Insulti, offese, prese in giro, fastidiosi nomignoli, intimidazioni, esclusione sociale, e, in alcuni casi, addirittura schiaffi e botte. In una parola bullismo, traduzione italiana del termine inglese «buylling», teorizzato negli anni Settanta dallo psicologo svedese Dan Olweus, con il quale si indica un comportamento aggressivo di natura fisica, verbale e psicologica, reiterato nel tempo, nei confronti di una persona incapace di difendersi. Stando agli ultimi dati Istat, presentati lo scorso 27 marzo dal presidente Gian Carlo Blangiardo nel corso di un'audizione alla Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, in Italia un ragazzo su due si dichiara vittima di episodi di bullismo o di cyberbullismo, fenomeno vessatorio, quest’ultimo, che si diffonde tramite Internet e i social network. L’età più a rischio è quella compresa fra gli 11 e i 17 anni.
I dati fotografano, dunque, una situazione emergenziale, che diventa ancora più preoccupante entrando nel dettaglio: una percentuale significativa del campione intervistato, quasi uno su cinque (19,8%), ha, infatti, dichiarato di aver subìto azioni tipiche di bullismo una o più volte al mese nell'ultimo anno; in circa la metà di questi casi (9,1%), ciò è avvenuto una o più volte a settimana. Un confronto fra i sessi mostra, inoltre, una prima differenza sostanziale: il 55% delle giovani contro il 49,9% dei loro coetanei maschi si è dichiarato oggetto di prepotenze. Le differenze sono considerevoli anche a livello territoriale, con una netta prevalenza del fenomeno nel nord del Paese, dove le vittime di azioni vessatorie rappresentano il 23% dei ragazzi tra gli 11 e 17 anni.
Il linguaggio teatrale con la sua capacità di parlare al cuore dei giovani e di farli entrare in empatia con i personaggi narrati rappresenta uno strumento utile non solo per formare il loro carattere, ma anche per promuovere la cittadinanza attiva e per contrastare atteggiamenti vessatori come quelli di cui tanto si parla in televisione e sui giornali. Lo dimostra chiaramente «E…sperimentiamo (sei ragazzi nel mondo del bullismo)», il saggio-spettacolo che gli «Attori in erba» porteranno in scena sabato 8 giugno, alle ore 21, negli spazi della Palestra Gallaratese di Gallarate (in via Pegoraro, 1).
Sul palco saliranno sei ragazzi dai 12 ai 16 anni: Giada Banca, Alice Capasso, Anita Croci, Camilla Dall’Aglio, Tiziano Locarno e Alerik Moisiu. La regia e la scrittura scenica sono a cura dell’attore professionista e insegnante Davide De Mercato.
Dopo la partecipazione al saggio «Coco e il dia dello spettacolo», andato in scena lo scorso 18 maggio al teatro Auditorium di Jerago con Orago, dove hanno interpretato una scena dedicata ai colori e alle atmosfere della festa messicana del giorno dei morti, gli adolescenti della scuola di teatro che «Culturando» cura artisticamente, da questa stagione, per la Palestra Gallaratese si confronteranno, dunque, con un tema di grande attualità, al quale guarda sempre più il mondo del teatro come dimostra il recente musical «Bulli Zoo» all’Olimpico di Roma.
Al centro della rappresentazione, ideata come una sorta di esperimento sociale dove i ragazzi vestiranno alternativamente i panni del bullo e del bullizzato, ci saranno sei improvvisazioni, frutto della fantasia degli «Attori in erba». A tessere la trama e l’ordito del racconto scenico saranno, poi, due storie vere che, attraverso parole, movimento e musica parleranno di giovani e di relazioni, di prepotenze e di paure, sia dal punto di vista della vittima (con la vicenda di Giancarlo Catino, resa famosa sul web dal monologo di Paola Cortellesi) che dalla prospettiva del carnefice, raccontata attraverso un episodio di cyberbullismo.
«Lo spettacolo -spiega Davide De Mercato- racconta tutte le classiche fasi del bullismo: dall’autocommiserazione della vittima alla sua volontà non soddisfatta di chiedere aiuto, sino all’evento scatenante che porta a un cambio di prospettiva e a una presa di coscienza della situazione. La rappresentazione non vuole, però, fornire soluzioni al problema o facili moralismi. Vuole proporre al pubblico un itinerario emozionale, che gli faccia sorgere domande, dubbi. Abbiamo, poi, voluto finire con un invito alla speranza, tutto da scoprire».
Che ad avere la meglio sia il «bullizzato»? Forse sì, ce lo ha insegnato Giancarlo Catino: un abbraccio può sconfiggere un bullo.
Informazioni utili
«E…sperimentiamo (sei ragazzi nel mondo del bullismo)» è a ingresso gratuito. È gradita la prenotazione al numero 0331.792164 o all'indirizzo e-mail info@palestragallaratese.it. Per maggiori informazioni su «Culturando» è possibile consultare la pagina www.facebook.com/associazioneculturando/.
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
giovedì 6 giugno 2019
martedì 4 giugno 2019
Il Mapa di Gus & Waldo a Milano: due cuori e un museo al NYX Hotel Milan
Innamorati, giramondo e di successo. Stiamo parlando della coppia di pinguini Gus & Waldo, nata nel 2005 dalla matita di Massimo Fenati (Genova, 1944), architetto genovese trapiantato a Londra dal 1995, dove ha lavorato come pubblicitario per Nokia, Alessi e Cappellini e come designer negli studi di Jasper Morrison, Pentagram e David Chipperfield Architects, prima di dedicarsi al fumetto e all’animazione per ditte di produzione televisiva.
Con le loro oltre settantamila copie vendute con traduzioni in sei lingue (dal finlandese al tedesco), i due pinguini innamorati, che hanno conquistato anche i giornalisti di due importanti quotidiani britannici come «The Times» e «The Guardian», sono diventati, negli anni, dei veri e propri influencer, puntuali e graffianti, sui temi sempreverdi dell’amore e del sesso.
Gus & Waldo appaiono, infatti, come due perfetti esperti dell’argomento. Appartengono alla specie dei pinguini, una delle più fedeli nel mondo animale. Sono estremamente felici della loro vita insieme, iniziata con uno sguardo complice sulle scale di un centro commerciale. E sono disposti a tutto per riaccendere la scintilla del desiderio quando la quotidianità li mette a dura prova: fanno shopping insieme, vanno al ristorante, si scambiano regali griffati, viaggiano per il mondo e soprattutto accettano le diversità dei loro caratteri.
«Gus, quello col becco a punta, -raccontava nel 2011 Massimo Fenati a Raffaella Serini sulle pagine di «Vanity Fair»- è un maniaco del pulito, un po' nervosetto, legge romanzoni da seicento pagine e veste con stile. Waldo ha il becco arrotondato, un carattere più docile, è trasandato e incasinato. Divora riviste di gossip e ascolta musica pop».
I due teneri pinguini dal tratto morbido e leggero, diversi nei gusti e simili nella capacità di investire tempo ed energie sul loro legame, sono, dunque, una coppia fissa e inossidabile come tante altre e che siano etero o omosessuali poco importa perché -raccontava qualche anno fa, sempre a «Vanity Fair,» il fumettista genovese- «se Waldo si chiamasse Wanda e avesse lunghe ciglia da femme fatale, la loro storia non cambierebbe».
Ideati quasi per caso, quando da un piccolo scarabocchio su un post-it nasce in Massimo Fenati l’idea di realizzare un libro per festeggiare il primo anniversario con il compagno Walter, Gus & Waldo sono ora un vero e proprio brand, al centro di poster, magliette, libri di successo e anche cortometraggi animati, che hanno vinto premi al festival di animazione IRIS di Rio de Janeiro, al Queersicht Film Festival di Berna e al concorso Sub-It alla Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia nel 2009.
In Italia i due simpatici pinguini sono arrivati nel 2008, quando Tea ha pubblicato il volume «Il libro dell’amore di Gus & Waldo»; mentre le ultime strisce edite sono quelle di «Arte pinguina», un libro che ha visto la luce nel nostro Paese nel 2015. Si tratta di un omaggio, in chiave divertita e divertente, ai più grandi capolavori della nostra cultura visiva, simboli iconici di varie epoche, tutti conservati nell’immaginifico e inimitabile MoPa – Museum of Penguin Art.
Dalla Venere di Sandro Botticelli alle ballerine di Edgar Degas, dalla Gioconda di Leonardo da Vinci all’autoritratto di Vincent Van Gogh, senza tralasciare il Bacco di Caravaggio, Massimo Fenati non si dimentica proprio di nessuno nelle sue tavole. Dal 14 giugno al 31 ottobre i suoi lavori saranno in mostra a Milano, negli spazi del NYX Hotel Milan, albergo della catena Leonardo Hotels Group che si distingue per la sua attenzione alla street art e alla video art, con mostre curate, tra gli altri, da Iris Barak, curatrice della Dubi Shiff Art Collection di Tel Aviv.
L’esposizione di Massimo Fenati si avvale dell’organizzazione della galleria di arte diffusa Question Mark Milano di Daniele Decia e Stefania Sarri, che ha recentemente presentato le opere del fumettista genovese nella sua sede di via Briosi.
Le incursioni di Gus & Waldo nell’arte egizia e in quella bizantina, nelle tele del Rinascimento o in quelle degli impressionisti, nelle opere di contemporanei come Hopper e Magritte sono al tempo stesso pop, fumettistiche, poetiche e comunicano in modo leggero capitoli fondamentali della nostra cultura visiva.
Fa sorridere, per esempio, il pinguino impacchettato alla Christo e non intimorisce l’improbabile naufragio di Gus & Waldo su un gommone in mezzo al mare e con un piccolo ombrello a protezione degli schizzi d’acqua, timorosi per l’arrivo della grande onda di Katsushika Hokusai.
Diverte la rivisitazione del celebre «Pomeriggio alla Grande Jatte» di Georges Seurat, in cui tutti i personaggi sullo sfondo si tramutano in oche, pappagalli e struzzi. Stessa sorte tocca alle donne de «Le déjeuner sur l'herbe» di Édouard Manet, trasformate in due bianchi volatili, totalmente disinteressati alla conversazione tra i due pinguini in abiti ottocenteschi.
Ma le sorprese non finiscono qui. Lungo il percorso espositivo, Waldo finisce con il travestirsi da Monna Walda e da sposa dei Coniugi Arnolfini di Van Eyck. Gus sfoggia lunghi riccioli rossi come Venere botticelliana e diventa anche un’icona pop di Andy Warhol. Entrambi fluttuano nell’immaginifico universo segnico di Mirò in «Due innamorati che guardano alla luna».
Una bella occasione, dunque, quella proposta dal NYX Hotel Milan per ripassare la storia dell’arte con il sorriso sulle labbra e dire «ah ma questo l’ho già visto!».
Informazioni utili
Arte pinguina. Una mostra di Massimo Fenati. NYX Hotel Milan, piazza Quattro Novembre, 3 – Milano. Orari: 9.00 – 21.00. Ingresso libero. Inaugurazione: giovedì 13 giugno, ore 18.30, su invito. Catalogo: Tea edizioni (€ 13 - ISBN 8850241585). Dal 14 giugno al 31 ottobre 2019
Con le loro oltre settantamila copie vendute con traduzioni in sei lingue (dal finlandese al tedesco), i due pinguini innamorati, che hanno conquistato anche i giornalisti di due importanti quotidiani britannici come «The Times» e «The Guardian», sono diventati, negli anni, dei veri e propri influencer, puntuali e graffianti, sui temi sempreverdi dell’amore e del sesso.
Gus & Waldo appaiono, infatti, come due perfetti esperti dell’argomento. Appartengono alla specie dei pinguini, una delle più fedeli nel mondo animale. Sono estremamente felici della loro vita insieme, iniziata con uno sguardo complice sulle scale di un centro commerciale. E sono disposti a tutto per riaccendere la scintilla del desiderio quando la quotidianità li mette a dura prova: fanno shopping insieme, vanno al ristorante, si scambiano regali griffati, viaggiano per il mondo e soprattutto accettano le diversità dei loro caratteri.
«Gus, quello col becco a punta, -raccontava nel 2011 Massimo Fenati a Raffaella Serini sulle pagine di «Vanity Fair»- è un maniaco del pulito, un po' nervosetto, legge romanzoni da seicento pagine e veste con stile. Waldo ha il becco arrotondato, un carattere più docile, è trasandato e incasinato. Divora riviste di gossip e ascolta musica pop».
I due teneri pinguini dal tratto morbido e leggero, diversi nei gusti e simili nella capacità di investire tempo ed energie sul loro legame, sono, dunque, una coppia fissa e inossidabile come tante altre e che siano etero o omosessuali poco importa perché -raccontava qualche anno fa, sempre a «Vanity Fair,» il fumettista genovese- «se Waldo si chiamasse Wanda e avesse lunghe ciglia da femme fatale, la loro storia non cambierebbe».
Ideati quasi per caso, quando da un piccolo scarabocchio su un post-it nasce in Massimo Fenati l’idea di realizzare un libro per festeggiare il primo anniversario con il compagno Walter, Gus & Waldo sono ora un vero e proprio brand, al centro di poster, magliette, libri di successo e anche cortometraggi animati, che hanno vinto premi al festival di animazione IRIS di Rio de Janeiro, al Queersicht Film Festival di Berna e al concorso Sub-It alla Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia nel 2009.
In Italia i due simpatici pinguini sono arrivati nel 2008, quando Tea ha pubblicato il volume «Il libro dell’amore di Gus & Waldo»; mentre le ultime strisce edite sono quelle di «Arte pinguina», un libro che ha visto la luce nel nostro Paese nel 2015. Si tratta di un omaggio, in chiave divertita e divertente, ai più grandi capolavori della nostra cultura visiva, simboli iconici di varie epoche, tutti conservati nell’immaginifico e inimitabile MoPa – Museum of Penguin Art.
Dalla Venere di Sandro Botticelli alle ballerine di Edgar Degas, dalla Gioconda di Leonardo da Vinci all’autoritratto di Vincent Van Gogh, senza tralasciare il Bacco di Caravaggio, Massimo Fenati non si dimentica proprio di nessuno nelle sue tavole. Dal 14 giugno al 31 ottobre i suoi lavori saranno in mostra a Milano, negli spazi del NYX Hotel Milan, albergo della catena Leonardo Hotels Group che si distingue per la sua attenzione alla street art e alla video art, con mostre curate, tra gli altri, da Iris Barak, curatrice della Dubi Shiff Art Collection di Tel Aviv.
L’esposizione di Massimo Fenati si avvale dell’organizzazione della galleria di arte diffusa Question Mark Milano di Daniele Decia e Stefania Sarri, che ha recentemente presentato le opere del fumettista genovese nella sua sede di via Briosi.
Le incursioni di Gus & Waldo nell’arte egizia e in quella bizantina, nelle tele del Rinascimento o in quelle degli impressionisti, nelle opere di contemporanei come Hopper e Magritte sono al tempo stesso pop, fumettistiche, poetiche e comunicano in modo leggero capitoli fondamentali della nostra cultura visiva.
Fa sorridere, per esempio, il pinguino impacchettato alla Christo e non intimorisce l’improbabile naufragio di Gus & Waldo su un gommone in mezzo al mare e con un piccolo ombrello a protezione degli schizzi d’acqua, timorosi per l’arrivo della grande onda di Katsushika Hokusai.
Diverte la rivisitazione del celebre «Pomeriggio alla Grande Jatte» di Georges Seurat, in cui tutti i personaggi sullo sfondo si tramutano in oche, pappagalli e struzzi. Stessa sorte tocca alle donne de «Le déjeuner sur l'herbe» di Édouard Manet, trasformate in due bianchi volatili, totalmente disinteressati alla conversazione tra i due pinguini in abiti ottocenteschi.
Ma le sorprese non finiscono qui. Lungo il percorso espositivo, Waldo finisce con il travestirsi da Monna Walda e da sposa dei Coniugi Arnolfini di Van Eyck. Gus sfoggia lunghi riccioli rossi come Venere botticelliana e diventa anche un’icona pop di Andy Warhol. Entrambi fluttuano nell’immaginifico universo segnico di Mirò in «Due innamorati che guardano alla luna».
Una bella occasione, dunque, quella proposta dal NYX Hotel Milan per ripassare la storia dell’arte con il sorriso sulle labbra e dire «ah ma questo l’ho già visto!».
Informazioni utili
Arte pinguina. Una mostra di Massimo Fenati. NYX Hotel Milan, piazza Quattro Novembre, 3 – Milano. Orari: 9.00 – 21.00. Ingresso libero. Inaugurazione: giovedì 13 giugno, ore 18.30, su invito. Catalogo: Tea edizioni (€ 13 - ISBN 8850241585). Dal 14 giugno al 31 ottobre 2019
Jean François Migno a Bologna: una danza di colori al Museo civico medioevale
Passato e presente si incontrano quest’estate al Museo civico medioevale di Bologna. Palazzo Ghisilbardi, una delle espressioni più significanti del Rinascimento nel capoluogo emiliano, apre le porte alla mostra «La forza del colore», prima personale in Italia dell’artista francese Jean François Migno. L’esposizione, a cura di Graziano Campanini e Riccardo Betti, prosegue il percorso di indagine sulle dinamiche di interazione tra le opere e i reperti di epoca medievale appartenenti al patrimonio museale della città felsinea e le espressioni della creazione artistica attuale. Dopo le rassegne di Gianni del Bue (estate 2018) e Bruno Ruspanti (estate 2017), è, dunque, la volta di Jean François Migno (Chatou, 1955), artista dalla formazione eterogenea -con alle spalle studi all’École des Beaux Arts di Parigi e all’École du Louvre in architettura, disegno e serigrafia-, interessato all’uso dei colori primari sulla tela e debitore nei confronti delle teorie dell’Espressionismo astratto americano, dagli Action Painting di Jackson Pollock ai Color Field di Sam Francis, e dell’Informale.
Il nucleo principale della mostra si trova racchiuso nella sala del Lapidario per, poi, espandersi all’interno di altre sale del museo: la sette, dominata dall’austera statua di papa Bonifacio VIII in lastre di rame dorato, la quattro, con le arche monumentali dedicate ai Dottori dello Studio bolognese, e la tredici, nel piano interrato, con le lastre di arte funeraria.
L’intera vicenda dell’artista francese, contrassegnata da una continua sperimentazione su diversi mezzi e materiali che rifiuta una piena e concreta definizione della sostanza in favore di un’astrazione dall’aspetto figurativo, viene ripercorsa attraverso una selezione di circa quaranta lavori, comprensiva dei principali cicli della sua produzione, come «Palissade», realizzato negli anni Novanta, e il più recente «Passages» degli anni Duemila.
Questi lavori testimoniano una pratica della pittura vissuta come confronto totalizzante con la tela, un corpo a corpo frontale -fisico, emotivo, intellettuale- in cui il gesto esplora nuove possibilità formali ed espressive di materie e incontri coloristici in convulse partiture spaziali cadenzate da spazi bianchi. Sulle superfici delle tele si scontrano forze e segni da cui si generano grovigli di pasta pittorica che attestano un profondo processo di assimilazione e superamento di alcune delle esperienze figurative più intense del Novecento: l’Informale, l’Espressionismo Astratto d’oltreoceano e la poetica di Henri Matisse, dichiarata fonte di ispirazione di Jean François Migno per la sensuale fisicità del colore e la creazione di una «pittura volumetrica», una sorta di scultura sulla tela, secondo la definizione del co-curatore Riccardo Betti, in cui l’acrilico si unisce alla caseina.
Ed è attraverso l’elemento cromatico, lavorato fino alla perdita percettiva dei suoi confini e movimenti sulla superficie, che la materia si accumula in aggètti grumosi attuando una vocazione alla terza dimensione e alla occupazione dello spazio reale in una sorta di corrida, in un’intensa «danza del colore», insieme «rituale e primitiva», come ricorda Thomas Michael Gunther nel suo testo critico per il catalogo pubblicato dalla Tipografia Bagnoli di Pieve di Cento.
«Il risultato finale -raccontano al Museo civico medioevale- è un'armonia impossibile, imperfetta come la vita stessa che, anche al di là delle contraddizioni, tende verso l'essenziale. Un vibrante inno alla pittura di cui Migno è il gioioso celebrante».
Particolarmente interessante nel lavoro dell’artista è la serie «Portovenere», dedicata al piccolo borgo ligure a picco sul mare, un tempo abitato da soli pescatori e fonte d’ispirazione per grandi poeti come Eugenio Montale e George Byron. Migno riesce a rendere sulla tela la bellezza insita nel luogo, caratterizzato da un'abbagliante luce mediterranea e da mare cristallino in cui ai giorni sereni estivi, con il tranquillo sciabordio delle acque contro gli scogli, se ne alternano altri, in cui la violenza e l’irrequietezza della tempesta la fa da padrona.
«I suoni, i colori e i profumi -scrive, a tal proposito, Riccardo Betti in catalogo- si corrispondono e si confondono, diventando una sola cosa; così come i suoni, i colori e i profumi di Portovenere si fondono sulla superficie bianca dello spazio. Nascono quindi immagini non convenzionali, che non soddisfano appieno le nostre aspettative, il cui disordine però è in grado di attivare in noi percorsi autentici e inaspettati capaci di riportare la nostra mente agli strilli e alle grida dei gabbiani, ai vivaci colori delle case del litorale e ai nostalgici profumi del mare ligure».
Interessante è anche la riflessione scritta da Graziano Campanini per il catalogo, nella quale si va alla ricerca dei debiti di Migno nei confronti della grande arte del Novecento: «Personalmente -scrive il curatore-, i suoi lavori mi ricordano opere di Emilio Vedova, come «Premier Passage», «Apesanteur» del 1990, «Palissa-des» del 1993 o «Collage» del 2009, per le tracce diagonali che sa mettere nelle sue tele, ma anche un altro grande pittore italiano come Giuseppe Santomaso, per l’uso sapiente dei colori, vedi «Avant l’apesanteur» del 1990, «Collage» del 1996 oppure «Passages» del 2014. Altre opere, in cui sono presenti in preponderanza bianchi e neri, riportano immediatamente alla mente Alberto Burri, come «Palissades» del 1991 e del 1997 e «Cercle, Apesanteur» del 1990».
Una mostra, dunque, interessante quella del Museo civico medioevale di Bologna che porta il visitatore a tu per tu con il colore, strumento principe nella ricerca di Migno, tanto che sembra impossibile non pensare a una frase di Paul Klee guardando le sue opere: «Il colore mi possiede. Non ho bisogno di tentare di afferrarlo. Mi possiede per sempre, lo sento. Questo è il senso dell'ora felice: io e il colore siamo tutt'uno. Sono pittore».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Jean François Migno, Grand rouge, 2016. Tecnica mista, acrilico e caseina, cm 130 x 194; [fig. 2] Jean François Migno, Senza titolo, 2017. Tecnica mista, acrilico, caseina, collages, cm 130 x 194; [fig. 3] Jean François Migno, Passages, 2015. Tecnica mista, acrilico, caseina, collages, cm 130 x 194; [fig. 4] Jean François Migno, Colonnes, 2014. Tecnica mista, acrilico e caseina, cm 114 x 193
Informazioni utili
Jean François Migno. La forza del colore. Museo civico medievale, via Manzoni, 4 – Bologna.Orari: da martedì a domenica, ore 10.00 - 18.30; chiuso i lunedì feriali. Ingresso: intero € 6,00 | ridot-to € 3,00 | gratuito Card Musei Metropolitani Bologna e il giovedì nelle ultime due ore di apertura del museo. Informazioni: tel. 051.2193916 / 2193930, museiarteantica@comune.bologna.it. Sito web: www.museibologna.it/arteantica. Fino all’8 settembre 2019.
Il nucleo principale della mostra si trova racchiuso nella sala del Lapidario per, poi, espandersi all’interno di altre sale del museo: la sette, dominata dall’austera statua di papa Bonifacio VIII in lastre di rame dorato, la quattro, con le arche monumentali dedicate ai Dottori dello Studio bolognese, e la tredici, nel piano interrato, con le lastre di arte funeraria.
L’intera vicenda dell’artista francese, contrassegnata da una continua sperimentazione su diversi mezzi e materiali che rifiuta una piena e concreta definizione della sostanza in favore di un’astrazione dall’aspetto figurativo, viene ripercorsa attraverso una selezione di circa quaranta lavori, comprensiva dei principali cicli della sua produzione, come «Palissade», realizzato negli anni Novanta, e il più recente «Passages» degli anni Duemila.
Questi lavori testimoniano una pratica della pittura vissuta come confronto totalizzante con la tela, un corpo a corpo frontale -fisico, emotivo, intellettuale- in cui il gesto esplora nuove possibilità formali ed espressive di materie e incontri coloristici in convulse partiture spaziali cadenzate da spazi bianchi. Sulle superfici delle tele si scontrano forze e segni da cui si generano grovigli di pasta pittorica che attestano un profondo processo di assimilazione e superamento di alcune delle esperienze figurative più intense del Novecento: l’Informale, l’Espressionismo Astratto d’oltreoceano e la poetica di Henri Matisse, dichiarata fonte di ispirazione di Jean François Migno per la sensuale fisicità del colore e la creazione di una «pittura volumetrica», una sorta di scultura sulla tela, secondo la definizione del co-curatore Riccardo Betti, in cui l’acrilico si unisce alla caseina.
Ed è attraverso l’elemento cromatico, lavorato fino alla perdita percettiva dei suoi confini e movimenti sulla superficie, che la materia si accumula in aggètti grumosi attuando una vocazione alla terza dimensione e alla occupazione dello spazio reale in una sorta di corrida, in un’intensa «danza del colore», insieme «rituale e primitiva», come ricorda Thomas Michael Gunther nel suo testo critico per il catalogo pubblicato dalla Tipografia Bagnoli di Pieve di Cento.
«Il risultato finale -raccontano al Museo civico medioevale- è un'armonia impossibile, imperfetta come la vita stessa che, anche al di là delle contraddizioni, tende verso l'essenziale. Un vibrante inno alla pittura di cui Migno è il gioioso celebrante».
Particolarmente interessante nel lavoro dell’artista è la serie «Portovenere», dedicata al piccolo borgo ligure a picco sul mare, un tempo abitato da soli pescatori e fonte d’ispirazione per grandi poeti come Eugenio Montale e George Byron. Migno riesce a rendere sulla tela la bellezza insita nel luogo, caratterizzato da un'abbagliante luce mediterranea e da mare cristallino in cui ai giorni sereni estivi, con il tranquillo sciabordio delle acque contro gli scogli, se ne alternano altri, in cui la violenza e l’irrequietezza della tempesta la fa da padrona.
«I suoni, i colori e i profumi -scrive, a tal proposito, Riccardo Betti in catalogo- si corrispondono e si confondono, diventando una sola cosa; così come i suoni, i colori e i profumi di Portovenere si fondono sulla superficie bianca dello spazio. Nascono quindi immagini non convenzionali, che non soddisfano appieno le nostre aspettative, il cui disordine però è in grado di attivare in noi percorsi autentici e inaspettati capaci di riportare la nostra mente agli strilli e alle grida dei gabbiani, ai vivaci colori delle case del litorale e ai nostalgici profumi del mare ligure».
Interessante è anche la riflessione scritta da Graziano Campanini per il catalogo, nella quale si va alla ricerca dei debiti di Migno nei confronti della grande arte del Novecento: «Personalmente -scrive il curatore-, i suoi lavori mi ricordano opere di Emilio Vedova, come «Premier Passage», «Apesanteur» del 1990, «Palissa-des» del 1993 o «Collage» del 2009, per le tracce diagonali che sa mettere nelle sue tele, ma anche un altro grande pittore italiano come Giuseppe Santomaso, per l’uso sapiente dei colori, vedi «Avant l’apesanteur» del 1990, «Collage» del 1996 oppure «Passages» del 2014. Altre opere, in cui sono presenti in preponderanza bianchi e neri, riportano immediatamente alla mente Alberto Burri, come «Palissades» del 1991 e del 1997 e «Cercle, Apesanteur» del 1990».
Una mostra, dunque, interessante quella del Museo civico medioevale di Bologna che porta il visitatore a tu per tu con il colore, strumento principe nella ricerca di Migno, tanto che sembra impossibile non pensare a una frase di Paul Klee guardando le sue opere: «Il colore mi possiede. Non ho bisogno di tentare di afferrarlo. Mi possiede per sempre, lo sento. Questo è il senso dell'ora felice: io e il colore siamo tutt'uno. Sono pittore».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Jean François Migno, Grand rouge, 2016. Tecnica mista, acrilico e caseina, cm 130 x 194; [fig. 2] Jean François Migno, Senza titolo, 2017. Tecnica mista, acrilico, caseina, collages, cm 130 x 194; [fig. 3] Jean François Migno, Passages, 2015. Tecnica mista, acrilico, caseina, collages, cm 130 x 194; [fig. 4] Jean François Migno, Colonnes, 2014. Tecnica mista, acrilico e caseina, cm 114 x 193
Informazioni utili
Jean François Migno. La forza del colore. Museo civico medievale, via Manzoni, 4 – Bologna.Orari: da martedì a domenica, ore 10.00 - 18.30; chiuso i lunedì feriali. Ingresso: intero € 6,00 | ridot-to € 3,00 | gratuito Card Musei Metropolitani Bologna e il giovedì nelle ultime due ore di apertura del museo. Informazioni: tel. 051.2193916 / 2193930, museiarteantica@comune.bologna.it. Sito web: www.museibologna.it/arteantica. Fino all’8 settembre 2019.
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