È un viaggio a ritroso nel tempo quello che propone lo Studio Museo Francesco Messina di Milano con la sua nuova mostra, una riflessione su come il terremoto cambi la vita delle persone e su come l’arte possa raccontare in maniera inedita un evento sismico. Al centro dell’esposizione ci sono una selezione di fotografie scattate da Giuseppe Iannello (1982), fotografo palermitano recentemente laureato in Documentary Photography alla University of South Wales. Queste opere, stampate in bianco e nero, ritraggono alcune immagini di archivio della vecchia Gibellina elaborate e proiettate dall'artista sul Grande Cretto di Alberto Burri. Il progetto fotografico, intitolato «Gibellina 1968 - otto minuti dopo le tre», si propone così di far rivivere il luogo e le persone colpiti dal violento terremoto del 1968 e fissarli nella memoria storica.
L'interessante creazione artistica approfondisce, dunque, tematiche legate alla memoria, al senso dei luoghi dimenticati, abbandonati e distrutti e al loro destino, argomenti centrali anche per l'artista Domenico Fazzari, che parallelamente espone una tela di ottanta metri quadrati raffigurante l'abside della chiesa di Africo, sopravvissuta all'alluvione del 1951, considerata gemella di San Sisto, edificio religioso sventrato dai bombardamenti del 1943, che attualmente ospita lo Studio Museo Francesco Messina.
A fare da filo rosso tra le opere in mostra è quanto accaduto nella notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968, quando un violentissimo sisma colpì la valle del Belice, nella Sicilia Occidentale. Il terremoto, localizzato tra i paesi di Gibellina, Poggioreale e Salaparuta, causò duecentotrenta morti e circa mille feriti. Per molti mesi gli abitanti di questi paesi furono costretti a vivere in tendopoli e, per diversi anni, nelle baraccopoli.
Negli anni seguenti, il Governo italiano tentò una ricostruzione delle zone colpite. Una nuova Gibellina fu costruita a venti chilometri da quella distrutta, ma non era più la stessa. Mentre la vecchia Gibellina subì una rapida morte per mano del terremoto, la nuova Gibellina subì una morte lenta per mano dei pianificatori.
Oggi, nel nuovo paese, gli ampi spazi pubblici ostacolano le relazioni della comunità. Le case, progettate dagli architetti che sognavano l'ideale della città-giardino, hanno di fatto cancellato l'abitudine degli abitanti di sedersi sui gradini della porta di casa. Gli anziani dicono di sentirsi come ospiti nel loro paese, mentre i giovani si sentono orfani di un modo di vivere che non hanno mai sperimentato.
L'interesse di Giuseppe Iannello è incentrato sull'avvenuta disconnessione tra queste due generazioni e si chiede: «Che cosa rimarrà nella mente delle nuove generazioni quando l'ultima persona che ha vissuto il tragico evento del terremoto non ci sarà più a raccontare la storia del vecchio paese? E come vivranno e creeranno quegli spazi comuni che sono andati persi?».
Mentre la nuova Gibellina è divisa a metà tra passato e presente, le rovine dell'antica Gibellina sono diventate il luogo di una installazione artistica: Alberto Burri ha risposto alla catastrofe compattando e coprendo le macerie del paese con uno spesso strato di calcestruzzo bianco, con fessure che lo attraversano seguendo il tracciato stradale originale. L'opera, chiamata Il Grande Cretto, si può vedere come un sarcofago concettuale, un memoriale del paese.
Questa enorme opera d'arte di ottomila metri quadrati ha sempre attratto Giuseppe Iannello. «Faticavo a capire il suo profondo significato, ma era così immensa e straordinaria che sono tornato diverse volte a visitarla, anche da adulto- racconta l’artista-. Ogni volta che camminavo tra le crepe del Grande Cretto, la fantasia di vedere il vecchio paese prendeva sempre più forma. Immaginavo la città vecchia, la sua gente e la sua storia e mi interrogavo inoltre sul significato del concetto di memoria. Ho pensato quindi di proiettare le immagini d'archivio che raccontano la vita della vecchia Gibellina sulle pareti del Grande Cretto provando a ricreare le strade, le atmosfere e a restituire i volti degli abitanti di Gibellina prima del terremoto».
A raccontare il terremoto attraverso il linguaggio dell’arte è in questo autunno anche una mostra allestita a Modena, negli spazi dell’ex Manifattura Tabacchi. Il percorso espositivo, visibile dal 21 ottobre al 4 febbraio, presenta le opere di sette fotografi internazionali, reduci da un periodo di lavoro in Emilia e nelle regioni del Centro Italia, alla ricerca di una via personale attraverso la quale raccontare la sequenza di terremoti che hanno colpito il nostro Paese negli ultimi dieci anni.
I pungenti bianchi e neri di Olivier Richon e i paesaggi silenziosi di Hallgerður Hallgrímsdóttir, le inquadrature crude di Naoki Ishikawa, il caos ragionato dei collage di Tomoko Kikuchi, i luoghi sordi e laconici di Eleonora Quadri, le insinuanti fotografie di Valentina Sommariva e gli attenti giochi di forme che dominano le composizioni di Alicja Dobrucka: le oltre settanta fotografie di «Sequenza Sismica» -questo il titolo della mostra- sono lo specchio di una condizione di precarietà e fragilità in cui tutta l’umanità può riconoscersi.
Completa il percorso espositivo un video documentario prodotto da Fondazione Fotografia Modena, ideato e realizzato da Daniele Ferrero e Roberto Rabitti, girato negli stessi luoghi visitati dai fotografi in più momenti: il video ruota attorno al tema cardine del tempo, della sua percezione straniata e distorta durante eventi traumatici. Grazie alla consulenza di alcuni professori dell'Università di Pisa è stato, inoltre, possibile per i due autori approfondire le dinamiche che caratterizzano la psicologia del trauma, indagando in particolar modo gli effetti psichici e fisici tipicamente riscontrabili a seguito di terremoti.
Parte integrante della mostra è, infine, un’importante selezione di fotografie storiche dei primi terremoti fotografati in Italia, a cura di Chiara Dall’Olio. Se, infatti, il nostro Paese è sempre stato scosso da terremoti, meno noto è il rapporto che lega la fotografia del XIX e XX secolo alla rappresentazione e allo studio di tali eventi drammatici. Per raccontare questa relazione sono stati scelti quattro momenti particolarmente significativi: il terremoto del 16 dicembre 1857 in Val d’Agri (oggi territorio compreso fra le provincie di Potenza e Salerno), rappresentato nelle fotografie di Alphonse Bernoud; il terremoto di Norcia del 22 agosto 1859, nelle fotografie di Robert MacPherson; il terremoto di Casamicciola (isola di Ischia) del 28 luglio 1883, nelle immagini di un anonimo reporter, e il terremoto di Messina del 1908, fotografato da Luca Comerio.
Didascalie delle immagini
[fig. 1] Giuseppe Iannello, Gibellina, 2017. Proiezione di immagine d'archivio sul Grande Cretto di Burri, stampa inkjet su carta Fine Art Hahnemuhle, cm 80x80; [fig. 2] Giuseppe Iannello, Via Cavour 1950, 2017. Proiezione di immagine d'archivio sul Grande Cretto di Burri, stampa inkjet su carta Fine Art Hahnemuhle, cm 80x80; [fig. 3] Giuseppe Iannello, Il Cretto e il vecchio paese, 2017. Proiezione di immagine d'archivio sul Grande Cretto di Burri, stampa inkjet su carta Fine Art Hahnemuhle, cm 107x107; [fig. 4] Olivier Richon, Amatrice, 2017. Stampa alla gelatina d’argento 40 x 50 cm © l’artista; [fig. 5] Valentina Sommariva, Senza Titolo, 2017. Stampa inkjet 100 x 70 cm © l’artista
Informazioni utili
Gibellina 1968 - otto minuti dopo le tre. Giuseppe Iannello. Studio Museo Francesco Messina, via San Sisto 4/A - Milano. Orari: da martedì a domenica, ore 10.00-18.00. Ingresso libero. Informazioni: tel. 02.86453005, c.museomessina@comune.milano.it. Sito internet: www.comunedimilano.it/museomessina. Fino al 22 ottobre 2017.
Sequenza Sismica - Sette fotografi internazionali raccontano il terremoto in Italia. MATA, Ex Manifattura Tabacchi, via Manifattura Tabacchi, 83 - Milano.
Orari: mercoledì-giovedì-venerdì, ore 15.00-19.00; sabato-domenica, ore 11.00-19.00; chiuso lunedì e martedì. Ingresso libero. Informazioni sulla mostra: fondazionefotografia.org/mostra/sequenza-sismica/. Dal 21 ottobre 2017 al 4 febbraio 2018
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
venerdì 20 ottobre 2017
mercoledì 18 ottobre 2017
Lombardia, Casalmaggiore rende omaggio a Giuseppe Diotti
Le opere di Giuseppe Diotti, (1779-1846), protagonista della pittura tardo neoclassica, tornano a casa. Dal 28 ottobre 2017 al 28 gennaio 2018, Casalmaggiore ospita negli spazi di quella che fu la dimora dell’artista lombardo una selezione lavori, scelti da Valter Rosa, di cui rimarrà documentazione in un catalogo edito dalle Edizioni Biblioteca A.E. Mortara. Le opere esposte, emblematiche per capire l’opera di questo pittore sensibile alle istanze del Purismo e interprete originale del Romanticismo storico, provengono in gran parte dai più importanti musei lombardi, come la Pinacoteca di Brera, il Museo civico Ala Ponzone di Cremona, l’Accademia Carrara di Bergamo, i Musei civici di Brescia, i Musei civici di Pavia, il Museo civico di Lodi, oltre che dalla Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia e da collezioni private.
Personaggio di spicco dell’arte italiana dell’Ottocento, Giuseppe Diotti ha insegnato per oltre trent’anni all’Accademia Carrara di Bergamo, formando una scuola di pittura che, nei primi decenni del XIX secolo, costituì, per metodo didattico e come vivaio di talenti, una valida alternativa alla più rinomata Accademia di Brera. La sua fama si diffuse rapidamente nell’ambiente culturale dell’epoca, al punto che Defendente Sacchi, critico tra i più autorevoli, lo definì «primo pittore lombardo», riconoscendo in lui un primato oggettivo nella ripresa dell’antica tecnica dell’affresco e nel campo della pittura sacra.
Il percorso espositivo, suddiviso per aree tematiche, condurrà il visitatore attraverso alcune tappe fondamentali della carriera di Diotti: dal periodo della formazione, in cui studiò il luminismo cinque-seicentesco attraverso le copie dai maestri, al perfezionamento degli studi negli anni del Pensionato romano, guidato a distanza da Giuseppe Bossi e sotto la protezione di Antonio Canova, a quello della maturità cui appartengono importanti cicli decorativi o dipinti legati alla pittura sacra e di storia, sino alla produzione finale, con la grande tela, incompiuta, del Giuramento di Pontida, ora conservata nella sala consiliare del Municipio di Casalmaggiore, e la ritrovata pala Petrobelli, esposta per la prima volta in questa occasione, con altri dipinti e disegni inediti.
Nel cuore della mostra una specifica sezione approfondirà il tema dantesco di Ugolino nella torre, in un confronto fra le diverse versioni del Diotti e quelle di artisti contemporanei, come Palagi, Sabatelli, Massacra, sul crinale fra Neoclassismo e Romanticismo.
Un aspetto ancora poco noto dell’attività di Diotti, quello del collezionista d’arte, sarà, poi, l’oggetto di una ricostruzione ideale della sua raccolta di stampe, allestita in questa occasione nella più ampia sala del Palazzo Diotti che il pittore aveva destinato ad ospitare la collezione di dipinti ed oggetti d’arte formata nei decenni trascorsi a Bergamo, in seguito dispersa dagli eredi.
Chiuderà idealmente il percorso una sezione documentaria sulla fortuna dell’artista nella sua epoca, con stampe di traduzione, libri e periodici.
Per tutto il periodo di apertura della mostra, saranno organizzati degli itinerari diotteschi in città e in Lombardia che consentiranno di apprezzare le opere nel contesto per cui furono realizzate. Il percorso a Casalmaggiore condurrà all’interno del Palazzo municipale, nella chiesa di Santo Stefano, nel Palazzo Favagrossa e nel villino Diotti di Rivarolo del Re; quello lombardo, toccherà le località in cui Diotti operò nel corso della sua vita, lungo l’asse Casalmaggiore-Cremona-Bergamo, con appendici a Lodi, nelle valli bergamasche, sul lago d’Iseo e a Brescia.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Giuseppe Diotti, Mosè presenta le tavole della legge, 1808, olio su tela, cm 162x116 (Museo Diotti, deposito dell’Accademia di Belle Arti di Brera); [fig.2] Giuseppe Diotti, Adorazione dei pastori, 1809, olio su tela, cm 174x225 (Museo Diotti, deposito dell’Accademia di Belle Arti di Brera); [fig. 3] Giuseppe Diotti, Rebecca, 1810, olio su tela, cm 46x38 (Collezione privata)
Informazioni utili
Giuseppe Diotti. Museo Diotti, via Formis, 17 - Casalmaggiore (Cremona). Orari: da martedì a venerdì, ore 15.00 – 19.00; sabato, ore 15.00 – 19.00; domenica, ore 10.00 – 12.00 e ore 15.00 – 19.00; lunedì chiuso. Biglietti: intero € 8,00; ridotto € 5,00. Informazioni: tel. 0375.200416 o info@museodiotti.it. Sito internet: www.museodiotti.it. Dal 28 ottobre al 28 gennaio 2018.
Il percorso espositivo, suddiviso per aree tematiche, condurrà il visitatore attraverso alcune tappe fondamentali della carriera di Diotti: dal periodo della formazione, in cui studiò il luminismo cinque-seicentesco attraverso le copie dai maestri, al perfezionamento degli studi negli anni del Pensionato romano, guidato a distanza da Giuseppe Bossi e sotto la protezione di Antonio Canova, a quello della maturità cui appartengono importanti cicli decorativi o dipinti legati alla pittura sacra e di storia, sino alla produzione finale, con la grande tela, incompiuta, del Giuramento di Pontida, ora conservata nella sala consiliare del Municipio di Casalmaggiore, e la ritrovata pala Petrobelli, esposta per la prima volta in questa occasione, con altri dipinti e disegni inediti.
Nel cuore della mostra una specifica sezione approfondirà il tema dantesco di Ugolino nella torre, in un confronto fra le diverse versioni del Diotti e quelle di artisti contemporanei, come Palagi, Sabatelli, Massacra, sul crinale fra Neoclassismo e Romanticismo.
Un aspetto ancora poco noto dell’attività di Diotti, quello del collezionista d’arte, sarà, poi, l’oggetto di una ricostruzione ideale della sua raccolta di stampe, allestita in questa occasione nella più ampia sala del Palazzo Diotti che il pittore aveva destinato ad ospitare la collezione di dipinti ed oggetti d’arte formata nei decenni trascorsi a Bergamo, in seguito dispersa dagli eredi.
Chiuderà idealmente il percorso una sezione documentaria sulla fortuna dell’artista nella sua epoca, con stampe di traduzione, libri e periodici.
Per tutto il periodo di apertura della mostra, saranno organizzati degli itinerari diotteschi in città e in Lombardia che consentiranno di apprezzare le opere nel contesto per cui furono realizzate. Il percorso a Casalmaggiore condurrà all’interno del Palazzo municipale, nella chiesa di Santo Stefano, nel Palazzo Favagrossa e nel villino Diotti di Rivarolo del Re; quello lombardo, toccherà le località in cui Diotti operò nel corso della sua vita, lungo l’asse Casalmaggiore-Cremona-Bergamo, con appendici a Lodi, nelle valli bergamasche, sul lago d’Iseo e a Brescia.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Giuseppe Diotti, Mosè presenta le tavole della legge, 1808, olio su tela, cm 162x116 (Museo Diotti, deposito dell’Accademia di Belle Arti di Brera); [fig.2] Giuseppe Diotti, Adorazione dei pastori, 1809, olio su tela, cm 174x225 (Museo Diotti, deposito dell’Accademia di Belle Arti di Brera); [fig. 3] Giuseppe Diotti, Rebecca, 1810, olio su tela, cm 46x38 (Collezione privata)
Informazioni utili
Giuseppe Diotti. Museo Diotti, via Formis, 17 - Casalmaggiore (Cremona). Orari: da martedì a venerdì, ore 15.00 – 19.00; sabato, ore 15.00 – 19.00; domenica, ore 10.00 – 12.00 e ore 15.00 – 19.00; lunedì chiuso. Biglietti: intero € 8,00; ridotto € 5,00. Informazioni: tel. 0375.200416 o info@museodiotti.it. Sito internet: www.museodiotti.it. Dal 28 ottobre al 28 gennaio 2018.
lunedì 16 ottobre 2017
A San Pietro in Atrio le nuove scoperte archeologiche di Como e del territorio lariano
Urne cinerarie e vasi per offerte dalle forme inconsuete, ornamenti in bronzo, ferro, ambra, pasta vitrea, elementi dell’abbigliamento, amuleti, simboli di status delle antiche popolazioni e preziosissime armi riferibili alla cultura protostorica detta «di Golasecca»: sono questi reperti a punteggiare il percorso espositivo della mostra «Prima di Como. Nuove scoperte archeologiche dal territorio», allestita fino al prossimo 10 novembre negli spazi della Chiesa di San Pietro in Atrio a Como.
L’esposizione, organizzata congiuntamente dalla Soprintendenza archeologica e dai Musei civici di Como, è a cura di Lucia Mordeglia e Marina Uboldi, con la collaborazione di Stefania Jorio e Mimosa Ravaglia.
Oltre ai reperti archeologici, il percorso espositivo presenta fotografie e disegni ricostruttivi, video e immagini 3D, che forniscono, grazie alle nuove tecnologie, informazioni approfondite finalizzate a coinvolgere un vasto pubblico.
Accanto alla panoramica sugli ultimi ritrovamenti archeologici nella città lariana, sono illustrate le novità scientifiche sulle più antiche fasi di popolamento, sviluppatosi nel corso del primo millennio avanti Cristo, e messi in risalto il valore e il significato del ricco patrimonio archeologico comasco precedente alla fondazione della colonia romana.
I temi principali della mostra sono i corredi funerari della prima età del ferro provenienti dagli scavi di San Fermo della Battaglia, via per Mornago (2006) e di Grandate, emersi nel 2011 durante la costruzione della nuova Pedemontana. È possibile, poi, vedere reperti provenienti dall’enigmatica area religiosa/monumentale del Nuovo Ospedale Sant’Anna (scavi 2007), risalente al VI secolo a.C., costituita da un grande circolo del diametro di settanta metri, delimitato da un doppio recinto di pietre con piattaforma centrale ad emiciclo e setti radiali in materiali litici e terre diverse, di difficile interpretazione funzionale. Sono, poi, in mostra un ripostiglio sacro dell’età del ferro rinvenuto sul Monte San Zeno in Val d’Intelvi, i più recenti dati archeobiologici sul clima, la vegetazione, l’alimentazione umana in età protostorica e, infine i risultati della nuova ricerca condotta sul Carro cerimoniale del V secolo a.C. della Ca’ Morta dal professor Bruno Chaume dell’Università della Borgogna, Direttore del programma Vix et son Environnement, che ha messo in evidenza una stretta parentela con i coevi carri di ambito culturale hallstattiano, rinvenuti nel Centro Europa.
Questi ultimi ritrovamenti contribuiscono ad accrescere il ricco patrimonio archeologico del centro protostorico che ha preceduto la fondazione di Como, le cui origini risalgono al I millennio a.C. Infatti, prima della città romana, i rilievi attorno alla città attuale vedono l’insediamento di villaggi e gruppi di abitazioni: diversi reperti e resti di tombe ne conservano la testimonianza. Nei secoli successivi, in particolare il VI e il V a.C., l’abitato raggiunge la sua massima espansione e ricchezza, concentrandosi soprattutto lungo il versante meridionale della Spina Verde, il parco regionale che si estende sulla fascia collinare a nord-ovest di Como.
Fondamentale per lo sviluppo del nucleo abitativo è il suo ruolo di centro di contatto e scambi tra la Pianura padana, stabilmente occupata dagli Etruschi, e il mondo celtico e quello hallstattiano (dalla cittadina di Hallstatt, nei pressi di Salisburgo) del Centro Europa.
L’ininterrotto stanziamento delle popolazioni nella medesima area fino ai giorni nostri, unito all’intensificarsi delle attività edilizie del secondo dopoguerra, ha nascosto o cancellato segni dell’insediamento antico. Tuttavia, l’attività di tutela svolta dalla Soprintendenza archeologica in sinergia con le Amministrazioni comunali, consente di recuperare sempre nuove testimonianze del passato della città e dei suoi abitanti, garantendone la salvaguardia.
La ricerca scientifica -che di recente si è avvalsa della collaborazione con importanti centri di studio internazionali, quali il Cnrs (Centre National de la Recherche Scientifique) e le Università di Berlino e di Mainz- permette ora di porre in risalto il ruolo della civiltà di Golasecca (cultura preromana che si sviluppa nel I millennio a.C. nel territorio della Lombardia occidentale, del Piemonte Orientale, del Canton Ticino, che deriva dalla località di Golasecca, sulla sponda varesina del fiume Ticino) nel quadro delle relazioni con le coeve civiltà mediterranee e mitteleuropee.
La mostra è, inoltre, un invito a visitare i beni archeologici presenti in città e nei dintorni: il Museo civico cittadino, dove sono conservati l’originale del Carro celtico e i reperti dei passati rinvenimenti nella necropoli della Ca’ Morta, il parco della Spina Verde, il Circolo dell’Ospedale di S. Anna e infine, per l’epoca romana, l’area delle Terme di Viale Lecco e Porta Pretoria.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Guttus ornitomorfo, dal corredo della Tomba 3, Grandate, 2011. © MIBACT; [fig. 2] Pendaglio pettorale, dal corredo della Tomba 2, Grandate, 2011, bronzo. © MIBACT; [fig. 3] Corredo Tomba 1, Nuovo Ospedale sant’Anna di Como, VI sec a.C. Urna cineraria troncoconica in ceramica, grande coppa su piede, boccale, fibule e altri elementi di ornamento in bronzo, due perle in pasta vitrea. © MIBACT; [fig. 4] Carro cerimoniale protostorico, V sec. a.C.. Rinvenuto a Lazzago nel 1928, esposto al Museo Archeologico di Como. © MIBACT
Informazioni utili
Prima di Como. Nuove scoperte archeologiche dal territorio. Chiesa di S. Pietro in Atrio, via Odescalchi, 3 – Como. Orari: martedì - domenica, ore 10.00-18.00; lunedì chiuso. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 031.252550, musei.civici@comune.como.it, uboldi.marina@comune.como.it. Fino al 10 novembre 2017.
L’esposizione, organizzata congiuntamente dalla Soprintendenza archeologica e dai Musei civici di Como, è a cura di Lucia Mordeglia e Marina Uboldi, con la collaborazione di Stefania Jorio e Mimosa Ravaglia.
Oltre ai reperti archeologici, il percorso espositivo presenta fotografie e disegni ricostruttivi, video e immagini 3D, che forniscono, grazie alle nuove tecnologie, informazioni approfondite finalizzate a coinvolgere un vasto pubblico.
Accanto alla panoramica sugli ultimi ritrovamenti archeologici nella città lariana, sono illustrate le novità scientifiche sulle più antiche fasi di popolamento, sviluppatosi nel corso del primo millennio avanti Cristo, e messi in risalto il valore e il significato del ricco patrimonio archeologico comasco precedente alla fondazione della colonia romana.
I temi principali della mostra sono i corredi funerari della prima età del ferro provenienti dagli scavi di San Fermo della Battaglia, via per Mornago (2006) e di Grandate, emersi nel 2011 durante la costruzione della nuova Pedemontana. È possibile, poi, vedere reperti provenienti dall’enigmatica area religiosa/monumentale del Nuovo Ospedale Sant’Anna (scavi 2007), risalente al VI secolo a.C., costituita da un grande circolo del diametro di settanta metri, delimitato da un doppio recinto di pietre con piattaforma centrale ad emiciclo e setti radiali in materiali litici e terre diverse, di difficile interpretazione funzionale. Sono, poi, in mostra un ripostiglio sacro dell’età del ferro rinvenuto sul Monte San Zeno in Val d’Intelvi, i più recenti dati archeobiologici sul clima, la vegetazione, l’alimentazione umana in età protostorica e, infine i risultati della nuova ricerca condotta sul Carro cerimoniale del V secolo a.C. della Ca’ Morta dal professor Bruno Chaume dell’Università della Borgogna, Direttore del programma Vix et son Environnement, che ha messo in evidenza una stretta parentela con i coevi carri di ambito culturale hallstattiano, rinvenuti nel Centro Europa.
Questi ultimi ritrovamenti contribuiscono ad accrescere il ricco patrimonio archeologico del centro protostorico che ha preceduto la fondazione di Como, le cui origini risalgono al I millennio a.C. Infatti, prima della città romana, i rilievi attorno alla città attuale vedono l’insediamento di villaggi e gruppi di abitazioni: diversi reperti e resti di tombe ne conservano la testimonianza. Nei secoli successivi, in particolare il VI e il V a.C., l’abitato raggiunge la sua massima espansione e ricchezza, concentrandosi soprattutto lungo il versante meridionale della Spina Verde, il parco regionale che si estende sulla fascia collinare a nord-ovest di Como.
Fondamentale per lo sviluppo del nucleo abitativo è il suo ruolo di centro di contatto e scambi tra la Pianura padana, stabilmente occupata dagli Etruschi, e il mondo celtico e quello hallstattiano (dalla cittadina di Hallstatt, nei pressi di Salisburgo) del Centro Europa.
L’ininterrotto stanziamento delle popolazioni nella medesima area fino ai giorni nostri, unito all’intensificarsi delle attività edilizie del secondo dopoguerra, ha nascosto o cancellato segni dell’insediamento antico. Tuttavia, l’attività di tutela svolta dalla Soprintendenza archeologica in sinergia con le Amministrazioni comunali, consente di recuperare sempre nuove testimonianze del passato della città e dei suoi abitanti, garantendone la salvaguardia.
La ricerca scientifica -che di recente si è avvalsa della collaborazione con importanti centri di studio internazionali, quali il Cnrs (Centre National de la Recherche Scientifique) e le Università di Berlino e di Mainz- permette ora di porre in risalto il ruolo della civiltà di Golasecca (cultura preromana che si sviluppa nel I millennio a.C. nel territorio della Lombardia occidentale, del Piemonte Orientale, del Canton Ticino, che deriva dalla località di Golasecca, sulla sponda varesina del fiume Ticino) nel quadro delle relazioni con le coeve civiltà mediterranee e mitteleuropee.
La mostra è, inoltre, un invito a visitare i beni archeologici presenti in città e nei dintorni: il Museo civico cittadino, dove sono conservati l’originale del Carro celtico e i reperti dei passati rinvenimenti nella necropoli della Ca’ Morta, il parco della Spina Verde, il Circolo dell’Ospedale di S. Anna e infine, per l’epoca romana, l’area delle Terme di Viale Lecco e Porta Pretoria.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Guttus ornitomorfo, dal corredo della Tomba 3, Grandate, 2011. © MIBACT; [fig. 2] Pendaglio pettorale, dal corredo della Tomba 2, Grandate, 2011, bronzo. © MIBACT; [fig. 3] Corredo Tomba 1, Nuovo Ospedale sant’Anna di Como, VI sec a.C. Urna cineraria troncoconica in ceramica, grande coppa su piede, boccale, fibule e altri elementi di ornamento in bronzo, due perle in pasta vitrea. © MIBACT; [fig. 4] Carro cerimoniale protostorico, V sec. a.C.. Rinvenuto a Lazzago nel 1928, esposto al Museo Archeologico di Como. © MIBACT
Informazioni utili
Prima di Como. Nuove scoperte archeologiche dal territorio. Chiesa di S. Pietro in Atrio, via Odescalchi, 3 – Como. Orari: martedì - domenica, ore 10.00-18.00; lunedì chiuso. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 031.252550, musei.civici@comune.como.it, uboldi.marina@comune.como.it. Fino al 10 novembre 2017.
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