ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 24 marzo 2021

«Murano in focus»: tre fotografi e tre sguardi complementari e diversi sull’«isola del vetro»

È tutto pronto per la riapertura a Punta Conterie, l’hub frutto dell’impegno e della visione di Alessandro Vecchiato e Dario Campa nato due anni fa nel cuore di Murano, l’isola simbolo della tradizione vetraria a livello internazionale. Dopo lo slittamento dovuto all’emergenza sanitaria per il Covid-19, la realtà muranese dedicata alla valorizzazione della cultura del progetto, della creatività internazionale e dell’enogastronomia contemporanea torna ad accogliere i visitatori in «InGalleria», mentre bisognerà ancora attendere per la proposta food and wine
Sabato 10 aprile verrà aperta anche la mostra «Murano in focus», che ha avuto un’anteprima on-line nella giornata di sabato 27 marzo, dalle ore 10, sui canali Instagram e Facebook di Punta Conterie. L'esposizione avrà un'inaugurazione ufficiale in presenza nella giornata di sabato 8 maggio, giorno nel quale, dalle ore 11:00 alle ore 18:00, sarà possibile incontrare gli autori. 
Ideata da Roberta Orio, l'esposizione nasce dalla volontà di documentare attraverso un fermo immagine fotografico – un tempo chiamato reportage, fotografia industriale, still-life – l’attuale identità di Murano attraverso le immagini che «l’isola del vetro» è capace di provocare. Tre fotografi, tre sguardi complementari, tre soggetti diversi caratterizzano il progetto espositivo, il terzo organizzato dalla realtà veneta dopo «Lino Tagliapietra. Glasswork» e «Vetro e disegno».
Luigi BussolatiMassimo Gardone e la stessa Roberta Orio sono i protagonisti della mostra, che si snoderà, fino al prossimo 13 agosto, al primo piano di Punta Conterie.
Luigi Bussolati
 (Parma, 1963), chiamato a rappresentare le architetture industriali – che sono i luoghi di lavoro di chi ha costruito la fortuna artistica e commerciale di quest’isola – suona le corde dello strumento che più gli è congeniale, e attraverso il suo peculiarissimo uso della luce ci restituisce delle immagini che, pur mantenendo un loro grande peso concreto, ci appaiono come realtà sospese, mondi sconosciuti e al tempo stesso rivelati finalmente nella loro interezza.
L’artista emiliano, che per lungo tempo si è dedicato al reportage sociale e alla fotografia di scena per varie produzioni cinematografiche e teatrali, così racconta il suo lavoro per Punta Conterie: «Ho visitato e fotografato numerose industrie ma non ero mai stato in una fonderia del vetro e la prima impressione è stata quella di entrare in un laboratorio alchemico di grandi dimensioni, collocato in un tempo indefinito.… Come in antiche cerimonie d’iniziazione mi sono lasciato guidare ed ispirare dal mistero del fuoco, dalla sua potenza generativa e numinosa, ho attraversato e guardato questi spazi cercando di trasferire lo stupore di chi ancora non sa e che assiste ad una rivelazione».
Mentre Massimo Gardone, fotografo genovese di nascita e triestino d’adozione, prosegue a Murano la sua ricerca creativa sul mare e gli orizzonti, ispirata da Hiroshi Sugimoto. L'artista racconta così mondi immaginari portandoci dentro i suoi «Orizzonti», facendoci sognare immersi negli oceani per poi proiettarci in prospettive costruite da riflessi; infine sceglie un particolare e lo amplifica giungendo a farlo divenire quasi la cupola di una «Cattedrale». Il suo lavoro, stampato su una superficie specchiante, porta lo spettatore dentro l’immagine, permettendogli così di mettere in atto un proprio personale sguardo sulla poetica dell’opera. 
A proposito della sua opera esposta a Punta Conterie il fotografo racconta: «Voglio celebrare la maestosità di queste piccole architetture di vetro. …nel racconto del dettaglio ci sono storie non sempre visibili al primo sguardo, bisogna cercare tra le pieghe, nelle bolle, nelle striature, solo scavando nell’anima profonda di questi oggetti unici e irripetibili si può cercare di raccontare una storia che da sempre fa il giro del mondo e poi ritorna sull’Isola».
Il lavoro di Roberta Orio, punto di unione tra queste due letture – e «ponte» tra due mondi – concentra, infine, la sua visione nelle tracce di chi questa isola la vive perché ci abita, perché ci lavora, ci passa del tempo della propria vita, e restituisce segni, parti, sezioni del modo che Murano oggi rappresenta. Le sue immagini si pongono quali icone rappresentative di realtà diverse ma unite da un unico filo conduttore, porte da aprire per accedere a vie di futuri possibili. Dietro al reportage si nascondono – per stessa ammissione dell’artista - tre domande: «Murano senza il vetro che cos’è? Esiste? Qual è la sua identità oltre la materia?».
Coordinato da Alessandro Vecchiato — anima artistica di Punta Conterie — «Murano in focus» presenta complessivamente ventuno lavori allestiti in tre isole tematiche, anticipate da tre gigantografie nell’area di ingresso dell’originale hub muranese, che consentiranno ai visitatori di addentrarsi dietro le quinte del progetto attraverso una selezione di immagini del making of dei tre fotografi. Bussolati, Gardone e Orio spalancano così tre finestre su Murano; ci regalano immagini che svelano pensieri e suggestioni di un’isola votata alla tradizione vetraria.

Per saperne di più

Didascalie delle immagini
[Figg. 1, 2 e 3] Luigi Bussolati; [figg. 4 e 5] Roberta Orio; [fig. 6] Massimo Gardone

Informazioni utili
Murano in focus. Punta Conterie, Fondamenta Giustinian, 1 - Murano (Venezia). InGalleria Art Gallery: aperta dal martedì alla domenica, dalle ore 10.00 alle ore 18.00; ingresso libero. Informazioni: tel. +39.041.5275174 o info@puntaconterie.com. Sito internet: www.puntaconterie.com. Instagram: @puntaconteriemurano. Facebook: @puntaconteriemurano. Pinterest: @puntaconterie. Preview on-line: sabato 27 marzo 2021, dalle ore 10, sui canali Instagram e Facebook di Punta Conterie. Presentazione stampa: sabato 10 aprile 2021, alle ore 11, in presenza e in diretta streaming sulla pagina Facebook di Punta Conterie. Opening: sabato 10 aprile 2021, dalle ore 11 alle 18. Dal 10 aprile al 13 agosto 2021. 

martedì 23 marzo 2021

Premio 10:26, le arti visive ricordano la strage del 2 agosto 1980

Fa ripartire idealmente le lancette dell’orologio della stazione di Bologna, ferme alle 10:25 del 2 agosto 1980, il Premio 10:26.
Il contest, rivolto a giovani studenti europei ed extraeuropei fino ai 26 anni, è istituito dalla Fondazione Bottega Finzioni con il patrocinio dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage della Stazione di Bologna del 2 agosto 1980 e il sostegno di Gruppo Cer Gas, Orteco Srl e Eurotre Srl.
Obiettivo del premio, al quale si potrà partecipare fino al 25 aprile, è di ricordare la vita, le passioni e i sogni delle vittime della strage del 2 agosto 1980, cercando di riallacciare simbolicamente i fili e i percorsi spezzati quel giorno, e facendoli proseguire attraverso la facilitazione di percorsi di studio e ricerca. Non a caso sull’immagine guida del contest si legge la scritta: «guardare avanti, per non dimenticare».
La call è aperta a tutti coloro che abbiano un progetto originale in ambito culturale, scientifico e artistico: dalle opere d’arte a progetti di ricerca, testi e saggi.
Per la prima edizione, il Premio 10:26 assegnerà una borsa di studio dal valore di 3.000 euro e dieci premi in buoni da 250 euro. L’ambito disciplinare per i progetti di ricerca sarà indicato di anno in anno da parte di Fondazione Bottega Finzioni, onlus che si occupa di narrativa con una sua scuola di scrittura e una casa di produzione per fiction televisive e documentari, e dell’Associazione 2 agosto 1980, che individueranno congiuntamente una commissione costituita da membri esperti della materia selezionata.
L’ambito disciplinare per il 2021 riguarda la storia dell’arte e le produzioni nell'ambito delle arti visive.
La commissione di valutazione, composta da Davide Domenici (antropologo e archeologo), Elena Pirazzoli (storica) e Francesca Tancini (storica dell’arte), selezionerà il progetto ritenuto più originale e significativo tra tutti quelli inviati.
I concorrenti (singoli o gruppi, scuole o classi, maggiorenni e minorenni) dovranno inviare il loro progetto di ricerca in formato Pdf all'indirizzo info@bottegafinzioni.com entro il 25 aprile. Il bando completo è disponibile al link https://bit.ly/2Q62nVG.
La premiazione dei vincitori avverrà lunedì 2 agosto, durante la cerimonia di commemorazione delle vittime della strage. Il luogo e l’orario della stessa verranno comunicati a tempo debito a tutti i partecipanti.
Non è la prima volta che a Bologna si utilizza il linguaggio dell’arte come strumento per commemorare la strage del 2 agosto 1980, il più grave attentato terroristico avvenuto in Italia nel Secondo dopoguerra, il cui drammatico bilancio fu di ottantacinque morti, oltre duecento feriti e una quantità incalcolabile di dolore, con cui la città convive ancora oggi per la mancanza di risposte certe sui mandanti e sui motivi dell'attentato. Nel 2017 si utilizzò, per esempio, il linguaggio del teatro con «Cantiere 2 Agosto», iniziativa che vide ottantacinque narratori, sparsi in vari luoghi della città, raccontare la storia di chi era scomparso per sempre in una calda e afosa mattinata d’estate.
Mentre nel 2018 si tenne il concerto «Sinfonia di soccorsi» e l’anno successivo fu organizzato lo spettacolo teatrale «Un'altra vita», monologo di Matteo Belli. Nel 2020, invece, è stato inaugurato un progetto di arte pubblica, dal titolo «Lost and found 1980-2020», che anima le strade di Bologna e di altre città emiliane -al momento Parma, Reggio, Modena e Rimini-, con le opere del Collettivo FX, di Alessandro Canu, di PsikoPlanet, di Guerrilla Spam e di Zamoc (nelle foto i vari progetti). Adesso sono chiamati in causa i giovani che hanno sentito solo parlare della strage di quarant’anni fa; la Fondazione Bottega Finzioni li invita a ridare vita alle passioni e ai sogni delle vittime, riallacciando simbolicamente i fili e i percorsi spezzati quel giorno.
Il passato cede così il testimone al presente attraverso storie quotidiane uniche, ma identiche a tante altre, perché quel sabato – come ricorda Daniele Biacchessi nel libro «Un attimo, vent’anni» - nella sala d'aspetto di seconda classe della stagione di Bologna «vi era chi leggeva, alcuni bimbi che correvano sotto gli occhi orgogliosi dei loro genitori, boy scout accampati in un angolo, un signore che osservava il tabellone ... storie di gente comune, di vita quotidiana, in una stazione come tante altre ...». Storie che tante volte abbiamo visto e vissuto tutti noi prima della pandemia, nel caotico via vai di uno scalo ferroviario, in attesa di un treno per una trasferta di lavoro, per un viaggio verso una località di mare o per un sospirato ritorno a casa.

Informazioni utili 

lunedì 22 marzo 2021

«Primo vere», sei gallerie e quindici giovani artisti per Firenze e il suo «nuovo Umanesimo»

Sei gallerie d’arte contemporanea
e quindici giovani artisti per un progetto che vuole parlare di rinascita culturale, proprio nei giorni dell’equinozio di primavera, la stagione simbolo dei nuovi inizi: si potrebbe riassumere così il progetto «Primo vere», nato da un’idea di Sergio Risaliti, direttore artistico del Museo Novecento di Firenze, in programma da ieri, domenica 21 marzo, al 24 aprile, salvo restrizioni e limiti di apertura dovuti all’emergenza sanitaria per il Coronavirus.
Frittelli, Il Ponte, La Portineria, Poggiali, Santo Ficara e Secci sono i sei spazi che si sono messi in rete per dimostrare la vivacità culturale di Firenze, non solo culla del Rinascimento, ma anche vero e proprio laboratorio del contemporaneo per tanti giovani che, negli ultimi anni, hanno deciso di risiedere o di gravitare stabilmente nella città toscana e qui vivere esperienze formative e intercettare l’interesse degli operatori del settore. 
Gli artisti selezionati sono: Jessica Fillini, Veronica Greco, Melissa Morris, Gianluca Tramonti, Regan Wheat (Galleria Frittelli); Jacopo Buono, Matteo Coluccia, Stefano Giuri (Galleria Il Ponte); Marco Mazzoni (Galleria La Portineria); Francesca Banchelli, Irene Lupi, Virginia Zanetti (Galleria Poggiali); Davide D’Amelio, Gabriele Mauro (Galleria Santo Ficara); Max Mondini (Galleria Secci).
«Primo vere» - il cui titolo rinvia all’esordio editoriale, appena sedicenne, di Gabriele D’Annunzio con un libro di poesie - vuole così puntare i riflettori sul talento creativo in un momento tanto difficile come quello che stiamo vivendo, nel quale sono fortemente penalizzati proprio i più giovani e chi si occupa di arte e di cultura. Per un intero mese quindi, ogni galleria presenterà il lavoro di uno o più artisti, coordinati dalla supervisione scientifica da Sergio Risaliti, con l’intento di «ribadire – si legge nella brochure di presentazione - il concetto di sistema, sfatando luoghi comuni che vedono Firenze come città di perenni Guelfi e Ghibellini, città museo, luogo ostile alla sperimentazione più radicale».
L’ideatore di questa mostra diffusa, Sergio Risaliti appunto, afferma che «Primo vere» è «un tassello importante per la ripartenza di Firenze nel cambiamento e nell’orbita di una politica culturale che riconosca nei cittadini, e nei giovani in particolare, i protagonisti della rinascita, e nell’arte il volano storicamente necessario per la costruzione di un nuovo umanesimo, che non viva e coltivi il desiderio di bellezza in una sola direzione, il passato».
Della stessa opinione è l'Amministrazione comunale fiorentina. «L’idea di un progetto che metta insieme le gallerie d’arte della città e ovviamente una comunità di giovani artisti, alcuni affermati, altri emergenti, è un’idea vincente - ha  dichiarato, a tal proposito, l’assessore alla Cultura Tommaso Sacchi -. Lo è per tanti motivi e lo sarebbe anche fuori dal momento difficile che stiamo vivendo. Chiaramente l’idea che questo avvenga nel mezzo di una crisi pandemica rende questo progetto ancora più speciale. Mai come in questo momento la comunità di artisti, curatori, operatori della cultura si è dimostrata attiva nel non spengere la luce, nel tenere viva quella fiammella straordinaria della proposta e della produzione di cultura che aiuta ad attraversare un periodo. La cultura, l’accesso al patrimonio culturale, anche contemporaneo, anche quello degli artisti di oggi, è un bene preziosissimo che non può essere tolto alle nostre vite».
Un altro importante intervento a favore del progetto è stato quello di Cristina Acidini, presidente dell’Accademia delle arti del disegno e già Soprintendente del Polo museale fiorentino, che ha dichiarato: «L'iniziativa mette a punto un modello innovativo di collaborazione tra pubblico e privato, che va nella direzione - a mio avviso quanto mai opportuna per rivitalizzare il tessuto culturale della città e del territorio - di disseminare un'offerta di incontri con l'arte varia, molteplice, distribuita. Sembra cucita su misura per quel pubblico di visitatori indipendenti e curiosi, anche e specialmente locali, che da sempre ci impegniamo a sensibilizzare e ad attirare».
La proposta espositiva è delle più varie. Si passa dal lavoro sulla memoria collettiva di Irene Lupi a quello sulle piccole cose della quotidianità di Gianluca Tramonti, dalle opere ad inchiostro Bic di Veronica Greco ai dipinti elegiaci di Regan Wheat, dalle sculture di Max Mondini alle riflessioni in bilico tra analogico e digitale di Jessica Fillini, dalle griglie pittoriche di Melissa Morris alla performance «Piton de la Furnaise» di Matteo Coluccia, senza dimenticare le ricerche di Marco Mozzoni, Davide D’Amelio, Stefano Giuri, Gabriele Mauro, Jacopo Buono, Francesca Banchelli e Virginia Zanetti: modi differenti per dire che l’arte è viva e che si può ripartire dalla creatività per colorare di nuove energie il nostro futuro, per disegnare un «nuovo Umanesimo».

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Virginia Zanetti, I Pilastri della Terra, 2020, tecnica stampa su carta baryta e Dibond, cm 100x150; [fig.2] Max Mondini, Intradosso, 2021, stampa Inkjet, struttura in legno, calcestruzzo, cm 430x110x80; [fig. 3] Gianluca Tramonti, Deviazione fuorilegge, 2020, striscione su stendino, misure variabili, circa cm 180x50x90 (altezza da terra), striscione cm 210 h x 120; [fig. 4] Irene Lupi, Guido Lisi, 2017, foto alluminio Dibond cm 165x110 sonoro 6’41” mp4 

Informazioni utili 
Primo vere - Mostra collettiva e diffusa. Varie gallerie d’arte, Firenze. Sedi espositive: Frittelli, via Val di Marina 15, tel. 055.410153, info@frittelliarte.it, http://www.frittelliarte.it | Il ponte, via di Mezzo 42/b, tel. 055.240617, info@galleriailponte.com, www.galleriailponte.com | La portineria, viale Eleonora Duse, 30, tel. 348 5655831, info@laportineria.art, www.laportineria.art/ | Poggiali, via della Scala 35/a, tel. 055.287748, info@galleriapoggiali.com, www.galleriapoggiali.com | Santa Ficara, via Arnolfo, 6L, tel. 055.2340239, info@santoficara.it, www.santoficara.it | Eduardo Secci, piazza Carlo Goldoni, 2, tel. 055.661356, gallery@eduardosecci.com,www.eduardosecci.com.  Ingresso libero. Fino al 24 aprile 2021.  

venerdì 19 marzo 2021

Svizzera, ad aprile riapre il Monte Verità. Michelangelo Pistoletto, Joseph Beuys ed Elisàr von Kupffer tra i protagonisti della nuova stagione culturale

Negli anni a cavallo fra Ottocento e Novecento il versante svizzero del Lago Maggiore diventò destinazione privilegiata di un gruppo di solitari anticonvenzionali, che trovarono nel Canton Ticino un terreno fertile in cui piantare una sorta di società hippie ante litteram. Il territorio del Monte Monescia, sopra Ascona, rappresentava, infatti, per questi pensatori emancipati l’antitesi a un mondo industrializzato, un santuario per lo spirito, dove dedicarsi all’amore libero, al vegetarismo, ai bagni di sole, al nudismo e alla psicanalisi.
I fondatori giunsero da ogni dove: Henry Oedenkoven da Anversa, la pianista Ida Hofmann dal Montenegro, l’artista Gusto Gräser e il fratello Karl Gräser dalla Transilvania. 
Unite da un ideale comune, queste persone fondarono sulla montagna svizzera, ribattezzata Monte Verità, un'organizzazione sociale basata su un sistema cooperativo e autarchico, che vedeva teosofi, riformatori, anarchici, comunisti, socialdemocratici, psicoanalisti, scrittori e artisti, alcune tra le menti più brillanti di tutta Europa, vivere lavorando giardini e campi, costruendo capanne in legno, rilassandosi tra le bellezze della natura, che interpretavano simbolicamente come un'opera d’arte ultima.
Negli anni, il Monte Verità vide approdare figure come Hermann Hesse o il coreografo Rudolf von Laban, le danzatrici Mary Wigman e Isadora Duncan, gli artisti Hugo Ball, Hans Arp, Marianne von Werefkin e Alexej von Jawlensky.
Nel 1920, dopo che i fondatori emigrarono in Brasile, al Monte Verità seguì un breve periodo bohémien, che durò finché il complesso venne acquistato come residenza dal barone von der Heydt, banchiere dell’ex imperatore Guglielmo II e uno dei maggiori collezionisti di arte contemporanea ed extra-europea. il Monte Verità visse così una seconda straordinaria stagione culturale.
La costruzione di un albergo in stile Bauhaus fu affidata all'architetto Emil Fahrenkamp, progettista dell’edificio Shell di Berlino. Grazie alla costruzione dell’albergo, molti maestri del Bauhaus abitarono la collina. Tra di loro ci furono Gropius, Albers, Bayer, Breuer, Feiniger, Schlemmer, Schawinksy o Moholy-Nagy, tutti sedotti e affascinati dal magnetismo di un luogo dove – come disse Ise Gropius – «la nostra fronte sfiora il cielo…».
Nel 1964, alla morte del barone Eduard von der Heydt, il Monte Verità diventò, per lascito testamentario, proprietà del Cantone Ticino, che lo trasformò in un luogo per manifestazioni culturali, una realtà poliedrica che è insieme un albergo, un ristorante, una piattaforma per convegni del Politecnico di Zurigo e un centro per esposizioni e incontri dedicati all'arte, alla filosofia, alla letteratura e all'attualità.
«Gli ultimi dodici mesi - racconta Nicoletta Mongini, responsabile culturale della Fondazione Monte Verità - sono stati complessi anche per la programmazione delle proposte per il pubblico. La nostra bussola è sempre rimasta puntata sul dialogo, sull’incontro e sullo scambio con le persone che, prima possibile, potranno tornare a frequentare il Monte Verità. Le riflessioni e gli stimoli che in questo ultimo anno hanno coinvolto tutti hanno consolidato la nostra consapevolezza di essere in un luogo dove natura, interiorità, spiritualità, arte e bellezza sono stati principi fondativi e mai abbandonati».
Anche se l’anno in corso presenta ancora molte incognite, giovedì 1° aprile il Monte Verità ritornerà ad accogliere nuovamente il pubblico con un appuntamento speciale, atteso dallo scorso anno: tornerà alla luce il «Chiaro mondo dei beati», il grande polittico circolare di Elisàr von Kupffer (1872-1942) esposto nel Padiglione Elisarion, che suggella il completamento del complesso museale dopo un importante restauro ritardato dalla pandemia.
Il grande dipinto panoramico, con ottantaquattro figure nude e vagamente aureolate, qui e là ornate di fiori o nastri, immerge il visitatore nella poetica di un artista unico nel suo genere, inserito nel contesto della collina asconese grazie alla lungimiranza e alla visione del celebre curatore Harald Szeemann.
A seguire, nel mese di maggio, tornerà il momento dedicato a «Giardini in arte», rassegna simbolo della stretta unione tra arte e natura, che caratterizza l’attività di Monte Verità sin dalla sua nascita. Protagonisti di questa edizione quattro artisti italiani e svizzeri – Francesca Gagliardi, Marco Cordero, Johanna Gschwend e Moritz Hossli – che, dopo una residenza nell’estate 2020, presenteranno una serie di lavori ispirati agli umori e l'identità del luogo.
Partendo da trine e ricami, Francesca Gagliardi realizzerà scudi in bronzo e alluminio, allegoria di una femminilità forte e volitiva, e una scultura monumentale a forma di rossetto, feticcio totemico che allude alla fragilità della bellezza e alla caparbia fermezza femminile. Marco Cordero presenterà, invece, un calco della celebre roccia affacciata sul Lago Maggiore, uno dei punti magnetici del Monte Verità, e quello di una parete di pietra, prelievo semantico di una porzione di natura. Inoltre, nella biblioteca del barone von der Heydt, l’artista modificherà lo spazio con volte di libri cuciti, scavati, scolpiti, mattoni di un’architettura di carta. Mentre Johanna Gschwend e Moritz Hossli proporranno un video del dialogo aperto tra il lavoro di Gagliardi e Cordero e l’ambiente circostante, documentando il loro avvicinamento allo spirito originale del Monte Verità. Infine, con l’installazione «Monte», Johanna Gschwend inviterà il visitatore a deporre piccoli pezzi di corteccia su un nastro mobile, partecipando alla costruzione di un piccolo cumulo, allegoria del monte e della sua genesi.
Sempre a maggio il Monte Verità ospiterà una nuova versione del «Terzo Paradiso» di Michelangelo Pistoletto, un’opera che è la perfetta espressione del concetto di infinito e di incontro tra natura e artificio che verrà realizzata con le pietre della collina.
Mentre a luglio Fabrizio Dusi porterà sul Monte Verità un nucleo di opere site-specific: neon, ceramiche e forme in alluminio con parole-simbolo ispirate ai temi iconici dell'ideale monteveritano del paradiso anarchico come «Liberi», «Anarchy» e «Utopia», oltre a immagini evocative di un ritorno allo stato di natura. 
Nel cuore del parco la coppia «Eva e Adamo» si ricollegherà al ciclo pittorico «Giardino dell’Eden» nella sala congressi: una narrazione di circa sette metri con scene tipiche della vita della colonia, fra girotondi, danze, bagni di sole, con un evidente rimando visivo al «Il chiaro mondo dei beati» del Padiglione Elisarion. Alcune di queste opere entreranno a far parte del patrimonio della Fondazione Monte Verità.
Ad agosto, inoltre, il «Cabaret Voltaire» si trasferirà al Monte Verità per un fine settimana di performance e letture sceniche con artisti internazionali, tornando alle origini del filo ideale che univa Zurigo e Ascona alla nascita del movimento Dada.
Nonostante le incertezze e le necessarie limitazioni, il programma 2021 comprenderà anche appuntamenti di riflessione e di approfondimento, in presenza e on-line: dall’omaggio a Joseph Beuys nel centenario dalla sua nascita agli incontri dedicati a figure femminili di Casa Anatta, come la baronessa Saint Léger, Olga Fröbe Kapteyn e Charlotte Bara.
Tornerà al Monte Verità anche Stefania Mariani, con una passeggiata teatrale nella natura, in cui lo spettatore sarà protagonista di un’esperienza immersiva. Un calendario, dunque, ricco quello messo in cantiere per il 2021, un altro anno che sarà caratterizzato dal turismo di prossimità e da un'estate all'insegna delle bellezze naturali. 

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Esercizio di euritmia sul Monte Verità, 1904. Al centro, Raphael Friedeberg (con cappello), poi da s. a d. Henri Oedenkoven e Ida Hofmann, Anni Pracht, Cornelius Gabes Gouba e  Mimi Sohr. Sullo sfondo, Casa Selma. Courtesy Fondazione Monte Verità e Fondo Harald Szeemann; [fig. 2] Rudolf von Laban con le sue allieve, tra le quali Mary Wigmann, Ascona, 1914. Fondo Suzanne Perrottet. (in particolare, da sinistra: Totimo, Suzanne Perrottet, Katja Wulff, Maja Lederer, Betty Baaron Samoa e Rudolf von Laban), Fotografia di Johann Adam Meisenbach. Courtesy Fondazione Monte Verità e Fondo Harald Szeemann; [fig. 3] Fabrizio Dusi. Vaso; [fig. 4] Francesca Gagliardi. Corona; [fig. 5] Marco Cordero. Cora; [figg. 6 e 7] Elisàr von Kupffer, Il Chiaro Mondo dei Beati, particolare

Informazioni utili 
Fondazione Monte Verità, Strada Collina, 84 – Ascona (Svizzera), tel. +41917854040, fax +41917854050, info@monteverita.org. Sito internet: www.monteverita.org

giovedì 18 marzo 2021

Una nuova casa per il «Polittico dell’Agnello mistico». Alla cattedrale di San Bavone apre il Visitor Center

«Immensamente prezioso e stupendamente bello»: con queste parole Albrecht Dürer parlava, nel 1521, del «Polittico dell’Agnello mistico», monumentale capolavoro (della grandezza di 470×300 cm) a firma di fratelli Hubert e Jan van Eyck, realizzato tra il 1426 e il 1432 per la cattedrale di San Bavone a Gand, nelle Fiandre, dove tutt’oggi è conservato.
La preziosa pala d’altare - caposaldo del Rinascimento fiammingo con i suoi dodici pannelli di quercia con al centro il tema iconografico della redenzione, otto dei quali dipinti recto e verso, - è fresca di uno dei più ambiziosi progetti di restauro intrapresi in Belgio, che ha visto al lavoro negli ultimi sette anni il prestigioso Kik-Irpa - Koninklijk instituut voor het kunstpatrimonium-Institut royal du patrimoine artistique di Bruxelles, sotto la direzione di Hélène Dubois.
L’opera sarà visibile dal prossimo 25 marzo all’interno dell’atteso Visitor Center, avveniristico centro esperienziale dedicato alla cattedrale gotica e alle opere d’arte custodite al suo interno.
Il visitatore vi accederà dalla cripta, che è stata oggetto di un importante lavoro di ampliamento e ristrutturazione. Da qui avrà inizio un tour che permetterà di rivivere la travagliata storia del Polittico, per mezzo di una tecnologia all’avanguardia che si avvale della realtà aumentata.
Il percorso sarà accompagnato da un assistente virtuale, disponibile in nove lingue, che guiderà il visitatore da una cappella all'altra. In ognuna, per mezzo di occhiali speciali o di un tablet di realtà aumentata, sarà possibile vedere l'ambiente circostante, ma l'immagine in 3D si sovrapporrà a quella reale, diventando parte integrante dell'esperienza.
Il Polittico dei fratelli van Eyck sarà collocato, nello specifico, nella Cappella del Sacramento, nel deambulatorio, che è risultato essere il luogo più adatto, essendo sufficientemente spazioso per accogliere la teca in vetro, che garantirà il microclima ottimale per la conservazione dell’opera, ma anche per consentire la visuale sia sui pannelli esterni che interni.
Il progetto di restauro che ha portato alla creazione del Visitor Center, realizzato da Bressers Architects, è stata una sfida importante: in passato, infatti, della cattedrale di San Bavone a Gand era accessibile solo la chiesa inferiore; dal 25 marzo, con l’aggiunta di un nuovo ascensore e di scale, oltre che con la riprogettazione di alcuni degli antichi muri in pietra della cattedrale, anche la cripta, il coro e le cappelle absidali saranno interamente visitabili.
Commissionata nel 1426 a Hubert van Eyck - «maior quo nemo repertus», «pittore di cui non si è trovato uno più grande» - dal nobile Joos Vijd, l’opera fu portata a termine sei anno dopo dal fratello dell’artista, Jan van Eyck. Il passaggio di consegne si nota in un’iscrizione collocata sulla cornice del polittico, che il recente restauro ha confermato essere originale.
Al momento del suo completamento, nel 1432, il lavoro sorprese i contemporanei per la brillantezza, la vivacità e l’utilizzo dei colori, ma anche per i mille dettagli mai superflui delle ventisei scene realizzate, che raffigurano l’Agnello Mistico, simbolo di Cristo, adorato nel giardino del Paradiso da Angeli, Santi, Buoni Giudici, Cavalieri, Eremiti, Pellegrini.
Il Polittico dei fratelli van Eyck ha una storia avventurosa che oggi, grazie al Visitor Center, sarà possibile scoprire. Montato, smontato, disassemblato, venduto, contrabbandato, copiato, censurato, attaccato dagli iconoclasti, nascosto, e addirittura segato – oggetto di ben tredici reati e sette furti -, il dipinto rischiò di andare quasi distrutto in un incendio, scoppiato il 1° giugno del 1640 all’interno della Cattedrale di Gand.
Non sorte migliore ebbe nei secoli successivi, soprattutto in epoca recente. Nel 1794 l’opera trovò, per esempio, sulla sua strada Napoleone Bonaparte, che trafugò i pannelli centrali, restituiti a Gand solo nel 1815.
Durante la Prima guerra mondiale, il dipinto venne nuovamente smembrato, ma con il Trattato di Versailles tutti gli scomparti, anche quelli legalmente acquistati dal mercante Edward Solly nel 1816, per entrare a far parte delle collezioni dei Musei reali di Berlino, vennero restituiti per contribuire al risarcimento che la Germania doveva versare agli Stati vittoriosi e in parziale compensazione per i danni inflitti al Belgio in guerra. 
La storia si ripeté durante la Seconda guerra mondiale quando, come viene raccontato anche nel film «Monuments Men», i nazisti sottrassero l’opera, che era stata trasferita per sicurezza in Francia - in un museo locale a Pau, sui Pirenei francesi-, e la nascosero in una miniera di sale di Altaussee. Qui fu recuperata, nel 1945, dalla Task Force degli Alleati dedicata alla messa in salvo delle opere d’arte europee. Alla cerimonia che sancì il ritorno a Gand i belgi non vollero i francesi, stigmatizzando il collaborazionismo del Governo di Vichy per aver consegnato l’opera ad Adolf Hitler, che voleva esporla nel suo mai nato museo di Linz.
Ecco perché oggi, a causa di queste tante rocambolesche vicende, sembra quasi un miracolo riuscire ad ammirare il polittico in tutta la sua ritrovata bellezza, scoprendone dettagli e curiosità anche grazie alle più recenti scoperte della tecnologia.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Jan van Eyck e Hubert van Eyck, Polittico dell'Agnello Mistico, 1426-1432. Olio su tela, cm 258 x 375.Cattedrale di San Bavone, Gand. Polittico aperto; [fig. 2] Jan van Eyck e Hubert van Eyck, Polittico dell'Agnello Mistico, 1426-1432. Olio su tela, cm 258 x 375.Cattedrale di San Bavone, Gand. Polittico aperto. Polittico chiuso; [fig. 3] Render del nuovo Visitor Center di Gand by De Kwekerij; [figg. 4 e 5] Visitatori a Gand. Foto di Bas Bogaert; [fig. 6] Jan van Eyck e Hubert van Eyck, Polittico dell'Agnello Mistico, 1426-1432. Olio su tela, cm 258 x 375.Cattedrale di San Bavone, Gand. Particolare Adamo e Coro angelico 

Informazioni utili

mercoledì 17 marzo 2021

Al via il restauro dell’opera «Composizione n. 1 con grigio e rosso 1938 / Composizione con rosso 1939» di Piet Mondrian

Palazzo Venier dei Leoni, la sede veneziana della Collezione Peggy Guggenheim, è chiusa al pubblico per effetto delle disposizioni governative per contrastare la pandemia da Coronavirus, ma all’interno si continua a lavorare in attesa di tornare ad accogliere i visitatori. È notizia di questi giorni l’inizio del progetto di studio e conservazione sull’opera «Composizione n. 1 con grigio e rosso 1938 / Composizione con rosso 1939» (1938 – 1939) di Piet Mondrian, che verrà avviato nel corso del mese di marzo dal dipartimento di conservazione del museo.
Dopo il restauro di «Alchimia» (1947) di Jackson Pollock, de «Lo studio» (1928) di Pablo Picasso e della «Scatola in una valigia» (1941) di Marcel Duchamp, sarà, quindi, un’altra icona dell’arte del XX secolo appartenente alla collezione lagunare a essere presa in esame. Lo studio dell’opera è fondamentale per una piena comprensione dei materiali e delle tecniche adottate da Piet Mondrian, e ripercorrere le tappe storiche della sua conservazione è un ulteriore elemento-guida in vista di un possibile intervento di restauro.
Tra le opere più amate dal pubblico, «Composizione n. 1 con grigio e rosso 1938 / Composizione con rosso 1939» ha la capacità di catturare lo sguardo dell’osservatore grazie all’equilibrio armonico dato dal ritmo e dalla purezza delle forme e dall’intersezione tra linee orizzontali e verticali. Il doppio titolo rimanda a una rielaborazione dell’opera da parte dell’artista. L'indagine scientifica determinerà la posizione del colore grigio nella prima versione del quadro, «Composizione n.1 con grigio e rosso» del 1938, poi rimosso dall’artista stesso, con il conseguente cambiamento del titolo in «Composizione n. 1 con grigio e rosso 1938 / Composizione con rosso 1939».
Nel 1943 Max Bill, architetto, designer amico di Mondrian, a cui l’artista mandava spesso immagini dei progressi delle sue opere, fra cui una di «Composizione con rosso», scrive che la prima versione dell’opera includeva un piccolo riquadro grigio in alto a sinistra. Durante una conversazione con Angelica Rudenstine, autrice del catalogo ragionato della collezione Peggy Guggenheim, è la stessa mecenate americana, che acquisì l’opera nel novembre del 1939, a suggerire che Mondrian avrebbe modificato il dipinto a New York, prima dell’apertura della galleria-museo Art of This Century, nel 1942, e che quindi questo cambiamento si sarebbe potuto verificare fra il 1941 e appunto il 1942.
Tuttavia in una riproduzione dell’opera sul «London Bulletin» del 1939 il quadro sembra già essere stato rielaborato data l’assenza del riquadro grigio. Rimane, dunque, possibile che Mondrian sia nuovamente intervenuto sull’opera prima dell’inaugurazione di Art of This Century, senza però alterarne drasticamente la composizione come nell’intervento del ‘39. L’artista era solito tornare sui suoi dipinti perfezionando il nero delle linee e le tonalità sottili del bianco.
«Composizione n. 1 con grigio e rosso 1938 / Composizione con rosso 1939» è uno dei pochi dipinti su cui l’artista olandese lavorò durante il suo soggiorno di due anni a Londra, tra il 1938 e il 1940, alla vigilia dello scoppio della Seconda guerra mondiale. Sono anni in cui Mondrian cerca di abbandonare il più possibile la sua soggettività. Questa necessità può portare a interpretare la semplicità delle opere di questo periodo come una risposta alle ulteriori complicazioni di quell’epoca. In questa luce, il dipinto assume una grande importanza storica, quale manifesto dell’estetica semplificata del Neo-plasticismo. Si tratta di fatto di una delle composizioni più riduttive dal punto di vista cromatico, severa e austera e, allo stesso tempo, opera intuitiva e schema astratto di incertezza e ricerca dell’ordine in uno dei periodi più difficili della nostra storia.
È proprio a Londra, nel 1938, che Peggy Guggenheim rimane affascinata dal lavoro di Mondrian, tanto che l’artista diviene uno dei principali punti di riferimento della cerchia degli avanguardisti che costellano la vita della collezionista. Numerosi sono gli aneddoti che caratterizzano il loro singolare rapporto di amicizia, come la passione di Mondrian per il ballo, sebbene l’artista avesse all’epoca già settant’anni, ascoltare il jazz e partecipare a eventi mondani e feste, come racconta la mecenate stessa nella sua autobiografia «Una vita per l’arte» (Rizzoli Editori, Milano, 1998).
Il progetto di studio interdisciplinare sarà coordinato da Luciano Pensabene Buemi, conservatore della collezione, che eseguirà il restauro dell’opera e supervisionerà la collaborazione con l’Ispc - Istituto di scienze del patrimonio culturale, e Scitec - Istituto di scienze e tecnologie chimiche del Cnr - Consiglio nazionale delle ricerche, che saranno coinvolti con le tecnologie più avanzate messe a punto per lo studio non invasivo della tela in situ.
Le analisi scientifiche consentiranno l'identificazione dei materiali e delle tecniche impiegate da Mondrian e consentiranno un costante monitoraggio del dipinto durante il restauro. Lo studio coinvolgerà i dipartimenti di conservazione e curatoriale della collezione Peggy Guggenheim e del museo Solomon R. Guggenheim di New York. A sovrintendere il progetto saranno Lena Stringari, deputy director, e Andrew W. Mellon, conservatore capo della Fondazione Solomon R. Guggenheim, insieme a Gillian McMillan, capo conservatore associato del Museo Solomon R. Guggenheim, apportando al progetto la loro precedente esperienza sulle opere di Mondrian. Lo studio comparativo con dipinti dell’artista non sottoposti a restauro e il dialogo con esperti del settore, inclusi curatori, storici dell'arte, conservatori e scienziati, saranno cruciali per questo progetto. Tale ricerca, insieme al dialogo interdisciplinare, garantiranno il restauro, ben meditato e consapevole delle problematiche connesse, di un capolavoro dell’arte del Novecento come appunto «Composizione n. 1 con grigio e rosso 1938 / Composizione con rosso 1939».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Peggy Guggenheim nel padiglione greco, dove espone la sua collezione, alla XXIV Biennale d’Arte di Venezia, accanto a Jacques Lipchitz,« Pierrot seduto» (1922); sul fondo Piet Mondrian, «Composizione n. 1 con grigio e rosso 1938 / Composizione con rosso 1939» (1938-39); 1948. Fondazione Solomon R. Guggenheim. Photo Archivio Cameraphoto Epoche. Donazione, Cassa di Risparmio di Venezia, 2005;  [fig. 2] Piet Mondrian (1872 – 1944), «Composizione n. 1 con grigio e rosso 1938 / Composizione con rosso 1939», 1938-39. Olio su tela montata su supporto di legno, tela 105,2 x 102,3 cm; pannello 109,1 x 106 x 2,5 cm. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia (Fondazione Solomon R. Guggenheim, New York; [fig. 3] La Collezione Peggy Guggenheim, Palazzo Venier dei Leoni, Venezia. © Collezione Peggy Guggenheim, Venezia. Photo Matteo De Fina; [fig. 4] La Collezione Peggy Guggenheim, Palazzo Venier dei Leoni, Venezia. Sulla terrazza sul Canal Grande: Marino Marini, «L’angelo della città», 1948 (fusione 1950?). © Collezione Peggy Guggenheim, Venezia. Photo Matteo De Fina; [fig. 5] La Collezione Peggy Guggenheim, Palazzo Venier dei Leoni, Venezia. Piet Mondrian, «Composizione n. 1 con grigio e rosso 1938 / Composizione con rosso 1939», 1938–39. © Collezione Peggy Guggenheim, Venezia. Photo Matteo De Fina

Informazioni utili


martedì 16 marzo 2021

«We Will Design», aperta la call to action di Base per partecipare alla prossima Milano Design Week

Ha appena preso il via «We will design», la call to action lanciata da Base Milano, progetto di contaminazione culturale tra arti, imprese, tecnologia e innovazione sociale, nato nel 2016 all’interno degli edifici industriali dell’ex-Ansaldo, un’area di 12mila metri quadrati usati per esposizioni, spettacoli, workshop, conferenze e residenze d’artista. Fino al 31 marzo sarà possibile inviare la propria proposta per partecipare alla Design Week 2021, in programma dal 5 al 12 settembre. Il bando è rivolto ad atenei italiani e internazionali, ma anche ad accademieluoghi di formazione non convenzionaledesigner e brand emergenti, tutti chiamati a esplorare e ripensare nuovi modi di vivere, attraverso il design, in risposta all’attuale e inevitabile fase di ripensamento globale.
A tal proposito, va ricordato che sono numerose le domande e le riflessioni che ci guideranno verso la prossima edizione della Design Week.  «Negli ultimi mesi - ricordano, a questo proposito, gli organizzatori - la nostra vita quotidiana è stata sospesa; nuovi codici di condotta hanno messo alla prova il senso della coesistenza e della coabitazione, del nostro essere connessi al di là del mezzo digitale. In questo contesto il design diventa lo strumento per rispondere a un progetto più vasto che coinvolge l’ambiente, l’habitat, i rituali domestici o sociali, le relazioni tra spazio pubblico e privato e altre nuove forme di design antropologico. Dal design di prodotto a quello dei servizi, dalla moda al design d’interazione, dal branding all’experience design, di conseguenza i campi di azione del design si sono estesi e sempre di più si infittiscono le sfere della sua influenza: il design ci aiuta a indagare dove sta andando la nostra società».
A partire da questo presente e con la volontà di costruire un nuovo futuro, Base guarda, dunque, al prossimo Fuorisalone scegliendo di indagare le tematiche più attuali scaturite da questo particolare momento storico, abbracciando un concetto di design antropologico, dalla costruzione identitaria ai comportamenti sociali. Oggi più che mai il design diventa, infatti, una lente per guardare alla nostra società, uno strumento fondamentale di cooperazione e costruzione comune, in cui le realtà della formazione hanno un ruolo cruciale nel ri-progettare relazioni e co-abitazioni del futuro. In questo senso, il design si è avvicinato all’arte, alle scienze sociali, alla sociologia e ancora di più all’antropologia.
Coinvolgimento di lungo periodoco-progettazione e transettorialità sono al centro dell’approccio di Base. Alla luce di quanto abbiamo vissuto nell’ultimo periodo, all’ex Ansaldo si è voluto ripensare la Design Week come un percorso di lungo termine, destinato a non esaurirsi durante la settimana del Fuorisalone, ma a costruire collaborazioni e progettualità prima e dopo questo momento. «We Will Design» si svilupperà, infatti, in diversi appuntamenti nel corso dell’anno - coinvolgendo ospiti ed eventuali espositori interessati - e troverà il suo apice nella settimana dal 5 al 12 settembre, nei giorni della prossima Design Week, da sempre uno dei momenti di massima espressione creativa a livello internazionale della città di Milano.
Nella scelta dei progetti selezionati, di cui verrà dato un feedback entro il 12 aprile, con la call to action, verrà dato spazio all’esposizione, ma anche alla creazione di progetti site specific sviluppati a quattro mani insieme a Base e alle realtà coinvolte attraverso residenze, workshop e un public program per approfondire le tematiche indagate. Il design e l'arte racconteranno così il mondo che ci attende. 

Informazioni utili 
Base, Via Bergognone, 34 - Milano.  Tutti i dettagli su: www.base.milano.it/designweek2021/Per maggiori informazioni scrivere a: design@base.milano.it 


lunedì 15 marzo 2021

Una nuova sede in Salento per la Red Lab Gallery. In estate una mostra di Ulderico Tramacere

Raddoppia i suoi spazi la Red Lab Gallery, realtà attiva a Milano, in via Salari, dal 2018. Mentre all’ombra della Madonnina ci si stava preparando all'allestimento della mostra «Nebulosa 11. Beside Walden» di Dacia Manto (attualmente la Lombardia è in zona rossa), Lucia Pezzulla ha deciso di aprire una nuova sede nel cuore del Salento, a Lecce, sua città di origine.
«Credo che in questo momento storico, dove le restrizioni imposte per contenere la diffusione del Covid-19 hanno impedito l’accesso a luoghi tradizionali pensati per l’arte e la cultura, sia necessario - racconta la gallerista - cambiare nuovamente le regole del gioco, sparigliare idee e convenzioni e proporre format espositivi innovativi, in grado di arrivare e sensibilizzare un pubblico sempre più vasto».
Da questa considerazione è nata l’idea di implementare l'offerta espositiva, accostando alla sede di Milano uno spazio-laboratorio a Lecce, in via Bonaventura Mazzarella 18, in cui, di volta in volta, autori differenti trascorreranno un periodo di residenza, al termine del quale organizzeranno una mostra che sarà presentata come risultato del lavoro svolto sul territorio.
Il primo progetto, per la curatela artistica di Giovanna Gammarota, avrà per protagonista il fotografo Ulderico Tramacere (Lecce, 1975), artista intimamente legato al Salento, che in passato, nella primavera del 2019, ha proposto nella sede milanese di Red Lab Gallery la mostra fotografica «Nylon», presentata nel gennaio dello scorso anno anche alla Bocconi, negli spazi di via Sarfatti 25, per iniziativa di Mia Photo Fair, in collaborazione con la A100 Gallery di Galatina, diretta da Nunzia Perrone.
Con questo progetto, che nel 2018 si è aggiudicato il Premio Ram Sarteano, il fotografo salentino ha presentato una selezione di scatti in bianco e nero che documentano, rinunciando però al mero taglio reportagistico, le operazioni di espianto degli ulivi in Salento, nell’agro di Melendugno, a causa del progetto Tap, il gasdotto trans Adriatico che si snoda per trentatré chilometri nel territorio italiano e che ha suscitato grandi polemiche (anche a livello politico).
Ulderico Tramacere ha, dunque, liberato le immagini dalla propria contingenza e le ha inserite in una visione lirica, metafora di una natura svilita e manipolata, raccontando il momento in cui gli ulivi, con chiome coperte da teli di plastica e radici avvolte in sacchi di juta, lasciano la terra, apparendo enormi arti recisi.
Il risultato del progetto è ben descritto da Gigliola Foschi, parte del comitato di Mia Photo Fair: queste fotografie – ha raccontato la storica e critica della fotografia - «compongono una sorta di inquietante e affascinante danza macabra; ci fanno avvertire il grido di dolore di una natura sempre più dominata dall’uomo ma, al contempo, ne fanno emergere la forza arcaica».
«Nylon» concludeva la trilogia «Film plastici», nata con precisi obiettivi etici e con l’intento di riflettere sull’opacità dell’informazione, che nel 2016 ha dato vita ai progetti «Cellophane», sul dramma dei migranti alla frontiera greco-macedone, e «Pluriball», sulle devastazioni del terremoto nell’Italia centrale.
Ulderico Tramacere, che per sua stessa ammissione impiega nella fotografia la stessa dedizione che avrebbe avuto nel fare il pilota, il pompiere, il palombaro, l'inventore, il poeta o il pittore, precisa: «faccio fotografie e non voglio informare. Mi piace invece pensare che le mie immagini creino, stimolando il desiderio dell'informazione».
Nell’ambito della residenza, che si chiuderà con una mostra programmata per l'inizio dell'estate, l'artista intende porsi all’ascolto della terra che lo circonda ritrovando le inquietudini e i nessi che legano indissolubilmente territori e individui, i quali si amalgamano in un coagulo di umori e respiri troppo spesso rassegnati dinanzi al destino.
«La pietas che Tramacere prova - afferma la curatrice Giovanna Gammarota - per il proprio territorio flagellato, come un novello Cristo, e i corpi di coloro che si addensano lungo i confini di un’Europa sempre meno propensa ad accoglierli, è la base dalla quale egli parte per creare un corale di immagini cantato da più voci che solo apparentemente sembrano contrastare tra loro ma che, invece, si completano».
Il cellophan, il nylon o il pluriball, materiali sui quali Tramacere lavora da tempo, proprio attraverso la nuova residenza creata da Red Lab Gallery, troveranno la loro piena realizzazione divenendo, come sottolinea lo stesso artista, «drammatici Sudari che avvolgono la storia di un intero Paese […] sipari interposti tra lo sguardo e il mondo […] paesaggi surreali irrimediabilmente mutati», per dare, infine, vita a quelle immagini che «stimolano il desiderio di informazione».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Red Lab Gallery, Lecce. Interno; [fig. 2] Red Lab Gallery, Lecce. Esterno; [fig. 3] Ulderico Tramacere, serie Nylon, 2017; [fig. 4]  Ulderico Tramacere, serie Cellophan, 2016

Informazioni utili

venerdì 12 marzo 2021

Tre mostre, un convegno internazionale e un’estate di eventi performativi: Mantova riparte da «Venere divina»

È «la dea delle dee». Di tutte le divinità dell’Olimpo pagano nessuna è venerata e ammirata quanto lei. Il suo nome viene associato all’amore, alla bellezza, all’eros, alla fertilità, al mare scintillante e alla primavera quale simbolo di rinascita. Venere, Afrodite per i greci, è una delle figure che più hanno attratto scrittori e pittori. Esiodo, Omero, Lucrezio e Ovidio sono solo alcuni degli autori che ci hanno tramandato storie sul suo mito, come la nascita dalla bianca schiuma del mare o il suo amore infelice per Adone. Anche la storia dell’arte ci ha lasciato una carrellata incredibile di raffigurazioni, realizzate dai più grandi artisti di tutti i tempi: Sandro Botticelli, Giorgione, Tiziano, Lorenzo Lotto, ma anche Andy Warhol, Michelangelo Pistoletto e molti altri ancora.
Al mito della «dea della bellezza», una figura ben radicata nella tradizione greca, che ha attraversato il mondo romano e rinascimentale, per giungere fino a noi, è dedicato il progetto espositivo promosso per il 2021 dal Comune di Mantova a Palazzo Te, con il patrocinio del Ministero per i beni culturali e con il contributo della Fondazione Banca agricola mantovana
«Venere divina. Armonia sulla terra» è il titolo dell’iniziativa, che si avvale di un comitato scientifico composto da Stefano Baia Curioni, Francesca Cappelletti, Claudia Cieri Via e Stefano L’Occaso.
Il progetto, che completa la riflessione sul femminile avviata nel 2018 con la mostra «Tiziano/Gerhard Richter. Il cielo sulla terra» e proseguita nel 2019 con «Giulio Romano: arte e desiderio», si sviluppa in tre momenti espositivi.
La prima tappa, la cui inaugurazione si sarebbe dovuta tenere il 21 marzo, ma che a causa della pandemia è stata posticipata al 26 aprile,  è «Il mito di Venere a Palazzo Te», un percorso tra le oltre venticinque raffigurazioni dedicate alla dea che ornano l’edificio costruito tra il 1524 e il 1534 su commissione di Federico II Gonzaga, un luogo di otia che vide Giulio Romano artefice di una rivoluzione estetica in grado di mutare il corso dell’architettura e della pittura stessa, diventando punto supremo di sintesi tra gli ideali della Grecia classica, della Roma antica e della nuova Roma di Raffaello.
L’immagine di Venere esaltata nel percorso museale, soprattutto nella Camera del Sole e della Luna e in quella di Amore e Psiche, è illustrata a fondo in una guida cartacea, a cura di Claudia Cieri Via, e in una app multimediale scaricabile gratuitamente
Tra affreschi e stucchi, tra sculture e decorazioni, Palazzo Te, già definito il «sacrario di Venere», mette a confronto il visitatore con varie tipologie di raffigurazione della dea, spaziando dalla Venere pudica alla Venere velata, dalla Venere vincitrice a quella narrata nelle favole mitologiche, che la vedono coinvolta in un matrimonio con l’anziano Vulcano, in una passione erotica con Marte, in un coinvolgimento amoroso fino alla morte con Adone.
Il percorso è arricchito dall’esposizione di due opere legate alla produzione di Giulio Romano, entrambi provenienti dalla collezioni mantovane: la scultura di «Venere velata», appartenuta all’artista, fonte di ispirazione della Venere in stucco sul soffitto della Camera del Sole e della Luna, e l’arazzo «Venere nel giardino con putti», eseguito da tessitori fiamminghi su disegno dello stesso Giulio Romano, di recente ritornato a Mantova grazie a una complessa operazione d’acquisto condotta dalla reggia gonzaghesca e dalla Direzione generale musei del Mibact.
Durante il periodo primaverile, nella giornata del 16 aprile, sarà, inoltre, organizzato un convegno digitale dedicato al tema di Venere con studiosi internazionali, tra i quali, per esempio, Georges Didi-Huberman, Philippe Morel, Emilio Russo e Giuseppe Capriotti.
Il secondo momento espositivo, in programma dal 22 giugno al 5 settembre, prevede l’esposizione di un capolavoro assoluto di Tiziano, di solito conservato alla Galleria Borghese di Roma, tra i vertici della rappresentazione della divinità nel Cinquecento: «Venere che benda Amore». La tela del maestro cadorino, che verrà presentata con un corredo di note e informazioni predisposto da Francesca Cappelletti, raffigura la dea nell’atto di bendare il piccolo Eros appoggiato sul suo grembo, mentre un altro putto, probabilmente Anteros, osserva la scena con aria assorta.
«L’immagine, sgretolata e sognante, è costruita – si legge nella presentazione della mostra - con grande maestria: al centro del quadro non c’è nessuno dei protagonisti della scena, ma un’apertura verso un paesaggio al tramonto. In un accordo cromatico sofisticato, il rosa e l’azzurro si ritrovano sulle piccole ali del Cupido bendato, e da un lato nel blu del panneggio di Venere, opposto al rosso cremisi dell’ancella con le frecce. I bianchi delle vesti e gli incarnati sono percorsi dalla luce e i delicati passaggi alle ombre colorate contribuiscono a rendere meno definiti i contorni delle figure, affidati all’occhio dello spettatore e alle sue capacità di afferrarle».
In occasione di questa esposizione, nel corso del periodo estivo, l’esedra di Palazzo Te verrà ripensata per ospitare momenti performativi e artistici, parte del public program dedicato al tema del mito di Venere.
Il progetto espositivo, il cui allestimento è curato da Lissoni Associati, terminerà con la mostra la mostra «Venere. Natura, ombra e bellezza», a cura di Claudia Cieri Via, che dal 12 settembre al 12 dicembre 2021 indagherà le origini del mito e la sua creazione, grazie al recupero cinquecentesco di leggende e di iconografie antiche. L’esposizione dedica parte del percorso alla diffusione del mito nelle corti europee, al legame della divinità con le acque, i giardini e i parchi, e con la bellezza delle donne dell’epoca. Una sezione, infine, viene dedicata anche ai «pericoli» di Venere e al legame di maghe e streghe con il culto della dea.
In attesa di poter aprire la prima tappa del progetto «Venere divina. Armonia sulla terra», la Fondazione Palazzo Te presenta al pubblico – nella sezione Mnemosyne del suo sito – un programma di approfondimenti video sul mito di Venere. Stefano Baia Curioni introduce le ragioni dell'iniziativa e il valore che può avere per il territorio e la comunità; mentre Francesca Cappelletti, componente del comitato scientifico e direttrice della Galleria Borghese di Roma, racconta in due video la storia del dipinto di «Tiziano Venere che benda amore», che sarà in prestito dal museo romano nel mese di giugno, e le motivazioni scientifiche della mostra di settembre «Venere. Natura, ombra e bellezza». Si prosegue con altri due video con la storica dell'arte e curatrice Claudia Cieri Via: nel primo viene ricordato «Il mito di Venere a Palazzo Te» attraverso l'arazzo di Nicolas Karcher su disegno di Giulio Romano e la scultura «Afrodite velata», entrambi in prestito dal Palazzo Ducale di Mantova; nel secondo la studiosa illustra alcune delle oltre venticinque Veneri presenti negli affreschi e nelle decorazioni murali che Giulio Romano e i suoi allievi hanno realizzato per ornare la dimora estiva di Federico II Gonzaga. Conclude il ciclo il contributo di Stefano L'Occaso, componente del comitato scientifico del progetto «Venere Divina» e direttore di Palazzo Ducale, in cui saluta l'arrivo a Mantova dell'arazzo «Venere spiata da un satiro», con i puttini, capolavoro del Rinascimento, a seguito di una trattativa d'acquisto condotta da Palazzo Ducale con il generoso contributo della Direzione generale musei del Mic. La prima puntata della nuova serie dedicata al percorso delle Veneri a Palazzo Tesi apre nella camera di Ovidio, il primo dei tre ambienti dell’appartamento delle Metamorfosi. Nella decorazione pittorica Venere è allegoricamente presente nella polarità fra la Venere Pandemos, l’amore terreno generativo ed erotico, e la Venere Urania, l’amore divino, sublimato. Insieme ai sei video racconti, le altre puntate della serie saranno pubblicate con due uscite settimanali sul sito di Palazzo Te, sempre nella sezione Mnemosyne.
Un programma, dunque, composito quello ideato dalla città di Mantova per celebrare «la dea della dee», una figura mitologica che affascinò anche Lucrezio come si legge nella frase del «De Rerum Natura», da cui è tratto il titolo del progetto ideato da Palazzo Te: «O genitrice degli Eneadi, godimento degli uomini e degli dei, divina Venere, che sotto i segni mutevoli del cielo il mare che sostiene le navi e le terre che producono i raccolti vivifichi, perché grazie a te ogni genere di viventi viene concepito e giunge a visitare, una volta nato, i lumi del sole».

(aggiornato il 26 aprile 2021, alle ore 17.00)

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Giulio Romano e allievi, Il bagno di Marte e Venere nella Camera di Amore e Psiche, 1527-1528. Affresco. Mantova, Palazzo Te Foto: Gian Maria Pontiroli © Fondazione Palazzo Te, [fig. 2] Tiziano, Venere benda Amore, 1560-1565?. Olio su tela, 118x185 cm. Roma, Galleria Borghese © Galleria Borghese; [fig. 3] Dosso Dossi, Il risveglio di Venere, 1524-1525 circa. Olio su tela, 120x157 cm. Bologna/Milano, Collezione Magnani, pro- prietà Unicredit Milano © Collezione UniCredit Milano; [fig. 4] Nicolas Karcher (Bruxelles? - Mantova 1562), da un disegno di Giulio Romano, Venere, un satiro e putti che giocano (parti- colare), 1539-1540. Arazzo di lana e seta, 410x450 cm. Mantova, Palazzo Ducale Foto: Gian Maria Pontiroli © Fondazione Palazzo Te Su concessione del MiBACT, Palazzo Ducale di Mantova; [fig. 5] Afrodite velata, II secolo a. C., Marmo pario con patina giallastra, 133x50x45 cm circa. Mantova, Comune di Mantova in deposito presso Palazzo Ducale (Galleria dei Mesi) Foto: Gian Maria Pontiroli © Fondazione Palazzo Te Su concessione del MiBACT, Palazzo Ducale di Mantova; [fig. 6] Giulio Romano e allievi, Venere allo specchio e Amore. Volta del Camerino di Venere, 1527. Affresco. Mantova, Palazzo Te.  Foto: Gian Maria Pontiroli © Fondazione Palazzo Te; [fig 7] Giulio Romano e allievi, Marte insegue Adone trattenuto da Venere che viene punta dalla spina di una rosa, Camera d'Amore e Psiche, 1527-28. Affresco.Foto: Gian Maria Pontiroli © Fondazione Palazzo Te  [fig. 8] Giulio Romano e allievi, Venere con Marte e Cupido nell’Olimpo sotto il trono di Giove. Volta della Camera dei Giganti, 1530-1534. Affresco. Mantova, Palazzo Te Foto: Gian Maria Pontiroli © Fondazione Palazzo Te 

Informazioni utili