ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 26 luglio 2016

«Storie milanesi», Gianni Biondillo racconta Lalla Romano

Si arricchisce di un nuovo percorso il progetto «Storie milanesi», curato da Rosanna Pavoni per la Fondazione Adolfo Pini, con la collaborazione del Comune di Milano. Dallo scorso giugno la piattaforma digitale che mette a circuito quindici realtà tra case-museo, atelier d’artista e studi di architettura, offrendo al pubblico un volto inedito del capoluogo lombardo, ospita, infatti, un itinerario dedicato a Lalla Romano (Demonte – Cuneo, 1906-Milano, 2001) e alla sua residenza.
Al centro di questo nuovo percorso, corredato da un racconto di Gianni Biondillo, c’è il quartiere di Brera con la casa della scrittrice di origini piemontesi e con la Biblioteca nazionale Braidense, dove dal 2014 è presente una sala a lei intitolata, che accoglie, grazie al lavoro e alla dedizione di Antonio Ria, una parte di manoscritti, carteggi, volumi postillati, prime edizioni delle opere, dipinti, disegni, fotografie, e alcuni suoi mobili.
Donna appassionata e colta, vissuta tra Torino e Milano, Lalla Romano fu pittrice e scrittrice, ma anche insegnante, traduttrice, critica d’arte, amica, moglie e madre.
Grande interprete dell’identità e della cultura milanese del Dopoguerra, è stata allieva –su consiglio di Lionello Venturi, suo maestro all’università di Torino– della scuola di pittura di Felice Casorati.
Incoraggiata da Eugenio Montale, ha esordito, nel 1941, come poetessa con la raccolta di versi «Fiore», edita da Frassinelli.
Confortata dal sostegno di Elio Vittorini e Cesare Pavese (con cui era stata anche compagna di università e per il quale, durante la guerra, tradusse i «Trois contes» di Flaubert per i tipi di Einaudi), si è dedicata alla letteratura scrivendo numerosi romanzi, tra i quali il più conosciuto è «Le parole tra noi leggere», che gli è valso il Premio Strega nel 1969.
Critici come Carlo Bo, Italo Calvino e Pier Paolo Pasolini hanno indicato nei suoi scritti la ricerca della verità, evidenziando la struttura sperimentale della sua scrittura, in bilico tra classicità e modernità.
Lalla Romano squadernava nelle sue opere la sua esistenza, senza posa e senza sconti. La scrittrice amava dire: «per me scrivere è stato sempre cogliere, dal tessuto fitto e complesso della vita qualche immagine, dal rumore del mondo qualche nota, e circondarla di silenzio». Il suo vissuto personale e il suo rapporto con le persone erano le cornici che animavano la sua narrazione, certamente autobiografica, ma mai diaristica o troppo intima.
Lalla Romano era anche una donna seria, rigorosa, tenace e dal temperamento forte e temprato. Non era una che le mandava a dire. «Siccome non sono potente -affermava-, sono prepotente». Lo sapeva bene Giulio Einaudi che si vide recapitare una copia della prima silloge della scrittrice, «Fiore», con questa dedica: «a chi non ha mai voluto stampare questo libro». Nacque così l’amicizia e il lungo rapporto di collaborazione tra i due intellettuali, un rapporto che vide, negli anni, la stampa da parte di Einaudi di volumi come «La penombra che abbiamo attraversato», «Tetto Murato», «L'eterno presente. Conversazione con Antonio Ria», «Inseparabile», «In vacanza col buon samaritano, «Le lune di Hvar», «Nei mari estremi», «Nuovo romanzo di figure», «Un sogno del Nord» e «Dall'ombra».
Lalla Romano non amava la vita mondana: «ho scritto dei libri» –diceva con ironia– «ma non sono vissuta “da scrittrice”. Non ho neanche la classica fotografia con un gatto». L’autrice non disdegnava, però, di frequentare luoghi come il Blue Bar, la libreria di via Manzoni, la Scala di Milano, dove poteva incrociare pensieri e passioni con altri intellettuali del tempo come Vittorio Sereni, Gillo Dorfles o Ernesto Treccani, senza dimenticarsi mai di essere una donna come tante: madre, moglie e lavoratrice. Lalla Romano era, infatti, per molti solo e semplicemente Graziella Monti, «consorte di un impiegato di banca», come lei stessa scrisse nell’«Autodizionario degli scrittori italiani» a cura di Felice Piemontese, e insegnante alla scuola media «Arconati».
Questa vita avventurosa rivive ora grazie al progetto «Storie milanesi», uno strumento virtuale che, nella realtà, accompagna il viaggiatore in un percorso urbano inedito nei luoghi più simbolici di Milano, rivisti attraverso lo sguardo sensibile di cittadini che ci hanno lasciato un patrimonio di cultura, di saperi e di bellezza.
Franco Albini, Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi, Renzo Bongiovanni Radice e Adolfo Pini, Antonio Boschi e Marieda Di Stefano, Achille Castiglioni, Alik Cavaliere, Vico Magistretti, Alessandro Manzoni, Francesco Messina, Nedda Necchi e Angelo Campiglio, Mario Negri, Gian Giacomo Poldi Pezzoli, Emilio Tadini ed Ernesto Treccani sono i personaggi che, attraverso i propri luoghi dell’abitare domestico e professionale, trovano voce nei racconti scritti da Gianni Biondillo, restituendo al visitatore il volto di una Milano inedita.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Lalla Romano, Autoritratto con veletta, 1938; [fig. 2] Lalla Romano con le sue allieve nella scuola Arconati di Milano, fine anni Quaranta; [fig. 3] Ritratto di Antonia Mulas per il libro Le metamorfosi di Lalla Romano (Einaudi, 1938); [fig. 4] Particolare della casa di Lalla Romano a Milano, in via Brera 17

Informazioni utili 
«Storie milanesi». Sito internet: www.storiemilanesi.org. Informazioni: Fondazione Adolfo Pini, corso Garibaldi, 2 - Milano, tel. 02.874502. Sito internet: www.fondazionepini.it.

lunedì 25 luglio 2016

Varese, l’allestimento del conte Panza torna a rivivere nella villa del Fai

Si respira l’aria di un tempo a Villa Panza, dove è stato da poco ripristinato l’allestimento originale delle collezioni raccolte, con passione e dedizione, dal conte Giuseppe Panza di Biumo nell’arco della sua vita. Era dal 2013 che la residenza varesina, oggi di proprietà del Fai –Fondo per l’ambiente italiano, non si presentava nella sua veste originaria.
I visitatori potranno così, per esempio, tornare ad ammirare le due sale della piccola galleria espositiva che custodisce sette importanti lavori di Ettore Spalletti, scultore e pittore di fama internazionale, esponente dell’area del riduzionismo e del colore unico.
Nella prima stanza, sulle pareti, si trovano due opere realizzate a impasto di colore su tavola, «Rosa Verticale» (1991) e «Tutto Tondo» (1989), che dialogano con altrettanti lavori a tronco di cono collocati sul pavimento, entrambi intitolati «Vaso» e datati rispettivamente 1988 e 1992. Nella seconda stanza si trovano, invece, le opera «Ali Grigio Neutro» (1988), «Vaso» (1989) e «Acquasantiera» (1986), in marmo statuario di Carrara e acqua. Le opere di Spalletti esposte -sculture e quadri coperti da uno strato di gesso colorato– richiamano alla mente i colori degli affreschi del Beato Angelico. Il lavoro dell’artista è completamente astratto, ma possiede un’intima relazione con l’ambiente in cui vive e con l’antica cultura mediterranea fatta di forme di elementare semplicità e colori come rosa, celeste, grigio chiaro, che richiamano alla mente le tonalità degli ulivi argentati, del mare e della luce primaverile.
Torna in Sala Spalletti, sopra il camino, anche «Wax n. 38» (1991), uno dei lavori a olio, cera e legno di Stuart Arends, le cui opere sono visibili anche in tutta l’ala sud al primo piano.
In questa parte della villa sono state anche riallestite le stanze tematiche dedicate a Phil Sims, Winston Roeth, Ruth Ann Fredenthal e Ford Beckman.
Hanno fatto ritorno al primo piano anche quattro superfici a olio e cera su tela di Allan Graham: 1x1 (1989), «See of Dreams» (1988), «Sky Reins» (1990) e «Equally Possibilitie-s Prevail» (1988). Mentre nella sala della veranda che precede i rustici sono state nuovamente collocate le opere «Blind from one side» (1993-1994), «Apology» (1993-1995), «60.000 tears» (1982-1990), «Rory» (1993), «For the return» (1991-1993) di Lawrence Carroll, artista australiano contemporaneo cantore dei margini metropolitani e del mondo invisibile della coscienza. I colori da lui usati sono bianchi, gialli, grigi; le sue opere sono macchie, superfici dipinte su tela attaccata a un supporto di legno, una cassa trovata in strada e adattata a divenire un quadro a tre dimensioni.
Grande rientro anche per Christiane Löhr, l’artista tedesca che nel 2012, a due anni di distanza dalla sua personale organizzata con Giuseppe Panza di Biumo, ha donato due sculture alla villa: «Tre cubi» (2010, 2005, 2010) e «Piccola elevazione, forma d’archi» (2010). Nel suo lavoro troviamo la poesia delle piccole cose, quelle che si possono scovare camminando tra i campi e che rivelano la nostra vera natura: siamo viventi come le erbe dei prati.
Saranno riallestite nell’ala sud anche le opere di Ford Beckman, artista che è stato recentemente ospite dl Vangi Sculpture Garden Museum di Shizuoka in Giappone con una mostra personale a cura di Germano Celant.
Il pubblico potrà, inoltre, ammirare le installazioni site-specific del progetto «Art in Nature», durato tre anni e concluso nel 2015. Si tratta delle opere «A tribute to the Carpinata Gallery» e Embrace» (2013) di Stuart Ian Frost e «The Slope» (2014) di Bob Verschueren, realizzate interamente con materiali naturali e in perfetta simbiosi con la vegetazione, le specie arboree e le geometrie del giardino, alle quali è accostato «Cupressus I» di Peter Randall-Page, un lavoro realizzato nel 2008 con granito ricavato da un masso erratico glaciale in Finlandia e caratterizzata da profonde incisioni con forme esagonali e pentagonali che rimandano alla geometria della natura.
Lungo il percorso espositivo, negli spazi delle Scuderie al piano terra, si potrà, inoltre, «New York, Novembre 8, 2001, I, II, III, IV», l’opera in cinque atti di Wim Wenders dedicata a Ground Zero V, entrata in collezione nel 2015. Negli stessi spazi sono ospitati anche «Varese Scrim 2013» di Robert Irwin e l’ambiente di luce realizzato nel 2013 da James Turrell appositamente per Villa Panza.
La visita alla villa offrirà, inoltre, l’opportunità di contemplare al centro del cortile d’onore l’opera «Cone of Water» di Meg Webster, che è stata esposta nella mostra «Natura naturans. Roxy Paine e Meg Webster (Opere dal 1982 al 2015)», appena conclusa.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Equally Possibilitie-s Prevail, Allan Graham. Foto di Arenaimmagini.it,2013. © FAI - Fondo Ambiente Italiano; [fig. 2] Ganzfeld Sight Unseen, James Turrell. © Florian Holzherr; [fig.3] Sala Spalletti, Foto di Arenaimmagini.it,2013 © FAI - Fondo Ambiente Italiano; [fig. 3] Tre cubi, Christiane Loehre. © Wolfgang Burat

Informazioni utili 
Villa e collezione Panza, piazzale Litta 1, Biumo - Varese. Orari: ore 10.00-18.00; la biglietteria chiude alle ore 17.15. Ingresso: villa senza Ganzfeld di Turrell - intero € 10,00; ridotto (ragazzi 4 - 14 anni) € 4,00; iscritti al Fai gratuito, studenti (15-26 anni) € 5,00, con carta dello studente (15-19 anni) € 3,00; famiglie (2 adulti + fino a 4 bambini) € 24,00 | ingresso al Ganzfeld di Turrell - intero, studenti e iscritti FAI € 3,00, ridotto (4-14 anni) gratuito se accompagnati dai genitori | Ingresso al solo parco intero €3,00; ridotto (ragazzi 4 – 14 anni) € 1,00; residenti nella città di Varese gratuito tutti i martedì. Informazioni: tel. 0332.283960 o faibiumo@fondoambiente.it. Sito web: www.villapanza.it.

giovedì 21 luglio 2016

Toscana, cinquant’anni di Teatro povero. A Monticchiello un nuovo «autodramma» sul tema dell’attesa

Compie cinquant’anni il Teatro Povero di Monticchiello, una fra le più longeve esperienze di teatro di ricerca italiane, nata nel 1967 nel cuore della Val d’Orcia, oggi Patrimonio mondiale dell’Umanità dell’Unesco. Dal 23 luglio al 14 agosto piazza della Commenda torna a trasformarsi in un palcoscenico sotto le stelle per il nuovo «autodramma» (il termine fu coniato da Giorgio Strehler), ideato e realizzato dai borghigiani di Monticchiello con l’intento di riflettere sulla propria storia, ma anche su questioni cruciali per l’intero Paese come la crisi economica, il consumismo, i rapporti giovani-vecchi e il ruolo delle donne nella società contemporanea.
Tutto iniziò «dal basso», in un piccolo centro senza un teatro, senza alcun grande regista o esperto a guidare il progetto e accadde mentre nel resto del mondo fervevano esperienze teatrali che dell’abbattimento del confine tra palcoscenico e vita avevano fatto il centro dell’indagine.
L’esperienza -vero e proprio rito vitale, poetico e di ispirazione- incontrò, negli anni, il favore di molti intellettuali ed addetti ai lavori come il regista Arnaldo Della Giovampaola, il professor Asor Rosa, il giornalista Mario Guidotti, che fu capo-ufficio stampa alla Camera dei deputati. E nelle ultime edizioni sono state ben oltre 4000 le presenze medie all’«autodramma», a conferma di un’esperienza di successo che non si esaurisce con l’appuntamento estivo: «alle spalle di ogni spettacolo -raccontano gli organizzatori- vi è, infatti, un lungo percorso partecipativo: da gennaio iniziano le assemblee pubbliche, aperte a chiunque desideri collaborare oltreché ai membri della compagnia. Si comincia così a raccogliere spunti e riflessioni fino ad arrivare ai temi ritenuti urgenti per l’anno in corso. Da qui parte la discussione collettiva che porta al soggetto e, poi, al copione e alle prove».
Il filo conduttore del nuovo spettacolo -che vede ancora una volta alla regia Andrea Cresti e al quale prendono parte anche tre profughi del Gambia, ospiti del paese dal novembre scorso- si snoda e si sviluppa intorno al tema di un «assedio». Tante le domande che i borghigiani di Monticchiello si pongono e ci pongono: il nemico è dentro o è fuori? Vive meglio chi difende, pur con fatica, uno stile di vita più a misura d’uomo o chi abita posti in cui non mancano i servizi pensati per massimizzare il profitto invece che il benessere? La paura di disperdersi non nasconde forse anche il desiderio di partire, di vivere e reinventarsi, di incontrare l'altro e l'altrove, la possibilità? E se mai fosse: cosa sarà indispensabile portarsi dietro? A cosa non si vuole rinunciare?
In «Notte di attesa», questo il titolo dello spettacolo, si riflette, dunque, sul concetto di dentro e fuori, ovvero sull’essere contemporaneamente nel mondo e fuori di esso, ma su come il teatro sia stato e sia ancora oggi uno strumento per esistere e resistere e, tra una riflessione e l’altra, le parole dialogano con la bellezza di uno scenario naturale fatto delle pietre e delle facciate delle case, degli alti statuari cipressi, delle slanciate mura duecentesche della chiesa.
In occasione dello speciale anniversario e nei giorni di rappresentazione del nuovo spettacolo, il paese ospiterà anche, per le sue vie e piazze, una mostra sulla storia del Teatro povero con materiale afferente alla sua cultura materiale, comprendente video documentari, migliaia di fotografie di volti, posture, scene di vita quotidiana, manifesti di tutti gli spettacoli, tra i quali spicca la lunga serie curata da Alfredo De Santis, uno dei maestri della grafica italiana del secondo Novecento, ma anche costumi e oggetti di scena, particolarissimi elementi scenografici, pagine di copioni in costruzione, vissute, appuntate, cancellate e disegnate.
Fino al 31 agosto sarà, inoltre, visitabile nel borgo la mostra di sculture «Memorie», di Daniela Capaccioli, artista con cui il Teatro Povero condivide l’indagine sulla memoria, sul rapporto dialettico tra passato e presente. Camminando per Monticchiello il pubblico vedrà apparire personaggi, animali, oggetti, opere realizzate in rete metallica che, con la loro trasparenza, -racconta la scultrice- «si presentano allo spettatore come delle ombre di qualcosa che c'era, che ha lasciato la sua impronta, oppure come delle apparizioni di qualcosa che immaginiamo sarà». A chiudere il cartellone sarà, dal 7 al 9 ottobre, un convegno che approfondirà la storia del Teatro povero. Fra le presenze già confermate: Alberto Asor Rosa, intellettuale e studioso di letteratura, gli antropologi Pietro Clemente e Fabio Mugnaini, gli studiosi Marzia Pieri, Andrea Mancini e Gianpiero Giglioni.
Appuntamento tradizionale, prima o dopo lo spettacolo, anche quello con la Taverna di Bronzone, lo storico ristorante gestito dal Teatro Povero che offre la migliore tradizione culinaria locale, con piatti a chilometro zero tra cui i famosi pici, la pasta fatta a mano più conosciuta della Val d’Orcia.

Vedi anche
Monticchiello, il borgo toscano che diventa teatro 

Informazioni utili 
«Notte di attesa» - auto dramma del Teatro povero di Monticchiello. Piazza della Commenda – Monticchiello (Siena). Orari: tutti i giorni (tranne il 25 luglio e il 1° agosto), ore 21.30.. Ingresso: intero € 13,00, ridotto (per bambini fino a 12 anni) € 7,00. Prenotazioni on-line: http://teatropovero.it/prenotazione/. Il biglietto può essere ritirato solo il giorno dello spettacolo: - dalle 9 alle 19 presso la sede del Teatro povero, in Piazza Nuova 1; - dalle 19.30 fino alle 21.00 alla biglietteria (ingresso alla piazza). Si ricorda che dopo le ore 21.00 decade il diritto di prenotazione. Informazioni: tel. 0578.755118 o info@teatropovero.it. Sito internet: www.teatropovero.it. Dal 23 luglio al 14 agosto 2016.