ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 11 ottobre 2019

Peggy Guggenheim, le passioni artistiche dell’«ultima Dogaressa» di Venezia

Uno dei primi nomi che viene in mente quando si parla di donne e mecenatismo culturale è quello di Peggy Guggenheim (New York, 26 agosto 1898-Camposampiero, 23 dicembre 1979), la collezionista americana che aveva scelto Venezia come «luogo del cuore e dell’anima», stregata dal fascino di una città che, a suo dire, poteva rivaleggiare in bellezza solo «con il suo stesso riflesso al tramonto sul Canal Grande».
Era appena finita la Seconda guerra mondiale quando la fondatrice della galleria-museo newyorkese «Art of This Century» (1942-47), la culla dell’Espressionismo astratto americano, volava in Italia stabilendo la sua dimora a pochi passi dalla Chiesa di Santa Maria della Salute, a Palazzo Venier dei Leoni, oggi uno dei luoghi più iconici di quello straordinario percorso culturale soprannominato «il chilometro dell’arte», del quale fanno parte anche il Museo Vedova, la collezione Pinault a Punta Dogana, le Gallerie dell'Accademia e la Fondazione Cini con la sua sede cinquecentesca a San Vio.
Iniziava così, nel 1948, una storia d’amore intensa, di quelle che ti fanno dire che «nel cuore non resta più posto per altro».
Venezia aveva stregato Peggy Guggenheim che quello stesso anno era arrivata in Laguna con la sua collezione d’arte, grazie a una felice intuizione del pittore Giuseppe Santomaso e su invito di Rodolfo Pallucchini, per partecipare alla ventiquattresima edizione della Biennale, esponendo nel Padiglione della Grecia, Paese allora devastato dalla guerra civile, i nomi più rappresentativi dell’arte astratta e surrealista -Jean Arp, Costantin Brancusi, Alexander Calder, Max Ernst, Alberto Giacometti e Kazimir Malevich- e alcuni artisti americani -William Baziotes, Jackson Pollock, Mark Rothko, Arshile Gorky, Robert Motherwell e Clyfford Still-, mai presentati al di fuori degli Stati Uniti.
Stregata da quella città di cui amava le luci -le stesse che soggiogarono il pittore romantico William Turner- e la vena malinconica e decadente, quella che scopriva giorno dopo giorno perdendosi piacevolmente tra calli e campielli, Peggy Guggenheim decise di comprare nella città veneta una grande casa, dove vivere con i suoi «beloved babies», i suoi quattordici amati e inseparabili cani Lhasa Apsopuppy (terrier di razza tibetana), ora sepolti accanto a lei nel giardino di Palazzo Venier dei Leoni.
In quella dimora l’eccentrica e coraggiosa collezionista americana -per tutti «l’ultima Dogaressa» per quella sua aura di magnificenza che la vedeva girare per i canali su una gondola privata con un gondoliere de casada a sua disposizione- trascorse più di trent’anni della sua esistenza, rimanendovi fino alla morte, avvenuta il 23 dicembre del 1979, all'età di ottantuno anni.
Pochi mesi dopo, nella Pasqua del 1980, quella bella casa sul Canal Grande, passata nel frattempo alla gestione della Fondazione Solomon R. Guggenheim di New York, apriva ufficialmente le porte al grande pubblico diventando il museo più importante in Italia per l'arte europea e americana della prima metà del ventesimo secolo.
In occasione dei quarant’anni dalla morte e dei settant’anni dal trasferimento in Laguna, una mostra, per la curatela di Karole P. B. Vail -attuale direttrice della Collezione Guggenheim, nonché nipote di Peggy- e di Gražina Subelytė, ripercorre la storia della collezionista americana a Venezia attraverso una sessantina di opere, tra dipinti, sculture e lavori su carta, da «L’impero della luci» («L’Empire des lumières») di René Magritte allo «Studio per scimpanzè» («Study for Chimpanzee») di Francis Bacon, da «Autunno a Courgeron» («L'Automne à Courgeron») di René Brô a «Serendipity 2» di Gwyther Irwin.
Sala dopo sala, Palazzo Venier dei Leoni permette così ai visitatori di rivivere il mito di Peggy Guggeheim, icona di stile per i suoi occhiali dalle forme bizzarre, i suoi grandi cappelli e i suoi gioielli-capolavoro che farebbero invidia a una qualsiasi maison di moda, ma soprattutto donna capace di incidere con una straordinaria stagione di mostre e di eventi sulla vita culturale di Venezia.
È il settembre del 1949 quando la collezionista apre per la prima volta le porte di casa sua o meglio del suo giardino -quel luogo, a suo stesso dire, «dove la vita non è normale perché tutto e tutti galleggiano e dove i riflessi sono più belli di quelli dei grandi artisti»- a curiosi e amanti delle Avanguardie novecentesche.
L’occasione è una mostra di scultura contemporanea, nella quale Peggy Guggenheim espone i lavori di venti artisti da lei molto amati o selezionati dal critico d’arte e articolista Giuseppe Marchiori, passato alla storia come il fondatore del Fronte nuovo delle arti, movimento a cui parteciparono, fra gli altri, Emilio Vedova, Giuseppe Santomaso, Renato Guttuso ed Ennio Morlotti.
«Testa e conchiglia» («Tête et coquille») di Jean Arp, «Uccello nello spazio» («L'Oiseau dans l'Espace») di Constantin Brancusi e «Piazza» di Alberto Giacometti sono le tre opere che Karole P. B. Vail ha scelto per raccontare quella prima mostra veneziana di Peggy Guggenheim, nella quale viene esposto anche il bozzetto in gesso della scultura equestre «L’angelo della città» (1948) di Marino Marini, la cui versione in bronzo, di fusione successiva alla mostra del 1949, campeggia oggi sulla terrazza del palazzo prospiciente il Canal Grande.
Tra le prime rassegna della ricca collezionista americana in Laguna viene, inoltre, ricordata lungo il percorso espositivo a Palazzo Venier dei Leoni quella dedicata, nell’estate del 1950, a Jackson Pollock. Nell’Ala napoleonica del Museo Correr arrivano ventitré opere dell’artista, alla sua prima personale fuori dai confini americani. Ci sono anche dieci dipinti a colatura e quel linguaggio astratto, assolutamente inedito per l’Italia, lascia sgomento il pubblico, la critica e i tanti artisti nostrani che accorrono a Venezia alla ricerca di novità. Tra le opere in mostra, allora e oggi, ci sono due capisaldi come «Foresta incantata» («Enchanted Forest») e «Alchimia» («Alchemy»), un lavoro che è stato recentemente oggetto di restauro facendo emergere un progetto di lavoro razionale nella stesura dei colori, un sistema di contrappunti e simmetrie, in cui le linee rette si bilanciano con quelle curve, i colori brillanti con i colori opachi, il nero con l’argento, il blu con il rosso.
Fresca di restauro da parte dell’Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di Restauro di Firenze è anche «Scatola in una valigia» («Boîte-en-Valise»), realizzata da Marcel Duchamp nel 1941. Raramente visibile al grande pubblico per la sua delicatezza, cosa che rende ancora più preziosa la mostra a Palazzo Venier dei Leoni, il lavoro, pensato proprio per la collezionista americana, è il primo di un’edizione deluxe di venti valigette da viaggio di Louis Vuitton, che raccolgono ciascuna sessantanove riproduzioni e miniaturizzazioni di celebri lavori del poliedrico e dissacrante artista francese.
Ad affiancare i grandi maestri dell’Espressionismo astratto, ci sono in mostra anche due donne artiste, testimonianza del sostegno che la collezionista non fece mai mancare alle figure femminili dell’arte, in quegli anni meno considerate dal mercato rispetto ai colleghi maschi. Si tratta di Grace Hartigan e Irene Rice Pereira. Della prima è visibile «Irlanda», le cui tonalità terrose alludano all’ambiente urbano di Dublino, dove si trova la dimora d’origine dell’artista. Della seconda è esposta «Riflessi», una composizione in vetro e tecnica mista.
La mostra veneziana prende, poi, in esame il sostegno che la mecenate americana offrì agli artisti italiani attivi dalla fine degli anni Quaranta e, nelle ultime sale, il suo interesse per la pittura e la scultura inglese degli anni Cinquanta e Sessanta, per l’Arte optical e cinetica degli anni Sessanta, e per il gruppo CoBrA. Ecco così scorrere lungo le pareti lavori come la tempera d’uovo su tela «Immagine del tempo» («Sbarramento») di Emilio Vedova, «Composizione» di Tancredi Parmeggiani, artista per cui Peggy Guggenheim organizza una mostra nel 1954, e l’olio su sabbia «Avvenimento #247» di Edmondo Bacci, pittore veneziano a cui viene dedicata un’intera sala alla Biennale del 1958, con catalogo introdotto da una prefazione della stessa collezionista. E poi, ancora, si possono ammirare, procedendo per exempla, «Sopra il bianco» («Above the White») di Kenzo Okada, «Deriva No 2» di Tomonori Toyofuku e «Il tamburino d'oro n. 2» («The Golden Drummer Boy No. 2») dell’inglese Alan Davie.
A Palazzo Venier dei Leoni sono, inoltre, eccezionalmente esposti per la prima volta al pubblico una serie di scrapbooks: preziosi album in cui la collezionista raccolse meticolosamente articoli di giornali, fotografie e lettere, grazie ai quali è possibile scoprire episodi inediti della sua vita di appassionata filantropa. Tra i tanti pezzi giornalistici c’è ne è uno scritto per «L’Europeo» dalla penna graffiante di Camilla Cederna: «Venezia sopravviverà alla signora Guggenheim. La moda dell’arte suprematista passerà come le altre». Non è stato così. Il mito di Peggy resiste al tempo, le opere della sua collezione entrano nei manuali di storia dell’arte. Chapeau! 

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Peggy Guggenheim in gondola, Venezia, 1968. Photo Tony Vaccaro / Tony Vaccaro Archives; [fig. 2] Peggy Guggenheim seduta sul trono nel giardino di Palazzo Venier dei Leoni, Venezia, anni Sessanta. Photo Roloff Beny / courtesy of Archives and National Archives of Canada; [fig.3] Kenzo Okada, «Sopra il bianco», 1960; olio su tela, 127,3 x 96,7 cm; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim); [fig. 4] Francis Bacon, «Studio per scimpanzé», marzo 1957; olio e pastello su tela, 152,4 x 117 cm; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim. © The Estate of Francis Bacon. All rights reserved, by SIAE 2019; [fig. 5] René Magritte, «L’impero della luce» (L’Empire des lumières), 1953–54; olio su tela, 195,4 x 131,2 cm; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim. © René Magritte, by SIAE 2019; [fig. 6] Emilio Vedova, «Immagine del tempo (Sbarramento)», 1951; tempera d’uovo su tela, 130,5 x 170,4 cm; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim. © Fondazione Emilio e Annabianca Vedova

Informazioni utili
Peggy Guggenheim. L'ultima dogaressa. Collezione Peggy Guggenheim, Dorsoduro 701 - Venezia. Orari: mercoledì-lunedì, dalle ore 10.00 alle ore 18.00 | La biglietteria chiude alle ore 17.30 | Il museo è chiuso tutti i martedì e il 25 dicembre. Ingresso: intero € 15,00, ridotto (incluso senior oltre i 65 anni) € 13,00, ridotto (Incluso studenti fino a 26 anni) € 9,00, gratuito per bambini fino a 10 anni, soci. Informazioni: tel. 041.2405440/419, info@guggenheim-venice.it. Sito internet: www.guggenheim-venice.it. Fino al 27 gennaio 2020

giovedì 10 ottobre 2019

Alda Merini e Alberto Casiraghy, storia di un'amicizia tra versi e disegni

Racconta uno speciale sodalizio intellettuale e umano, legato a doppio filo dall’amore per i libri e l’arte, la mostra allestita alla Casa Museo Boschi Di Stefano a Milano, per la curatela del librario antiquario Andrea Tomasetig.
Protagonisti di questo racconto, allestito al piano nobile del museo, sono la poetessa Alda Merini, di cui il prossimo 1° novembre ricorrono i dieci anni dalla morte, e il tipografo-poeta-artista-editore brianzolo Alberto Casiraghy, instancabile sperimentatore nel campo della grafica e della tipografia, conosciuto nel mondo per aver pubblicato usando la stampa a mano con caratteri mobili, la pregiata carta hahnemuhle prodotta in Germania e cordicelle per tenere insieme i vari fogli.
Del legame tra i due artisti resta una grande testimonianza in quei librini editi in poche preziose copie, tra le quindici e le trentatré ciascuno, confluiti nel catalogo della casa editrice Pulcinoelefante di Osnago, nel Lecchese.
Si tratta di millecentoottantanove volumetti, prodotti in un arco di tempo che va dal 1992 al 2009, per i quali Alda Merini ha scritto aforismi o brevi poesie e che Alberto Casiraghy ha dato alle stampe, spesso creando appositamente anche un’opera grafica.
Di quel prezioso insieme di librini ne sono stati selezionati per la mostra -che vede tra i promotori l’assessorato alla Cultura del Comune di Milano e il teatro Elfo Puccini- oltre un centinaio.
Documenti, fotografie e oggetti che raccontano l’anima estrosa della poetessa come una statuetta di Biancaneve, un mazzo di rose di plastica con la rugiada e una collana portafortuna di peperoncini vanno a completare il percorso espositivo, il cui originale allestimento è firmato da Cristiana Vannini.
L’architetto e designer, toscana di nascita e milanese di adozione, ha creato, nelle sale della quadreria al secondo piano, un’ambientazione molto suggestiva, che vede i librini gremire i ripiani in ordine sparso, legati tra loro da una sottile trama di fili elastici, una sorta di gabbia concettuale da cui emerge la forza della libertà poetica e artistica di Alda Merini e Alberto Casiraghy.
La mostra, significativa nelle dimensioni e intensa nel contenuto, si articola in sei sezioni: «Poesie», «Aforismi», «Alda e Alberto», «Il mondo di Alda», «Amici artisti», «Cimeli». Sono sei tappe di un viaggio che racconta come due persone diverse caratterialmente -lei audace e psichicamente instabile, lui riservato ed elitario-, possano dar vita a qualcosa di unico e inestimabile quando ad unirli è il fuoco di una grande passione per «la gioia del bello» e la scrittura.
Sono nati così piccoli capolavori editoriali, che sembrano giochi tra persone di cultura, quella vera, e che oggi sono pezzi da collezione.
Camminando nel museo milanese, sembra quasi di vederla Alda Merini che prende in mano il suo telefono e chiama, anche più di una volta al giorno, l’amico Alberto per dettargli le sue poesie, opere brevi per necessità tipografiche, che spiccano per la loro potenza lirica e rimandano alla poesia greca, in un universo fatto di spiritualità e carnalità, di fame d’amore intessuta di ricordi e dolore.
Non meno affascinanti sono gli aforismi della scrittrice: anticonvenzionali, dissacranti, estremi, i cui temi spaziano dalla follia alla poesia, dall’eros alla vita e alla morte.
Alda Merini ne scrive due o tre per volumetto e Alberto Casiraghy li rende ancora più preziosi con i suoi contrappunti grafici, tra surrealismo e magiche astrazioni.
Ma la scrittrice vede in campo per le sue opere anche tanti altri artisti: da Ugo Nespolo a Sergio Dangelo, da Lucio Del Pezzo a Mario De Biasi, solo per citarne alcuni.
Non meno interessante è il rapporto della poetessa -documentato in mostra- con molti intellettuali del tempo come Dario Fo, Enrico Baj e Bruno Munari, ma anche Vincenzo Mollica, Giorgio Gaber, Roberto Vecchioni e Fabrizio De André, senza dimenticare Vanni Scheiwiller, alla cui memoria la Merini dedica più di un librino.
All’interno di un’amicizia durata oltre vent’anni non potevano mancare poesie e aforismi per Alberto Casiraghy. Sono testi affettuosi, complici, ironici, che vanno dalla consapevolezza di un’affinità elettiva fino all’autoironia estrema con quel «per il matto di Osnago darei la mia follia», che fa sorridere e pensare. È giocosa anche la fotografia del bibliofilo Giorgio Matticchio, che ritrae i due artisti insieme e che ne racconta la grande complicità, quella che porta la Merini a citare l’amico nel suo testamento: «Ad Alberto Casiraghy delego la chiusura della mia tomba».
La mostra, che prevede anche la presentazione del catalogo delle edizioni Merini-Casiraghy in edizione limitata, offre, inoltre, l’occasione per presentare l’archivio delle oltre diecimila edizioni Pulcinoelefante.
«Non finisce di stupire -raccontano gli organizzatori- l’elenco degli autori e degli artisti coinvolti e il felice stato di grazia che assiste l’editore brianzolo da quasi quarant’anni con continue invenzioni grafiche e tipografiche, che fanno di lui, nella molteplice veste di tipografo-grafico-autore-editore-pedagogo, l’erede più vicino di Bruno Munari».
Riflettere sull’ampio catalogo Pulcinoelefante, in cerca di una casa definitiva, fa dire che aveva proprio ragione Vanni Scheiwiller a definire quei libretti dalla linea inconfondibile «miniedizioni per libridinosi» o «ghiottonerie per spiriti liberi». Liberi come Alda Merini, espressione di quel coraggio tutto femminile di rimanere sempre se stesse nonostante tutto e tutti. Liberi come Alberto Casiraghy, che ha fatto proprio, anche a costo di sacrifici, un consiglio greco: fai fiorire la tua areté, la tua virtù, «diventa ciò che sei».

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Alda Merini e Alberto Casiraghy. © Matticchio; [fig. 2] Alda Merini, «Breve storia del Pulcinoelefante», 1994. Con un’opera di Alberto Casiraghy. Copertina librino; [fig. 3] Alda Merini, «Il Paradiso», 2004. Con un disegno di Arnoldo Mosca Mondadori. Dettaglio; [fig. 4] Alda Merini, «Aforismi per matti», 2001. Con un disegno di Jgor Ravel (pseudonimo di Alberto Casiraghy). Copertina librino; [fig. 5] Alda Merini, «Parole», 2007. Grafica di Luigi Mariani 

Informazioni utili 
Alda Merini e Alberto Casiraghy. Storia di un’amicizia. Casa Museo Boschi Di Stefano, Via Giorgio Jan 15 – Milano. Orari martedì-domenica, ore 10.00-18.00; lunedì chiuso. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 02.88463736, c.casaboschi@comune.milano.it. Uffici stampa: info@irmabianchi.it ed elenamaria.conenna@comune.milano.it. Fino al 10 novembre 2019.

mercoledì 9 ottobre 2019

Giornate Fai d’autunno, dall’«ermo colle» di Leopardi al borgo umbro di Macerino: settecento luoghi da visitare

Aveva ventun’anni Giacomo Leopardi quando a Recanati, nelle Marche, scriveva i versi immortali della sua poesia più conosciuta: «L’Infinito». Da allora sono trascorsi duecento anni e l’«ermo colle», decantato dallo scrittore, è da poco diventato uno dei luoghi italiani tutelati dal Fai – Fondo per l’ambiente italiano.
L’inaugurazione -raccontano dalla fondazione- «ci ha guidato in una necessaria, profonda messa a fuoco di quale fosse lo stato d’animo del giovane poeta su quel colle, in quell’orto, nella profonda riflessione del suo rapporto con l’infinito: lo stesso stato d’animo che alberga nei giovani d’oggi, che con la medesima speranza volgono lo sguardo a un futuro che sognano migliore, affidandosi come Leopardi all’immaginazione, attimo perfetto di abbandono e felicità, che si trasforma nel motore propulsivo dell’agire energico ed entusiasta delle nuove generazioni».
Da questa considerazione è nata l’idea di dedicare proprio allo scrittore recanatese l’ottava edizione delle Giornate Fai d’autunno, in programma sabato 12 e domenica 13 ottobre, che vedono proprio nei giovani, iscritti al fondo o aspiranti ciceroni delle scuole di ogni ordine e grado, il loro cuore pulsante.
Tre sono i luoghi leopardiani aperti per questa due giorni di cultura, che da sempre attira un gran numero di persone: l’orto sul colle dell’Infinito, il Parco Vergiliano a Napoli, dove le spoglie del poeta sono state traslate nel 1939 dalla Chiesa di San Vitale a Fuorigrotta, e la Chiesa di sant’Onofrio al Gianicolo a Roma, con la tomba di Torquato Tasso che Giacomo Leopardi considerava tra gli italiani più eloquenti e sulla quale pianse le sue lacrime più profonde.
Ma l’omaggio leopardiano è solo un piccolo frammento del ben più articolato programma delle Giornate Fai d’autunno, che permetteranno di vedere oltre settecento luoghi in tutta Italia, distribuiti in duecentosessanta città e con più di centoquaranta percorsi tematici organizzati. Si tratta di palazzi, chiese, castelli, aree archeologiche, giardini, architetture industriali, bunker e rifugi antiaerei, botteghe artigiane, musei e interi borghi, selezionati -raccontano dall’ente- «perché speciali, curiosi, originali o bellissimi».
«Ricordati di salvare l’Italia» è il tema scelto per questa edizione, come al solito accompagnata da una raccolta fondi, che prevede un contributo facoltativo dai 2,00 ai 5,00 euro per ogni visita, un sms o una telefonata solidale al numero 45584, e la possibilità di abbonarsi per un anno al Fai con una quota agevolata di 29,00 euro.
Ma lo slogan «Ricordati di salvare l’Italia» diventa, in questa edizione, anche un invito a focalizzare l’attenzione sull’emergenza climatica che stiamo vivendo.
Dopo aver aperto, dal 1975 a oggi, trentuno beni e mentre ne sta restaurando altri dodici, anche grazie al contributo dei suoi 190mila iscritti, il Fai punta, infatti, a una nuova sfida. «In un momento storico in cui l’impegno a favore della sostenibilità ambientale e dello sviluppo di una coscienza ecologica è cruciale, il nostro scopo -raccontano ancora dalla fondazione- è duplice: da un lato ci prefiggiamo di ridurre ancora di più le emissioni di CO² dei nostri siti; dall’altro intendiamo mettere a punto un progetto didattico per comunicare ai visitatori le azioni virtuose e ripetibili messe in atto nei beni. Favorendo l’implementazione di tecnologie all’avanguardia e contribuendo alla sensibilizzazione verso questi temi è possibile investire nel futuro dell’arte, della cultura e del paesaggio di questo Paese, che deve proiettarsi in avanti nel rispetto dell’ambiente».
Ma quali sono i luoghi che sarà possibile visitare in questa edizione? Partendo dal cuore d’Italia, a Roma si apriranno le porte del «Palazzaccio», oggi sede della Corte di Cassazione, un edificio in travertino, disegnato dall’architetto Guglielmo Calderini tra il 1888 e il 1910, che si ispira a motivi cinquecenteschi e barocchi, sul cui portone centrale si trova un’opera di Enrico Quattrini: «La Giustizia tra la Forza e la Legge».
La visita del palazzo, solitamente non accessibile se non in occasione dei processi giudiziari, permetterà di scoprire, tra gli altri spazi, le aule penali al secondo piano, l’Aula Magna con pregevoli affreschi di Cesare Maccari e del suo allievo Paride Pascucci sulla storia del diritto romano, l’aula ordinaria, lo studio del Primo presidente della Corte suprema di Cassazione, il cortile d’onore, ad arcate, e la biblioteca.
Sempre nella capitale si potranno vedere il Museo storico dell’Arma dei Carabinieri, e la Caserma dei Corazzieri del Quirinale, sede della guardia d’onore e di sicurezza del Presidente della Repubblica, ospitata in una parte del complesso monastico annesso alla Chiesa di Santa Susanna. Non meno gradita sarà l’apertura straordinaria dell’Avvocatura dello Stato, all’interno dell’ex convento di Sant’Agostino, ristrutturato su progetto di Luigi Vanvitelli a metà del XVIII secolo, che conserva la Biblioteca Angelica con circa centoventimila volumi antichi.
A Milano saranno a disposizione dei visitatori il Rifugio antiaereo di via Spaventa, edificato nel 1940 per offrire riparo ai dipendenti pubblici del servizio idrico cittadino in caso di attacco bellico aereo, e la Casa degli artisti, bell’edificio di impianto razionalista fresco di restauri. Immancabile sarà anche una visita all’headquarter della società immobiliare Coima, nell’edificio ecosostenibile progettato da Mario Cucinella e inaugurato nel 2017, con l’adiacente Biblioteca degli alberi, il terzo parco pubblico della città, disegnato dallo studio olandese Inside Outside | Petra Blaisse e realizzato nell’ambito del progetto urbanistico di Porta Nuova.
Nel Napoletano si potrà entrare nel Real sito di Portici, un gioiello architettonico affacciato sul mare e realizzato a metà Settecento per volere di Carlo di Borbone e della moglie Maria Amalia di Sassonia, che, dopo il trasferimento nella Reggia di Caserta, fu trasformato in residenza estiva e di caccia. La dimora - oggi sede della Facoltà di agraria dell’Università di Napoli Federico II e dei Musei delle Scienze agrarie- comprende due parchi, progettati da Francesco Geri, che vanno dalla costa alle pendici del Vesuvio.
Venezia, invece, attirerà i turisti con l’apertura straordinaria del cinquecentesco Palazzo Dolfin Manin dell’architetto Jacopo Sansovino, edificio affacciato sul Canal Grande, a pochi passi dal Ponte di Rialto, solitamente inaccessibile perché sede della Banca d’Italia.
A Novi Ligure sarà possibile entrare nell’ottocentesco teatro Romualdo Marenco, che, dopo cinquant’anni di chiusura e dopo i restauri, apre in anteprima grazie all’impegno dei giovani del Fai. La platea – progettata da Giuseppe Becchi con l’approvazione del collega Luigi Canonica, massimo esperto di architettura teatrale dell’epoca – ricalca il modello ottocentesco di teatro all’italiana ed è caratterizzata dalla forma a ferro di cavallo e da un alveare di palchi, aperti sulla sala e disposti su diversi piani lungo tre pareti, mentre la quarta è occupata dall’arco di boccascena. La soluzione progettuale affermò la separazione dei ceti sociali con i palchetti riservati alla vecchia aristocrazia e alla borghesia nascente, la platea per la classe meno abbiente e il loggione per il popolo. Tra le particolarità, si segnalano le barcacce, i palchetti a lato del palcoscenico che furono progettati in modo che potessero essere chiusi da pannelli in legno decorati e mobili per consentire ai proprietari di assistere allo spettacolo senza essere visti. Alle decorazioni lavorarono artisti di area genovese come Giovanni Battista Cevasco (1817-1891), che ha scolpito la testa di giano sulla porta d’accesso alla platea, le cariatidi del palco reale e i decori nel boccascena.
In Umbria si apriranno le porte di Macerino, un borgo collinare di origine romana, che nell’XI secolo era capitale delle terre Arnolfe, al centro del territorio dei monti Martani, sulla strada di comunicazione tra Acquasparta e Spoleto. Le Giornate Fai d’autunno permetteranno così un’immersione nel Medioevo, tra le case e le vie di un paese ormai praticamente disabitato nei mesi invernali che vive di un turismo estivo di provenienza perlopiù inglese e danese. Circondato da mura, ancora ben conservate, con quattro torri angolari, il borgo ha edifici di grande pregio come Palazzo Massarucci, la Pieve di San Biagio e la Chiesa di San Giovenale, con con affreschi del XVII secolo e un «San Francesco in estasi» di scuola umbra (XIII secolo).
Mentre a Prato sarà aperta la fabbrica tessile Lucchesi, che custodisce al suo interno le mura trecentesche della città; a Padova la Fabbrica Fratelli Ruffatti, che dal 1940 produce organi a canne esportati in tutto il mondo e che sarà visitabile eccezionalmente con l’accompagnamento dei proprietari.
Ma gli itinerari suggeriti dal Fai per questo fine settimana d’autunno sono ancora tanti e possono essere scoperti sul sito internet www.giornatefai.it.
La cura del colle di Giacomo Leopardi, l’attenzione all’ecosostenibilità, l’impegno ambientale con la relativa preoccupazione per la finitezza delle risorse disponibili sul pianeta, la difesa di borghi che vanno verso lo spopolamento e la tutela dei beni artistici del nostro Paese sono, dunque, i tanti fili rossi di una manifestazione all’insegna della bellezza, artistica e naturale: un atto d’amore per il nostro territorio e e un modo per esercitare il proprio ruolo di cittadini attivi.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Milano, COIMA Headquarter © COIMA; [fig. 2] Portici (NA), Reggia - Foto di Eliano Imperato © FAI - Fondo Ambiente Italiano; [fig. 3] Roma, Biblioteca Angelica - Foto Giovanni Formosa ©FAI; [fig. 4] Roma, Palazzaccio - Foto Giovanni Formosa ©FAI; [fig. 5] Santa Teresa di Gallura, Faro di Capo Testa © Marina Militare; [fig. 6] Venezia, Palazzo Dolfin Manin © FAI - Fondo Ambiente Italiano; [fig. 7] Cosenza, BoCs Art - Foto di Salvatore Paravati © FAI - Fondo Ambiente Italiano 

Informazioni utili 
www.giornatefai.it | www.fondoambiente.it | tel. 02.467615399

martedì 8 ottobre 2019

Marco Goldin racconta a teatro «La grande storia dell’Impressionismo»

Da oltre dieci anni regala la sua conoscenza di storico dell’arte ai frequentatori dei principali teatri italiani, dal Regio di Torino al Carcano di Milano, dal Comunale di Bologna al Grande di Brescia, dal Donizetti di Bergamo al Filarmonico di Verona. Tutto nacque nel 2005 per introdurre, in modo fortemente emotivo e poetico, una delle grandi mostre da lui curate sull’Impressionismo: «Lontano dal mondo», un omaggio alla coppia artistica formata da Paul Gauguin e Vincent Van Gogh.
Da allora Marco Goldin (Treviso, 1961), curatore di oltre quattrocento rassegne, che è riuscito negli anni a portare nei musei italiani oltre undici milioni di persone, non ha più lasciato il palcoscenico.
La scorsa stagione il critico veneto -che con le sue mostre ha trasformato la vita culturale di molte città italiane, da Treviso a Brescia, da Torino a Vicenza- ha deciso di fare un ulteriore passo in avanti. Ha sospeso momentaneamente le attività espositive della sua società, Linea d’ombra, e ha scritto uno spettacolo autonomo, svincolato dalla promozione di un evento artistico e capace di raccontare a 360° una pagina della storia dell’arte da lui molto amata. È nato così «La grande storia dell’impressionismo», evento promosso con International Music and Arts, che mette in scena l’incanto della pittura da Claude Monet a Vincent Van Gogh, nomi che, come una calamita, attraggono da sempre il grande pubblico.
Lo spettacolo -che ha debuttato con successo la passata stagione a Salsomaggiore per toccare, poi, piazze come Milano, Bologna e Firenze- è pronto per tornare nelle sale italiane. Le prime sei date in cartellone avranno per scenario l’Auditorium Santa Chiara di Trento (24 novembre), il teatro Verdi di Gorizia (28 novembre), il Politeama Rossetti di Trieste (2 dicembre), il teatro Display di Brescia (5 dicembre), il Corso di Mestre (7 dicembre) e il Politeama di Genova (10 dicembre).
Spesso criticato per aver trascurato il lato storico e scientifico in favore della trepidazione e del batticuore (e per aver creato mostre blockbuster, che gli hanno valso anche il soprannome di «re del turistificio»), Marco Goldin volta, dunque, pagina e sperimenta in un altro modo il suo bisogno di raccontare quelle emozioni che nascono dalle immagini della pittura, cartina di tornasole dei nostri sogni, dei nostri ricordi, delle nostre attese, ovvero della nostra vita e di ciò che si muove nella nostra anima.
Il suo modo di descrivere l’arte fatto di poesia, emozione e conoscenza non guarda, quindi, più al teatro come a un espediente per preparare lo spettatore all’incontro fisico con il quadro. Le immagini scorrono davanti agli occhi di chi è seduto in platea, grazie al lavoro dei videomaker Fabio Massimo Iaquone e Luca Attilii, ma è la parola, mai banale e sempre coinvolgente, nonché di estrema comprensibilità, la vera protagonista dello spettacolo.
Il pubblico si ritrova così catapultato nella Francia degli ultimi decenni dell’Ottocento, scoprendo fatti, personaggi, quadri e luoghi di una stagione che, a partire dagli anni Sessanta, ha fatto dell’elogio della natura e della pittura en plein air la sua cifra stilistica.
Protagonista del racconto è anche la musica composta da Remo Anzovino (Pordenone, 1976), uno dei principali esponenti della scena contemporanea, premiato nel 2019 con il Nastro d’argento per i film-evento della serie «La grande arte al cinema»: «Hitler contro Picasso e gli altri. L’ossessione nazista per l’arte», «Van Gogh. Tra il grano e il cielo», «Le Ninfee di Monet» e «Gauguin a Tahiti. Il paradiso perduto».
Il musicista friulano è sul palco con Marco Goldin in tutte le repliche, eseguendo dal vivo, al pianoforte, le sue composizioni.
Per quanto riguarda la scenografia, fatta da sessanta metri quadrati di led wall, lo spettacolo propone non solo fotografie di opere d’arte e dei loro particolari, ma anche immagini d’epoca e scattate al giorno d’oggi, oltre a brani di video che danno il senso dei luoghi nei quali gli impressionisti hanno lavorato. Si tratta, nello specifico, di filmati girati in Provenza, sulla costa del mar Mediterraneo, nella foresta di Fontainebleau, sulle spiagge di Normandia, sulle scogliere a picco sul mare del Nord e in Bretagna.
Il racconto si sviluppa in cinque momenti per un totale di centoventi minuti di spettacolo, nei quali la natura e la luce del paesaggio, raccontate con pennellate rapide ed evanescenti, giocano un ruolo decisivo.
Marco Goldin accompagna, dapprima, il pubblico nella foresta di Fontainebleau, dove i giovani impressionisti, da Claude Monet a Camille Pissarro, da Pierre-Auguste Renoir ad Alfred Sisley, si incontravano a metà degli anni Sessanta per dipingere nei boschi.
La seconda parte focalizza, invece, l'attenzione sul decennio successivo, quello canonico dell’impressionismo, con l’ingresso sulla scena parigina della pittura di Paul Cézanne, Edgar Degas e Paul Gauguin, ma anche di figure femminili come Berthe Morisot o l’americana Mary Cassatt.
«La meraviglia del fiume, i disgeli lungo la Senna, le alte scogliere di Normandia, le sue spiagge e il mare», danno, quindi, la possibilità a Marco Goldin, nel terzo tempo del suo racconto, -si legge nella scheda dello spettacolo- «di parlare della crisi dell’impressionismo e della fine del dogma della pittura di plein-air in Monet».
I due momenti conclusivi sono, invece, riservati ad altrettanti straordinari artisti che hanno portato fino alle estreme conseguenze la crisi dell’impressionismo: Vincent van Gogh e Paul Gauguin. Non è affatto casuale la scelta di questi due nomi, ai quali il critico veneto ha dedicato anche un romanzo uscito lo scorso novembre per i tipi della Solferino edizioni: «I colori delle stelle».
Nel corso dello spettacolo l’autore ne legge alcuni passi, permettendoci di comprendere meglio quella relazione così intensa e travagliata che caratterizzò i due artisti nel 1888, anno in cui tentarono una convivenza, non felice, ad Arles.
Il risultato finale sono due ore coinvolgenti ricche di storie e aneddoti, una lezione di storia dell’arte, che parla il linguaggio della poesia e tocca le corde del cuore.

Per saperne di più 
www.internationalmusic.it

lunedì 7 ottobre 2019

Barcolana51, Olimpia Zagnoli firma il manifesto e rende omaggio a Rodari

«C'era una volta un omino di niente. Aveva il naso di niente, la bocca di niente, era vestito di niente e calzava scarpe di niente. Si mise in viaggio su una strada di niente che non andava in nessun posto. Incontrò un topo di niente e gli domandò: - Non hai paura del gatto? - No davvero, - rispose il topo di niente- in questo paese di niente ci sono soltanto gatti di niente, che hanno baffi di niente e artigli di niente…». C'è tutto lo spirito giocoso e surreale di Gianni Rodari (Omegna, 23 ottobre 1920 – Roma, 14 aprile 1980) nella mostra «L’omino di niente», che il Magazzino delle Idee di Trieste ospita in occasione della cinquantunesima edizione della Barcolana, in programma in città nella giornata di domenica 13 ottobre.
L'occasione è offerta dalla recente pubblicazione da parte della EL edizioni della storia rodariana «L'omino di niente», tratta dalla raccolta «Favole al telefono», insieme di racconti che un fantomatico signor Bianchi di Varese, professione commesso viaggiatore, racconta tutte le sere al telefono a sua figlia.
A illustrare il nuovo volume, trentadue pagine dedicate ai bambini dai 4 anni in su, è Olimpia Zagnoli (Reggio Emilia, 1984), illustratrice ormai residente Oltreoceano, che ha prestato il suo pennino a marchi come Fendi e Benetton, al Guggenheim Museum di New York e a importanti giornali internazionale come «The New York Times», «The Washington Post», «The Guardian» e «La Repubblica».
Ne è nato un album effervescente, giocoso e divertente che Edizioni EL pubblica quest’anno, in occasione del centenario della nascita di Gianni Rodari, in cantiere nel 2020, con l'intento di far scoprire ai più piccoli uno dei più visionari poeti e scrittori italiani del Novecento.
Non è un caso che questa mostra, in cartellone dal 3 al 13 ottobre, in contemporanea con la rassegna «Vivian Maier, The Self-Portrait and its Double», abbia luogo a Trieste. In città, infatti, ha sede la maggiore casa editrice italiana specializzata in libri per ragazzi, la Edizioni EL, che utilizzando anche i marchi Einaudi Ragazzi e Emme Edizioni oggi pubblica tutta l’opera di Gianni Rodari.
Ma non è tutto. Per un'incredibile coincidenza «L’omino di niente» esce in libreria proprio nei giorni che precedono la cinquantunesima edizione della Barcolana, di cui Olimpia Zagnoli firma il manifesto promozionale.
Dopo le polemiche dello scorso anno per la cartellonistica di Marina Abramovic, che con lo slogan «Siamo tutti sulla stessa barca» aveva scatenato l’ira di alcuni politici locali, la regata friulana torna a un’immagine più rassicurante, ma non per questo meno impegnata socialmente.
Con lo stile che la contraddistingue -colorato, dalle linee essenziali e dai richiami pop- Olimpia Zagnoli raffigura uno dei momenti più emozionanti della Barcolana, quando alla partenza migliaia di barche si disperdono nel mare.
L’intento è quello di far pensare alla bellezza del nostro mare, ma anche alla sua fragilità e al suo essere un ecosistema da preservare come invita a fare il fiore posto dall’artista in primo piano.
La locandina è, però, anche un omaggio a uno degli scrittori più amati del territorio, Umberto Saba, che ha descritto Trieste come una città dalla grazia scontrosa, paragonandola a «un ragazzaccio aspro e vorace, con gli occhi azzurri e mani troppo grandi per regalare un fiore».
L’esito di questo casuale e fortunato incontro tra la Barcolana e l’uscita del libro «L’omino di niente» è, grazie all’intervento di Erpac, l’esposizione delle tavole dell’album realizzato da Olimpia Zagnoli: un tributo a Gianni Rodari e un modo per dare a Trieste un ruolo da protagonista nelle celebrazioni di questo importante centenario dello scrittore, che da qui, idealmente, prende avvio, con il racconto per immagini di una storia che stuzzica la fantasia e ci fa tornare per qualche minuto bambini.

Informazioni utili
L'omino di niente. Magazzino delle Idee, Corso Camillo Benso conte di Cavour, 2 – Trieste. Orari: da martedì a domenica, ore 10.00-20.00; lunedì chiuso. Ingresso gratuito. Informazioni: info@magazzinodelleidee.it | tel. 040.3774783 | tel. 0481.91697. Sito internet: www.magazzinodelleidee.it. Dal 3 al 13 ottobre 2019. 

venerdì 4 ottobre 2019

Dieci anni di ColornoPhotoLife, tra «effimero ed eterno»

Sembra ieri che Gigi Montali, circondato e spinto dall’entusiasmo dei soci del gruppo fotografico «Color’s Light», inaugurava il ColornoPhotoLife. Da allora, invece, sono passati due lustri e il prossimo 18 ottobre la manifestazione spegne le sue prime dieci candeline.
«L’effimero e L’eterno», due termini strettamente legati al mondo dell’obiettivo fin dai tempi del dagherrotipo, fanno da filo rosso a questa edizione, che porterà nella splendida location della Reggia di Colorno, in provincia di Parma, il lavoro di importanti autori della scena nazionale e internazionale.
Tra le mostre più attese c’è «Luigi Ghirri. Tracce nel labirinto», una selezione di quarantuno fotografie vintage, utilizzate dall’artista reggiano nel 1991 per il progetto «Dentro un antico labirinto», nato dalla proposta di Arturo Carlo Quintavalle di realizzare insieme un libro ampiamente illustrato, concepito come una lettura del paesaggio italiano attraverso la storia dell’arte, la letteratura e, ovviamente, l’opera di Ghirri stesso.
L’esposizione del fotografo di Scandiano è, però, solo uno dei tanti motivi per recarsi in questi giorni d’autunno alla Reggia di Colorno.
Nello spazio del piano nobile della dimora emiliana sarà, infatti, possibile ammirare anche «Celebrità», settanta splendide fotografie a colori e in bianco e nero che ritraggono volti e atteggiamenti di notissimi attori, registi, scrittori e personaggi dello spettacolo, immortalati da Chiara Samugheo tra la fine degli anni ’50 e la metà degli anni ’80.
Tra gli appuntamenti in cantiere merita una segnalazione anche l’esposizione «Polvere» della milanese Sara Munari, classe 1972, che è andata in Sardegna, armata di mappe e indicazioni, alla ricerca di tracce legate alla preistoria.
Sempre al piano nobile della Reggia sarà, poi, possibile vedere anche una piccola raccolta di Giovanni Chiaramonte, apprezzato autore del progetto «Interno perduto», un viaggio nella Bassa Modenese tra le cose perse a seguito della scossa di terremoto del 29 maggio 2012, che ha colpito il cuore dell’Emilia.
Le crepe sui muri, le strutture cadute, gli edifici transennati e la totale assenza di esseri umani trasformano i luoghi immortalati dal fotografo in scenografie quasi metafisiche, che ci fanno meditare sulla fragilità del nostro territorio.
Sempre alla Reggia di Colorno, negli spazi dell’appartamento del Duca, sarà, poi possibile vedere il reportage di un talento emergente come il ventottenne Lorenzo Zoppolato che è stato in Messico, in occasione del dias de los muertos, riti che nelle culture sudamericane hanno così preziose peculiarità da suscitare le attenzioni dell’Unesco, che li tutela come patrimonio dell’umanità. Ne è nato un incontro-racconto, intitolato «La luce necessaria», che indaga -spiega Pippo Pappalardo- «il senso della scomparsa e quello dell’assenza, il legame che si vuol far sopravvivere, la nostra fedeltà alla memoria, la volontà di riprendere il filo di qualcosa, magari muovendo dalle tracce intraviste in un attimo di festa, di attesa dell’anima».
Nell’appartamento del Duca espone anche il friulano Francesco Comello (Udine, 1963), protagonista con il suo reportage cubano «Yo soy Fidel», insieme ad altri autori interessanti del panorama nazionale.
Sempre alla Reggia, nello spazio Venaria, meritano un occhio di riguardo la rassegna sulla casa di Gabriele D’Annunzio, a cura del gruppo «Color’s Light», e la serie di scatti proposta da Antonio Mascolo, quarantacinque anni di giornalismo alle spalle e un grande amore per la sua città, Parma, o meglio per la zona dell’Oltretorrente, percorsa a piedi in lungo e in largo per oltre due anni e immortalata in più di cinquemila scatti. Mentre Stefano Anzola, allo Spazio Mupac Aranciaia, ci racconta le diverse modalità e tipologie di gioco dei bambini nel mondo.
«ColornoPhotoLife» fa tappa anche a Parma con una mostra che incontrerà sicuramente il favore di chi ama celebrare gli anniversari più importanti della nostra storia.
Allo spazio BDC28, chiesa sconsacrata nel centro storico della città emiliana, verranno celebrati, dal 17 al 24 novembre, i cinquant’anni dall’allunaggio con «The Bright Side of the Moon - fotografie vintage dagli archivi Nasa».
Oltre a due roadbook di Apollo 13 e Apollo 15, centosettanta fotografie vintage relative ai primissimi lanci e training (1950 - 1966) e alle missioni dei programmi Mercury (1960 - 1963), Gemini (1964 - 1966) e Apollo (1966 - 1972) raccontano le varie fasi dell’impresa di Neil Armstrong e soci sulla Luna, «piccolo passo per l’uomo, grande passo per l’umanità», ancora oggi considerato letteralmente incredibile dai dietrologi dello spazio.
L’autenticità degli scatti, provenienti dagli archivi della Nasa, è comprovata non solo dalla tipologia di pellicola scelta e dal carattere fotografico usato, ma anche avvalorata dal timbro dell’ente spaziale.
In bianco e nero o a colori, queste fotografie sono tutte testimonianze dal pregio inestimabile, perché raccontano nel dettaglio il periodo di preparazione dell’operazione spaziale e la fase del lancio e della missione, che tenne milioni e milioni di spettatori letteralmente attaccati allo schermo televisivo.
Oltre a vantare un indiscutibile valore scientifico, storico e culturale, questi scatti possiedono, inoltre, un’intrinseca e intramontabile qualità artistica che documenta la bellezza della Terra e degli altri oggetti celesti, catturando allo stesso tempo il coraggio e l’audacia dello spirito umano.
Sempre a Parma, negli spazi di Palazzo Pigorini, è già possibile ammirare il progetto di Marco Gualazzini per Contrasto: «Resilient», una serie di reportage realizzati in Africa dal 2009 al 2018. L’esposizione, aperta fino al prossimo 27 ottobre, testimonia, attraverso quaranta fotografie, in che modo il continente africano reagisca ai problemi e alle crisi che lo flagellano con una capacità di resilienza straordinaria e insieme drammatica.
Quelle che scorrono lungo le pareti sono storie poco raccontate e che nessuno vorrebbe sentire. È il caso delle immagini provenienti dal Congo, Paese piegato dalle credenze popolari e dal rapporto tra religione e stregoneria, dove chi soffre di malattie mentali viene tuttora considerato un indemoniato e lo stupro è usato come arma di guerra.
Gualazzini punta il suo obiettivo anche sui problemi del Mali, tormentato dalla guerra e dalle infiltrazioni islamiste nell’Africa subsahariana. Guarda alle condizioni del Sudan del Sud e della Somalia, uno tra i Paesi più pericolosi e meno accessibili per stranieri e giornalisti. Racconta la crisi umanitaria in corso lungo il bacino del lago Ciad, che il cambiamento climatico sta portando alla desertificazione.
Anche quest’anno, ColornoPhotoLife può contare, infine, sulla qualificata collaborazione dello CSAC -Centro studi e archivio della comunicazione dell’Università di Parma, per dare vita a momenti di approfondimento, che spaziano dal concorso con lettura di portfolio agli incontri con autori e protagonisti della fotografia italiana, senza dimenticare i workshop con Sara Munari, Marco Gualazzini e Francesco Comello, dedicati rispettivamente ai temi «Portfolio fotografico, idee, perché, come», «Il lavoro fotogiornalistico» e «Trovare la storia».
Un cartellone, dunque, ricco di spunti quello proposto dal festival fotografico di Colorno, che per due giorni,dal 18 al 20 ottobre, trasformerà la Reggia nella capitale italiana della fotografia, offrendo ai visitatori l'opportunità di guardare alla nostra realtà di tutti i giorni con occhi nuovi, per «cogliere l’eterno nel disperatamente effimero», che è poi -raccontano gli organizzatori- la «grande magia della vita».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1, 2 e 3] ColornoPhotoLife. Colorno. Fotografia di Gigi Montali; [fig. 4] Luigi Ghirri, Uno scatto della serie «Dentro un antico labirinto». Credit: Eredi di Luigi Ghirri; [fig. 5] Lorenzo Zoppolato, uno scatto della serie  «La luce necessaria»; [fig. 6] Chiara Samugheo, Sandra Milo; [fig. 7] Immagine esposta nella mostra «The Bright Side of the Moon - fotografie vintage dagli archivi Nasa». Copyright: Nasa; [fig. 8] Enrico Volpi per la mostra «A casa del Vate», dedicato a Gabriele D'Annunzio; [fig. 9] Sara Munari, uno scatto del progetto «Polvere»; [Fig. 10] Chiara Samugheo, Joan Collis

Informazioni utili
ColornoPhotoLife 2019. ColornoPhotoLife. Reggia di Colorno – Colorno (Parma). Orari: nei giorni del festival, dalle ore 10.00 alle ore 13.00 e dalle ore 15.00 alle ore 18.00. Ingresso: gratuito per tutte le mostre tranne per quelle su Luigi Ghirri e Chiara Samugheo, entrambe visitabili al prezzo di € 4,50 con braccialetto identificativo. Informazioni: tel. 0521.312545, reggiadicolorno@provincia.parma.it, info@colornophotolife.it. Sito web: www.colornophotolife.it. Dal 18 al 20 ottobre 2019.

«The Bright Side of the Moon - fotografie vintage dagli archivi Nasa». BDC28, Borgo delle Colonne, 28 – Parma. Orari: venerdì, sabato e domenica, ore 16.00-20.00. Ingresso gratuito. Per informazioni: Spazio BDC28 Borgo delle Colonne, 28 – Parma. Informazioni: tel. 0521.312545, info@bonannidelriocatalog.com. Sito web: bonannidelriocatalog.com. Dal 18 ottobre al 24 novembre 2019.

Resilient. Marco Gualazzini. Palazzo Pigorini, Strada della Repubblica, 29A - Parma. Orari:
mercoledì e giovedì, dalle ore 15.00 alle ore 19.00, dal venerdì alla domenica, dalle ore 10.00 alle ore 13.00 e dalle  ore 15.00 alle ore 19.00 (lunedì e martedì chiuso) Ingresso gratuito. Sito web: www.comune.parma.it/cultura. Dal 20 settembre al 27 ottobre 2019. 

giovedì 3 ottobre 2019

A Roma il «realismo visionario» di Andrey Esionov

Che profumo ha l’arte? Risponde anche a questa domanda la mostra dell'acquerellista Andrey Esionov (Tashkent – Uzbekistan, 1963), maestro indiscusso dell'arte figurativa russa contemporanea, allestita fino al prossimo 25 gennaio negli spazi dei Musei di San Salvatore in Lauro a Roma.
«Realismo visionario», questo il titolo della rassegna capitolina, prevede, infatti, anche il coinvolgimento sensoriale del visitatore grazie all’allestimento di Laura Bosetti Tonatto, «naso» professionista conosciuto in tutto il mondo, che dal 1986 crea profumi per le maggiori case cosmetiche e che, in passato, ha già arricchito di sensazioni olfattive eventi espositivi e realtà culturali in giro per il mondo. Ne sono un esempio la mostra «Caravaggio un quadro, un profumo» all’Ermitage a San Pietroburgo e il Museo nazionale d’arte orientale di Roma, per il quale ha curato la sezione «Aromatica: essenze, profumi e spezie tra Oriente e Occidente», ricreando, tra l’altro, l’Acqua Siriana (I secolo a.C.) e l’Acqua Admirabilis (1609) di Giovanni Maria Farina, diventata in seguito la famosa Acqua di Colonia.
Lasciandosi avvolgere dalle fragranze ideate da Laura Bosetti Tonatto sarà così possibile ammirare a Roma -seconda tappa di un tour in Italia, che ha già toccato la scorsa primavera Firenze e che arriverà anche a Milano e Venezia- un centinaio di opere del maestro, membro titolare dell'Accademia Russa di Belle Arti, presente, tra l’altro, in raccolte museali a Mosca (Moscow Museum of Modern Art), San Pietroburgo (Museo di Stato russo), Firenze (Accademia delle arti del disegno), Kazan (Museo statale di Belle arti della Repubblica del Tatarstan) e Taskent (Museo delle arti dell'Uzbekistan).
L’esposizione allinea in particolare acquerelli e disegni, selezionati dal curatore Marco di Capua, che raccontano l’interesse dell’artista per la ritrattistica, per i monumenti delle grandi città e per la realtà che ci circonda, anche la più insignificante, spesso popolata da passanti, pittori di strada, bambini e animali.
Fonte di ispirazione di questi lavori sono stati i frequenti viaggi in Europa, i cambiamenti epocali e gli avvicendamenti politici dell'ex Unione Sovietica, vissuti da Andrey Esionov in prima persona.
Dal turismo di massa dei ricchi agli ingenti flussi migratori della parte indigente della popolazione mondiale, la mostra testimonia così -raccontano gli organizzatori- «i mutamenti e le contraddizioni dell'umanità nell'intricato rapporto con il proprio io, con la propria coscienza, concentrata unicamente sul consumo o sul sogno di consumo».
La realtà viene, però, trasfigurata, dando vita a una sorta di rappresentazione visionaria. Andrey Esionov non usa, dunque, dispositivi ottici, pellicole o fotocamere per creare una nuova realtà, partendo dal dato oggettivo, ma si affida solo a mezzi puramente artistici. «Le composizioni immaginarie di Esionov e le peculiarità stilistiche creative visualizzano l’armonia della realtà e l’immaginazione che ispira la percezione e l’immaginazione associative», ha scritto a tal proposito Alexander Rozhin, accademico dell’Accademia delle arti russa, redattore capo della rivista «The Tretyakov Gallery Magazine».
La carriera artistica di Andrey Esionov è abbastanza recente. Portate a termine tutte le tappe della formazione artistica classica, il maestro russo, per venti anni, si è preso, infatti, una pausa da tele e colori, dedicandosi all'imprenditoria. È tornato all'arte soltanto nel 2010, consacrandosi a pieno alla pittura: questo ritorno è stato per Esionov -a suo stesso dire- come «riprendere a respirare».
L'intervallo di sospensione dalla pratica artistica per il maestro si è dimostrato, come già ricordato, un periodo di intensivo accumulo di esperienze visive e strutture compositive, che successivamente hanno trovato riflesso nelle opere.
In un breve arco di tempo Esionov ha volutamente dato prova di sé in diversi generi pittorici, primo fra tutti il ritratto. La sua notorietà si fonda, infatti, sulla serie dei ritratti ad olio su tela di intellettuali russi: lo scrittore Vladimir Voinovich, i registi cinematografici Petr Todorovsky ed Eldar Ryazanov, il campione mondiale di scacchi Anatoly Karpov, il presidente dell'Urss Michail Gorbaciov e altri ancora. Ciò nondimeno, la tecnica prediletta da Esionov è, come già ricordato, l'acquerello, da lui interpretato in chiave innovativa e contemporanea.
Il pittore ricrea l'immagine di un istante di vita, sospeso tra la raffigurazione realistica e una dimensione «altra», simbolica e favolosa. Nelle sue opere ciò che da principio appare come un riflesso fugace del quotidiano si tramuta in qualcosa di straordinario. Perché niente è come appare e ogni attimo può essere indimenticabile. Basta guardarlo con gli occhi della poesia.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Andrey Esionov, «Dresda. Teatrplats», 2015 Сarta, acquerello, 76×56; [fig. 2] Andrey Esionov, «L'irrealtà di qualcun altro», 2017 Сarta, acquerello, 76×56; [fig. 3] Andrey Esionov, «Voce assoluta», 2018 Сarta, acquerello, 110 ×70

Informazioni utili
«Realismo visionario. Gli acquerelli di Andrey Esionov». Musei di San Salvatore in Lauro, Piazza San Salvatore in Lauro, 15. Orari: da martedì a sabato, ore 10-13 e ore 14-19; domenica,  ore 10-13; lunedì e festività chiuso. Ingresso gratuito. Informazioni: redazione@ilcigno.org | tel. 06.6965493. Sito internet: www.esionov.it. Fino al 25 gennaio 2020. 


mercoledì 2 ottobre 2019

«Azzurro contemporaneo», il sacro incontra l’arte contemporanea

Ago e filo per raccontare la devozione mariana: si potrebbe riassumere in questo modo il progetto di Nadia Nespoli per la Chiesa di San Raffaele Arcangelo a Milano. L’artista lombarda, anima del Laboratorio Artemisia alla Casa di reclusione di Bollate, presenta in questo luogo sacro di impianto barocco, consacrato da Carlo Borromeo nel 1582, una nuova opera di fiber art: «Maria» (2019).
Si tratta di un quadro azzurro, intrecciato a mano all’uncinetto, ispirato a un’iconografia antica.
Monsignor Domenico Sguaitamatti - rettore della chiesa, ubicata a due passi dal Duomo, il cui progetto di costruzione è stato variamente attribuito a Pellegrino Tibaldi o all’architetto genovese Galeazzo Alessi- spiega a tal proposito: «soprattutto nelle icone bizantine, capita di vedere la Madonna Annunciata non con un libro in mano, come nella tradizione occidentale, ma con un fuso, con fuso e conocchia, o semplicemente con una matassina di cotone». La filatura, infatti, non soltanto era un’attività comune alle donne ebraiche, ma porta in sé anche un profondo significato simbolico: nel suo atto di generare un filo, Maria salda le due nature (umana e divina) del figlio che porta in grembo.
L’opera -collocata dal 5 al 31 ottobre in una teca illuminata, davanti a uno degli altari laterali- fa uso volutamente di una tecnica popolare antica, umile e ripetitiva, che sollecita le dita come il rosario. Il filo di cotone azzurro, colore che richiama il velo di Maria, simboleggia il filo del tempo, il filo di un legame, e il filo dell’intima narrazione che cambia seguendo lo sguardo dell’osservatore.
I colori del mare e del cielo giocano un ruolo da protagonisti anche al Santuario di Santa Maria alla Fontana, chiesa nel cuore del quartiere Isola, fatto erigere in aperta campagna nel 1506 da Carlo II d’Amboise, governatore di Milano durante la dominazione francese.  Per secoli questo luogo sacro fu un oggetto di devozione per un’antica fontana ritenuta miracolosa e per lungo tempo svolse anche un ruolo chiave nel sistema sanitario e assistenziale di Milano, accanto all’Ospedale Maggiore e al Lazzaretto.
A richiamare la storia e il significato del santuario milanese, davanti all’ingresso della stanza della fonte miracolosa, riallestita con bocchette d’acqua zampillante e decorata con gli affreschi cinquecenteschi attribuiti alla bottega di Bernardino Luini, c'è ora un'installazione di Nadia Nespoli, intitolata «Segnaletica simbolica» (2015), che accoglie i visitatori con tre elementi tridimensionali di forma circolare, ricavati da bobine in legno per cavi.
Ciascun disco in legno, dipinto di colore azzurro, è una sorta di segnale stradale e, nel contempo, traccia sacra e industriale che, emergendo dal traffico cittadino, si staglia per contrasto sull'architettura antica dei chiostri.
In modo analogo alle Madonnelle poste nelle edicole e ai lati delle strade, le tre edicole sacre di «Segnaletica simbolica» sono, spiega l’artista, «una segnalazione di percorso, per invitare chi cammina a fermarsi e pensare, pregare, fare un atto di devozione».
«In entrambi gli interventi» di Nadia Nespoli per questo ottobre meneghino -sottolinea Margherita Zanoletti, curatrice delle due mostre, riunite sotto il titolo «Azzurro contemporaneo»- «il rifiuto della figurazione dà origine a una nuova riflessione immersa nella semplicità del colore azzurro, riferimento a Maria di Nazareth». Il sacro incontra così il contemporaneo, in un gioco di rimandi legati tra loro dal «filo della devozione».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Nadia Nespoli, «Maria» (2019), tela ad uncinetto su telaio, 110x110 cm; [fig. 2] Esterno della Chiesa di San Raffaele a Milano; [fig. 3] Nadia Nespoli, «Segnaletica simbolica I» (2015), tecnica mista su legno, diametro 50 cm

Informazioni utili 
Nadia Nespoli | «Azzurro contemporaneo». «Maria» (2019). Chiesa di San Raffaele, via San Raffaele, 3 - Milano. Orari: lunedì – venerdì 9.30 – 18.30 | sabato 16.00 – 18.00. Ingresso libero. «Segnaletica simbolica». Chiesa di Santa Maria alla Fontana, piazza Santa Maria alla Fontana, 7 – Milano. Orari: lunedì-domenica 9.30 – 12.00, 14-30 – 17.30. Ingresso libero. Dal 5 al 31 ottobre 2019.

martedì 1 ottobre 2019

Dal Dante di Lego alle «tessere di mare»: al via a Ravenna la Biennale del mosaico contemporaneo

«Ho visto finalmente Ravenna e tutte le mie aspettative erano nulla di fronte alla realtà. Sono i mosaici più belli e formidabili che io abbia mai visto. Non sono soltanto mosaici, ma vere e proprie opere». Così Wassily Kandinsky raccontava, in una lettera del 16 settembre 1930, all’amico Paul Klee la bellezza della città romagnola, scrigno di tesori preziosi dell’età paleocristiana e bizantina che, nel dicembre 1996, sono stati inseriti dall’Unesco nella lista dei Patrimoni mondiali dell’Umanità. La Basilica di San Vitale, il Mausoleo di Galla Placidia, i Battisteri degli Ariani e degli Ortodossi, la Basilica di Sant'Apollinare Nuovo e in Classe, la Cappella arcivescovile e il Mausoleo di Teoderico hanno così fatto di Ravenna la capitale italiana del mosaico.
Da sei anni la città omaggia quell’antica e sapiente tecnica decorativa, che riproduce disegni mediante frammenti di pietre naturali o di paste vitree, con un festival a cadenza biennale. Nel 2019 l’appuntamento –promosso dall’amministrazione comunale, con il coordinamento del Mar – Museo d’arte della città- è in programma dal 6 ottobre al 24 novembre.
Per più di un mese monumenti, musei, chiostri e spazi simbolo della località romagnola si trasformeranno in gallerie d’eccezione per mostrare le più recenti indagini artistiche del settore.
Questa edizione della Biennale guarda con un occhio di riguardo alla figura di Dante Alighieri, il «sommo poeta» che trascorse a Ravenna gli ultimi tre anni della sua vita e le cui spoglie mortali riposano in un imponente sepolcro di stile neoclassico alla Chiesa di San Francesco. Palazzo Rasponi dalle Teste ospiterà, per esempio, la mostra «Opere dal mondo», a cura dell’Amic -Associazione internazionale mosaicisti contemporanei, con trentacinque lavori ispirati a una terzina del «Purgatorio»: «come si volge, con le piante strette / a terra e intra sé, donna che balli, / e piede innanzi piede a pena mette, / volsesi in su i vermigli e in su i gialli / fioretti verso me, non altrimenti / che vergine che li occhi onesti avvalli» (Canto XXVIII, versi 52-57). Mentre al Mar – Museo d’arte della città sarà possibile vedere un’originale scultura raffigurante l’autore della «Divina Commedia».
L’opera, visibile fino al prossimo 12 gennaio, fa parte della mostra «Forever Young», per la curatela di Davide Caroli, che il museo dedica a Riccardo Zangelmi, unico artista italiano certificato LEGO® Certified Professional, all’interno di un gruppo ristrettissimo di soli quattordici persone in tutto il mondo. L'artista porterà a Ravenna i suoi lavori realizzati con oltre 800mila mattoncini LEGO® di differenti dimensioni e colori.
Sempre al Mar, nello stesso periodo, sarà possibile ammirare la mostra «Mosaics», a cura di Daniele Torcellini,che rende omaggio a Chuck Close, figura di spicco dell’arte contemporanea dai primi anni Settanta, famoso per i suoi ritratti dipinti in scala monumentale, a partire da fotografie, che ritraggono star e politici, da Brad Pitt a Lou Reed, da Bill Clinton a Barack Obama.
L’artista americano ha esplorato, negli anni, un’ampia gamma di tecniche, processi e materiali fino ad arrivare all’utilizzo del mosaico a seguito del suo coinvolgimento nel progetto di arte pubblica per la Metropolitana di New York, o meglio per la stazione Second Avenue-86th Street. La serie «Subway Portraits», realizzata nel 2017, è costituita da dodici opere, in mosaico e in ceramica, che hanno visto al lavoro, come documenta l’esposizione ravennate, anche Mosaika Art and Design e Magnolia Editions.
La Biennale del mosaico ravennate troverà, inoltre, casa alla storica Biblioteca Classense, che per l’occasione aprirà tutti i suoi spazi: dalle sale espositive a quelle di lettura, dai chiostri agli ambienti più rappresentativi. Qui l’Accademia di belle arti di Ravenna presenterà, nella Manica lunga, «Incursioni», ovvero un affascinante intreccio di storie dedicate alle nuove esperienze creative dei più giovani artisti del mosaico. I curatori Rosetta Berardi e Benedetto Gugliotta, invece, ricreeranno, nella sala di lettura, un affascinante dialogo tra libri tradizionali e libri a mosaico. Mentre nel chiostro troveranno posto un’installazione del mosaicista Paolo Racagni e la donazione dell’opera «Arborea donna libera aurea» di Maria Grazia Brunetti da parte degli eredi.
Al museo Classis sarà allestita la mostra «Tessere di mare», a cura di Giuseppe Sassatelli, dedicata ai mosaici pavimentali romani a soggetto marino. Il percorso espositivo allinea importanti opere provenienti dall’area di Populonia e dal Museo archeologico nazionale di Napoli (tra cui un importantissimo manufatto del I° secolo a.C., ritrovato alla Casa del Fauno di Pompei), oltre a copie di mosaici antichi facenti parte della collezione del maestro Severo Bignami.
Il Museo nazionale di Ravenna presenterà la mostra «Intersezioni», a cura di Emanuela Fiori e Giovanni Gardini, con opere di Sara Vasini e Luca Freschi, due giovani artisti dai linguaggi e dagli esiti artistici molto diversi fra loro. La ricerca di entrambi si fonda sul recupero dell’antico o della memoria, avvertita come esigenza, imprescindibile, sulla quale basare il loro gesto artistico, che li ha portati a dialogare con le opere presenti nel museo.
Mentre nella Basilica di Sant’Apollinare in Classe sarà presentato «Eldorado», progetto di Giovanni de Gara che racconta l’illusione di una terra dell’oro attraverso installazioni site-specific che utilizzano come materia prima un oggetto salva-vita: le coperte isotermiche, normalmente usate per il primo soccorso in caso di incidenti e calamità naturali, ed entrate nell’immaginario collettivo come «veste dei migranti».
Il dialogo costante tra antico e contemporaneo si respirerà anche negli altri monumenti Unesco, gestiti dalla Curia di Ravenna: il Battistero Neoniano, il Museo Arcivescovile e la Cappella S. Andrea, dove saranno esposte le istallazioni musive site-specific di Felice Nittolo, a cura di Linda Kniffitz.
Mentre in San Vitale, nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, nella Cattedrale Metropolitana e ai Chiostri francescani andranno in scena due mostre degli studenti del liceo artistico «Nervi Severini»: «Artifex Mosaico. Dall’antico al contemporaneo» e «Mostraico – Installazioni Musive contemporanee».
Il sodalizio tra Ravenna e Faenza si consolida anche per questa Biennale con il Mic - Museo internazionale della ceramica che proporrà, nell’atrio di Palazzo Rasponi dalle Teste, un’installazione del ceramista Andrea Salvatori: «Ikebana Rock’n’Roll».
In questa ottica si inserisce anche l’intervento del Museo diocesano di Faenza che, nella sede faentina della Chiesa di Santa Maria dell’Angelo, allestirà una personale del mosaicista ravennate Marco De Luca, a cura di Giovanni Gardini.
Il cartellone si arricchisce, poi, di un grande progetto di restauro e riqualificazione del Parco della Pace, un vero e proprio museo all’aria aperta, inaugurato nel 1988, con mosaici, fra i tanti, di Mimmo Paladino e Bruno Saetti. Sempre legata al tema dell’arredo artistico-urbano è la conclusione del progetto, iniziato nel 2017, per un percorso pavimentale sviluppato attraverso centosessantanove moduli triangolari, in richiamo alla tarsia del labirinto di San Vitale e posizionato nel giardino davanti alla Casa circondariale.
Un calendario ricco, dunque, quello messo a punto da Ravenna per celebrare un’arte antica, riscoperta nel Novecento da Gustav Klimt e dal raffinato clima decorativo dell’art nouveau, che ancora oggi sa stupire e affascinare gli artisti.

Informazioni utili 
www.ravennamosaico.it

lunedì 30 settembre 2019

«Unconventional Verdi», al Fidenza Village il volto contemporaneo dell’opera lirica

L’opera lirica incontra i linguaggi della fashion photography e del design upcycle. Al Fidenza Village, lo shopping center di lusso a pochi chilometri da Parma, Aida, Otello, Don Carlo, Nabucco, Giovanna D’Arco, Rigoletto e il Trovatore -tutti i grandi protagonisti dei più amati capolavori verdiani- vengono rinarrati attraverso i nuovi linguaggi dell’arte visiva e della moda, passando per le Instagram stories. Il risultato è «Unconventional Verdi - The extraordinary Maestro», un progetto dello studio creativo Kreativehouse che ha visto all’opera due giovani talenti nostrani: il fotografo Luca Cacciapuoti (Napoli, 1993), che in passato ha lavorato anche come performer in compagnie di teatro indipendenti, e Nicola Pantano (Taormina, 1996), consulente di moda nel settore dell’editoria per «Vogue Italia».
L’occasione è offerta dall’edizione 2019 del Festival Verdi che ogni anno, intorno al 10 ottobre, data di nascita del maestro, porta nelle sue terre, la Bassa Parmigiana, i colori e le emozioni di opere dal fascino immortale che parlano di temi e sentimenti sempre attuali come l’amore eterno e inconsolabile, il dolore, la gelosia o il conflitto tra culture.
Quest’anno il Teatro Regio, ente organizzatore della manifestazione, promette, fino al 20 ottobre, il debutto di quattro nuovi allestimenti di altrettante opere verdiane: «I due Foscari», per la regia di Paolo Arrivabeni, «Aida», nell’allestimento originale di Franco Zeffirelli e con la direzione di Michele Mazza, «Nabucco», sotto l’abile bacchetta di Roberto Abbado, e «Luisa Miller», che animerà la monumentale Chiesa di San Francesco del Prato, gioiello del XIII secolo, grazie a Lev Dodin, uno dei più grandi maestri del teatro russo.
«Unconventional Verdi», piccola anticipazione anche degli eventi che incoroneranno Parma Capitale italiana della cultura 2020, si configura come un esperimento di fotografia artistica open-air e di installazioni poetiche con le parole più iconiche delle opere verdiane: scatti sofisticati e frasi e parole del genio di Busseto, che evocano sentimenti come la passione, la dolcezza, la bellezza e l’umanità, prendono così vita sulle pareti di Fidenza Village, struttura le cui architetture si ispirano proprio alle scenografie di opere verdiane, dai palazzi in stile egizio che rievocano le suggestioni di «Aida» alle arcate moresche di alcune boutique che richiamano alla mente la storia del moro «Otello».
Scenario di alcuni scatti è una location di grande suggestione come il prestigioso Grand Hotel et de Milan (in via Manzoni 29, a Milano), un luogo ricco di atmosfera, denso di tracce del passaggio di illustri personaggi, il cui nome è scritto nella storia. È, infatti, nella Suite 105 che Giuseppe Verdi soggiornò dal 1872, alternando così la vita cittadina e di lavoro, a quella tranquilla di Sant’Agata, la sua tenuta di campagna. Ed è in questa ampia stanza con camino -da cui la storia racconta che, acclamato dalla folla, si fosse affacciato con il tenore Tamagno per intonare alcune delle sue arie- che il maestro compose «Otello» e «Falstaff».
Jil Sander, Vivienne Westwood, Missoni, Ermenegildo Zegna, Hugo Boss, Paul Smith, Sergio Rossi, Etro, Nike, Marni e Le Silla -brand presenti a Fidenza Village con le loro boutique- sono alcuni dei marchi di moda che hanno accettato la sfida di «Unconventional Verdi».
I loro capi iconici vestono così moderni Otello, Aida, Violetta in un sofisticato gioco di rimandi letterari e cinematografici.Lo stesso gioco che si trova nel fashion film che ha come protagonista Luca Cacciapuoti (Arsenyco), il fotografo protagonista degli scatti, e come colonna sonora un cut-up poetico delle più belle parole verdiane, con i loro richiami alla mitologia, alle fiabe, alla grande letteratura e con il loro potenziale romantico ancora capace di commuovere, stupire, emozionare.

Informazioni utili
Matteo Martignoni, cell. 329.4971561, m.martignoni@kreativehouse.it.