Affacciato sulla centralissima piazza Cavour – arena del potere cittadino e cuore della vita sociale riminese con l'appena riqualificato teatro Amintore Galli, Palazzo Garampi (sede centrale della Municipalità) e l’antica Pescheria settecentesca- il nuovo museo è stato restaurato dallo studio milanese AR.CH.IT, guidato da Luca Cipelletti.
Il progetto di recupero architettonico e artistico ha bandito ogni falso storico per riportare alla luce volumi ed elementi medioevali, dalle grandi e luminose polifore ai soffitti lignei a capriate, senza dimenticare i pregevoli affreschi a parete, dalla suggestiva decorazione floreale, di epoca tardo ottocentesca e ormai storicizzati. Al Medioevo risale anche il monumentale dipinto del «Giudizio Universale», attribuito a Giovanni da Rimini e considerato una delle più pregevoli testimonianze del Trecento riminese e della vitalità culturale della famiglia Malatesta, ora esposto in diagonale nella Sala dell’Arengo, con un basamento dello stesso materiale del parquet in rovere.
L’opera, di proprietà della Diocesi, ha una storia da romanzo. Con ogni probabilità fu realizzata tra il 1315 e il 1318 per la chiesa di Sant’Agostino, dove rimase visibile fino al 1719, quando in seguito a un restauro fu coperta da una pesante controsoffittatura. Solo nel 1916, a causa del terremoto che sconvolse la città romagnola, il «Giudizio Universale» riaffiorò sotto gli intonaci settecenteschi della chiesa. Gaetano Nave ne curò il distacco, il restauro, il riposizionamento su tela e la collocazione nella Sala dell’Arengo, dove il dipinto rimase quasi ininterrottamente dal 1926 al 1985, ‘vegliando’ sulle sedute del Consiglio comunale, per poi trovare parziale collocazione, nel 1991, nell’allestimento dell’allora nuovo Museo della Città di Rimini.
In questi spazi l’opera ritornerà tra circa diciotto mesi all’interno di un inedito percorso specificatamente dedicato alla pittura riminese del Trecento, con focus tematici e postazioni interattive e multimediali.
Vale, inoltre, la pena ricordare che il dipinto riminese incrociò anche la vicenda umana dello storico e filologo Augusto Campana, professore universitario di paleografia e diplomatica a Urbino e, poi, di letteratura umanistica e filologia medievale a Roma. Fu lui, nel 1944, a far trasportare temporaneamente l’opera alla Biblioteca Gambalunga di Rimini, «salvandola -raccontano nella città romagnola- da una sicura distruzione a seguito dell’utilizzo da parte delle truppe di occupazione, in tempi di guerra, di ogni tipo di materiale combustibile per riscaldarsi». È, dunque, anche grazie all’amore per il passato dello studioso di Santarcangelo -un vero e proprio «monument man» per la Romagna, insieme al bibliotecario Carlo Lucchesi- se ancora oggi possiamo ammirare la bellezza di questo dipinto «dominato -si legge nella scheda di presentazione- dalla teoria di apostoli che, ieratici, affiancano, con le loro plastiche figure, il Cristo, mentre dall'alto vibranti angeli in volo recano palme e corone agli eletti o cacciano all'inferno, armati di lance e scudi, i dannati».
All’interno di questo suggestivo contesto -interessato da un primo intervento di restyling, caratterizzato dall’adeguamento degli impianti, dalla sostituzione dei serramenti, dall’ammodernamento dei materiali di pavimentazione e dalla tinteggiatura degli spazi- ha trovato casa la collezione della Fondazione San Patrignano. Si tratta di una settantina di opere firmate dal gotha dell’arte contemporanea -da Mimmo Paladino a Sam Falls, da Carsten Höller a Julian Schnabel, da Ettore Spalletti a Michelangelo Pistoletto, da Sandro Chia a Mario Schifano - donate, a partire dal 2017, da collezionisti, galleristi e artisti alla comunità terapeutica di recupero per tossicodipendenti, fondata nel 1978 da Vincenzo Muccioli a Coriano, sulle colline riminesi.
Tele, sculture, fotografie e installazioni, di cui ne sono state selezionate sessantadue per l’esposizione al Part, sono state elargite con la clausola dell’endowment: un modello ereditato dal mondo anglosassone, innovativo nel contesto italiano, che permetterà a San Patrignano di avere una risorsa patrimoniale in caso di futuri investimenti strutturali. Le opere della raccolta -nata grazie alla tenacia e alla lungimiranza di Letizia e Gian Marco Moratti- sono, infatti, state date con atti che impegnano la fondazione romagnola a non alienarle per un periodo minimo di cinque anni, rendendole nel frattempo visibili al pubblico; successivamente queste donazioni potranno essere cedute, ma solo in caso di reali esigenze economiche della comunità, che oggi ospita mille e trecento ragazzi.
Il progetto museografico -anche questo a cura di Luca Cipelletti, che si è avvalso per lo studio illuminotecnico della professionalità di Alberto Pasetti Bombardella- ha dovuto tener conto della natura disomogenea della collezione, a cui fanno da filo conduttore unicamente i temi del dono e della solidarietà. Quello che poteva essere un apparente limite è stato, invece, interpretato come un’ulteriore opportunità: «evitando la rigidità della ‘scatola nella scatola’, -racconta Luca Cipelletti- sono state favorite la reversibilità, la percezione dell’architettura e una libera collocazione delle opere, in modo che siano in dialogo soprattutto con lo spazio, più che tra loro».
Contemporaneo e medioevale si confrontano così in un dialogo pacato e intenso, che lascia libero il visitatore di crearsi un percorso di visita indirizzato dal gusto personale e dall’emozione del momento.
Ad accogliere il visitatore nel nuovo museo è l’intervento site-specific fatto dall’anglo-svizzero David Tremlett con i ragazzi dei laboratori artistici di San Patrignano: «From the ceiling, down» («Dal soffitto in giù», 2020), un’opera murale con stendardi di ispirazione medioevale -dalle tonalità ocra, cenere e mattone-, che sembra strizzare l’occhio alla lezione di Giotto e Piero della Francesca.
Sala dopo sala incrociamo, tra l’altro, la grande «Bibbia di vetro» (1994), anzi di cristallo curvato, firmata da Emilio Isgrò, la gigantesca testa dalle fattezze classiche («Luci di Nara», 2014) di Igor Mitoraj, il ricamo su tela «Madonna con lacrima cubista» (2019) di Francesco Vezzoli e il cavallo bronzeo con in groppa il naso di Napoleone di Willam Kentridge («Nose on horse: Napoleon», 2007). Ma ci sono anche, tra le sale del Part, le farfalle smaltate di Damien Hirst («Beautiful black and white love charity painting», 2008) la toccante maternità di Vanessa Beecroft(«VBSS.002», 2006-2018), con una Madonna bianca che allatta due bambini neri, lo specchio coperto da una tenda di velluto di Shilpa Gupta («I look at things with eyes different from yours», 2010) e l’opera «Persepoli» (2014) di Luca Pignatelli, con un volto di donna greca che emerge dalla trama di un tappeto persiano.
Non manca, infine, lungo il percorso espositivo il grande ritratto in bianco e nero del cinese Yan Pei Ming (2018) raffigurante Vincenzo Muccioli, il carismatico fondatore di San Patrignano, l’uomo che «nel suo operato -ricorda Letizia Moratti in catalogo- ha fatto proprie le parole di Pierre-Auguste Renoir al giovane Henri Matisse»: «la sofferenza passa, la bellezza resta». La bellezza, come avviene a Rimini, può essere anche racchiusa tra le mura di un museo per raccontare la forza straordinaria dell’arte: testimonianza di ciò che è stato, strumento di riscatto sociale e balsamo curativo per l’anima.
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Didascalie delle immagini
[Figg.1,2,3,4,5,7] Allestimento della collezione d'arte della Fondazione San Patrignano al Part di Rimini. Courtesy: PART, ©HenrikBlomqvist; [fig. 6] David Tremlett installa la sua opera site-specific con i ragazzi della comunità San Patrignano. Courtesy Fondazione San Patrignano e il Comune di Rimini
Informazioni utili
Part, Piazza Cavour, 26 - Rimini. Orari di apertura: dal martedì al venerdì, dalle ore 9.30 alle ore 13 e dalle ore 16 alle ore 19 | sabato, domenica e festivi, dalle ore 10 alle ore 19 |chiuso i lunedì non festivi. Ingresso: intero € 8,00, ridotto € 6,00. Informazioni: tel. 0541.793879 e part@comune.rimini.it. Sito internet: https://palazziarterimini.it.
Appuntamenti on-line (aggiornamento del 28 aprile 2021)
«Una voce a Part», progetto digitale. Calendario: Emilio Isgrò (podcast e minivideo 28 aprile)Flavio Favelli (trailer lunedì 3 maggio | podcast mercoledì 5 maggio | minivideo venerdì 7 maggio), Claudia Losi (trailer lunedì 10 maggio | podcast mercoledì 12 maggio | minivideo venerdì 14 maggio), Roberto Coda Zabetta (trailer lunedì 17 maggio | podcast mercoledì 19 maggio | minivideo venerdì 21 maggio), Elisa Sighicelli (trailer lunedì 24 maggio | podcast mercoledì 26 maggio | minivideo venerdì 28 maggio) e Alberto Garutti (trailer lunedì 31 maggio | podcast mercoledì 2 giugno | minivideo venerdì 4 giugno). Note: i singoli podcast, della durata di circa sei/sette minuti ciascuno, introdurranno il visitatore nelle sale dei medievali del nuovo museo e all'interno della sua raccolta, offrendo la possibilità di incontrare virtualmente gli artisti. Ogni episodio è modellato sulla durata dell’esperienza di visione reale di chi voglia approfondire la conoscenza di un'opera. Le pillole video, invece, saranno l’occasione per poter vedere l’opera nella sua interezza, con immagini di dettaglio insieme al contesto in cui è esposta e con l’accompagnamento eventuale di materiali di archivio. Oltre a essere pubblicati sul sito web www.palazziarterimini.it, i podcast saranno caricati sulla pagina Spotify di Part, mentre i brevi video saranno visibili sul canale YouTube.