ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 11 ottobre 2019

Peggy Guggenheim, le passioni artistiche dell’«ultima Dogaressa» di Venezia

Uno dei primi nomi che viene in mente quando si parla di donne e mecenatismo culturale è quello di Peggy Guggenheim (New York, 26 agosto 1898-Camposampiero, 23 dicembre 1979), la collezionista americana che aveva scelto Venezia come «luogo del cuore e dell’anima», stregata dal fascino di una città che, a suo dire, poteva rivaleggiare in bellezza solo «con il suo stesso riflesso al tramonto sul Canal Grande».
Era appena finita la Seconda guerra mondiale quando la fondatrice della galleria-museo newyorkese «Art of This Century» (1942-47), la culla dell’Espressionismo astratto americano, volava in Italia stabilendo la sua dimora a pochi passi dalla Chiesa di Santa Maria della Salute, a Palazzo Venier dei Leoni, oggi uno dei luoghi più iconici di quello straordinario percorso culturale soprannominato «il chilometro dell’arte», del quale fanno parte anche il Museo Vedova, la collezione Pinault a Punta Dogana, le Gallerie dell'Accademia e la Fondazione Cini con la sua sede cinquecentesca a San Vio.
Iniziava così, nel 1948, una storia d’amore intensa, di quelle che ti fanno dire che «nel cuore non resta più posto per altro».
Venezia aveva stregato Peggy Guggenheim che quello stesso anno era arrivata in Laguna con la sua collezione d’arte, grazie a una felice intuizione del pittore Giuseppe Santomaso e su invito di Rodolfo Pallucchini, per partecipare alla ventiquattresima edizione della Biennale, esponendo nel Padiglione della Grecia, Paese allora devastato dalla guerra civile, i nomi più rappresentativi dell’arte astratta e surrealista -Jean Arp, Costantin Brancusi, Alexander Calder, Max Ernst, Alberto Giacometti e Kazimir Malevich- e alcuni artisti americani -William Baziotes, Jackson Pollock, Mark Rothko, Arshile Gorky, Robert Motherwell e Clyfford Still-, mai presentati al di fuori degli Stati Uniti.
Stregata da quella città di cui amava le luci -le stesse che soggiogarono il pittore romantico William Turner- e la vena malinconica e decadente, quella che scopriva giorno dopo giorno perdendosi piacevolmente tra calli e campielli, Peggy Guggenheim decise di comprare nella città veneta una grande casa, dove vivere con i suoi «beloved babies», i suoi quattordici amati e inseparabili cani Lhasa Apsopuppy (terrier di razza tibetana), ora sepolti accanto a lei nel giardino di Palazzo Venier dei Leoni.
In quella dimora l’eccentrica e coraggiosa collezionista americana -per tutti «l’ultima Dogaressa» per quella sua aura di magnificenza che la vedeva girare per i canali su una gondola privata con un gondoliere de casada a sua disposizione- trascorse più di trent’anni della sua esistenza, rimanendovi fino alla morte, avvenuta il 23 dicembre del 1979, all'età di ottantuno anni.
Pochi mesi dopo, nella Pasqua del 1980, quella bella casa sul Canal Grande, passata nel frattempo alla gestione della Fondazione Solomon R. Guggenheim di New York, apriva ufficialmente le porte al grande pubblico diventando il museo più importante in Italia per l'arte europea e americana della prima metà del ventesimo secolo.
In occasione dei quarant’anni dalla morte e dei settant’anni dal trasferimento in Laguna, una mostra, per la curatela di Karole P. B. Vail -attuale direttrice della Collezione Guggenheim, nonché nipote di Peggy- e di Gražina Subelytė, ripercorre la storia della collezionista americana a Venezia attraverso una sessantina di opere, tra dipinti, sculture e lavori su carta, da «L’impero della luci» («L’Empire des lumières») di René Magritte allo «Studio per scimpanzè» («Study for Chimpanzee») di Francis Bacon, da «Autunno a Courgeron» («L'Automne à Courgeron») di René Brô a «Serendipity 2» di Gwyther Irwin.
Sala dopo sala, Palazzo Venier dei Leoni permette così ai visitatori di rivivere il mito di Peggy Guggeheim, icona di stile per i suoi occhiali dalle forme bizzarre, i suoi grandi cappelli e i suoi gioielli-capolavoro che farebbero invidia a una qualsiasi maison di moda, ma soprattutto donna capace di incidere con una straordinaria stagione di mostre e di eventi sulla vita culturale di Venezia.
È il settembre del 1949 quando la collezionista apre per la prima volta le porte di casa sua o meglio del suo giardino -quel luogo, a suo stesso dire, «dove la vita non è normale perché tutto e tutti galleggiano e dove i riflessi sono più belli di quelli dei grandi artisti»- a curiosi e amanti delle Avanguardie novecentesche.
L’occasione è una mostra di scultura contemporanea, nella quale Peggy Guggenheim espone i lavori di venti artisti da lei molto amati o selezionati dal critico d’arte e articolista Giuseppe Marchiori, passato alla storia come il fondatore del Fronte nuovo delle arti, movimento a cui parteciparono, fra gli altri, Emilio Vedova, Giuseppe Santomaso, Renato Guttuso ed Ennio Morlotti.
«Testa e conchiglia» («Tête et coquille») di Jean Arp, «Uccello nello spazio» («L'Oiseau dans l'Espace») di Constantin Brancusi e «Piazza» di Alberto Giacometti sono le tre opere che Karole P. B. Vail ha scelto per raccontare quella prima mostra veneziana di Peggy Guggenheim, nella quale viene esposto anche il bozzetto in gesso della scultura equestre «L’angelo della città» (1948) di Marino Marini, la cui versione in bronzo, di fusione successiva alla mostra del 1949, campeggia oggi sulla terrazza del palazzo prospiciente il Canal Grande.
Tra le prime rassegna della ricca collezionista americana in Laguna viene, inoltre, ricordata lungo il percorso espositivo a Palazzo Venier dei Leoni quella dedicata, nell’estate del 1950, a Jackson Pollock. Nell’Ala napoleonica del Museo Correr arrivano ventitré opere dell’artista, alla sua prima personale fuori dai confini americani. Ci sono anche dieci dipinti a colatura e quel linguaggio astratto, assolutamente inedito per l’Italia, lascia sgomento il pubblico, la critica e i tanti artisti nostrani che accorrono a Venezia alla ricerca di novità. Tra le opere in mostra, allora e oggi, ci sono due capisaldi come «Foresta incantata» («Enchanted Forest») e «Alchimia» («Alchemy»), un lavoro che è stato recentemente oggetto di restauro facendo emergere un progetto di lavoro razionale nella stesura dei colori, un sistema di contrappunti e simmetrie, in cui le linee rette si bilanciano con quelle curve, i colori brillanti con i colori opachi, il nero con l’argento, il blu con il rosso.
Fresca di restauro da parte dell’Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di Restauro di Firenze è anche «Scatola in una valigia» («Boîte-en-Valise»), realizzata da Marcel Duchamp nel 1941. Raramente visibile al grande pubblico per la sua delicatezza, cosa che rende ancora più preziosa la mostra a Palazzo Venier dei Leoni, il lavoro, pensato proprio per la collezionista americana, è il primo di un’edizione deluxe di venti valigette da viaggio di Louis Vuitton, che raccolgono ciascuna sessantanove riproduzioni e miniaturizzazioni di celebri lavori del poliedrico e dissacrante artista francese.
Ad affiancare i grandi maestri dell’Espressionismo astratto, ci sono in mostra anche due donne artiste, testimonianza del sostegno che la collezionista non fece mai mancare alle figure femminili dell’arte, in quegli anni meno considerate dal mercato rispetto ai colleghi maschi. Si tratta di Grace Hartigan e Irene Rice Pereira. Della prima è visibile «Irlanda», le cui tonalità terrose alludano all’ambiente urbano di Dublino, dove si trova la dimora d’origine dell’artista. Della seconda è esposta «Riflessi», una composizione in vetro e tecnica mista.
La mostra veneziana prende, poi, in esame il sostegno che la mecenate americana offrì agli artisti italiani attivi dalla fine degli anni Quaranta e, nelle ultime sale, il suo interesse per la pittura e la scultura inglese degli anni Cinquanta e Sessanta, per l’Arte optical e cinetica degli anni Sessanta, e per il gruppo CoBrA. Ecco così scorrere lungo le pareti lavori come la tempera d’uovo su tela «Immagine del tempo» («Sbarramento») di Emilio Vedova, «Composizione» di Tancredi Parmeggiani, artista per cui Peggy Guggenheim organizza una mostra nel 1954, e l’olio su sabbia «Avvenimento #247» di Edmondo Bacci, pittore veneziano a cui viene dedicata un’intera sala alla Biennale del 1958, con catalogo introdotto da una prefazione della stessa collezionista. E poi, ancora, si possono ammirare, procedendo per exempla, «Sopra il bianco» («Above the White») di Kenzo Okada, «Deriva No 2» di Tomonori Toyofuku e «Il tamburino d'oro n. 2» («The Golden Drummer Boy No. 2») dell’inglese Alan Davie.
A Palazzo Venier dei Leoni sono, inoltre, eccezionalmente esposti per la prima volta al pubblico una serie di scrapbooks: preziosi album in cui la collezionista raccolse meticolosamente articoli di giornali, fotografie e lettere, grazie ai quali è possibile scoprire episodi inediti della sua vita di appassionata filantropa. Tra i tanti pezzi giornalistici c’è ne è uno scritto per «L’Europeo» dalla penna graffiante di Camilla Cederna: «Venezia sopravviverà alla signora Guggenheim. La moda dell’arte suprematista passerà come le altre». Non è stato così. Il mito di Peggy resiste al tempo, le opere della sua collezione entrano nei manuali di storia dell’arte. Chapeau! 

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Peggy Guggenheim in gondola, Venezia, 1968. Photo Tony Vaccaro / Tony Vaccaro Archives; [fig. 2] Peggy Guggenheim seduta sul trono nel giardino di Palazzo Venier dei Leoni, Venezia, anni Sessanta. Photo Roloff Beny / courtesy of Archives and National Archives of Canada; [fig.3] Kenzo Okada, «Sopra il bianco», 1960; olio su tela, 127,3 x 96,7 cm; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim); [fig. 4] Francis Bacon, «Studio per scimpanzé», marzo 1957; olio e pastello su tela, 152,4 x 117 cm; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim. © The Estate of Francis Bacon. All rights reserved, by SIAE 2019; [fig. 5] René Magritte, «L’impero della luce» (L’Empire des lumières), 1953–54; olio su tela, 195,4 x 131,2 cm; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim. © René Magritte, by SIAE 2019; [fig. 6] Emilio Vedova, «Immagine del tempo (Sbarramento)», 1951; tempera d’uovo su tela, 130,5 x 170,4 cm; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim. © Fondazione Emilio e Annabianca Vedova

Informazioni utili
Peggy Guggenheim. L'ultima dogaressa. Collezione Peggy Guggenheim, Dorsoduro 701 - Venezia. Orari: mercoledì-lunedì, dalle ore 10.00 alle ore 18.00 | La biglietteria chiude alle ore 17.30 | Il museo è chiuso tutti i martedì e il 25 dicembre. Ingresso: intero € 15,00, ridotto (incluso senior oltre i 65 anni) € 13,00, ridotto (Incluso studenti fino a 26 anni) € 9,00, gratuito per bambini fino a 10 anni, soci. Informazioni: tel. 041.2405440/419, info@guggenheim-venice.it. Sito internet: www.guggenheim-venice.it. Fino al 27 gennaio 2020

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