Il 2019 verrà ricordato in Italia come l’anno del cinquecentenario dalla morte di Leonardo da Vinci. Ma il mondo dell’arte ricorda quest’autunno anche la scomparsa di un altro autore rappresentativo per la pittura europea, e più precisamente per il «secolo d’oro olandese»: Rembrandt Harmenszoon van Rijn (Leida, 15 luglio 1606 – Amsterdam, 4 ottobre 1669), artista molto prolifico con il suo catalogo di circa seicento tele, duemila disegni e quattrocento incisioni, ma poco presente nelle collezioni pubbliche del nostro Paese.
Le opere di Rembrandt sono, infatti, conservate solo in quattro sedi italiane: la Galleria Sabauda di Torino, gli Uffizi di Firenze, Capodimonte a Napoli e il Museo interreligioso di Bertinoro, sulle appendici dell’Appennino forlivese, che nelle antiche segrete medioevali e nella cinquecentesca cisterna della Rocca vescovile propone un dialogo tra cristianesimo, ebraismo e islam.
Si rivela, dunque, prezioso l’appuntamento promosso dalla città di Parma, grazie a un accordo con il Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo, che ricorda l’anniversario rembrandtiano dei trecentocinquanta anni dalla morte, con l’esposizione dell’«Adorazione dei Magi» (1632), vero e proprio manifesto del fare pittorico del maestro di Leida.
A ospitare la tela è, fino al prossimo 26 gennaio, il Complesso monumentale della Pilotta, imponente palazzo simbolo del potere ducale dei Farnese, la cui Galleria nazionale è un vero e proprio scrigno di tesori con opere significative come, per esempio, «La scapigliata» di Leonardo (attualmente al Louvre), la «Madonna dell’umiltà» del Beato Angelico, la «Guarigione del nato cieco» di El Greco, la «Schiava turca» del Parmigianino, l’«Incoronazione della Vergine» del Correggio, il «Ritratto di Maria Luigia d’Asburgo in veste di Concordia» di Antonio Canova e «La spiaggia» di Renato Guttuso.
L’«Adorazione dei Magi», dipinta intorno al 1632, è un olio su carta incollato su tela di piccole dimensioni (45 x 39 centimetri), che si rifà a un passaggio del Vangelo secondo San Matteo, nel quale è scritto: «udito il re, essi [i magi], partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. / Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. / Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra».
L’opera appartiene a una fase di emancipazione creativa di Rembrandt, uscito da poco dalla bottega del maestro Pieter Lastman, pittore celebre per le sue scene bibliche, mitologiche e storiche, che aveva studiato e lavorato in Italia esportando nel suo Paese alcune delle caratteristiche principali della pittura barocca, a partire dalla lezione di Caravaggio sull’uso della luce e da quella della famiglia Carracci sullo studio rigoroso del vero, fondamento imprescindibile per le loro scene costruite con una grande ricchezza e varietà di dettagli e personaggi.
In risposta ai codici formali del tardo-manierismo italiano, l’artista fiammingo riprende, infatti, iconografie provenienti da Oriente, meta in quegli anni dei viaggi commerciali della Compagnia delle Indie e oggetto di crescente attenzione, che con il loro esotismo sembrano perfetti per evocare un mondo lontano e sconosciuto come quello della Terra Santa narrato nell’antico Testamento e nei Vangeli. Turbanti, mantelli preziosi, armature, gioielli e, al centro della scena, un grosso ombrello parasole sono gli accessori insoliti che Rembrandt sceglie per animare la sua composizione a più figure, con vari personaggi in abiti orientali e sul lato destro la Madonna e il Bambino, due figure, queste, che presentano legami non totalmente recisi con l’arte italiana del tempo.
La struttura della scena è caratterizzata da un attento gioco focale e da un’esaltazione illusionistica del dettaglio tale da rivelare, attraverso la pittura, la tessitura teologica della storia: la luce si concentra sulla figura del saggio con la barba bianca inginocchiato, che china il suo capo davanti al Cristo tenuto in braccio da Maria, mentre al centro della rappresentazione appare un altro Re magio con gli occhi rivolti verso chi guarda e il braccio teso a benedire il Bambino. L’interesse di Rembrandt sta, dunque, tutto nel tributo che gli antichi saperi magici e astronomici d’Oriente riservano a un Principe divino più potente di tutti, quindi destinato a superare e a sussumere a sé la parzialità dei poteri pagani che lo hanno preceduto.
La tela è stata realizzata in parallelo a una serie di incisioni preparatorie riferite a episodi della vita e della passione di Cristo, mai portate a termine, ed è dipinta in grisaille, chiaroscuro quasi privo di colore introdotto per la prima volta a Roma nella prima metà del Cinquecento.
Un tono prevalentemente marrone si combina con il grigio o l’azzurro: in primo piano domina un morbido color seppia, mentre in secondo piano e in profondità prevale un freddo color grigio precisamente calcolato per essere confrontato con la morbidezza del resto del soggetto. Le tenui gradazioni di colore che avvolgono dalla penombra i singoli dettagli danno alla rappresentazione una sfumatura drammatica, anche questa tipica del linguaggio rembrandtiano.
Le elevate qualità pittoriche della grisaille dell’Ermitage hanno portato i soprintendenti del museo russo ad attribuire la tela all’artista di Leida, dopo una prima fase di incertezza: all’epoca dell’acquisizione, nel 1932, l’opera era, infatti, stata considerata una copia di un dipinto pressoché identico, ma di dimensioni maggiori, che si trova al Museo d’arte di Göteborg (71 x 65,8 cm.).
L’attribuzione è stata confermata dall’analisi della tela ai raggi X, che ha evidenziato correzioni da parte dell’autore, pentimenti che costituiscono, dunque, una prova della sua autenticità. Un’autenticità che si ravvisa anche nei colori autunnali dell’«Adorazione dei Magi», avvolti da forti effetti di chiaroscuro, che ci parlano del recupero di una lettura diretta delle Sacre Scritture caratterizzate da un confronto spesso mistico con il divino, più in linea con la spiritualità popolare e borghese dei paesi del Nord di area protestante.
Didascalia del quadro
Rembrandt Harmenszoon van Rijn (1606-1669), Adorazione dei Magi, 1632. Olio su carta incollato su tela, 45x39 cm. Courtesy Museo dell’Hermitage, San Pietroburgo
Informazioni utili
«Un Rembrandt dall’Ermitage 1669 - 2019: 350 anni dalla morte del maestro». Complesso monumentale della Pilotta, Strada alla Pilotta, 15 – Parma. Orari: da martedì a domenica, ore 8.30 – 19.00; domenica e festivi, ore 13.00-19.00 . Ingresso: la visita alla sala dedicata all’Adorazione dei Magi di Rembrabdt è compresa nel biglietto di ingresso alla Galleria nazionale | intero € 10,00, ridotto gruppi € 8,00, ridotti dai 18 ai 25 anni € 2,00 | fino ai 18 anni gratuito. Informazioni per il pubblico: tel. 0521.233309, cm-pil.info@beniculturali.it. Ufficio stampa: Carla Campanini, carla.campanini@beniculturali.it, tel. 0521.233309 | Lara Facco press@larafacco.com. Fino al 26 gennaio 2020
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
lunedì 9 dicembre 2019
venerdì 6 dicembre 2019
Firenze, al Museo de’ Medici un ritratto di Cosimo I
Ha scritto tre secoli di storia di Firenze, dal XV al XVIII secolo, e ha lasciato in eredità un patrimonio storico e artistico di grande rilevanza. Stiamo parlando della famiglia de’ Medici, alla quale è stato da poco dedicato nella città toscana un museo.
La neonata istituzione, ubicata a metà strada tra la Cattedrale e la Basilica della Santissima Annunziata, è frutto della passione di Samuele Lastrucci, giovane direttore d'orchestra e studioso di musica antica e barocca.
Aperto non a caso nell’anno in cui si festeggia il doppio cinquecentenario della nascita di Cosimo I e di Caterina de’ Medici, il museo ha come suo location il piano nobile di un antico palazzo fiorentino in via de’ Servi, quello di Sforza Almeni, che vide camminare tra le sue stanze Eleonora di Toledo e artisti come Bartolomeo Ammannati e Giorgio Vasari.
In queste sale, fatte costruire da Piero d'Antonio Taddei, i visitatori possono ammirare dalla scorsa estate reliquie e cimeli provenienti da collezioni private, installazioni multimediali e opere d’arte, scoprendo così la storia della casata medicea, che ebbe il controllo del Gran Ducato di Toscana dal 1424 al 1737, ovvero dalla signoria di Cosimo il Vecchio a quella di Gian Gastone.
La prima sala è dedicata alla genealogia e offre un ritratto della famiglia de’ Medici attraverso un suggestivo cinema olografico.
La stanza seguente racconta, invece, la nascita del Granducato, le ville di proprietà della famiglia, la flotta dei Cavalieri di Santo Stefano, fondata da Cosimo I°, e la famosa battaglia di Anghiari, combattuta tra le truppe milanesi della famiglia Visconti e l’esercito fiorentino.
Il museo continua, poi, con una grande sala dedicata al mecenatismo artistico, caratteristica peculiare della dinastia, nella quale, oltre a una galleria di pittura virtuale e a una preziosa collezione di monete originali dal XV al XVIII secolo, è possibile ammirare una scultura di Giovanni Battista Foggini ritraente Ferdinando II.
Il percorso continua, quindi, con una sezione dedicata alla moda del tempo, con alcune statue per banchetti su modelli del Giambologna (realmente fuse nello zucchero), e una sala sulla scienza, in cui sono conservate una collezione storica di animali imbalsamati, una serie di minerali e alambicchi legati all'alchimia, un modello del telescopio con il quale Galileo Galilei scoprì i pianeti medicei e persino un documento originale del papa che condannò l'astronomo pisano.
A tutto ciò si aggiungono la piccola sala originariamente utilizzata come cappella palatina dallo Sforza Almeni, all’interno della quale è conservato ancora oggi un prezioso soffitto affrescato del XVI secolo, e una sorta di cantinetta, dove è possibile conoscere i vini preferiti dalla famiglia de’ Medici, tutelati dallo specifico bando emesso da Cosimo III già nel 1716.
Non manca lungo il percorso espositivo anche un piccolo ambiente nel quale ammirare la più fedele ricostruzione tridimensionale al mondo della corona granducale, oggi perduta.
Nella mission della neonata istituzione c’è anche l’organizzazione di mostre temporanee, eventi, incontri, presentazioni editoriali e conferenze.
Tra le rassegne in cartellone si segnala «Cosimo I. Spolveri di un grande affresco», curata dall’antiquario Alberto Bruschi, che offre al pubblico l’occasione di vedere una quindicina di opere tra dipinti, reliquie, curiosità, manoscritti, medaglie, libri a stampa e oggetti di vario genere incentrati sulla figura del granduca toscano.
Tra i pezzi esposti si possono ammirare ben quattro medaglie della settecentesca Serie medicea, opera di Antonio Selvi, che raffigurano Cosimo I, Eleonora di Toledo, Camilla Martelli e il misterioso Don Fagoro (si tratta, in realtà, di Don Pedricco, figlio del granduca, morto a meno di un anno di età, ma raffigurato dall’incisore come un giovinetto di almeno 15 anni e in armatura).
Una delle opere più importanti esposte è il quadro-bozzetto preparatorio di Jacopo Ligozzi per il dipinto «Bonifacio VIII riceve gli ambasciatori fiorentini» nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze, che l’artista terminò nel 1592 e il cui disegno è oggi conservato nel Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi.
«La scena -raccontano al Museo de’ Medici- doveva illustrare il momento in cui papa Bonifacio VIII nel 1295, vedendosi attorniato dagli ambasciatori fiorentini che gli rendevano omaggio, esclamò che i fiorentini erano il quinto elemento della Terra, alludendo ovviamente ai quattro elementi costitutivi del cosmo della filosofia presocratica. Solo che Ligozzi pose sul fondo dell’immagine la personificazione della Toscana al centro, affiancata invece che dai quattro elementi, dai quattro continenti, considerando, dunque, anche l'America».
Lungo il percorso espositivo si possono, inoltre, vedere il «Ritratto di Cosimo I» attribuito all’Allori e due reliquie di Pio V, ovvero il guanto della mano destra, con il quale il papa benedisse le truppe della Battaglia di Lepanto, e una pantofola, una di quelle che Cosimo dovette baciare il giorno della sua incoronazione granducale, avvenuta nel 1569. Un momento importante, questo, per la politica cosimiana e per il potere della famiglia de’ Medici, regina indiscussa di Firenze per ancora altri due secoli.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Bronzino (bottega). Ritratto di Cosimo I (attr. Allori); [fig. 2] J. Ligozzi, Bonifacio VIII riceve gli ambasciatori fiorentini, quadro-bozzetto preparatorio, ante 1592; [fig. 3] A. Haelvegh. Ritratto di Cosimo I, acquaforte.c. 1675; [fig. 4] Stemma coniugale Medici-Toledo affisso sullo sprone del Palazzo di Sforza Almeni
Informazioni utili
Cosimo I. Spolveri di un grande affresco. Museo de’ Medici - Palazzo di Sforza Almeni (primo pano), via dei Servi 12 – Firenze. Orari: tutti i giorni, ore 10-18. Biglietti: 9,00 euro intero, 5,00 euro ridotto (da 7 a 25 anni, gruppi di minimo 10 persone, accompagnatori di persone con disabilità, residenti di Firenze); ingresso libero (da 0 a 6 anni, persone con disabilità, guide turistiche e giornalisti accreditati). Informazioni: www.museodemedici.com |museodemedici@gmail.com. Fino al 24 marzo 2020
La neonata istituzione, ubicata a metà strada tra la Cattedrale e la Basilica della Santissima Annunziata, è frutto della passione di Samuele Lastrucci, giovane direttore d'orchestra e studioso di musica antica e barocca.
Aperto non a caso nell’anno in cui si festeggia il doppio cinquecentenario della nascita di Cosimo I e di Caterina de’ Medici, il museo ha come suo location il piano nobile di un antico palazzo fiorentino in via de’ Servi, quello di Sforza Almeni, che vide camminare tra le sue stanze Eleonora di Toledo e artisti come Bartolomeo Ammannati e Giorgio Vasari.
In queste sale, fatte costruire da Piero d'Antonio Taddei, i visitatori possono ammirare dalla scorsa estate reliquie e cimeli provenienti da collezioni private, installazioni multimediali e opere d’arte, scoprendo così la storia della casata medicea, che ebbe il controllo del Gran Ducato di Toscana dal 1424 al 1737, ovvero dalla signoria di Cosimo il Vecchio a quella di Gian Gastone.
La prima sala è dedicata alla genealogia e offre un ritratto della famiglia de’ Medici attraverso un suggestivo cinema olografico.
La stanza seguente racconta, invece, la nascita del Granducato, le ville di proprietà della famiglia, la flotta dei Cavalieri di Santo Stefano, fondata da Cosimo I°, e la famosa battaglia di Anghiari, combattuta tra le truppe milanesi della famiglia Visconti e l’esercito fiorentino.
Il museo continua, poi, con una grande sala dedicata al mecenatismo artistico, caratteristica peculiare della dinastia, nella quale, oltre a una galleria di pittura virtuale e a una preziosa collezione di monete originali dal XV al XVIII secolo, è possibile ammirare una scultura di Giovanni Battista Foggini ritraente Ferdinando II.
Il percorso continua, quindi, con una sezione dedicata alla moda del tempo, con alcune statue per banchetti su modelli del Giambologna (realmente fuse nello zucchero), e una sala sulla scienza, in cui sono conservate una collezione storica di animali imbalsamati, una serie di minerali e alambicchi legati all'alchimia, un modello del telescopio con il quale Galileo Galilei scoprì i pianeti medicei e persino un documento originale del papa che condannò l'astronomo pisano.
A tutto ciò si aggiungono la piccola sala originariamente utilizzata come cappella palatina dallo Sforza Almeni, all’interno della quale è conservato ancora oggi un prezioso soffitto affrescato del XVI secolo, e una sorta di cantinetta, dove è possibile conoscere i vini preferiti dalla famiglia de’ Medici, tutelati dallo specifico bando emesso da Cosimo III già nel 1716.
Non manca lungo il percorso espositivo anche un piccolo ambiente nel quale ammirare la più fedele ricostruzione tridimensionale al mondo della corona granducale, oggi perduta.
Nella mission della neonata istituzione c’è anche l’organizzazione di mostre temporanee, eventi, incontri, presentazioni editoriali e conferenze.
Tra le rassegne in cartellone si segnala «Cosimo I. Spolveri di un grande affresco», curata dall’antiquario Alberto Bruschi, che offre al pubblico l’occasione di vedere una quindicina di opere tra dipinti, reliquie, curiosità, manoscritti, medaglie, libri a stampa e oggetti di vario genere incentrati sulla figura del granduca toscano.
Tra i pezzi esposti si possono ammirare ben quattro medaglie della settecentesca Serie medicea, opera di Antonio Selvi, che raffigurano Cosimo I, Eleonora di Toledo, Camilla Martelli e il misterioso Don Fagoro (si tratta, in realtà, di Don Pedricco, figlio del granduca, morto a meno di un anno di età, ma raffigurato dall’incisore come un giovinetto di almeno 15 anni e in armatura).
Una delle opere più importanti esposte è il quadro-bozzetto preparatorio di Jacopo Ligozzi per il dipinto «Bonifacio VIII riceve gli ambasciatori fiorentini» nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze, che l’artista terminò nel 1592 e il cui disegno è oggi conservato nel Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi.
«La scena -raccontano al Museo de’ Medici- doveva illustrare il momento in cui papa Bonifacio VIII nel 1295, vedendosi attorniato dagli ambasciatori fiorentini che gli rendevano omaggio, esclamò che i fiorentini erano il quinto elemento della Terra, alludendo ovviamente ai quattro elementi costitutivi del cosmo della filosofia presocratica. Solo che Ligozzi pose sul fondo dell’immagine la personificazione della Toscana al centro, affiancata invece che dai quattro elementi, dai quattro continenti, considerando, dunque, anche l'America».
Lungo il percorso espositivo si possono, inoltre, vedere il «Ritratto di Cosimo I» attribuito all’Allori e due reliquie di Pio V, ovvero il guanto della mano destra, con il quale il papa benedisse le truppe della Battaglia di Lepanto, e una pantofola, una di quelle che Cosimo dovette baciare il giorno della sua incoronazione granducale, avvenuta nel 1569. Un momento importante, questo, per la politica cosimiana e per il potere della famiglia de’ Medici, regina indiscussa di Firenze per ancora altri due secoli.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Bronzino (bottega). Ritratto di Cosimo I (attr. Allori); [fig. 2] J. Ligozzi, Bonifacio VIII riceve gli ambasciatori fiorentini, quadro-bozzetto preparatorio, ante 1592; [fig. 3] A. Haelvegh. Ritratto di Cosimo I, acquaforte.c. 1675; [fig. 4] Stemma coniugale Medici-Toledo affisso sullo sprone del Palazzo di Sforza Almeni
Informazioni utili
Cosimo I. Spolveri di un grande affresco. Museo de’ Medici - Palazzo di Sforza Almeni (primo pano), via dei Servi 12 – Firenze. Orari: tutti i giorni, ore 10-18. Biglietti: 9,00 euro intero, 5,00 euro ridotto (da 7 a 25 anni, gruppi di minimo 10 persone, accompagnatori di persone con disabilità, residenti di Firenze); ingresso libero (da 0 a 6 anni, persone con disabilità, guide turistiche e giornalisti accreditati). Informazioni: www.museodemedici.com |museodemedici@gmail.com. Fino al 24 marzo 2020
giovedì 5 dicembre 2019
Da Giambattista Piranesi a Tapio Wirkkala, le mostre del 2020 alla Fondazione Cini di Venezia
Dalla storia dell’arte alla musica, dal teatro agli studi religiosi: è come al solito ricco il programma di iniziative culturali messo in cantiere dalla Fondazione Giorgio Cini di Venezia per il nuovo anno.
A parlare della varietà della proposta sono i numeri degli eventi organizzati: quarantasei incontri tra convegni, giornate di studio, workshop e seminari, oltre venti concerti, cinque nuovi progetti espositivi, più di trenta iniziative editoriali, varie borse di studio e un premio, il «Benno Geiger», per la traduzione poetica.
Nel nuovo anno proseguirà, inoltre, il progetto di valorizzazione del patrimonio monumentale, artistico, materiale e immateriale custodito sull’Isola di San Giorgio Maggiore, promuovendo lo studio e il progetto di digitalizzazione dei suoi archivi.
In quest’ultimo ambito rientra anche il recente progetto di riqualificazione dell’Auditorium «Lo Squero», vincitore del Premio Torta 2017, già pronto per un nuovo anno di grandi appuntamenti.
La nuova stagione concertistica vedrà consolidarsi i rapporti avviati negli anni passati con Asolo Musica, l’Associazione Amici della Musica, Le Dimore del Quartetto, Chamber Music – Premio Trieste e Antiruggine, il laboratorio culturale creato da Mario Brunello, che da oltre dieci anni promuove un’idea di cultura trasversale a molte discipline, con più di trecento serate realizzate, dedicate prevalentemente alla musica, ma anche a letteratura, teatro, architettura, cinema, sport, alto artigianato artistico.
La Cini vanta, inoltre, un'intensa attività convegnistica. Tra i tanti incontri organizzati nel 2020 a Venezia ce ne sono alcuni significativi per chi si occupa di arte come il convegno internazionale su Vittore Carpaccio (11-12 novembre) e l’appuntamento «Il teatro in fotografia. La scena teatrale italiana tra le due guerre» (16-17 novembre).
La fondazione organizzerà, inoltre, la tappa veneziana del «Taihu World Cultural Forum» (7-9 maggio) dedicato allo scambio e al dialogo culturale tra Italia e Cina in occasione del cinquantesimo anniversario (1970-2020) del ristabilimento delle relazioni diplomatiche ufficiali tra la Repubblica popolare cinese e la Repubblica italiana.
Di grande qualità, infine, è il calendario delle mostre in programma. Si inizierà con la riapertura stagionale della Galleria di Palazzo Cini a San Vio, grazie alla partnership di Assicurazioni Generali. A segnare l'avvio delle attività sarà la mostra «Piranesi Roma Basilico» (nelle due foto accanto), organizzata in occasione delle celebrazioni per i trecento anni dalla nascita di Giambattista Piranesi (Venezia, 1720 – Roma, 1778).
La proposta espositiva, in cartellone dal 24 aprile al 23 novembre, prevede la presentazione di una settantina di vedute piranesiane, tutte conservate presso le collezioni grafiche della fondazione, accanto alle rispettive fotografie che Gabriele Basilico effettuò nel 2010 in occasione della mostra veneziana sull'artista, ripercorrendo la quasi totalità dei luoghi piranesiani con la macchina fotografica.
Ad aprirsi all’arte saranno, poi, gli spazi dell’Ala napoleonica della Fondazione Giorgio Cini, dove dal 29 aprile al 15 luglio ci sarà «Est. Storie italiane di territori, città e architetture», a cura di Luca Molinari, già curatore del Padiglione Italia alla dodicesima Biennale di Architettura.
L’esposizione vuole raccontare storie di luoghi e città guardando il mondo verso Est partendo dall’Italia, che rimane il perno del percorso narrativo. Al centro del progetto -raccontano gli organizzatori- c’è «il 'fare italiano', che rifugge una pratica colonizzatrice per un atteggiamento di dialogo e assimilazione di mondi diversi dal nostro, avendo poi la capacità di immaginare e costruire spazi e luoghi significativi per la realtà in cui si sono insediati».
Sarà, quindi, la volta di «Homo Faber: Crafting a more human future. Living Treasures of Europe and Japan», in cartellone dal 10 settembre all’11 ottobre.
Dopo l’incredibile successo dell’edizione inaugurale del 2018, la rassegna celebrerà nuovamente l’artigianato d’eccellenza. Il designer giapponese di fama internazionale Naoto Fukasawa, l’acclamata fotografa nipponica Rinko Kawauchi, l’iconico regista americano Robert Wilson, il collezionista ed esperto britannico Simon Kidston, il professore universitario veneziano Stefano Micelli, l’executive director del Museo d’arte di Hakone Tokugo Uchida, i celebri architetti italiani Michele De Lucchi e Stefano Boeri, la docente londinese di moda Judith Clark, il designer tedesco Sebastian Herkner, gli esperti e consulenti d’arte David Caméo e Frédéric Bodet, il gallerista belga Jean Blanchaert sono i nomi di prestigio chiamati a immaginare i sedici spazi espositivi di «Homo Faber». Saranno loro a creare una visione spettacolare e senza eguali dell’artigianato d’eccellenza contemporaneo, disegnando un ponte tra tradizione e futuro.
Mentre l’attività delle «Le stanze del vetro», iniziativa per lo studio e la valorizzazione dell’arte vetraria veneziana del Novecento, nata dalla collaborazione tra Fondazione Cini e Pentagram Stiftung, prevede due mostre.
Si inizierà con «Venice and American Studio Glass» (26 marzo - 26 luglio), a cura di Tina Oldknow e William Warmus. Più di centocinquanta pezzi provenienti dagli Stati Uniti e dall’Europa permetteranno di esaminare da vicino l’influenza dell’estetica e delle tradizionali tecniche di lavorazione del vetro veneziano nello Studio Glass dagli anni Sessanta ad oggi.
Al centro della rassegna ci sarà la monumentale installazione di Dale Chihuly, «Laguna Murano Chandelier», realizzata a Murano con i maestri veneziani Lino Tagliapietra e Pino Signoretto.
In autunno si terrà, invece, «Tapio Wirkkala e Toni Zuccheri alla Venini» (7 settembre 2020 - 10 gennaio 2021), a cura di Marino Barovier.
L’esposizione guiderà il pubblico tra due aspetti della stessa realtà, due generi quasi agli antipodi ma ugualmente fondanti: il minimalismo del nordico Tapio Wirkkala, che tanto influenzò il dialogo di prospettiva tra Finlandia e Italia, e il Bestiario lagunare di Toni Zuccheri, che trovò nella natura una costante fonte da cui lasciarsi contaminare e ispirare.
Per saperne di più
www.cini.it
A parlare della varietà della proposta sono i numeri degli eventi organizzati: quarantasei incontri tra convegni, giornate di studio, workshop e seminari, oltre venti concerti, cinque nuovi progetti espositivi, più di trenta iniziative editoriali, varie borse di studio e un premio, il «Benno Geiger», per la traduzione poetica.
Nel nuovo anno proseguirà, inoltre, il progetto di valorizzazione del patrimonio monumentale, artistico, materiale e immateriale custodito sull’Isola di San Giorgio Maggiore, promuovendo lo studio e il progetto di digitalizzazione dei suoi archivi.
In quest’ultimo ambito rientra anche il recente progetto di riqualificazione dell’Auditorium «Lo Squero», vincitore del Premio Torta 2017, già pronto per un nuovo anno di grandi appuntamenti.
La nuova stagione concertistica vedrà consolidarsi i rapporti avviati negli anni passati con Asolo Musica, l’Associazione Amici della Musica, Le Dimore del Quartetto, Chamber Music – Premio Trieste e Antiruggine, il laboratorio culturale creato da Mario Brunello, che da oltre dieci anni promuove un’idea di cultura trasversale a molte discipline, con più di trecento serate realizzate, dedicate prevalentemente alla musica, ma anche a letteratura, teatro, architettura, cinema, sport, alto artigianato artistico.
La Cini vanta, inoltre, un'intensa attività convegnistica. Tra i tanti incontri organizzati nel 2020 a Venezia ce ne sono alcuni significativi per chi si occupa di arte come il convegno internazionale su Vittore Carpaccio (11-12 novembre) e l’appuntamento «Il teatro in fotografia. La scena teatrale italiana tra le due guerre» (16-17 novembre).
La fondazione organizzerà, inoltre, la tappa veneziana del «Taihu World Cultural Forum» (7-9 maggio) dedicato allo scambio e al dialogo culturale tra Italia e Cina in occasione del cinquantesimo anniversario (1970-2020) del ristabilimento delle relazioni diplomatiche ufficiali tra la Repubblica popolare cinese e la Repubblica italiana.
Di grande qualità, infine, è il calendario delle mostre in programma. Si inizierà con la riapertura stagionale della Galleria di Palazzo Cini a San Vio, grazie alla partnership di Assicurazioni Generali. A segnare l'avvio delle attività sarà la mostra «Piranesi Roma Basilico» (nelle due foto accanto), organizzata in occasione delle celebrazioni per i trecento anni dalla nascita di Giambattista Piranesi (Venezia, 1720 – Roma, 1778).
La proposta espositiva, in cartellone dal 24 aprile al 23 novembre, prevede la presentazione di una settantina di vedute piranesiane, tutte conservate presso le collezioni grafiche della fondazione, accanto alle rispettive fotografie che Gabriele Basilico effettuò nel 2010 in occasione della mostra veneziana sull'artista, ripercorrendo la quasi totalità dei luoghi piranesiani con la macchina fotografica.
Ad aprirsi all’arte saranno, poi, gli spazi dell’Ala napoleonica della Fondazione Giorgio Cini, dove dal 29 aprile al 15 luglio ci sarà «Est. Storie italiane di territori, città e architetture», a cura di Luca Molinari, già curatore del Padiglione Italia alla dodicesima Biennale di Architettura.
L’esposizione vuole raccontare storie di luoghi e città guardando il mondo verso Est partendo dall’Italia, che rimane il perno del percorso narrativo. Al centro del progetto -raccontano gli organizzatori- c’è «il 'fare italiano', che rifugge una pratica colonizzatrice per un atteggiamento di dialogo e assimilazione di mondi diversi dal nostro, avendo poi la capacità di immaginare e costruire spazi e luoghi significativi per la realtà in cui si sono insediati».
Sarà, quindi, la volta di «Homo Faber: Crafting a more human future. Living Treasures of Europe and Japan», in cartellone dal 10 settembre all’11 ottobre.
Dopo l’incredibile successo dell’edizione inaugurale del 2018, la rassegna celebrerà nuovamente l’artigianato d’eccellenza. Il designer giapponese di fama internazionale Naoto Fukasawa, l’acclamata fotografa nipponica Rinko Kawauchi, l’iconico regista americano Robert Wilson, il collezionista ed esperto britannico Simon Kidston, il professore universitario veneziano Stefano Micelli, l’executive director del Museo d’arte di Hakone Tokugo Uchida, i celebri architetti italiani Michele De Lucchi e Stefano Boeri, la docente londinese di moda Judith Clark, il designer tedesco Sebastian Herkner, gli esperti e consulenti d’arte David Caméo e Frédéric Bodet, il gallerista belga Jean Blanchaert sono i nomi di prestigio chiamati a immaginare i sedici spazi espositivi di «Homo Faber». Saranno loro a creare una visione spettacolare e senza eguali dell’artigianato d’eccellenza contemporaneo, disegnando un ponte tra tradizione e futuro.
Mentre l’attività delle «Le stanze del vetro», iniziativa per lo studio e la valorizzazione dell’arte vetraria veneziana del Novecento, nata dalla collaborazione tra Fondazione Cini e Pentagram Stiftung, prevede due mostre.
Si inizierà con «Venice and American Studio Glass» (26 marzo - 26 luglio), a cura di Tina Oldknow e William Warmus. Più di centocinquanta pezzi provenienti dagli Stati Uniti e dall’Europa permetteranno di esaminare da vicino l’influenza dell’estetica e delle tradizionali tecniche di lavorazione del vetro veneziano nello Studio Glass dagli anni Sessanta ad oggi.
Al centro della rassegna ci sarà la monumentale installazione di Dale Chihuly, «Laguna Murano Chandelier», realizzata a Murano con i maestri veneziani Lino Tagliapietra e Pino Signoretto.
In autunno si terrà, invece, «Tapio Wirkkala e Toni Zuccheri alla Venini» (7 settembre 2020 - 10 gennaio 2021), a cura di Marino Barovier.
L’esposizione guiderà il pubblico tra due aspetti della stessa realtà, due generi quasi agli antipodi ma ugualmente fondanti: il minimalismo del nordico Tapio Wirkkala, che tanto influenzò il dialogo di prospettiva tra Finlandia e Italia, e il Bestiario lagunare di Toni Zuccheri, che trovò nella natura una costante fonte da cui lasciarsi contaminare e ispirare.
Per saperne di più
www.cini.it
mercoledì 4 dicembre 2019
Da Leonardo a Raffaello, Nexo Digital torna nei cinema con «la grande arte»
Si apre con un omaggio a Leonardo da Vinci, in occasione del cinquecentesimo anniversario dalla morte, il nuovo cartellone della rassegna «La grande arte al cinema», promossa da Nexo Digital, con i media partner Radio Capital, Sky Arte e MYmovies.it e in collaborazione con Abbonamento Musei.
Il primo appuntamento della nuova stagione è fissato per le giornate di lunedì 13, martedì 14 e mercoledì 15 gennaio, quando alcuni dei dipinti e dei disegni dell’artista toscano saranno proiettati sul grande schermo delle migliori sale italiane in qualità ultra HD.
Tra le opere incluse nel nuovo docu-film si segnalano, tra le altre, «La Gioconda», «L'ultima cena», «La dama con l'ermellino», «Ginevra de 'Benci», «La Madonna Litta» e «La Vergine delle rocce».
Il progetto filmico si propone, nello specifico, di ripercorrere, attraverso il prisma della sua pittura, anche la vita di Leonardo (1452-1519) e alcuni dei suoi principali tratti distintivi: «l’inventiva -si legge nella sinossi-, le capacità scultoree, la lungimiranza nell’ambito dell’ingegneria militare e la capacità di districarsi nelle vicende politiche del tempo».
I titoli in cartellone per la prima parte dell’anno sono in tutto sette. Il secondo sarà il film «Impressionisti segreti», prodotto da Ballandi Arts e Nexo Digital, per la regia di Daniele Pini.
«Come guardavano il mondo gli impressionisti? Come furono accolte le loro opere? Come sono passate dall’essere rifiutate da critica e pubblico a diventare in pochi anni tra le più amate nel mondo?». Sono queste le domande che tessono la trama del progetto filmico, ideato a partire dall’omonima mostra, in programma fino al prossimo 8 marzo a Roma, negli spazi di Palazzo Bonaparte.
Le due curatrici della rassegna, Claire Durand-Ruel e Marianne Mathieu, accompagneranno il pubblico in un percorso articolato, dove immagini di ampio respiro troveranno il loro contrappunto ideale nelle analisi compiute da esperti, storici, artisti e altre figure legate al mondo della pittura moderna e della cultura visuale.
Al centro del film -in cartellone nelle giornate di lunedì 10, martedì 11 e mercoledì 12 febbraio- ci sono «cinquanta tesori nascosti», fino ad oggi preclusi al grande pubblico, opere di Manet, Caillebotte, Renoir, Monet, Berthe Morisot, Cézanne, Signac e Sisley, che sono il punto di partenza per un approfondimento sui percorsi dei singoli autori e sulle peculiarità del movimento impressionista.
Toccherà, quindi, arricchire la programmazione delle sale cinematografiche italiane al film «Maledetto Modigliani», diretto da Valeria Parisi e scritto con Arianna Marelli in occasione del centenario dalla scomparsa dell’artista (1884-1920).
Dalla Livorno delle origini, patria dei Macchiaioli, alla Parigi di Picasso e di Brancusi, centro della modernità: sono questi i due poli di un percorso all’insegna di un segno unico, tra primitivismo e Rinascimento italiano.
La biografia breve e tormentata dell’artista -in agenda nei cinema italiani lunedì 30, martedì 31 marzo e mercoledì 1° aprile-racconterà anche la storia di amori non consumati, tumultuosi e drammatici con donne dalle personalità estremamente contemporanee come la poetessa Anna Achmatova, la giornalista Beatrice Hastings e la pittrice Jeanne Hébuterne.
La programmazione proseguirà, poi, con «La Pasqua nell’arte», in calendario nelle giornate del 14 e 15 aprile.
«I temi della morte e risurrezione di Cristo -si legge nella sinossi- hanno dominato la cultura occidentale negli ultimi 2000 anni, rivelandosi uno degli eventi di maggior impatto di tutti i tempi, come raccontato dai Vangeli e come rappresentato dai più grandi artisti della storia occidentale».
Girato tra Gerusalemme, gli Stati Uniti e l’Europa, il docu-film distribuito da Nexo Digital esplora le rappresentazioni della Pasqua dai tempi dei primi cristiani sino ai giorni nostri, facendoci vedere come gli artisti abbiano rappresentato la morte e la rinascita in vari modi: chi in maniera trionfante, chi in modo più intimo e primitivo.
Dal 27 al 29 aprile sarà, quindi, il turno di «Botticelli e Firenze. La Nascita della bellezza», prodotto da Sky con Ballandi e Nexo Digital; firma la regia Marco Pianigiani.
Sono gli anni di Lorenzo de' Medici, detto il Magnifico, quelli al centro del docu-film: la bellezza e la cultura convivono con il lato oscuro della città, fatto di lotte per il potere e intrighi di efferata violenza.
Un artista, più di tutti, ha saputo proiettare nelle sue opere, le luci e le ombre di quegli anni, destinati a rimanere indimenticati: Sandro Botticelli (1445-1510).
Sin dall’esordio il maestro toscano si impone come l’inventore di una bellezza ideale, che trova la sua massima espressione in opere come la «Primavera» e la «Nascita di Venere». La morte di Lorenzo Il Magnifico, le prediche apocalittiche di Girolamo Savonarola e i falò delle vanità segnano la parabola discendente del maestro fiorentino, destinato a un oblio di oltre tre secoli. Le sue opere verranno riscoperte dai preraffaeliti e continueranno ad affascinare le successive generazioni di artisti: da Salvador Dalì a Andy Warhol, da David LaChapelle a Jeff Koons e Lady Gaga.
Un mese dopo -dal 25 al 27 maggio- il pubblico della rassegna «La grande arte al cinema» farà un salto nel Rinascimento con «Raffaello. Il giovane prodigio», film diretto da Massimo Ferrari e prodotto da Sky in occasione dei cinquecento anni dalla morte dell’artista rinascimentale.
Dalla madre Magia Ciarla, che morì quando il pittore aveva solo 8 anni, alle estimatrici che lo hanno aiutato nel suo successo, fino alla donna che secondo la leggenda lo porterà alla morte, sono le figure femminili le protagoniste del racconto filmico, teso a mostrare anche come Raffaello (1483-1520) sia stato in grado di concentrare il suo sguardo più che sulla fisicità sulla psicologia delle donne raffigurate, innalzandone in maniera dirompente il carattere.
A chiudere la stagione sarà, dal 22 al 24 giugno, «Lucian Freud. Autoritratto», il docu-film realizzato a partire dalla mostra alla Royal Academy of Arts di Londra, realizzata in collaborazione con il Museum of Fine Arts di Boston, che fino al prossimo gennaio permetterà di vedere oltre cinquanta opere dell’artista, nipote di Sigmund Freud e importante protagonista della scena artistica del dopoguerra londinese.
Un cartellone, dunque, vario quello di questa nuova stagione della rassegna «La grande arte al cinema», che di anno in anno è andata facendosi apprezzare da addetti ai lavori e da semplici appassionati.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Locandina della rassegna «La grande arte al cinema»; [fig. 2] Frame del film su Leonardo da Vinci con il quadro «La dama dell'ermellino», The National Museum in Krakow ® Exihibition on screen; [fig. 3] Momento di preparazione del film «Leonardo. Le opere» ® Exihibition on screen; [fig. 4] Momento di preparazione del fim su Botticelli ® Sky-Federica Belli; [figg. 5 e 6] Momento di preparazione del fim su Raffello ® Sky
Informazioni utili
«La grande arte al cinema» - Nuova stagione 2020. Leonardo. Le opere - 13, 14, 15 gennaio | Impressionisti segreti - 10, 11 e 12 febbraio | Maledetto Modigliani - 30 e 31 marzo e l’1 aprile | La Pasqua nell’Arte - 14 e 15 aprile | Botticelli e Firenze. La Nascita della Bellezza - 27, 28, 29 aprile | Raffaello. Il Giovane Prodigio - 25, 26 e 27 maggio | Lucian Freud. Autoritratto - 22, 23 e 24 giugno. Progetto Scuole: tutti i titoli possono essere richiesti anche per speciali matinée al cinema dedicate alle scuole; per prenotazioni: Maria Chiara Buongiorno, progetto.scuole@nexodigital.it, tel. 02.8051633. Sito internet: www.nexodigital.it.
Il primo appuntamento della nuova stagione è fissato per le giornate di lunedì 13, martedì 14 e mercoledì 15 gennaio, quando alcuni dei dipinti e dei disegni dell’artista toscano saranno proiettati sul grande schermo delle migliori sale italiane in qualità ultra HD.
Tra le opere incluse nel nuovo docu-film si segnalano, tra le altre, «La Gioconda», «L'ultima cena», «La dama con l'ermellino», «Ginevra de 'Benci», «La Madonna Litta» e «La Vergine delle rocce».
Il progetto filmico si propone, nello specifico, di ripercorrere, attraverso il prisma della sua pittura, anche la vita di Leonardo (1452-1519) e alcuni dei suoi principali tratti distintivi: «l’inventiva -si legge nella sinossi-, le capacità scultoree, la lungimiranza nell’ambito dell’ingegneria militare e la capacità di districarsi nelle vicende politiche del tempo».
I titoli in cartellone per la prima parte dell’anno sono in tutto sette. Il secondo sarà il film «Impressionisti segreti», prodotto da Ballandi Arts e Nexo Digital, per la regia di Daniele Pini.
«Come guardavano il mondo gli impressionisti? Come furono accolte le loro opere? Come sono passate dall’essere rifiutate da critica e pubblico a diventare in pochi anni tra le più amate nel mondo?». Sono queste le domande che tessono la trama del progetto filmico, ideato a partire dall’omonima mostra, in programma fino al prossimo 8 marzo a Roma, negli spazi di Palazzo Bonaparte.
Le due curatrici della rassegna, Claire Durand-Ruel e Marianne Mathieu, accompagneranno il pubblico in un percorso articolato, dove immagini di ampio respiro troveranno il loro contrappunto ideale nelle analisi compiute da esperti, storici, artisti e altre figure legate al mondo della pittura moderna e della cultura visuale.
Al centro del film -in cartellone nelle giornate di lunedì 10, martedì 11 e mercoledì 12 febbraio- ci sono «cinquanta tesori nascosti», fino ad oggi preclusi al grande pubblico, opere di Manet, Caillebotte, Renoir, Monet, Berthe Morisot, Cézanne, Signac e Sisley, che sono il punto di partenza per un approfondimento sui percorsi dei singoli autori e sulle peculiarità del movimento impressionista.
Toccherà, quindi, arricchire la programmazione delle sale cinematografiche italiane al film «Maledetto Modigliani», diretto da Valeria Parisi e scritto con Arianna Marelli in occasione del centenario dalla scomparsa dell’artista (1884-1920).
Dalla Livorno delle origini, patria dei Macchiaioli, alla Parigi di Picasso e di Brancusi, centro della modernità: sono questi i due poli di un percorso all’insegna di un segno unico, tra primitivismo e Rinascimento italiano.
La biografia breve e tormentata dell’artista -in agenda nei cinema italiani lunedì 30, martedì 31 marzo e mercoledì 1° aprile-racconterà anche la storia di amori non consumati, tumultuosi e drammatici con donne dalle personalità estremamente contemporanee come la poetessa Anna Achmatova, la giornalista Beatrice Hastings e la pittrice Jeanne Hébuterne.
La programmazione proseguirà, poi, con «La Pasqua nell’arte», in calendario nelle giornate del 14 e 15 aprile.
«I temi della morte e risurrezione di Cristo -si legge nella sinossi- hanno dominato la cultura occidentale negli ultimi 2000 anni, rivelandosi uno degli eventi di maggior impatto di tutti i tempi, come raccontato dai Vangeli e come rappresentato dai più grandi artisti della storia occidentale».
Girato tra Gerusalemme, gli Stati Uniti e l’Europa, il docu-film distribuito da Nexo Digital esplora le rappresentazioni della Pasqua dai tempi dei primi cristiani sino ai giorni nostri, facendoci vedere come gli artisti abbiano rappresentato la morte e la rinascita in vari modi: chi in maniera trionfante, chi in modo più intimo e primitivo.
Dal 27 al 29 aprile sarà, quindi, il turno di «Botticelli e Firenze. La Nascita della bellezza», prodotto da Sky con Ballandi e Nexo Digital; firma la regia Marco Pianigiani.
Sono gli anni di Lorenzo de' Medici, detto il Magnifico, quelli al centro del docu-film: la bellezza e la cultura convivono con il lato oscuro della città, fatto di lotte per il potere e intrighi di efferata violenza.
Un artista, più di tutti, ha saputo proiettare nelle sue opere, le luci e le ombre di quegli anni, destinati a rimanere indimenticati: Sandro Botticelli (1445-1510).
Sin dall’esordio il maestro toscano si impone come l’inventore di una bellezza ideale, che trova la sua massima espressione in opere come la «Primavera» e la «Nascita di Venere». La morte di Lorenzo Il Magnifico, le prediche apocalittiche di Girolamo Savonarola e i falò delle vanità segnano la parabola discendente del maestro fiorentino, destinato a un oblio di oltre tre secoli. Le sue opere verranno riscoperte dai preraffaeliti e continueranno ad affascinare le successive generazioni di artisti: da Salvador Dalì a Andy Warhol, da David LaChapelle a Jeff Koons e Lady Gaga.
Un mese dopo -dal 25 al 27 maggio- il pubblico della rassegna «La grande arte al cinema» farà un salto nel Rinascimento con «Raffaello. Il giovane prodigio», film diretto da Massimo Ferrari e prodotto da Sky in occasione dei cinquecento anni dalla morte dell’artista rinascimentale.
Dalla madre Magia Ciarla, che morì quando il pittore aveva solo 8 anni, alle estimatrici che lo hanno aiutato nel suo successo, fino alla donna che secondo la leggenda lo porterà alla morte, sono le figure femminili le protagoniste del racconto filmico, teso a mostrare anche come Raffaello (1483-1520) sia stato in grado di concentrare il suo sguardo più che sulla fisicità sulla psicologia delle donne raffigurate, innalzandone in maniera dirompente il carattere.
A chiudere la stagione sarà, dal 22 al 24 giugno, «Lucian Freud. Autoritratto», il docu-film realizzato a partire dalla mostra alla Royal Academy of Arts di Londra, realizzata in collaborazione con il Museum of Fine Arts di Boston, che fino al prossimo gennaio permetterà di vedere oltre cinquanta opere dell’artista, nipote di Sigmund Freud e importante protagonista della scena artistica del dopoguerra londinese.
Un cartellone, dunque, vario quello di questa nuova stagione della rassegna «La grande arte al cinema», che di anno in anno è andata facendosi apprezzare da addetti ai lavori e da semplici appassionati.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Locandina della rassegna «La grande arte al cinema»; [fig. 2] Frame del film su Leonardo da Vinci con il quadro «La dama dell'ermellino», The National Museum in Krakow ® Exihibition on screen; [fig. 3] Momento di preparazione del film «Leonardo. Le opere» ® Exihibition on screen; [fig. 4] Momento di preparazione del fim su Botticelli ® Sky-Federica Belli; [figg. 5 e 6] Momento di preparazione del fim su Raffello ® Sky
Informazioni utili
«La grande arte al cinema» - Nuova stagione 2020. Leonardo. Le opere - 13, 14, 15 gennaio | Impressionisti segreti - 10, 11 e 12 febbraio | Maledetto Modigliani - 30 e 31 marzo e l’1 aprile | La Pasqua nell’Arte - 14 e 15 aprile | Botticelli e Firenze. La Nascita della Bellezza - 27, 28, 29 aprile | Raffaello. Il Giovane Prodigio - 25, 26 e 27 maggio | Lucian Freud. Autoritratto - 22, 23 e 24 giugno. Progetto Scuole: tutti i titoli possono essere richiesti anche per speciali matinée al cinema dedicate alle scuole; per prenotazioni: Maria Chiara Buongiorno, progetto.scuole@nexodigital.it, tel. 02.8051633. Sito internet: www.nexodigital.it.
martedì 3 dicembre 2019
Leonardo e la vigna di Milano: una storia dimenticata. Se ne parla a Mantova
Una storia dimenticata lega Leonardo da Vinci alla città di Milano: nel 1498 il duca Ludovico Maria Sforza detto il Moro regala all'artista, come segno di riconoscenza per gli «svariati e mirabili» servigi, una vigna di circa sedici pertiche, nelle vicinanze del refettorio di Santa Maria delle Grazie e della sua «Ultima cena», sul retro della casa degli Atellani.
Il dono non è casuale. Il maestro toscano viene da una famiglia di vignaioli e il nettare di Bacco rientra fra i suoi molteplici interessi: lo dimostrano le liste della spesa, gli schizzi di parti e momenti importanti del ciclo della vite, i molti appunti rinvenuti fra le sue carte.
Tra il 1499 e il 1500 Leonardo lascia Milano, presa d’assalto dalle truppe francesi, e si sposta inizialmente a Mantova e poi a Venezia, non senza prima essersi occupato della vigna, che viene lasciata in gestione a un certo messer Pietro di Giovanni da Oppreno, padre del suo allievo prediletto: Gian Giacomo Caprotti, detto il Salai.
Due anni dopo il terreno viene confiscato dai francesi e assegnato a un tal Leonino Biglia, per poi essere restituito all’artista nel 1507. È lo stesso Leonardo a porre l’annullamento della confisca come condizione per il suo rientro in città, dove è stato invitato dal luogotenente del re di Francia Luigi XII, Carlo d'Amboise, a concludere alcune opere cominciate sotto gli Sforza.
Il terreno appare nel Codice Atlantico e nel testamento dell’artista, redatto nell’aprile del 1519, un mese prima della sua morte, quale unico bene immobile di sua proprietà. In questo documento, la vigna viene divisa in due lotti: l’uno va Salai, che su quel terreno ha costruito una casa, e l’altro a Giovanbattista Villani, il servitore che ha seguito Leonardo fino alla fine. Quest'ultimo lascia, nel 1534, la sua porzione di terra al vicino Monastero di San Gerolamo, mentre il destino legale dell’altro lotto si perde nel buio, come tanto di quello che riguarda la figura del Salai.
A ricostruire la storia della vigna -e a identificare con precisione il terreno su cui sorge, orientato secondo una direzione all’incirca parallela all’attuale via de Grassi- è stato nel 1920, in un volume edito per le edizioni Allegretti di Milano, lo storico dell’arte Luca Beltrami, massimo studioso del periodo milanese di Leonardo da Vinci.
Nello stesso anno l’architetto Piero Portaluppi avvia il cantiere per la trasformazione di Casa degli Atellani, l’unica dimora ancora in piedi del grande sogno urbanistico di Ludovico il Moro, che nell’attuale quartiere di Porta Vercellina, sui terreni della vigna grande di San Vittore, intendeva costruire un nuovo quartiere residenziale, dove alloggiare i suoi uomini più fedeli.
Oggi il palazzo quattrocentesco del nobile signor Giacometto di Lucia dell’Atella, che dal 1919 è di proprietà della famiglia Conti, è in parte aperto al pubblico, permettendo di ammirare alcuni spazi di grande bellezza come la Sala dello Zodiaco, affrescata con ogni probabilità nel Cinquecento dagli Avogadro di Tradate, la Stanza dei ritratti, che vide al lavoro Bernardino Luini, lo Studio del senatore Ettore Conti e il giardino, dove Matteo Bandello intrecciò la trama delle sue novelle pubblicate nel 1554.
Prima dell'avvio del restauro del Portaluppi, Luca Beltrami varca un cancello di quella zona, in via Zenale, e incredibilmente ritrova, fotografa e tramanda i pergolati ancora vivi di quella che quattro secoli prima era stata la vigna di Leonardo, il luogo dove riposarsi mentre sulle pareti del refettorio di Santa Maria delle Grazie nasceva l’affresco dell’«Ultima cena». Ed è proprio in quest’opera che si trova un riferimento al vitigno: in un dettaglio andato perduto durante gli attacchi aerei dell’ultimo conflitto bellico era presente un grappolo d'uva con la sua caratteristica foglia all’interno di un cesto di frutta posizionato di fronte a un apostolo.
Il restauro dell’area studiato da Piero Portaluppi abbatte la maggior parte dei filari, lasciando in piedi solo la sezione del Salai, che non sopravvive, però, alla Seconda guerra mondiale: viene distrutta da un bombardamento nel 1943.
La vigna di Leonardo, la cui vicenda spazia dal XV secolo agli anni Quaranta del XX secolo, viene dimenticata fino agli inizi del nuovo millennio, quando la Fondazione Portaluppi e gli attuali proprietari di Casa degli Atellani si attivano per restituire a Milano una pagina della sua storia. È il 2004.
Grazie al lavoro dell’enologo Luca Maroni e al contributo decisivo dell’Università degli Studi di Milano, nelle persone della genetista Serena Imazio e del professor Attilio Scienza, massimo esperto del Dna della vite, la vigna leonardesca riapre alla cittadinanza in occasione di Expo Milano 2015. I visitatori possono così scoprire un nuovo volto dell’artista toscano, che, tra i suoi svariati interessi, vanta anche una grande competenza nello studio dei cambiamenti climatici e delle loro ripercussioni sulle coltivazioni.
Durante la fase di studio, l’ateneo milanese riesce dapprima a recuperare il materiale organico sopravvissuto, sotto circa un metro e mezzo di terra e sedimenti, dalla vigna originaria distrutta durante la guerra.
Successivamente i test confermano che i reperti rinvenuti appartengono alla specie vitis vinifera, ossia la comune vite da vino europea; da qui viene ricostruito il profilo genetico completo del vitigno, sottoponendo i campioni di Dna, purificati e aumentati nella loro concentrazione con la Whole Genome Amplification, a diverse sofisticate analisi, dal barcoding ai marcatori molecolari microsatellite, per concludere che il vitigno leonardesco appartiene a un gruppo delle Malvasie, molto in voga all'epoca: la Malvasia di Candia Aromatica, proveniente dal paese di Candia Lomellina, vicino a Pavia.
Un’occasione per conoscere la storia della vigna leonardesca, oggi visitabile tutti i giorni della settimana attraverso tour audioguidati e visite con esperti, è l’incontro «Cronaca di una scoperta» che Mantova organizza per sabato 7 dicembre, alle ore 17, negli spazi della Casa del Mantegna in occasione della mostra «Similiter in pictura».
Container Lab Association ha invitato a parlare il professor Attilio Scienza, che guiderà il pubblico nell'appassionante viaggio della restituzione dell'anima genetica alla vigna leonardesca, tra storia e leggenda, erbari e curiosità scientifiche, dal Quattrocento ad oggi.
La lectio sarà preceduta dall'introduzione «Arte e vino, passione e investimento», a cura di Antonio Urbano, CEO di VintHedge, fondo di investimento a favore del settore enologico italiano. L'intervento è teso ad evidenziare i punti di contatto e le possibilità di investimento in due settori che rappresentano nel mondo due grandi eccellenze del made in Italy, il settore artistico-culturale e quello vitivinicolo.
Una bella proposta, dunque, quella ideata da Mantova per scoprire un tesoro prezioso e ancora in parte sconosciuto di Milano, un paradiso nascosto e incredibilmente affascinante, la cui storia è legata a quella di Leonardo da Vinci e alla sua passione per il nettare di Bacco.
Vedi anche
Presentazione della mostra «Similiter in pictura»
Informazioni utili
Museo Vigna di Leonardo, corso Magenta, 65 - Milano. Orari: dal lunedì al venerdì, dalle 9.00 alle 18.00 | le visite cominciano ogni 30 minuti, ultimo ingresso ore 17.30; sabato e domenica, dalle 9.00 alle 18.00 | le visite cominciano ogni 15 minuti, ultimo ingresso ore 17.45. Ingresso: adulti € 10,00 | ridotti € 8,00 (over 65, bambini e ragazzi da 6 a 18 anni, studenti con tessera) | ridotto TreNord: € 7,00 |gruppi € 8,00 a partire da 20 visitatori | scuole: € 5,00 (contattaci per maggiori informazioni e materiali aggiuntivi) | ingresso gratuito per bambini fino a 5 anni, portatori di handicap e relativi accompagnatori, possessori della card Abbonamento Musei Milano e Lombardia. Modalità di visita: oltre al tour audio-guidato (disponibile ogni giorno) è possibile partecipare al tour guidato esclusivo, disponibile ogni sabato e domenica. Informazioni: info@vignadileonardo.com, tel.02.4816150. Sito internet: vignadileonardo.com.
La vigna di Leonardo. Cronaca di una scoperta. Casa del Mantegna, via Acerbi, 47 - Mantova. Relatori: Attilio Scienza, Antonio Urbano. Data: sabato 7 dicembre 2019, ore 17
Il dono non è casuale. Il maestro toscano viene da una famiglia di vignaioli e il nettare di Bacco rientra fra i suoi molteplici interessi: lo dimostrano le liste della spesa, gli schizzi di parti e momenti importanti del ciclo della vite, i molti appunti rinvenuti fra le sue carte.
Tra il 1499 e il 1500 Leonardo lascia Milano, presa d’assalto dalle truppe francesi, e si sposta inizialmente a Mantova e poi a Venezia, non senza prima essersi occupato della vigna, che viene lasciata in gestione a un certo messer Pietro di Giovanni da Oppreno, padre del suo allievo prediletto: Gian Giacomo Caprotti, detto il Salai.
Due anni dopo il terreno viene confiscato dai francesi e assegnato a un tal Leonino Biglia, per poi essere restituito all’artista nel 1507. È lo stesso Leonardo a porre l’annullamento della confisca come condizione per il suo rientro in città, dove è stato invitato dal luogotenente del re di Francia Luigi XII, Carlo d'Amboise, a concludere alcune opere cominciate sotto gli Sforza.
Il terreno appare nel Codice Atlantico e nel testamento dell’artista, redatto nell’aprile del 1519, un mese prima della sua morte, quale unico bene immobile di sua proprietà. In questo documento, la vigna viene divisa in due lotti: l’uno va Salai, che su quel terreno ha costruito una casa, e l’altro a Giovanbattista Villani, il servitore che ha seguito Leonardo fino alla fine. Quest'ultimo lascia, nel 1534, la sua porzione di terra al vicino Monastero di San Gerolamo, mentre il destino legale dell’altro lotto si perde nel buio, come tanto di quello che riguarda la figura del Salai.
A ricostruire la storia della vigna -e a identificare con precisione il terreno su cui sorge, orientato secondo una direzione all’incirca parallela all’attuale via de Grassi- è stato nel 1920, in un volume edito per le edizioni Allegretti di Milano, lo storico dell’arte Luca Beltrami, massimo studioso del periodo milanese di Leonardo da Vinci.
Nello stesso anno l’architetto Piero Portaluppi avvia il cantiere per la trasformazione di Casa degli Atellani, l’unica dimora ancora in piedi del grande sogno urbanistico di Ludovico il Moro, che nell’attuale quartiere di Porta Vercellina, sui terreni della vigna grande di San Vittore, intendeva costruire un nuovo quartiere residenziale, dove alloggiare i suoi uomini più fedeli.
Oggi il palazzo quattrocentesco del nobile signor Giacometto di Lucia dell’Atella, che dal 1919 è di proprietà della famiglia Conti, è in parte aperto al pubblico, permettendo di ammirare alcuni spazi di grande bellezza come la Sala dello Zodiaco, affrescata con ogni probabilità nel Cinquecento dagli Avogadro di Tradate, la Stanza dei ritratti, che vide al lavoro Bernardino Luini, lo Studio del senatore Ettore Conti e il giardino, dove Matteo Bandello intrecciò la trama delle sue novelle pubblicate nel 1554.
Prima dell'avvio del restauro del Portaluppi, Luca Beltrami varca un cancello di quella zona, in via Zenale, e incredibilmente ritrova, fotografa e tramanda i pergolati ancora vivi di quella che quattro secoli prima era stata la vigna di Leonardo, il luogo dove riposarsi mentre sulle pareti del refettorio di Santa Maria delle Grazie nasceva l’affresco dell’«Ultima cena». Ed è proprio in quest’opera che si trova un riferimento al vitigno: in un dettaglio andato perduto durante gli attacchi aerei dell’ultimo conflitto bellico era presente un grappolo d'uva con la sua caratteristica foglia all’interno di un cesto di frutta posizionato di fronte a un apostolo.
Il restauro dell’area studiato da Piero Portaluppi abbatte la maggior parte dei filari, lasciando in piedi solo la sezione del Salai, che non sopravvive, però, alla Seconda guerra mondiale: viene distrutta da un bombardamento nel 1943.
La vigna di Leonardo, la cui vicenda spazia dal XV secolo agli anni Quaranta del XX secolo, viene dimenticata fino agli inizi del nuovo millennio, quando la Fondazione Portaluppi e gli attuali proprietari di Casa degli Atellani si attivano per restituire a Milano una pagina della sua storia. È il 2004.
Grazie al lavoro dell’enologo Luca Maroni e al contributo decisivo dell’Università degli Studi di Milano, nelle persone della genetista Serena Imazio e del professor Attilio Scienza, massimo esperto del Dna della vite, la vigna leonardesca riapre alla cittadinanza in occasione di Expo Milano 2015. I visitatori possono così scoprire un nuovo volto dell’artista toscano, che, tra i suoi svariati interessi, vanta anche una grande competenza nello studio dei cambiamenti climatici e delle loro ripercussioni sulle coltivazioni.
Durante la fase di studio, l’ateneo milanese riesce dapprima a recuperare il materiale organico sopravvissuto, sotto circa un metro e mezzo di terra e sedimenti, dalla vigna originaria distrutta durante la guerra.
Successivamente i test confermano che i reperti rinvenuti appartengono alla specie vitis vinifera, ossia la comune vite da vino europea; da qui viene ricostruito il profilo genetico completo del vitigno, sottoponendo i campioni di Dna, purificati e aumentati nella loro concentrazione con la Whole Genome Amplification, a diverse sofisticate analisi, dal barcoding ai marcatori molecolari microsatellite, per concludere che il vitigno leonardesco appartiene a un gruppo delle Malvasie, molto in voga all'epoca: la Malvasia di Candia Aromatica, proveniente dal paese di Candia Lomellina, vicino a Pavia.
Un’occasione per conoscere la storia della vigna leonardesca, oggi visitabile tutti i giorni della settimana attraverso tour audioguidati e visite con esperti, è l’incontro «Cronaca di una scoperta» che Mantova organizza per sabato 7 dicembre, alle ore 17, negli spazi della Casa del Mantegna in occasione della mostra «Similiter in pictura».
Container Lab Association ha invitato a parlare il professor Attilio Scienza, che guiderà il pubblico nell'appassionante viaggio della restituzione dell'anima genetica alla vigna leonardesca, tra storia e leggenda, erbari e curiosità scientifiche, dal Quattrocento ad oggi.
La lectio sarà preceduta dall'introduzione «Arte e vino, passione e investimento», a cura di Antonio Urbano, CEO di VintHedge, fondo di investimento a favore del settore enologico italiano. L'intervento è teso ad evidenziare i punti di contatto e le possibilità di investimento in due settori che rappresentano nel mondo due grandi eccellenze del made in Italy, il settore artistico-culturale e quello vitivinicolo.
Una bella proposta, dunque, quella ideata da Mantova per scoprire un tesoro prezioso e ancora in parte sconosciuto di Milano, un paradiso nascosto e incredibilmente affascinante, la cui storia è legata a quella di Leonardo da Vinci e alla sua passione per il nettare di Bacco.
Vedi anche
Presentazione della mostra «Similiter in pictura»
Informazioni utili
Museo Vigna di Leonardo, corso Magenta, 65 - Milano. Orari: dal lunedì al venerdì, dalle 9.00 alle 18.00 | le visite cominciano ogni 30 minuti, ultimo ingresso ore 17.30; sabato e domenica, dalle 9.00 alle 18.00 | le visite cominciano ogni 15 minuti, ultimo ingresso ore 17.45. Ingresso: adulti € 10,00 | ridotti € 8,00 (over 65, bambini e ragazzi da 6 a 18 anni, studenti con tessera) | ridotto TreNord: € 7,00 |gruppi € 8,00 a partire da 20 visitatori | scuole: € 5,00 (contattaci per maggiori informazioni e materiali aggiuntivi) | ingresso gratuito per bambini fino a 5 anni, portatori di handicap e relativi accompagnatori, possessori della card Abbonamento Musei Milano e Lombardia. Modalità di visita: oltre al tour audio-guidato (disponibile ogni giorno) è possibile partecipare al tour guidato esclusivo, disponibile ogni sabato e domenica. Informazioni: info@vignadileonardo.com, tel.02.4816150. Sito internet: vignadileonardo.com.
La vigna di Leonardo. Cronaca di una scoperta. Casa del Mantegna, via Acerbi, 47 - Mantova. Relatori: Attilio Scienza, Antonio Urbano. Data: sabato 7 dicembre 2019, ore 17
lunedì 2 dicembre 2019
Firenze, alla Poggiali Luca Pignatelli tra antico e contemporaneo
È conosciuto in Italia e nel mondo per le sue immagini a carattere archeologico e per un processo di raccolta, recupero, cura e editing iconografico della storia e dell’arte. Stiamo parlando di Luca Pignatelli (Milano, 1962), artista lombardo che, nell’arco di tre decenni, ha raccolto un archivio eterogeneo di immagini memorabili, in cui si riconoscono manufatti e segni figurativi di epoche antiche e moderne, testimonianza di civiltà passate e del progresso industriale, dalle statue greche e romane ai grattacieli e agli aerei in picchiata.
Dopo la rassegna dello scorso inverno al museo Bardini, Luca Pignatelli torna a Firenze, negli spazi della galleria Poggiali, per far riflettere ancora una volta il pubblico sul nostro vissuto e sapere visivo, sul concetto di memoria e di tempo che passa, grazie alla mostra «In un luogo dove gli opposti stanno», a cura di Sergio Risaliti.
L’esposizione, che si sonda nelle due sedi espositive di via della Scala e di via Benedetta, propone una serie di lavori inediti, che scavalcano la linea di demarcazione tra astratto e figurativo, tra citazione e arte povera.
Le opere esposte sono costruite con teloni pesanti tagliati a strisce e pezzature di dimensioni varie, ricucite assieme. I supporti sono assolutamente monocromi, ma le superfici non sono mai piatte: l’immagine completa, infatti, è data dalla gradazione della verniciatura, che è già un racconto e parla da sé. Ricche di significato sono anche le diverse sezioni geometriche dei teloni, ricomposte in unità visiva ed espressiva, come patchwork secondo un’usanza domestica di riciclo del nostro quotifiano e risparmio, in voga fin dai primordi della carriera dell’artista.
A queste opere –cariche di un rosso iodio o di verde petrolio, oppure del colore della malva o della prugna– si aggiungono altri lavori pittorici, coperti da una pittura metallica dalle tonalità argento. La superficie, in questi casi, è diversamente luminosa ed è lavorata con segni grafici, incisioni e abrasioni; al centro è fissata, con un procedimento meccanico, una testa di imperatore romano.
Gli opposti si mettono così in dialogo e la combinazione delle due fazioni espressive appare vincente. La povertà dei teloni ha il suo peso, il materiale porta con sé una sua storia recente, ma pur sempre una storia. L’astratto, in definitiva, non è tale: ha un’anima che ci parla di archeologia industriale. D’altro canto, i quadri iconici non appaiono riducibili al solo linguaggio figurativo, visto che alla citazione antica dominante al centro sono stati aggiunti episodi grafici significativi, di natura gestuale e informe. La fredda e vuota citazione, la superficiale suggestione del passato, è qui carica di ferite e cicatrici, di un vissuto esistenziale, di una pelle e di un corpo che ci raccontano un proprio originale vissuto.
Ancora una volta Pignatelli mette sotto indagine il suo percorso creativo, senza tradirlo, o rinnegarlo, ma insistendo nella sperimentazione, indagando le possibilità espressive e formali della pittura oggi. La presenza di linguaggi opposti innalza la poesia delle immagini a una dimensione quasi sacrale, svuotando di retorica gli stili per fare posto alla narrazione povera dei materiali, quella empatica dei monocromi, al vissuto delle superfici, armonizzando questi materiali così risonanti ed espressivi con le strutture geometriche del supporto, con il codice iconico delle teste.
Costruendo i suoi quadri, Pignatelli si comporta come un musicista classico contemporaneo che fa dell’avanguardia un repertorio tra i tanti e che nelle sue composizioni sperimentali fa stare assieme -ma stare bene e con un senso che non è solo linguaggio e forma, ma poesia ed espressione- materiali di diversa natura e provenienza, storie e contesti differenti, perfino suoni e vocaboli discordanti.
Continuando con ostinata fedeltà a fare pittura, cercando ragioni d’essere profonde alla sperimentazione in pittura, lavorando sui materiali, i repertori iconografici, i colori, l’assemblaggio, l’artista fa del quadro uno strumento possibile e praticabile della sua azione creativa, in cui centrali sono il riciclo, il recupero della memoria e l’archeologia delle immagini.
Le opere di Pignatelli si nutrono così di un fuori tempo, di un tempo differito, quello di immagini che vivono di stratificazioni temporali, annullando, nella dimensione iconica della figura memorabile, nell’eterno presente dell’arte, lo scorrere del tempo, la sequenza di ieri e oggi.
Grazie all’accostamento tra primo piano e sfondo, tra fondo povero e immagine illustre, l'artista lombardo critica, inoltre, la celebrazione di ogni classicità e ogni sua nostalgica rinascenza, chiedendoci di posare lo sguardo sulle ferite e le lacerazioni inferte all’umanità durante le epoche più gloriose del nostro passato in nome e per conto della bellezza e del sacro.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Backstage della mostra. Credit Ph. Giuseppe Anello; [fig. 2] Luca Pignatelli, «L.P./317», tecnica mista su tela; [fig. 3] Luca Pignatelli, «L.P./420», tecnica mista su tela; [fig. 4] Luca Pignatelli, «Caligola», tecnica mista su tela Luca Pignatelli
Informazioni utili
In un luogo dove gli opposti stanno. Galleria Poggiali, via della Scala, 35/A | via Benedetta, 3r – Firenze. Orari: tutti i giorni, ore 10.00-13.00 / 15.00-19.00, domenica su appuntamento. Ingresso libero. Informazioni: tel. 055287748 o info@galleriapoggiali.com. Sito internet: www.galleriapoggiali.com. Fino all’8 febbraio 2020
Dopo la rassegna dello scorso inverno al museo Bardini, Luca Pignatelli torna a Firenze, negli spazi della galleria Poggiali, per far riflettere ancora una volta il pubblico sul nostro vissuto e sapere visivo, sul concetto di memoria e di tempo che passa, grazie alla mostra «In un luogo dove gli opposti stanno», a cura di Sergio Risaliti.
L’esposizione, che si sonda nelle due sedi espositive di via della Scala e di via Benedetta, propone una serie di lavori inediti, che scavalcano la linea di demarcazione tra astratto e figurativo, tra citazione e arte povera.
Le opere esposte sono costruite con teloni pesanti tagliati a strisce e pezzature di dimensioni varie, ricucite assieme. I supporti sono assolutamente monocromi, ma le superfici non sono mai piatte: l’immagine completa, infatti, è data dalla gradazione della verniciatura, che è già un racconto e parla da sé. Ricche di significato sono anche le diverse sezioni geometriche dei teloni, ricomposte in unità visiva ed espressiva, come patchwork secondo un’usanza domestica di riciclo del nostro quotifiano e risparmio, in voga fin dai primordi della carriera dell’artista.
A queste opere –cariche di un rosso iodio o di verde petrolio, oppure del colore della malva o della prugna– si aggiungono altri lavori pittorici, coperti da una pittura metallica dalle tonalità argento. La superficie, in questi casi, è diversamente luminosa ed è lavorata con segni grafici, incisioni e abrasioni; al centro è fissata, con un procedimento meccanico, una testa di imperatore romano.
Gli opposti si mettono così in dialogo e la combinazione delle due fazioni espressive appare vincente. La povertà dei teloni ha il suo peso, il materiale porta con sé una sua storia recente, ma pur sempre una storia. L’astratto, in definitiva, non è tale: ha un’anima che ci parla di archeologia industriale. D’altro canto, i quadri iconici non appaiono riducibili al solo linguaggio figurativo, visto che alla citazione antica dominante al centro sono stati aggiunti episodi grafici significativi, di natura gestuale e informe. La fredda e vuota citazione, la superficiale suggestione del passato, è qui carica di ferite e cicatrici, di un vissuto esistenziale, di una pelle e di un corpo che ci raccontano un proprio originale vissuto.
Ancora una volta Pignatelli mette sotto indagine il suo percorso creativo, senza tradirlo, o rinnegarlo, ma insistendo nella sperimentazione, indagando le possibilità espressive e formali della pittura oggi. La presenza di linguaggi opposti innalza la poesia delle immagini a una dimensione quasi sacrale, svuotando di retorica gli stili per fare posto alla narrazione povera dei materiali, quella empatica dei monocromi, al vissuto delle superfici, armonizzando questi materiali così risonanti ed espressivi con le strutture geometriche del supporto, con il codice iconico delle teste.
Costruendo i suoi quadri, Pignatelli si comporta come un musicista classico contemporaneo che fa dell’avanguardia un repertorio tra i tanti e che nelle sue composizioni sperimentali fa stare assieme -ma stare bene e con un senso che non è solo linguaggio e forma, ma poesia ed espressione- materiali di diversa natura e provenienza, storie e contesti differenti, perfino suoni e vocaboli discordanti.
Continuando con ostinata fedeltà a fare pittura, cercando ragioni d’essere profonde alla sperimentazione in pittura, lavorando sui materiali, i repertori iconografici, i colori, l’assemblaggio, l’artista fa del quadro uno strumento possibile e praticabile della sua azione creativa, in cui centrali sono il riciclo, il recupero della memoria e l’archeologia delle immagini.
Le opere di Pignatelli si nutrono così di un fuori tempo, di un tempo differito, quello di immagini che vivono di stratificazioni temporali, annullando, nella dimensione iconica della figura memorabile, nell’eterno presente dell’arte, lo scorrere del tempo, la sequenza di ieri e oggi.
Grazie all’accostamento tra primo piano e sfondo, tra fondo povero e immagine illustre, l'artista lombardo critica, inoltre, la celebrazione di ogni classicità e ogni sua nostalgica rinascenza, chiedendoci di posare lo sguardo sulle ferite e le lacerazioni inferte all’umanità durante le epoche più gloriose del nostro passato in nome e per conto della bellezza e del sacro.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Backstage della mostra. Credit Ph. Giuseppe Anello; [fig. 2] Luca Pignatelli, «L.P./317», tecnica mista su tela; [fig. 3] Luca Pignatelli, «L.P./420», tecnica mista su tela; [fig. 4] Luca Pignatelli, «Caligola», tecnica mista su tela Luca Pignatelli
Informazioni utili
In un luogo dove gli opposti stanno. Galleria Poggiali, via della Scala, 35/A | via Benedetta, 3r – Firenze. Orari: tutti i giorni, ore 10.00-13.00 / 15.00-19.00, domenica su appuntamento. Ingresso libero. Informazioni: tel. 055287748 o info@galleriapoggiali.com. Sito internet: www.galleriapoggiali.com. Fino all’8 febbraio 2020
venerdì 29 novembre 2019
Bologna, al Museo di Palazzo Poggi la mostra «Leonardo, anatomia dei disegni»
Leonardo da Vinci ci ha lasciato un tesoro di oltre seimila pagine di quaderni, appunti e semplici fogli sparsi, in cui sono contenuti circa centomila tra schizzi, diagrammi e disegni. Questi lavori testimoniano in modo eccellente la vastità dei suoi interessi e l’inesauribile ricchezza delle sue scoperte. Alla sua opera grafica guarda la mostra «Leonardo, anatomia dei disegni», promossa dalla Biblioteca universitaria di Bologna in occasione del quinto centenario dalla morte dell’artista.
Al Museo di Palazzo Poggi sono esposti fino al prossimo 19 gennaio, per la curatela di Pietro Marani, cinque fondamentali disegni del maestro toscano, tra cui il celeberrimo «Uomo Vitruviano» della Gallerie dell’Accademia di Venezia e il noto «Paesaggio, 5 agosto 1473» degli Uffizi di Firenze.
Questi lavori sono mostrati non in originale ma tramite l'applicativo ISLe, «un artefatto comunicativo digitale elaborato -spiegano dall’ateneo bolognese- per surrogare, indagare, descrivere e comunicare i disegni originali, i loro metodi di rappresentazione e i loro contenuti, riproducendone accuratamente forma, caratteri e aspetto».
Ad elaborare l’applicativo è stato un team del Dipartimento di Architettura dell’Università di Bologna, guidato da Marco Gaiani e Fabrizio Ivan Apollonio, che ha iniziato i suoi studi nel 2010 con l’intento di ideare uno strumento capace di oltrepassare i limiti odierni nella conservazione e comunicazione dei disegni antichi.
Il visitatore ha così modo di vedere i disegni in modo nuovo. ISLe propone, infatti, la trasposizione delle opere in forma digitale come replica fotorealistica tridimensionale interattiva che -raccontano dall’Alma Mater- usa due paradigmi: «disegno come tra le mani» e «mostrare ciò che non vedi ad occhio nudo».
L’applicativo viene presentato su tavoli touchscreen da 55 pollici con risoluzione 4K, conducendo il visitatore in una dimensione virtuale che gli permette di vedere i disegni in 3D, mostrandone i più piccoli particolari.
«ISLe – spiega, a tal proposito, Marco Gaiani - è una soluzione che mira a ricostruire tridimensionalmente l’intera riflettanza spaziale degli artefatti, al fine di assicurare la visualizzazione dinamica multiscala ad alta fedeltà, in modo da rendere apprezzabili non solo i caratteri grafici dell’elaborato (segni e impressione della punta metallica per tracciare i segni), ma anche le ondulazioni e i movimenti della carta, oltre alle criticità conservative del foglio, come la corrosione dovuta all’acidità degli inchiostri. Il principale vantaggio di ISLe quindi è consentire una visualizzazione fedele che non si limita ad una semplice vista ortogonale, ma fornisce la capacità di documentare, visualizzare e analizzare i dettagli fini della superficie. Infine, il sistema è in grado di garantire, sia al semplice visitatore sia allo studioso, la possibilità non solo di vedere apparire i tanti straordinari particolari del disegno, ma anche di poterli collegare agli studi già fatti e arrivare a scoprire caratteri che fino a quel momento non erano stati resi visibili».
Applicare questa idea ai disegni di Leonardo non è certo stato semplice. «Le difficoltà che abbiamo incontrato durante il delicato lavoro di acquisizione sono soprattutto di natura dimensionale», aggiunge Fabrizio Apollonio. «Leonardo -spiega ancora lo studioso- utilizza spesso fogli assai piccoli, ad esempio il celeberrimo «Uomo Vitruviano» è realizzato su un foglio poco più grande di un comune A4, mentre il foglio 117 del Codice Atlantico, raffigurante una «Fortezza a pianta quadrata» è in un inusuale formato trapezoidale. Inoltre Leonardo utilizza un tratto straordinariamente fine, che va oltre il normale limite dell’occhio umano nel percepire i dettagli. In anni di lunga esperienza a contatto con disegni antichi non abbiamo mai riscontrato spessori grafici così sottili».
Le applicazioni multimediali sono accompagnate, oltre che da didascalie illustrative, anche da facsimili dei disegni originali, presentando inoltre il contesto storico e culturale in cui le opere sono nate.
Un’occasione, dunque, in più quella offerta da Bologna per conoscere Leonardo e capire come egli abbia trasferito nella prassi il suo «adunque è necessario figurare e descrivere», costruendo una tecnica per formare sistemi conoscitivi a tutt’oggi ineguagliata.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Disegno di Fabrizio I. Apollonio su originale per concessione del Ministero dei beni e le attività culturali e per il Turismo - Le Gallerie degli Uffizi; [fig. 2] Elaborazione creativa tramite applicativo ISLe (InSight Leonardo) di Studio di proporzioni del corpo umano detto Uomo vitruviano da originali per concessione del Ministero dei beni e le attività culturali e per il Turismo – Gallerie dell’Accademia di Venezia; [fig. 3] Elaborazione creativa tramite applicativo ISLe (InSight Leonardo) di Due mortai che lanciano palle esplosive da originali per concessione della Veneranda Biblioteca Ambrosiana/Mondadori Portfolio; [fig. 4 e seguenti] Allestimento della mostra Leonardo, anatomia dei disegni
Informazioni utili
«Leonardo, anatomia dei disegni».Museo di Palazzo Poggi, via Zamboni, 33 - Bologna. Orari: dal martedì al venerdì dalle 10 alle 16; sabato, domenica e festivi dalle 10 alle 18; chiusure 24 e 25 dicembre, 1 gennaio. Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 3,00. Informazioni: tel. 051.2099610. Sito web: https://eventi.unibo.it/smamostre-leonardoanatomiadeidisegni/informazioni-per-la-visita. Fino al 19 gennaio 2020
Al Museo di Palazzo Poggi sono esposti fino al prossimo 19 gennaio, per la curatela di Pietro Marani, cinque fondamentali disegni del maestro toscano, tra cui il celeberrimo «Uomo Vitruviano» della Gallerie dell’Accademia di Venezia e il noto «Paesaggio, 5 agosto 1473» degli Uffizi di Firenze.
Questi lavori sono mostrati non in originale ma tramite l'applicativo ISLe, «un artefatto comunicativo digitale elaborato -spiegano dall’ateneo bolognese- per surrogare, indagare, descrivere e comunicare i disegni originali, i loro metodi di rappresentazione e i loro contenuti, riproducendone accuratamente forma, caratteri e aspetto».
Ad elaborare l’applicativo è stato un team del Dipartimento di Architettura dell’Università di Bologna, guidato da Marco Gaiani e Fabrizio Ivan Apollonio, che ha iniziato i suoi studi nel 2010 con l’intento di ideare uno strumento capace di oltrepassare i limiti odierni nella conservazione e comunicazione dei disegni antichi.
Il visitatore ha così modo di vedere i disegni in modo nuovo. ISLe propone, infatti, la trasposizione delle opere in forma digitale come replica fotorealistica tridimensionale interattiva che -raccontano dall’Alma Mater- usa due paradigmi: «disegno come tra le mani» e «mostrare ciò che non vedi ad occhio nudo».
L’applicativo viene presentato su tavoli touchscreen da 55 pollici con risoluzione 4K, conducendo il visitatore in una dimensione virtuale che gli permette di vedere i disegni in 3D, mostrandone i più piccoli particolari.
«ISLe – spiega, a tal proposito, Marco Gaiani - è una soluzione che mira a ricostruire tridimensionalmente l’intera riflettanza spaziale degli artefatti, al fine di assicurare la visualizzazione dinamica multiscala ad alta fedeltà, in modo da rendere apprezzabili non solo i caratteri grafici dell’elaborato (segni e impressione della punta metallica per tracciare i segni), ma anche le ondulazioni e i movimenti della carta, oltre alle criticità conservative del foglio, come la corrosione dovuta all’acidità degli inchiostri. Il principale vantaggio di ISLe quindi è consentire una visualizzazione fedele che non si limita ad una semplice vista ortogonale, ma fornisce la capacità di documentare, visualizzare e analizzare i dettagli fini della superficie. Infine, il sistema è in grado di garantire, sia al semplice visitatore sia allo studioso, la possibilità non solo di vedere apparire i tanti straordinari particolari del disegno, ma anche di poterli collegare agli studi già fatti e arrivare a scoprire caratteri che fino a quel momento non erano stati resi visibili».
Applicare questa idea ai disegni di Leonardo non è certo stato semplice. «Le difficoltà che abbiamo incontrato durante il delicato lavoro di acquisizione sono soprattutto di natura dimensionale», aggiunge Fabrizio Apollonio. «Leonardo -spiega ancora lo studioso- utilizza spesso fogli assai piccoli, ad esempio il celeberrimo «Uomo Vitruviano» è realizzato su un foglio poco più grande di un comune A4, mentre il foglio 117 del Codice Atlantico, raffigurante una «Fortezza a pianta quadrata» è in un inusuale formato trapezoidale. Inoltre Leonardo utilizza un tratto straordinariamente fine, che va oltre il normale limite dell’occhio umano nel percepire i dettagli. In anni di lunga esperienza a contatto con disegni antichi non abbiamo mai riscontrato spessori grafici così sottili».
Le applicazioni multimediali sono accompagnate, oltre che da didascalie illustrative, anche da facsimili dei disegni originali, presentando inoltre il contesto storico e culturale in cui le opere sono nate.
Un’occasione, dunque, in più quella offerta da Bologna per conoscere Leonardo e capire come egli abbia trasferito nella prassi il suo «adunque è necessario figurare e descrivere», costruendo una tecnica per formare sistemi conoscitivi a tutt’oggi ineguagliata.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Disegno di Fabrizio I. Apollonio su originale per concessione del Ministero dei beni e le attività culturali e per il Turismo - Le Gallerie degli Uffizi; [fig. 2] Elaborazione creativa tramite applicativo ISLe (InSight Leonardo) di Studio di proporzioni del corpo umano detto Uomo vitruviano da originali per concessione del Ministero dei beni e le attività culturali e per il Turismo – Gallerie dell’Accademia di Venezia; [fig. 3] Elaborazione creativa tramite applicativo ISLe (InSight Leonardo) di Due mortai che lanciano palle esplosive da originali per concessione della Veneranda Biblioteca Ambrosiana/Mondadori Portfolio; [fig. 4 e seguenti] Allestimento della mostra Leonardo, anatomia dei disegni
Informazioni utili
«Leonardo, anatomia dei disegni».Museo di Palazzo Poggi, via Zamboni, 33 - Bologna. Orari: dal martedì al venerdì dalle 10 alle 16; sabato, domenica e festivi dalle 10 alle 18; chiusure 24 e 25 dicembre, 1 gennaio. Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 3,00. Informazioni: tel. 051.2099610. Sito web: https://eventi.unibo.it/smamostre-leonardoanatomiadeidisegni/informazioni-per-la-visita. Fino al 19 gennaio 2020
giovedì 28 novembre 2019
«U.mano», arte e scienza alla Fondazione Golinelli di Bologna
Indicano, benedicono, sorreggono, pregano, toccano, giocano: le mani, elemento di raccordo tra la dimensione del fare e quella del pensare, sono al centro del nuovo progetto espositivo della Fondazione Golinelli di Bologna, ente privato che si occupa in maniera integrata di educazione, formazione e cultura per favorire la crescita intellettuale ed etica dei giovani e dei giovanissimi con l’obiettivo di contribuire allo sviluppo sostenibile del nostro Paese.
Lo spazio del Centro Arti e Scienze, progettato da Mario Cucinella Architects, è stato trasformato per l’occasione in un tempio classico, omaggio all’insegnamento degli antichi. Al suo interno sono collocate fino al prossimo 9 aprile le opere selezionate da Andrea Zanotti con Silvia Evangelisti, Carlo Fiorini e Stefano Zuffi, in un percorso che spazio dal Rinascimento ai giorni nostri.
«U.Mano», questo il titolo dell’esposizione, si apre con due grandi installazioni centrali, sviluppate a partire dalla digitalizzazione della mano destra del fondatore Marino Golinelli: in una le mani sono chiuse, diventando così emblema della riflessione sulla propria origine e interiorità, nell’altra sono aperte, a rappresentare la nostra voglia di esplorazione e di conoscenza del mondo circostante.
Tra i pezzi storici che è possibile ammirare c’è il «De Symmetria partium in rectis formis humanorum corporum libri» di Albrecht Dürer, un trattato sul disegno della figura umana le cui istruzioni sono state interpretate come uno dei primi algoritmi di arte generativa.
Si potranno anche vedere due atlanti anatomici straordinari -il «De humani corporis fabrica» di Andrea Vesalio e i «Deux Livres de chirurgie» di Ambroise Paré- e le cere di Anna Morandi Manzolini, strumento di conoscenza e di riproduzione mimetica della realtà, ma anche straordinaria opera scultorea del Settecento.
Riannodare i fili della memoria passata permette all’uomo di restare legato alla sua origine e, quindi, di procedere verso il futuro con più certezza. Pertanto, nel percorso della mostra sono collocati anche alcuni dipinti realizzati tra Cinquecento e Seicento: la «Madonna col Bambino» attribuita a Caravaggio, «Giuditta e Oloferne» di Giovan Battista Crespi, «Il Cristo della moneta» di Mattia Preti, la «Madonna col Bambino» di Ludovico Carracci, il «San Giovanni Battista» di Guercino e il «Ritratto di Francesco Arsilli» di Sebastiano del Piombo.
Il Medioevo che lascia definitivamente spazio a nuove e inedite imprese umane coincide con uno spostamento dell’asse antropologico, con l’uomo che diviene progressivamente padrone della propria fortuna.
Il percorso conduce, quindi, il visitatore a un indice puntato verso il cielo, a ricordare il destino di grandezza che attende l'uomo e che è tutto iscritto nel «Giudizio universale» della Cappella Sistina.
Quel dito, reinterpretato da Pistoletto nel «quadro specchiante» che ripropone la «Creazione di Adamo» di Michelangelo nella contemporaneità, indica un’idea della creazione diversa da quella della tradizione antica, in cui il tocco della mano rappresenta l’elemento di raccordo tra Creatore e creato, tra la pura capacità creativa e il mondo delle cose, avviando l’uomo alla conoscenza, invitandolo a sviluppare le proprie potenzialità.
Non manca lungo il percorso espositivo un riferimento a Leonardo da Vinci, di cui si ricordano quest’anno i cinquecento anni dalla morte. La perduta «Battaglia di Anghiari» è restituita al pubblico attraverso sofisticate rielaborazioni digitali di giovanissimi ricercatori.
L’ultimo passo nell’evoluzione della mano conduce a un presente avveniristico, nel quale è protagonista un arto bionico, un’opera di ingegneria avanzata realizzata dai giovani ricercatori di BionIt Labs srl –una delle start-up che operano nell’incubatore-acceleratore G-Factor– che hanno progettato un arto innovativo e adattabile a ogni paziente.
La dimensione del bello e del fruibile si incontrano, dunque, alla Fondazione Golinelli, perché, come afferma il curatore Andrea Zanotti nel suo testo in catalogo: «Le cose che creiamo non possono essere solo utili ma devono anche riflettere quella bellezza senza la quale il genere umano rischia di perdere la sua parte immateriale, la più preziosa: lo spirito».
Informazioni utili
U.mano. Centro Arti e Scienze Golinelli | Opificio Golinelli, via Paolo Nanni Costa, 14 – Bologna. Orari: da martedì a venerdì, ore 10.00-19.00; sabato e domenica ore 11.00-20.00. Ingresso: 10,00 € intero, 8,00 € ridotto, 10,00 € biglietto attività + visita per bambini e ragazzi (non applicabile riduzione). Catalogo: BUP - Bononia University Press – 24,00 €. Informazioni su: www.mostraumano.it | www.fondazionegolinelli.it. Ufficio stampa: Delos, info@delosrp.it - 02.8052151/335.5204067. Fino al 9 aprile 2020.
Lo spazio del Centro Arti e Scienze, progettato da Mario Cucinella Architects, è stato trasformato per l’occasione in un tempio classico, omaggio all’insegnamento degli antichi. Al suo interno sono collocate fino al prossimo 9 aprile le opere selezionate da Andrea Zanotti con Silvia Evangelisti, Carlo Fiorini e Stefano Zuffi, in un percorso che spazio dal Rinascimento ai giorni nostri.
«U.Mano», questo il titolo dell’esposizione, si apre con due grandi installazioni centrali, sviluppate a partire dalla digitalizzazione della mano destra del fondatore Marino Golinelli: in una le mani sono chiuse, diventando così emblema della riflessione sulla propria origine e interiorità, nell’altra sono aperte, a rappresentare la nostra voglia di esplorazione e di conoscenza del mondo circostante.
Tra i pezzi storici che è possibile ammirare c’è il «De Symmetria partium in rectis formis humanorum corporum libri» di Albrecht Dürer, un trattato sul disegno della figura umana le cui istruzioni sono state interpretate come uno dei primi algoritmi di arte generativa.
Si potranno anche vedere due atlanti anatomici straordinari -il «De humani corporis fabrica» di Andrea Vesalio e i «Deux Livres de chirurgie» di Ambroise Paré- e le cere di Anna Morandi Manzolini, strumento di conoscenza e di riproduzione mimetica della realtà, ma anche straordinaria opera scultorea del Settecento.
Riannodare i fili della memoria passata permette all’uomo di restare legato alla sua origine e, quindi, di procedere verso il futuro con più certezza. Pertanto, nel percorso della mostra sono collocati anche alcuni dipinti realizzati tra Cinquecento e Seicento: la «Madonna col Bambino» attribuita a Caravaggio, «Giuditta e Oloferne» di Giovan Battista Crespi, «Il Cristo della moneta» di Mattia Preti, la «Madonna col Bambino» di Ludovico Carracci, il «San Giovanni Battista» di Guercino e il «Ritratto di Francesco Arsilli» di Sebastiano del Piombo.
Il Medioevo che lascia definitivamente spazio a nuove e inedite imprese umane coincide con uno spostamento dell’asse antropologico, con l’uomo che diviene progressivamente padrone della propria fortuna.
Il percorso conduce, quindi, il visitatore a un indice puntato verso il cielo, a ricordare il destino di grandezza che attende l'uomo e che è tutto iscritto nel «Giudizio universale» della Cappella Sistina.
Quel dito, reinterpretato da Pistoletto nel «quadro specchiante» che ripropone la «Creazione di Adamo» di Michelangelo nella contemporaneità, indica un’idea della creazione diversa da quella della tradizione antica, in cui il tocco della mano rappresenta l’elemento di raccordo tra Creatore e creato, tra la pura capacità creativa e il mondo delle cose, avviando l’uomo alla conoscenza, invitandolo a sviluppare le proprie potenzialità.
Non manca lungo il percorso espositivo un riferimento a Leonardo da Vinci, di cui si ricordano quest’anno i cinquecento anni dalla morte. La perduta «Battaglia di Anghiari» è restituita al pubblico attraverso sofisticate rielaborazioni digitali di giovanissimi ricercatori.
L’ultimo passo nell’evoluzione della mano conduce a un presente avveniristico, nel quale è protagonista un arto bionico, un’opera di ingegneria avanzata realizzata dai giovani ricercatori di BionIt Labs srl –una delle start-up che operano nell’incubatore-acceleratore G-Factor– che hanno progettato un arto innovativo e adattabile a ogni paziente.
La dimensione del bello e del fruibile si incontrano, dunque, alla Fondazione Golinelli, perché, come afferma il curatore Andrea Zanotti nel suo testo in catalogo: «Le cose che creiamo non possono essere solo utili ma devono anche riflettere quella bellezza senza la quale il genere umano rischia di perdere la sua parte immateriale, la più preziosa: lo spirito».
Informazioni utili
U.mano. Centro Arti e Scienze Golinelli | Opificio Golinelli, via Paolo Nanni Costa, 14 – Bologna. Orari: da martedì a venerdì, ore 10.00-19.00; sabato e domenica ore 11.00-20.00. Ingresso: 10,00 € intero, 8,00 € ridotto, 10,00 € biglietto attività + visita per bambini e ragazzi (non applicabile riduzione). Catalogo: BUP - Bononia University Press – 24,00 €. Informazioni su: www.mostraumano.it | www.fondazionegolinelli.it. Ufficio stampa: Delos, info@delosrp.it - 02.8052151/335.5204067. Fino al 9 aprile 2020.
mercoledì 27 novembre 2019
«BilBOlbul», Il fumetto racconta lo «spaesamento quale condizione costitutiva del presente»
L'arte può essere un importante veicolo di riflessioni sul nostro presente. Lo prova chiaramente la nuova edizione di BilBOlbul, il festival internazionale di fumetto che dal 29 novembre al 1° dicembre animerà la città di Bologna.
La nuova edizione, la numero tredici, concentra, infatti, la propria attenzione su un tema attuale e di grande interesse come lo «spaesamento quale condizione costitutiva del presente», palesata sotto diverse forme: «la perdita di memoria storica, la disarmonia coi territori che abitiamo o attraversiamo, una crisi generale dell’immaginario che rende difficile pensare al futuro».
Cuore pulsante del festival, organizzato come consuetudine dall’associazione culturale Hamelin, sarà la Biblioteca Salaborsa, dove si potranno anche acquistare alcune delle più interessanti autoproduzioni internazionali e i libri della quattro giorni bolognese, oltre a partecipare ai firmacopie con gli autori. Ma la manifestazione coinvolgerà tutta la città -dal Mambo all’Accademia di Belle arti, passando per Palazzo Fava, l’Alma Mater, la libreria per ragazzi «Giannino Stoppani» e molti altri luoghi-, portando tra le loro sale mostre, incontri, presentazioni di novità editoriali, laboratori per ragazzi, attività dedicate alle scuole.
A firmare il manifesto di questa edizione è il franco-beninese Yvan Alagbé, che ha realizzato per l’occasione una rielaborazione del «Marron inconnu de Saint- Domingue», la statua raffigurante uno schiavo in fuga, che ha deposto a terra l’arma e lancia un richiamo, realizzata dall’architetto Albert Mangonès nel 1967 per celebrare la liberazione di Santo Domingo dai francesi. Per l’artista il concetto di spaesamento passa, infatti, attraverso la questione del colonialismo e delle migrazioni.
Yvan Alagbé sarà protagonista di BilBOlbul anche con due mostre.
All’Accademia di Belle arti si terrà, dal 30 novembre al 20 dicembre, «Una storia dell’amore», che ripercorre l’excursus creativo e politico dell’artista dal realismo spiazzante di «Negri gialli e altre creature immaginarie» (in uscita per Canicola nei giorni del festival), che tratteggia un ritratto profondamente umano della vita di una famiglia di sans-papier africani in Francia, fino alle tavole inedite di «Apocalypse des oiseaux», un libro in lavorazione da otto anni che racconta l’amore con un percorso visivo che attraversa i secoli, i simboli e l’immaginario collettivo, dove compaiono i film di Hollywood, le statuette del Neolitico, i mistici persiani, i drammi di Aristofane, il Vangelo, il Corano, le sculture classiche.
Yvan Alagbé sarà in mostra, dal 30 novembre al 7 dicembre, anche allo Squadro Stamperia Galleria d'arte (via Nazario Sauro, 27), dove esporrà, sotto il titolo di «Eros mostro», una serie di serigrafie che raccontano la storia di una valigia misteriosa dimenticata su un treno, a partire dal racconto inedito pubblicato nell’edizione italiana di «Negri gialli e altre creature immaginarie».
La riflessione sullo spaesamento connota anche il lavoro di Chris Reynolds, uno dei più importanti autori del fumetto contemporaneo, che proprio in occasione di BilBOlbul torna sulle scene, dopo un’assenza durata quasi trent’anni.
La mostra «Giorni nuovi… e migliori?», in programma dal 30 novembre al 20 dicembre allo Spazio B5 (vicolo Cattani, 5/b), allinea le tavole originali di «Un mondo nuovo», la raccolta dei suoi principali racconti (la cui edizione italiana esce nei giorni del festival per Tunué), che porta il lettore in un mondo simile al nostro ma deformato da un conflitto interplanetario mai narrato direttamente.
Nei giorni di BilBOlBul esce anche «L’età d’oro», un volume prodotto in tiratura limitata da Banana Oil, portale dedicato al fumetto a cura di Matteo Gaspari, che raccoglie cinque racconti inediti di Chris Reynolds e un saggio.
Il concetto di «spaesamento quale condizione costitutiva del presente» sarà raccontato anche da Nora Krug, il cui graphic novel «Heimat» (Einaudi, 2019) è stato accolto dalla critica internazionale come uno dei più importanti libri degli ultimi anni.
Dopo vent'anni negli Stati Uniti, l’autrice è tornata nella sua patria, la Germania, per ricostruire la storia della sua famiglia e il suo ruolo durante il nazismo. Attraverso cimeli, documenti, foto, ha composto un’enciclopedia visiva che traccia il ritratto di una famiglia e insieme quello di una nazione intera, e riflette sulle impronte che la Seconda guerra mondiale ha lasciato su generazioni di persone, nel tentativo di superare il senso di colpa che è insieme personale e collettivo.
Nora Krug sarà protagonista di due mostre: la prima, intitolata appunto «Heimat», si terrà dal 30 novembre al 6 gennaio al Museo internazionale e biblioteca della musica, dove saranno visibili le tavole originali, ma anche le fotografie, i manoscritti, gli oggetti e i documenti che l'artista ha raccolto durante le sue ricerche in Germania. Nelle stesse settimane la Galleria d’arte Portanova12 (via Portanova, 12) ospiterà, invece, una personale dell'artista, che ne ripercorre la carriera a partire dagli esordi.
Negli stessi giorni di BilBOlbul si terrà anche la mostra «Alberto Breccia. Il signore delle immagini», a cura di Daniele Brolli: un grande omaggio al maestro del fumetto seriale e di quello autoriale, amato da intellettuali italiani come Oreste del Buono, Umberto Eco e Fruttero & Lucentini.
Dal 30 novembre al 7 gennaio, negli spazi della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna (via delle Donzelle, 2) sarà possibile accostarsi al linguaggio di questo grande sperimentatore delle forme, che -si legge nella presentazione- «ha realizzato graphic novel quando ancora non esistevano. Ha usato la china e la pittura, il collage e il fotoritocco e ha vaticinato storie leggendo nella casualità del colore abbandonato ad asciugare sul cartoncino».
Sono circa centocinquanta i lavori selezionati, molti dei quali mai esposti prima, che ripercorrono l'intera carriera dell'artista, dalle illustrazioni per il libro «Il nome della rosa» a quelle per i racconti di Borges, senza dimenticare i riadattamenti delle opere di Edgar Allan Poe.
Il festival darà spazio anche alle giovani generazioni con la mostra «8x15 Quindici anni di fumetto e illustrazione in Accademia», in programma dal 30 novembre al 20 dicembre, che presenta i lavori di otto studenti e studentesse del Corso di fumetto e illustrazione che sono riusciti a trasformare i loro progetti di tesi in libri pubblicati.
Altro giovane talento in mostra nei giorni del festival sarà Ida Cordaro, che a IGOR Libreria / Senape Vivaio Urbano (via Santa Croce 10/abc) presenterà, dal 29 novembre al 7 dicembre, il progetto «Lara», incentrata sull’omonimo fumetto d’esordio: un racconto intimo in cui una violenza consumata nello spazio domestico si propaga all’esterno.
Due autrici under 30 sono, poi, le protagoniste della trasformazione dell’albergo «Al Cappello Rosso», quartier generale degli ospiti del festival.
La BBB Room 2019 sarà curata da Mariachiara Di Giorgio, illustratrice per l’infanzia e autrice di «Professione coccodrillo» (Topipittori, 2017), vincitore del Premio Andersen come miglior libro senza parole.
Una seconda camera raccoglierà, invece, le illustrazioni dedicate all’hotel realizzate dagli ospiti dell’edizione 2018, in un set creato ad hoc da Kalina Muhova.
Ricco sarà anche il cartellone di incontri studiato per questa tredicesima edizione di BilBOlbul: un’occasione in più per riflettere su come la crisi che stiamo vivendo, la realtà del nostro presente, sia anche una singolare condizione germinativa, una possibilità straordinaria per l’immaginario degli artisti, chiamati a raccontare il mondo, nostro e loro, con matite, colori e occhi sensibili.
Didascalie delle immagini
[Fig 1] Manifesto di Yvan Alagbé per BilBOlBul; [fig. 2] Yvan Alagbé, Una storia dell'amore; [fig. 3] Yvan Alagbé, «Negri gialli e altre creature immaginarie» ; [fig. 4] Chris Reynolds, cover del libro «Un mondo nuovo»; [fig. 5] Nora Krug, cover del libro «Heimat»; [fig. 6] Nora Krug alla Galleria d’arte Portanova12 di Bologna; [fig. 6] Ida Cordaro, «Lara»
Informazioni utili
BilBOlbul – Festival internazionale del fumetto di Bologna. Informazioni: Hamelin associazione culturale info@bilbolbul.net | 051.233401 | www.bilbolbul.net. Ufficio stampa: Luciana Apicella | m. 335.7534485 | press@bilbolbul.net. Dal 29 novembre al 1° dicembre 2019
La nuova edizione, la numero tredici, concentra, infatti, la propria attenzione su un tema attuale e di grande interesse come lo «spaesamento quale condizione costitutiva del presente», palesata sotto diverse forme: «la perdita di memoria storica, la disarmonia coi territori che abitiamo o attraversiamo, una crisi generale dell’immaginario che rende difficile pensare al futuro».
Cuore pulsante del festival, organizzato come consuetudine dall’associazione culturale Hamelin, sarà la Biblioteca Salaborsa, dove si potranno anche acquistare alcune delle più interessanti autoproduzioni internazionali e i libri della quattro giorni bolognese, oltre a partecipare ai firmacopie con gli autori. Ma la manifestazione coinvolgerà tutta la città -dal Mambo all’Accademia di Belle arti, passando per Palazzo Fava, l’Alma Mater, la libreria per ragazzi «Giannino Stoppani» e molti altri luoghi-, portando tra le loro sale mostre, incontri, presentazioni di novità editoriali, laboratori per ragazzi, attività dedicate alle scuole.
A firmare il manifesto di questa edizione è il franco-beninese Yvan Alagbé, che ha realizzato per l’occasione una rielaborazione del «Marron inconnu de Saint- Domingue», la statua raffigurante uno schiavo in fuga, che ha deposto a terra l’arma e lancia un richiamo, realizzata dall’architetto Albert Mangonès nel 1967 per celebrare la liberazione di Santo Domingo dai francesi. Per l’artista il concetto di spaesamento passa, infatti, attraverso la questione del colonialismo e delle migrazioni.
Yvan Alagbé sarà protagonista di BilBOlbul anche con due mostre.
All’Accademia di Belle arti si terrà, dal 30 novembre al 20 dicembre, «Una storia dell’amore», che ripercorre l’excursus creativo e politico dell’artista dal realismo spiazzante di «Negri gialli e altre creature immaginarie» (in uscita per Canicola nei giorni del festival), che tratteggia un ritratto profondamente umano della vita di una famiglia di sans-papier africani in Francia, fino alle tavole inedite di «Apocalypse des oiseaux», un libro in lavorazione da otto anni che racconta l’amore con un percorso visivo che attraversa i secoli, i simboli e l’immaginario collettivo, dove compaiono i film di Hollywood, le statuette del Neolitico, i mistici persiani, i drammi di Aristofane, il Vangelo, il Corano, le sculture classiche.
Yvan Alagbé sarà in mostra, dal 30 novembre al 7 dicembre, anche allo Squadro Stamperia Galleria d'arte (via Nazario Sauro, 27), dove esporrà, sotto il titolo di «Eros mostro», una serie di serigrafie che raccontano la storia di una valigia misteriosa dimenticata su un treno, a partire dal racconto inedito pubblicato nell’edizione italiana di «Negri gialli e altre creature immaginarie».
La riflessione sullo spaesamento connota anche il lavoro di Chris Reynolds, uno dei più importanti autori del fumetto contemporaneo, che proprio in occasione di BilBOlbul torna sulle scene, dopo un’assenza durata quasi trent’anni.
La mostra «Giorni nuovi… e migliori?», in programma dal 30 novembre al 20 dicembre allo Spazio B5 (vicolo Cattani, 5/b), allinea le tavole originali di «Un mondo nuovo», la raccolta dei suoi principali racconti (la cui edizione italiana esce nei giorni del festival per Tunué), che porta il lettore in un mondo simile al nostro ma deformato da un conflitto interplanetario mai narrato direttamente.
Nei giorni di BilBOlBul esce anche «L’età d’oro», un volume prodotto in tiratura limitata da Banana Oil, portale dedicato al fumetto a cura di Matteo Gaspari, che raccoglie cinque racconti inediti di Chris Reynolds e un saggio.
Il concetto di «spaesamento quale condizione costitutiva del presente» sarà raccontato anche da Nora Krug, il cui graphic novel «Heimat» (Einaudi, 2019) è stato accolto dalla critica internazionale come uno dei più importanti libri degli ultimi anni.
Dopo vent'anni negli Stati Uniti, l’autrice è tornata nella sua patria, la Germania, per ricostruire la storia della sua famiglia e il suo ruolo durante il nazismo. Attraverso cimeli, documenti, foto, ha composto un’enciclopedia visiva che traccia il ritratto di una famiglia e insieme quello di una nazione intera, e riflette sulle impronte che la Seconda guerra mondiale ha lasciato su generazioni di persone, nel tentativo di superare il senso di colpa che è insieme personale e collettivo.
Nora Krug sarà protagonista di due mostre: la prima, intitolata appunto «Heimat», si terrà dal 30 novembre al 6 gennaio al Museo internazionale e biblioteca della musica, dove saranno visibili le tavole originali, ma anche le fotografie, i manoscritti, gli oggetti e i documenti che l'artista ha raccolto durante le sue ricerche in Germania. Nelle stesse settimane la Galleria d’arte Portanova12 (via Portanova, 12) ospiterà, invece, una personale dell'artista, che ne ripercorre la carriera a partire dagli esordi.
Negli stessi giorni di BilBOlbul si terrà anche la mostra «Alberto Breccia. Il signore delle immagini», a cura di Daniele Brolli: un grande omaggio al maestro del fumetto seriale e di quello autoriale, amato da intellettuali italiani come Oreste del Buono, Umberto Eco e Fruttero & Lucentini.
Dal 30 novembre al 7 gennaio, negli spazi della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna (via delle Donzelle, 2) sarà possibile accostarsi al linguaggio di questo grande sperimentatore delle forme, che -si legge nella presentazione- «ha realizzato graphic novel quando ancora non esistevano. Ha usato la china e la pittura, il collage e il fotoritocco e ha vaticinato storie leggendo nella casualità del colore abbandonato ad asciugare sul cartoncino».
Sono circa centocinquanta i lavori selezionati, molti dei quali mai esposti prima, che ripercorrono l'intera carriera dell'artista, dalle illustrazioni per il libro «Il nome della rosa» a quelle per i racconti di Borges, senza dimenticare i riadattamenti delle opere di Edgar Allan Poe.
Il festival darà spazio anche alle giovani generazioni con la mostra «8x15 Quindici anni di fumetto e illustrazione in Accademia», in programma dal 30 novembre al 20 dicembre, che presenta i lavori di otto studenti e studentesse del Corso di fumetto e illustrazione che sono riusciti a trasformare i loro progetti di tesi in libri pubblicati.
Altro giovane talento in mostra nei giorni del festival sarà Ida Cordaro, che a IGOR Libreria / Senape Vivaio Urbano (via Santa Croce 10/abc) presenterà, dal 29 novembre al 7 dicembre, il progetto «Lara», incentrata sull’omonimo fumetto d’esordio: un racconto intimo in cui una violenza consumata nello spazio domestico si propaga all’esterno.
Due autrici under 30 sono, poi, le protagoniste della trasformazione dell’albergo «Al Cappello Rosso», quartier generale degli ospiti del festival.
La BBB Room 2019 sarà curata da Mariachiara Di Giorgio, illustratrice per l’infanzia e autrice di «Professione coccodrillo» (Topipittori, 2017), vincitore del Premio Andersen come miglior libro senza parole.
Una seconda camera raccoglierà, invece, le illustrazioni dedicate all’hotel realizzate dagli ospiti dell’edizione 2018, in un set creato ad hoc da Kalina Muhova.
Ricco sarà anche il cartellone di incontri studiato per questa tredicesima edizione di BilBOlbul: un’occasione in più per riflettere su come la crisi che stiamo vivendo, la realtà del nostro presente, sia anche una singolare condizione germinativa, una possibilità straordinaria per l’immaginario degli artisti, chiamati a raccontare il mondo, nostro e loro, con matite, colori e occhi sensibili.
Didascalie delle immagini
[Fig 1] Manifesto di Yvan Alagbé per BilBOlBul; [fig. 2] Yvan Alagbé, Una storia dell'amore; [fig. 3] Yvan Alagbé, «Negri gialli e altre creature immaginarie» ; [fig. 4] Chris Reynolds, cover del libro «Un mondo nuovo»; [fig. 5] Nora Krug, cover del libro «Heimat»; [fig. 6] Nora Krug alla Galleria d’arte Portanova12 di Bologna; [fig. 6] Ida Cordaro, «Lara»
Informazioni utili
BilBOlbul – Festival internazionale del fumetto di Bologna. Informazioni: Hamelin associazione culturale info@bilbolbul.net | 051.233401 | www.bilbolbul.net. Ufficio stampa: Luciana Apicella | m. 335.7534485 | press@bilbolbul.net. Dal 29 novembre al 1° dicembre 2019
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