ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 5 novembre 2019

Sandro Becchetti e i «protagonisti» della nostra storia

Centinaia di grandi protagonisti dell’arte, della letteratura, della musica, del cinema, dello sport e della cultura sono passati per quattro decenni, a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, davanti alla lente delle sue fotocamere per, poi, finire sulle pagine di importanti periodici e quotidiani nazionali, da «La Repubblica» a «Il Messaggero», da «L’Unità» a «L’Espresso», da «Paese Sera» a «Il Secolo XIX».
Sandro Becchetti (Roma, 25 dicembre 1935 – Lugnano in Teverina - Terni, 5 giugno 2013) non era un fotografo da appostamenti, scatti rubati e scoop scandalistici. È stato l’anti-paparazzo per eccellenza. Per lui un ritratto, rigorosamente in bianco e nero, era un incontro, una relazione tra esseri umani, anche se era ben consapevole che un clic, così come una chiacchierata superficiale, non avrebbe mai potuto raccontare l’intensità e la verità di una persona e della sua esistenza. Anzi.
«Intorno ad ogni foto -diceva, infatti, Becchetti- ciascuno può costruire la propria menzogna. Perché questa per me è stata la fotografia: la menzogna, una componente essenziale della verità. Le mie macchine fotografiche contenevano –per me, intendo dire– tutte le immagini possibili, ma come le platoniche ombre contenevano anche il loro contrario».
Al ritratto come «specchio dell’anima», dunque, il fotografo romano, che aveva scelto di trascorrere gli ultimi anni della sua vita in Umbria, non ha mai creduto: «i segni di una faccia -diceva- dissimulano più che rilevare» e la fotografia è «un inganno mediocre: non condensa mai una vita».
Di certo le immagini in mostra fino al prossimo 8 dicembre a Castiglione del Lago, negli spazi suggestivi del cinquecentesco Palazzo della Corgna, «condensano», invece, puntualmente la storia e la cultura del nostro Paese a partire dagli anni Sessanta, quando Sandro Becchetti si muove sulla strada del reportage militante documentando la realtà sociale, politica e culturale dell'Italia. Tutto cambia con il servizio fotografico per i funerali di piazza Fontana a Milano. Il disgusto per un Paese «assuefatto a conciliare cibo e sangue davanti al televisore», l’amara constatazione che le fotografie «non riuscivano a spostare di un’acca la paura e l’indifferenza» gli fanno cambiare idea sul suo futuro: «nel profondo -racconta ancora Becchetti- cessai lì di essere fotografo e diventai ritrattista».
Davanti alla sua Leica passano tutti i grandi personaggi del tempo. Il celebre scatto con lo sbadiglio annoiato, per non dire sbeffeggiante, di Alfred Hitchock, risposta alle domande della stampa italiana, porta la firma del fotografo romano. Suoi sono anche il ritratto del pugile argentino Carlos Monzón, il cui volto reale non è il viso ma il pugno chiuso che lo ha reso un campione, e quello di un pensieroso Pier Paolo Pasolini, immortalato con l’amata madre.
È di Sandro Becchetti anche una delle fotografie più iconiche del cinema mondiale: Dustin Hoffman, solo, in un corridoio di un albergo romano ai tempi del film «Uomo da marciapiede».
Significativo è anche il suo ritratto di Moira Orfei, il cui viso è immortalato su un manifesto affisso a un bandone, ovvero l’icona che forse identifica più di tutte l’artista con il circo.
Nella mostra sul lago Trasimeno scorrono sotto gli occhi del visitatore anche le immagini di tanti altri protagonisti del Novecento: una giovanissima e suadente Claudia Cardinale, un furente Federico Fellini, un concentrato Giorgio Strehler, un giovanissimo Christo mentre lavora ad impacchettare un edificio e, poi, Andy Warhol, Joe Cocker, Ugo Tognazzi, Paolo Villaggio, Valentina Cortese, Dacia Maraini, Ornella Vanoni e tanti altri ancora.
I loro ritratti, nei quali si respira quello che Sandro Becchetti chiamava l’«inganno del vero», si alternano a volti di perfetti sconosciuti, mettendo a fuoco sguardi, particolari dell’abbigliamento o della corporeità, in un racconto che focalizza l’attenzione sulla partecipazione sociale e sul mondo del lavoro con i suoi disagi.
Il fotografo romano rende così immortale l’attimo fuggente dell’attualità, la nostra Storia, con le piccole e grandi battaglie quotidiane. Ed è su queste che Sandro Becchetti si concentra in quello che sembra essere il suo testamento artistico: «ho ricevuto molto più di quanto abbia dato. Sono cresciuto, grazie all’esperienza fotografica, soprattutto umanamente. Ritengo di essere diventato una persona migliore, perché migliore era il mondo che i protagonisti delle mie foto si auguravano e per il quale si battevano. Di questo non potrò mai ringraziarli abbastanza».

Informazioni utili 
Sandro Becchetti. Protagonisti. Palazzo della Corgna, piazza Antonio Gramsci, 1 – Castiglione del Lago (Perugia). Orari: ore 10.00-17.00; ultimo ingresso 45 minuti prima dell’orario di chiusura. È possibile prenotare l’apertura straordinaria per visite riservate. Ingresso (comprensivo di ingresso anche alla Rocca del Leone): intero € 8,00; ridotto A € 6,00 (gruppi +15; fino a 25 anni); ridotto B € 3,00 (6-17 anni); gratuito bambini fino a 5 anni, residenti Comune di Castiglione del Lago. Visite guidate: in italiano € 80; in inglese € 100. Al costo si aggiunge il biglietto ridotto. Informazioni, visite guidate e laboratori per le scuole: Palazzo della Corgna, tel. 075.951099, cooplagodarte94@gmail.com. Prenotazioni: Call center 0744.422848 (dal lunedì al venerdì, ore 9.00-13.00), callcenter@sistemamuseo.it. Fino all’8 dicembre 2019

lunedì 4 novembre 2019

«Modulazione Ascendente», una nuova vita per la scultura di Fausto Melotti alla Gam di Torino

Con il passare del tempo il sole e la pioggia avevano ossidato e annerito il rame di cui è composta. «Modulazione Ascendente» di Fausto Melotti (Rovereto, 8 giugno 1901 – Milano, 22 giugno 1986), l’opera che accoglie, dal 1993, i visitatori all’ingresso della Gam – Galleria civica d’arte moderna e contemporanea di Torino, meritava da tempo un serio intervento di restauro.
A compiere i lavori di pulitura e ripristino, durati circa tre mesi, è stato Federico Borgogni, con la supervisione di Elena Volpato, conservatore del museo, e con la collaborazione della Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Torino.
L’intervento è stato reso possibile grazie alla generosità della Compagnia De’ Juliani, associazione no profit, nata nel 2001, con la missione di dare un contributo sempre maggiore al territorio di appartenenza, attraverso iniziative di valore sociale e culturale.
«Modulazione Ascendente» ha ritrovato così il suo colore ramato originale e la sua leggiadra poesia, frutto di un gioco di sottili lamine metalliche, per un totale di quattro lastre e ventuno elementi a forma di stella, freccia e mezzaluna, che vanno a formare un segno zigzagante, ritmico e aereo, proteso verso il cielo.
Ideata nel 1977 da un Fausto Melotti ormai in età matura, l’opera è giunta alla GAM - Galleria civica d'arte moderna e contemporanea nel 1992, dopo essere stata acquisita e concessa in comodato d’uso dalla Fondazione Guido ed Ettore De Fornaris, ente che dalla sua fondazione, nel 1982, ha incrementato significativamente le collezioni del museo torinese con disegni, pitture e sculture dell’Ottocento e Novecento, firmate, tra gli altri, da Palagi, Hayez, Pellizza da Volpedo, Morbelli, Balla, Casorati, de Chirico, de Pisis, Morandi, Vedova, Burri.
La scultura, che emana tutta la tensione musicale fatta di vuoti e pieni che è la cifra dell’artista roveretano, è stata riposizionata negli spazi della Gam a metà ottobre in una posizione nuova rispetto al passato: non più al centro del giardino, ma davanti ai bambù, così da poter essere ammirata in tutti i suoi dettagli e da non confondersi con la struttura architettonica del museo.
Prima dell’intervento di restauro, l’opera mostrava problemi di «corrosione dalla colorazione chiara», c’erano incrostazioni, patine di colore scuro e lievi fenomeni di esfoliazione.
Nello specifico, «tutte le superfici -raccontano dalla Gam- risultavano interessate da diffusi depositi di particellato atmosferico e di aggregati di diversa natura e coerenza, per lo più aderenti al substrato. Le parti maggiormente esposte all’azione degli agenti atmosferici e degli inquinanti, come le lastre dove alloggiano gli elementi che costituiscono l’opera, mostravano corrosione dalla colorazione chiara; le zone in sottosquadro, al riparo del dilavamento, erano, invece, prevalentemente interessate da incrostazioni e patine di colore scuro».
Il restauro -spiegano ancora dal museo torinese- è stato condotto con due metodi differenti. «Nella prima fase è stata eseguita una pulitura meccanica, mediante l’utilizzo di spazzole di cotone sulle quali veniva steso uno strato di cera con ossidi di metallo sotto forma di macro sfere. Successivamente, dopo aver rimosso le ossidazioni di colore verde, è stata eseguita una pulitura chimica a tampone con soluzione di Edta (sale bisodico e tetrasodico)».
Si rinnova, dunque, il biglietto da visita della Gam, che in questi giorni di inizio novembre presenta più di un motivo per una gita fuori porta. Sempre nel giardino è possibile, per esempio, vedere, fino al prossimo 19 gennaio, l’installazione site-specific «The Caliph seeks Asylum (Il Califfo cerca Asilo)» dell’artista saudita Muhannad Shono (Riyadh, Arabia Saudita, 1977), inaugurata nei frenetici giorni di Artissima. Si tratta di un’opera realizzata con tremilacinquecento tubi in pvc nero, decorati con minute raffigurazioni tratte dagli antichi volumi miniati della cultura arabo-islamica andati distrutti nella caduta di Baghdad, disposti come un accampamento di fortuna.
Internamente, negli spazi dedicati alle esposizioni permanenti, è, invece, allestita una mostra antologica di Paolo Icaro (Torino, 1936), sempre per la curatela di Elena Volpato, che racconta cinquantacinque anni del lavoro dell’artista, dal 1964 al 2019, compendiati in una cinquantina di opere, alcune realizzate appositamente per l’esposizione.
Mentre in Videoteca, spazio che compie quest’anno vent’anni dall’apertura, è visibile fino al prossimo 8 marzo un omaggio a Gino De Dominicis, prima di sei esposizioni, a cura di Elena Volpato, che indagheranno anche la ricerca video di Giuseppe Chiari, Alighiero Boetti, Claudio Parmiggiani, Vincenzo Agnetti e Jannis Kounellis, promosse dal museo torinese in collaborazione con l’Archivio storico della Biennale di Venezia. Per l’occasione sarà possibile vedere due video che affrontano in modo diverso il tema dell’eternità: «Videotape» del 1974, con una donna che ci guarda e che si sente a sua volta guardata, e «Tentativo di volo» del 1969, che si propone come verifica dell’immortalità filogenetica, parlando di un compito impossibile passato da padre a figlio.
Nella Wunderkammer, infine, è stata da poco inaugurata la mostra «Primo Levi. Figure», a cura di Fabio Levi e Guido Vaglio, con una selezione significativa dei lavori in filo metallico, realizzati dal grande scrittore e intellettuale torinese tra il 1955 e il 1975. Gli animali sono la prima fonte di ispirazione, ma non mancano le creature fantastiche e la figura umana.
Accostarsi a questi lavori, esposti fino al prossimo 26 gennaio con il progetto di allestimento di Gianfranco Cavaglià e la collaborazione di Anna Rita Bertorello, consente di aprire una straordinaria finestra sul mondo di Levi (nella foto accanto, in uno scatto di Mario Monge): un mondo di competenze e di sensibilità molteplici e ricchissime, ben al di là dell’immagine univoca, più nota e diffusa, di testimone della persecuzione e della deportazione. Ne emerge una figura ricca e complessa, nella quale convivono la formazione del chimico, una solida cultura letteraria classica, la passione per le lingue, le etimologie e i giochi di parole, l’alpinismo, il fantastico, l’ironia e l’umorismo, una curiosità aperta per le più recenti espressioni artistiche, un interesse vivo e competente per la matematica, la fisica, le scienze naturali.
Un calendario di appuntamenti, dunque, ricco quello della Gam di Torino per le prossime settimane, che si arricchisce tutti i sabati e ogni primo martedì del mese di visite guidate alle proprie collezioni, dove si possono ammirare opere di Morandi, Casorati e De Pisis, con testimonianze delle Avanguardie storiche internazionali, tra cui opere di Paul Klee e Picabia fino ad arrivare alle sperimentazioni dell’Arte Povera con i lavori di Boetti e Pistoletto.

Informazioni utili
GAM - Galleria civica d’arte moderna e contemporanea di Torino, via Magenta, 31 – Torino. Orari: martedì – domenica, ore 10.00-18.00, chiuso lunedì (la biglietteria chiude un’ora prima). Ingressi: intero € 10,00, ridotto € 8,00, gratuito ragazzi fino ai 18 anni. Informazioni per il pubblico: tel. 011.4429518. Sito Internet: www.gamtorino.it.

mercoledì 30 ottobre 2019

«Viaggio nell’infinito», il genio visionario di Escher al cinema

Una vecchia macchina da scrivere in bianco e nero, il ticchettio delle dita che battono sui tasti a fare da sottofondo e in sovrimpressione una scritta che si compone lentamente: «I am afraid there is only one person in the world who could make a good film about my prints; me»; «Temo che ci sia una sola persona al mondo che potrebbe fare un buon film sulle mie stampe; io stesso». Inizia così, con queste parole dette a un collezionista americano nel 1969, il documentario «Escher - Viaggio nell’infinito», per la regia e la fotografia dell’olandese Robin Lutz, che arriva nelle sale cinematografiche italiane da lunedì 16 dicembre grazie a Feltrinelli e alla società di distribuzione Wanted Cinema, specializzata in pellicole di ricerca e “ricercate” per un pubblico che si aspetta non soltanto divertimento, ma anche pensiero, stimolo, dibattito, sorpresa e approfondimento.
Il film, che si avvale del sostegno di sir Roger Penrose, emerito professore di matematica all’Università di Oxford, racconta l’artista e il suo universo creativo attraverso i suoi stessi occhi, avvalendosi anche della colonna sonora di Louis Zarli e del montaggio di Moek de Groot.
La voce dell’attore e scrittore inglese Stephen John Fry, conosciuto nel Regno Unito per aver realizzato gli audio-book di tutti e sette i libri della saga di Harry Potter, legge lettere (quasi mille quelle studiate), diari, appunti di lezioni, testi per cataloghi scritti da Maurits Cornelis Escher (Leeuwarden, 17 giugno 1898 – Laren, 27 marzo 1972), autore di più di quattrocento litografie, xilografie e incisioni su legno e oltre duemila disegni e schizzi, che raffigurano costruzioni impossibili, esplorazioni dell’infinito e motivi geometrici, in una combinazione perfetta tra elementi fantastici e matematici.
È, dunque, lo stesso Escher a raccontare allo spettatore la sua vita, la famiglia, le paure, i dubbi, i momenti di euforia, le considerazioni politiche, i suoi sviluppi artistici e ovviamente le opinioni sul suo lavoro, diventando così egli stesso regista del suo film «non letteralmente -come afferma Robin Lutz-, ma simbolicamente».
Nel documentario appaiono anche due dei figli dell’artista, George e Jan, rispettivamente di 92 e 80 anni, che si abbandonano ai ricordi sui loro genitori e della loro vita in giro per l’Europa.
Il documentario, della durata di circa un’ora, ci porta, infatti, nei luoghi che sono stati per l’artista fonte di grande ispirazione e, mentre Escher parla, la camera cattura in soggettiva la realtà come se fosse guardata dai suoi stessi occhi. Ci sono spezzoni storici di Leeuwarden, il paese di nascita, di Haarlem, il luogo dove è stato educato, e dell’Italia, dove l’artista ha vissuto durante l’ascesa di Mussolini, negli anni dal 1923 al 1935, stabilendosi a Roma, città di cui lo affascinavano i «fronzoli barocchi», e visitando molte altre località del nostro Paese, da Genova a Venezia, dalla costiera amalfitana a Viareggio. A colpire Escher sono soprattutto la campagna e le città della Toscana, in particolare San Gimignano e Siena. Ma più che il verde degli ulivi e il marrone della terra arsa dal sole, a lasciare sbalordito l’artista è l’azzurro del cielo senza nubi, una tonalità della quale egli scrive -ricorda il film di Robin Lutz- che è «più blu del Mediterraneo, più blu del blu della bandiera olandese, più blu della neve bianca e del catrame nero».
Il documentario porta, poi, lo spettatore in Spagna, Paese che Escher ha conosciuta appena prima della salita al potere di Franco e dove ha trovato l’ispirazione per il suo «riempimento semplice», studiando soprattutto i mosaici di Alahmbra dalle forme geometriche e dai colori vividi.
Il viaggio dell’artista, e quello dello spettatore, prosegue, quindi, verso l’Olanda, vissuta durante l’occupazione tedesca, e, infine, a Baarn, dove Escher ha trascorso i decenni Cinquanta e Sessanta del Novecento. Sono gli anni della notorietà grazie a un articolo di «Time Life», pubblicato nel 1951 dal giornalista Israel Shenker.
L’incisore diventa così uno degli artisti olandesi più famosi dopo Rembrandt e Van Gogh. Chiunque riconosce immediatamente le sue opere. L’enorme successo, specialmente tra i ragazzi, stupisce soprattutto il diretto interessato: «Ma che diavolo vedono questi giovani nel mio lavoro? -afferma l’artista- Non manca esso di tutte quelle qualità che sono di tendenza oggi? È celebrare e razionale, invece di essere selvaggio e sexy». Eppure, malgrado le considerazioni di Escher, Mike Jagger richiede un’immagine per un suo album, ricevendo come risposta un categorico no. Uno stampatore californiano vende, con successo, riproduzioni che regalano ai lavori escheriani improbabili tonalità fluorescenti: «orge di colori» dai «risultati orrendi», per usare le stesse parole dell’artista. Un’icona del pop come Graham Nash -la cui testimonianza è presente nel film- racconta di come proprio grazie ad Escher sia diventato collezionista e si sia appassionato all’arte.
Si chiude, dunque, così, con l’eredità lasciata dal grafico olandese, il documentario: fumetti, pubblicità, film, mostre, balletti, costruzioni Lego, rivisitazioni in chiave contemporanea scorrono sullo schermo, accompagnate da una versione moderna della «Toccata e fuga in D minore (B 565)» di Bach, documentando l’interesse sempre più vivo nei confronti di un’arte che ha fatto del paradosso percettivo e del rigore geometrico i suoi cavalli di battaglia.

Informazioni utili
«Escher - Viaggio nell’infinito». Documentario, Olanda, 2018, 90 min. Regia: Robin Lutz. Fotografia: Robin Lutz. Montaggio: Moek de Groot, NCE. Suono: Louis Zarli Produzione: Robin Lutz AV productions. Dal 16 dicembre 2019 nei cinema italiani.