Nella storia dell’arte, il disegno è anche un mezzo per fissare sulla carta, con uno stile rapido e asciutto, la memoria di ciò che si è visto durante un viaggio. È cioè una sorta di strumento di studio per comprendere proporzioni, volumi e rapporti delle opere dei grandi maestri del passato.
A questo «potente segno di comunicazione e di trasmissione del sapere» è dedicata la mostra «Capitale del disegno. Raffaello, Barocci, Cantarini, Lazzarini dalla Biblioteca Oliveriana per Pesaro 2024», a cura di Anna Cerboni Baiardi con Anna Maria Ambrosini Massari.
Nelle sale dei Musei civici di Palazzo Mosca, una quarantina di opere grafiche tracciano un percorso ideale alla scoperta di quegli artisti che, tra il XVI e il XVIII secolo, si sono avvicendati in quella porzione di territorio marchigiano più vicina alla Romagna: l’urbinate Federico Barocci (1533-1612), attivo per il duca Francesco Maria II della Rovere, insieme ai suoi valenti seguaci; i pesaresi Simone Cantarini (1612-1648), genio inquieto e innovativo, e Giovanni Andrea Lazzarini (1710-1801), protagonista del Settecento nella sua città natale e nelle Marche.
Tutti questi tre artisti si sono trovati a riflettere, in tempi e modi diversi, sull’opera del grande Raffaello Sanzio (1483-1520), che, nato a Urbino e chiamato da papa Giulio II a Roma, ha dato vita a opere ritenute così perfette da diventare modelli inesauribili per le generazioni future.
I lavori esposti provengono dalla collezione Viti Antaldi, conservata nella Biblioteca Oliveriana, nota nei secoli passati per il gran numero di autografi di Raffaello custoditi, che rappresentavano una parte significativa, seppure parziale, di quella che fu la raccolta personale di Timoteo Viti, allievo e collaboratore del pittore urbinate, e che oggi sono un vanto delle più prestigiose raccolte grafiche al mondo.
L’intero fondo, collezionato nell’Ottocento dal marchese Antaldo Antaldi e ceduto alla biblioteca pesarese nel 1922 dal nipote Ciro Antaldi Santinelli, consta di 803 fogli di provenienza prevalentemente marchigiana, emiliana e toscana e datati dalla fine del Quattrocento a tutto il Settecento.
Tra questi c’è l’unico autografo raffaellesco rimasto nella raccolta pervenuta alla Città di Pesaro, che raffigura una figura acefala sul recto e una figura maschile nuda sul verso. È un disegno piccolo, ma molto prezioso, perché è tra i pochi rimasti della produzione giovanile dell’artista. Si tratta di uno studio per la «Resurrezione» conservata al Museo d’arte di San Paolo del Brasile, realizzata dal pittore urbinate tra la fine del ‘400 e gli inizi del ‘500, dove sono evidenti gli influssi di Perugino e di Pinturicchio.
Il foglio, cuore pulsante della mostra pesarese, – spiega la curatrice Anna Cerboni Baiardi - «attesta l’idea che Raffaello sia stato un campione del disegno ancor prima che della pittura, considerato magister non ancora ventenne, attratto dallo studio dal vero e dalla ponderazione armoniosa come dimostra il nudo rappresentato su un lato del foglio. Dall’altra parte, lo studio del panneggio documenta tutta l’importanza che le pratiche disegnative hanno sempre avuto nell’attività di Raffaello, fin dagli esordi, in una corte, quella urbinate, tra le più ricche di esiti artistici nel panorama italiano».
Grazie ai sistemi multimediali, la mostra pesarese permette, inoltre, di scoprire parte del prezioso nucleo raffaellesco della Collezione Viti Antaldi, riportando virtualmente a casa anche i meravigliosi disegni oggi conservati all’Ashmolean Museum di Oxford. Attraverso questi esercizi grafici, dove si nota la linea sintetica di alcuni o la morbidezza chiaroscurale di altri, è possibile seguire le diverse fasi di progettazione delle opere, dai primi abbozzi al cartone preparatorio, ma anche comprendere lo svolgersi del pensiero di Raffaello, riconoscendo riferimenti e cambiamenti e perfino capendo il ruolo che il disegno poteva assumere nel dialogo con la bottega.
Attorno all’autografo raffaellesco si snoda un percorso espositivo fatto di opere grafiche di estrema delicatezza, che permette al visitatore – spiega ancora la curatrice - «di entrare nella dimensione più creativa dell’elaborazione artistica, di ammirare il valore sintetico di una linea o la morbidezza di un segno sfumato, di godere di un’immagine funzionale a un progetto o semplicemente di un esercizio di stile fine a se stesso».
In questo avvincente percorso espositivo, un’altra chicca da non perdere porta la firma di Federico Barocci ed è un foglio giovanile relativo alla decorazione del soffitto della prima stanza del Casino di Pio IV a Roma, dove l’artista lavorò tra il 1561 e il 1563 accanto a Federico Zuccari e a Santi di Tito.
«Questi disegni – spiega Anna Cerboni Baiardi - sono realizzati sul recto e sul verso di una carta cerulea e con almeno due tecniche: la pietra nera e l’inchiostro bruno utilizzato con la penna. Non tutte le immagini che compaiono nel recto sono presenti nel Casino, al quale si connettono solo le figure tracciate a penna. La mezza gamba destra in scorcio nel verso del foglio, con la pianta del piede in vista, trova riscontro in diverse prove giovanili dell’artista, che non ha mai affrontato un’opera pittorica senza valutare ogni minimo dettaglio attraverso la pratica disegnativa».
Di Federico Barocci sono esposti anche altri fogli che documentano come il pittore, sebbene abbia scelto di rimanere nella sua città natale, sia stato al centro della scena artistica italiana ed europea per quasi un secolo e si sia imposto tra i più richiesti autori di opere sacre della seconda metà del Cinquecento.
Insieme ai disegni sono esposti anche alcuni ritratti che vogliono evocare l’indagine introspettiva che i suoi allievi e i suoi seguaci si impegnarono a proseguire. Tra questi ci sono Antonio Cimatori detto «Visacci» (1550 ca.-1623), Antonio Viviani detto il Sordo (1560-1620) e il fedelissimo Ventura Mazza (1560-1638) da Cantiano che, morto il maestro, concluse alcune sue tele e proseguì l’attività di copista delle sue opere più celebri.
Il percorso espositivo prevede, poi, un focus su Simone Cantarini detto il Pesarese (1612-1648). Il ricco corpus di disegni documenta la grande facilità inventiva dell’artista, testimoniata in mostra da una serie di fogli diversi per tipologie: alcuni sono semplici schizzi a penna; altri, più rifiniti a pietra rossa, possono essere preparatori per opere pittoriche come la «Trasfigurazione di Cristo» della Pinacoteca Vaticana (1637). Insieme ai dipinti normalmente esposti nel museo marchigiano, vengono presentati per l’occasione la «Sacra Famiglia con santa Marta» delle raccolte di Intesa Sanpaolo, riferibile alla prima attività del Pesarese e ispirata a modelli barocceschi, e un’inedita «Adorazione dei Magi» di collezione privata.
Chiude il percorso espositivo una sezione dedicata al canonico Giovanni Andrea Lazzarini (1710-1801), principale artista pesarese del suo tempo, responsabile della creazione nella città marchigiana di una frequentata scuola d’arte. Cresciuto nel culto dell’antico e dei grandi maestri del classicismo seicentesco, ma soprattutto nel mito di Raffaello, il pittore usò più volte il disegno come strumento di lavoro, ora per studiare i modelli dell’antichità, ora per progettare e mettere a punto l’opera pittorica, ora per dialogare con i suoi collaboratori attraverso il linguaggio delle immagini. I fogli presentati in mostra raccontano tipologie grafiche diverse. Ci sono i primi pensieri per una delle opere della chiesa pesarese della Maddalena o per la pala di Gualdo (Forlì). E ci sono modelli definitivi ben più pittorici per la «Santa Illuminata» di Massa Martana (Perugia) e fogli di studio più disordinati per elaborare un «Riposo nella fuga in Egitto», tema che il pittore amò particolarmente. Lo «Studio per san Giuseppe da Copertino» documenta, infine, il progetto per un’opera un tempo nella chiesa di San Francesco a Pesaro, al momento dispersa.
È, dunque, un bell’omaggio alla forza espressiva e all’essenzialità del disegno, la dimensione più intima di un lavoro creativo, quello che mette in scena Pesaro nel suo anno da Capitale italiana della Cultura, raccontando l’eredità dell’urbinate Raffaello Sanzio tra gli artisti della sua terra natale, colpiti dall’arte, raffinata ed elegante, del «divin pittore», che rappresentò una vera e propria rivoluzione estetica e intellettuale per gli artisti dei secoli a venire.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Raffaello, Studio per il Cristo risorto (recto). Pietra nera e sfumino su carta, 216x90 mm. Pesaro, Biblioteca Oliveriana; [fig. 2] Raffaello, Studio per il Cristo risorto (verso). Pietra nera su carta, 216x90 mm. Pesaro, Biblioteca Oliveriana; [fig. 3] Federico Barocci, Studio di braccio per il Noli me tangere. Carboncino e tracce di pietra rossa, sfumino e gessetto su carta preparata, 300x438 mm.Pesaro, Biblioteca Oliveriana; [fog. 4] Federico Barocci
Studio con due teste di profilo e un braccio per l'Ultima cena. Carboncino e sfumino, tracce di pietra rossa e gessetto su carta preparata bruna, 212x281 mm. Pesaro, Biblioteca Oliveriana; [fig. 6] Federico Barocci, Studi di braccio e gamba per l'Ultima cena. Carboncino e sfumino, tracce di pietra rossa e gessetto su carta bruna, 280x192 mm. Pesaro, Biblioteca Oliveriana; [fig. 7] Simone Cantarini, Studio per una Pietà. Pietra rossa su carta, 285x256 mm. Pesaro, Biblioteca Oliveriana
Informazioni utili
Capitale del disegno. Raffaello, Barocci, Cantarini, Lazzarini dalla Biblioteca Oliveriana per Pesaro 2024. Palazzo Mosca – Musei Civici, piazzetta Mosca, 29 – Pesaro. Orari di apertura: martedì-domenica e festivi, ore 10-13 / 15.30-18.30. Biglietto: Ingresso con Card Pesaro Capitale: intero 14€; ridotto 8€ (gruppi min. 15 persone, studenti universitari, possessori di Card Pesaro Cult, gruppi accompagnati da guida turistica con patentino, convenzionati); omaggio minori di 18 anni, soci ICOM, giornalisti muniti di regolare tesserino, disabili e persona che li accompagna, studenti del Conservatorio Statale di Musica G. Rossini, possessori di Carta Famiglia del Comune di Pesaro. Per informazioni: tel. 0721 387541- info@pesaromusei.it - www.pesaromusei.it. Fino al 17 novembre 2024