambino e i santi Domenico, Tommaso D’Aquino, Alberto Magno e Pietro martire», realizzata con ogni probabilità intorno al 1450. Dallo scorso 10 maggio, l’opera, restaurata dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, può essere nuovamente ammirata dal pubblico in tutta la sua straordinaria bellezza, nonostante l’ultima parte dell’intervento di ripristino si svolgerà proprio alla Galleria nazionale delle Marche, nella Sala della Jole.
La lunetta era stata commissionata da Maso di Bartolomeo per il portale della Chiesa di San Domenico di Urbino. E lì era rimasta fino all’inizio degli anni Ottanta del Novecento quando fu rimossa e ricoverata in Palazzo ducale «onde evitare l’aggravarsi irreparabile di uno stato di degrado», come si legge nell’analisi che proprio i tecnici dell’istituto di restauro fiorentino stilarono allora durante l’intervento che comprese vari ritocchi pittorici e integrazioni di materiali.
A distanza di quaranta anni, la lunetta robbiana ha avuto bisogno di nuove cure: se n’è fatta carico Laura Speranza, direttore del settore restauro materiali ceramici e plastici dell’Opificio, insieme al suo team: «Siamo intervenuti per evitare che lo smalto si staccasse dalla terracotta - afferma la restauratrice - e quindi abbiamo consolidato alcune parti. Inoltre abbiamo realizzato un intervento estetico sulle parti in terracotta, adesso stuccate in bianco utilizzando materiali naturali, come la polvere di marmo. In più abbiamo rimosso il vecchio supporto ligneo, troppo sensibile alle variazioni climatiche, sostituendolo con uno nuovo, rimovibile in qualsiasi momento, in resina e ‘aereolam’, materiale inerte di notevole garanzia».
In questi ultimi mesi, la Galleria nazionale delle Marche ha anche studiato un nuovo percorso di visita che sta portando, nell’anno in cui si festeggiano i sei secoli dalla nascita di Federico da Montefeltro, a un aumento del 75% del patrimonio fruibile dal pubblico. In totale stanno uscendo dai depositi per farsi ammirare dal pubblico 115 dipinti e 5 sculture, circa 150 maioliche di rara bellezza e una selezione di ceramiche. A tutto ciò si aggiungeranno, di volta in volta, 24 disegni (molti di Barocci e per lo più inediti) che verranno mostrati a rotazione per periodi al massimo di quattro mesi), oltre a due di grandi dimensioni che, proprio per questa natura, saranno permanenti: il «San Gennaro trascinato al martirio con i compagni Festo e Desiderio» e «Il trionfo di Sileno». Sei nuove sale al secondo piano hanno riaperto ai primi di aprile, il resto del riallestimento sarà visibile a partire dal prossimo 14 luglio.
Per informazioni: www.gallerianazionalemarche.it.
«Arte», una tela bianca e un’amicizia in crisi sul palco di Casa Fools
Si chiude all’insegna dell’arte il programma di «Futura», la stagione 2022 di Casa Fools – Teatro Vanchiglia a Torino, decisa insieme al pubblico scegliendo fra le oltre 300 proposte giunte da varie parti d’Italia.
Venerdì 13 e sabato 14 maggio i riflettori saranno puntati sulla compagnia Asterlizze, nucleo di attori e attrici la cui ricerca si concentra sulle connessioni tra artisti e pubblico per interrogarsi su temi attuali attraverso una contaminazione di linguaggi: drammaturgia, performance, arti visive, Nuovi media e partecipazione viva dello spettatore caratterizzano anche l’allestimento di «Arte», commedia brillante e ironica scritta da Yasmine Reza alla fine degli anni ‘80, interpretata da Mauro Bernardi, Alessandro Cassutti ed Elio D’Alessandro – autore anche delle musiche - , con la regia di Alba Porto.
Lo spettacolo si interroga sul valore dell’arte contemporanea e che ha come protagonisti tre amici di lunga data che incarnano tre differenti tipi umani: un dermatologo amante dell’arte, un ingegnere aeronautico e un rappresentante di articoli di cartoleria. L’acquisto da parte di uno dei tre di una tela bianca per duecentomila euro, si trasforma nel confronto fra le certezze e i punti di vista dei tre che si riveleranno estremamente differenti. Il testo, pungente e acuto, scandaglia con sarcasmo le relazioni umane e rivela come i rapporti più stretti possano rapidamente degenerare di fronte a un dissenso. Attraverso una riflessione sull'arte contemporanea, «Arte» pone interrogativi universali sulle dinamiche psicologiche ed emotive della natura umana quando si parla di amicizia fra uomini, fatta anche di egoismi, ipocrisie e falsità.
Il costo del biglietto varia dai 12 agli 8 euro. Per info e prenotazioni scrivere a prenotazioni@casafools.it o chiamare il numero +39.392.340.6259.
Per maggiori informazioni: www.casafools.it.
«Giuseppe Penone. Organica rinascita», a Milano il documentario sulla scultura «Indistinti confini» per il Bosco della Memoria di Bergamo
È stato presentato in settimana a Milano, al Museo nazionale scienza e tecnica «Leonardo da Vinci», il documentario «Giuseppe Penone. Organica rinascita», a cura della regista Valeria Parisi e di Gianluca Rapaccini, realizzato da 3D Produzioni con il contributo della Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti, per raccontare la genesi dell’installazione «Indistinti confini» realizzata nel Bosco della Memoria di Bergamo, nel Parco della Trucca, in ricordo delle vittime del Covid-19.
L’opera, creata per essere esposta a Versailles nel 2013 e oggi e posizionata nel 2022, simbolicamente, di fronte all’Ospedale Papa Giovanni XXIII, si compone di una scultura in marmo bianco di Carrara di grandi dimensioni - alta quasi 3 metri e dal peso di 25 tonnellate - al centro di una sorta di anfiteatro naturale composto da 80 betulle dell’Himalaya che richiamano la profonda connessione con la natura. Pensata come luogo di riflessione e di memoria, si inserisce nella poetica dell’artista che abbatte i confini tra il mondo umano, quello minerale e quello vegetale.
«Le venature scolpite nel marmo richiamano il sistema linfatico delle piante ma anche il sistema circolatorio umano, riferimento alla vita che scorre indistinta nel corpo del mondo e al profondo legame tra uomo e natura. La simbologia dell’installazione vuole certamente rimandare al ricordo delle vittime, ma è anche un inno alla vita, alla rinascita e alla speranza», spiega l’artista. «L’arte di Giuseppe Penone – racconta il critico Gianfranco Maraniello - non è una forma di rappresentazione, ma un gesto che ci invita a trovare continuità tra il fare umano e quello della natura, individua analogie tra i nostri corpi e l’universo del vegetale così come del minerale. È un’arte che è anche processo di conoscenza e, insieme, una disposizione etica, un modo di riconoscere la solidarietà di tutto ciò che costituisce il mondo».
Nell'arte di Giuseppe Penone ogni forma di vita ha tempi diversi di trasformazione ed ogni essere vivente è accomunato da un continuo fluire della vita. Proprio questo messaggio di uguaglianza tra esseri viventi è stato scelto per ricordare le vittime del Covid-19 a Bergamo.
Per maggiori informazioni: www.museoscienza.org.
Presentazione milanese e on-line per «Arte contemporanea», la nuova enciclopedia di Treccani
4 volumi, 435 autori, oltre 3600 voci e quasi 4000 immagini: sono questi i numeri della prima enciclopedia dedicata all’arte contemporanea a livello internazionale, pubblicata da Treccani. L’opera, che compone una accurata testimonianza delle maggiori esperienze artistiche del nostro tempo, è stata presentata in settimana a Milano, All’Armani/Silos e in streaming sui principali social della casa editrice (YouTube, Facebook e la piattaforma https://www.treccanix.it/).
All’incontro sono intervenuti Massimo Bray, direttore generale Treccani, con Valeria Della Valle e Vincenzo Trione, entrambi alla direzione scientifica dell’enciclopedia Treccani Arte Contemporanea, e con il filosofo Mauro Ceruti; ha moderato Cristina Faloci, autore di Rai Radio 3.
Con oltre 3.600 lemmi e 435 autori coinvolti, «Arte Contemporanea», questo il titolo del progetto enciclopedico, offre una raccolta ragionata del panorama artistico del XX e XXI secolo, spingendosi oltre una ricognizione fenomenologica dell’arte contemporanea e proponendo una catalogazione non solo degli artisti, ma anche di storici dell’arte, teorici, critici, curatori e di tutte le figure che hanno avuto e hanno un dialogo significativo con l’Arte. Accanto alle persone, l’enciclopedia presenta luoghi e contesti in cui si crea e si promuove l’arte, insieme ai principali movimenti e tecniche artistiche del nostro tempo.
L’opera raccoglie in una prospettiva ampia e inclusiva le componenti del sistema dell’arte dal 1900 al 2021. Ed è suddivisa in: «voci monografiche, che comprendono artisti singoli e gruppi, ma anche teorici, galleristi, collezionisti e mercanti, musei, mostre e riviste; voci tematiche, in cui sono annoverati movimenti e tendenze, temi e situazioni al confine con altre discipline, nonché città rilevanti nel dibattito artistico; voci-contenitore, che radunano in un unico lemma, esperienze, tecniche, tipologie espositive, gruppi legati a un’unica area geografica o tematica; voci interdisciplinari e transnazionali che riguardano diverse aree geografiche o tematiche».
L’enciclopedia presenta un progetto grafico innovativo curato da Polystudio e una ricca selezione di immagini e opere. In ogni volume è pubblicata un’opera d’arte inedita ispirata all’idea di enciclopedia, di alcune delle maggiori figure dell’arte contemporanea, chiamate a rappresentare uno specifico continente: Anish Kapoor l’Asia, William Kentridge l’Africa, Anselm Kiefer l’Europa e Joseph Kosuth l’America. A queste opere si aggiunge nel primo volume un portfolio di Shirin Neshat, artista che da sempre si muove tra mondi e linguaggi diversi.
Per maggiori informazioni: www.treccaniarte.com.
Allemandi pubblica il catalogo generale delle opere di Bernardino Luini
È stato presentato a Milano, negli spazi della Pinacoteca di Brera, la monografia di Cristina Quattrini dedicata a Bernardino Luini (Bernardino Scapi, Dumenza? circa 1482 – Milano 1532), pubblicata da Umberto Allemandi a fine 2019.
Molto amato dai collezionisti lombardi fra Cinquecento e Seicento ed eletto nel primo Seicento a esempio di pittura devota dal cardinale Federico Borromeo, l’artista incontra a partire dal XVII secolo una vicenda critica singolare. Fuori dalla Lombardia se ne perde il ricordo e molti suoi dipinti vengono attribuiti a Leonardo nelle più importanti raccolte d’Europa fino a che, alla fine del Settecento, Luigi Lanzi non gli restituisce un ruolo di primo piano nella sua Storia pittorica d’Italia (1795- 1796), conferendogli il titolo di «Raffaello lombardo». Durante l’Ottocento Bernardino Luini è celebrato pittore della grazia leonardesca, diventando una sorta di nazareno ante litteram. Mentre la sua fortuna nel Novecento risente in parte del giudizio negativo di Bernard Berenson.
Il volume di Cristina Quattrini, che è curatrice del settore dei dipinti piemontesi lombardi e dell’Italia centrale del Rinascimento della Pinacoteca di Brera a Milano, ricostruisce il percorso dell’artista alla luce degli studi sulla pittura lombarda e padana degli ultimi decenni, con novità sulla committenza e con il catalogo completo delle opere. La storia di Luini viene ripercorsa attraverso la narrazione dei pochi dipinti che rimandano a una formazione ancora oscura e a un soggiorno in Veneto, nel primo decennio del Cinquecento. Nel periodo successivo Bernardino si afferma fra i maggiori pittori di Milano. La sua attività si intreccia a quella di altri maestri, come Zenale e Bramantino, principali punti di riferimento per buona parte della sua attività, e a quella di leonardeschi di stretta osservanza.
Fra i suoi committenti milanesi vi sono cultori di studi sull’antico e sull’architettura, ambienti legati ai francesi presenti a Milano e portatori di istanze di riforma religiosa, e poi, negli anni Venti, anche fedeli degli Sforza tornati agli onori con la restaurazione dell’ultimo duca di Milano, Francesco II. Oltre a importanti cicli di affreschi - come quelli di San Maurizio al Monastero Maggiore a Milano, di Santa Maria dei Miracoli a a Saronno e di Santa Maria degli Angeli a Lugano - e di pale d’altare, Luini realizza un’imponente produzione di quadri a destinazione privata, che talvolta rielaborano in modo originale temi derivati da Leonardo e dalla sua cerchia.