ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 30 ottobre 2019

«Viaggio nell’infinito», il genio visionario di Escher al cinema

Una vecchia macchina da scrivere in bianco e nero, il ticchettio delle dita che battono sui tasti a fare da sottofondo e in sovrimpressione una scritta che si compone lentamente: «I am afraid there is only one person in the world who could make a good film about my prints; me»; «Temo che ci sia una sola persona al mondo che potrebbe fare un buon film sulle mie stampe; io stesso». Inizia così, con queste parole dette a un collezionista americano nel 1969, il documentario «Escher - Viaggio nell’infinito», per la regia e la fotografia dell’olandese Robin Lutz, che arriva nelle sale cinematografiche italiane da lunedì 16 dicembre grazie a Feltrinelli e alla società di distribuzione Wanted Cinema, specializzata in pellicole di ricerca e “ricercate” per un pubblico che si aspetta non soltanto divertimento, ma anche pensiero, stimolo, dibattito, sorpresa e approfondimento.
Il film, che si avvale del sostegno di sir Roger Penrose, emerito professore di matematica all’Università di Oxford, racconta l’artista e il suo universo creativo attraverso i suoi stessi occhi, avvalendosi anche della colonna sonora di Louis Zarli e del montaggio di Moek de Groot.
La voce dell’attore e scrittore inglese Stephen John Fry, conosciuto nel Regno Unito per aver realizzato gli audio-book di tutti e sette i libri della saga di Harry Potter, legge lettere (quasi mille quelle studiate), diari, appunti di lezioni, testi per cataloghi scritti da Maurits Cornelis Escher (Leeuwarden, 17 giugno 1898 – Laren, 27 marzo 1972), autore di più di quattrocento litografie, xilografie e incisioni su legno e oltre duemila disegni e schizzi, che raffigurano costruzioni impossibili, esplorazioni dell’infinito e motivi geometrici, in una combinazione perfetta tra elementi fantastici e matematici.
È, dunque, lo stesso Escher a raccontare allo spettatore la sua vita, la famiglia, le paure, i dubbi, i momenti di euforia, le considerazioni politiche, i suoi sviluppi artistici e ovviamente le opinioni sul suo lavoro, diventando così egli stesso regista del suo film «non letteralmente -come afferma Robin Lutz-, ma simbolicamente».
Nel documentario appaiono anche due dei figli dell’artista, George e Jan, rispettivamente di 92 e 80 anni, che si abbandonano ai ricordi sui loro genitori e della loro vita in giro per l’Europa.
Il documentario, della durata di circa un’ora, ci porta, infatti, nei luoghi che sono stati per l’artista fonte di grande ispirazione e, mentre Escher parla, la camera cattura in soggettiva la realtà come se fosse guardata dai suoi stessi occhi. Ci sono spezzoni storici di Leeuwarden, il paese di nascita, di Haarlem, il luogo dove è stato educato, e dell’Italia, dove l’artista ha vissuto durante l’ascesa di Mussolini, negli anni dal 1923 al 1935, stabilendosi a Roma, città di cui lo affascinavano i «fronzoli barocchi», e visitando molte altre località del nostro Paese, da Genova a Venezia, dalla costiera amalfitana a Viareggio. A colpire Escher sono soprattutto la campagna e le città della Toscana, in particolare San Gimignano e Siena. Ma più che il verde degli ulivi e il marrone della terra arsa dal sole, a lasciare sbalordito l’artista è l’azzurro del cielo senza nubi, una tonalità della quale egli scrive -ricorda il film di Robin Lutz- che è «più blu del Mediterraneo, più blu del blu della bandiera olandese, più blu della neve bianca e del catrame nero».
Il documentario porta, poi, lo spettatore in Spagna, Paese che Escher ha conosciuta appena prima della salita al potere di Franco e dove ha trovato l’ispirazione per il suo «riempimento semplice», studiando soprattutto i mosaici di Alahmbra dalle forme geometriche e dai colori vividi.
Il viaggio dell’artista, e quello dello spettatore, prosegue, quindi, verso l’Olanda, vissuta durante l’occupazione tedesca, e, infine, a Baarn, dove Escher ha trascorso i decenni Cinquanta e Sessanta del Novecento. Sono gli anni della notorietà grazie a un articolo di «Time Life», pubblicato nel 1951 dal giornalista Israel Shenker.
L’incisore diventa così uno degli artisti olandesi più famosi dopo Rembrandt e Van Gogh. Chiunque riconosce immediatamente le sue opere. L’enorme successo, specialmente tra i ragazzi, stupisce soprattutto il diretto interessato: «Ma che diavolo vedono questi giovani nel mio lavoro? -afferma l’artista- Non manca esso di tutte quelle qualità che sono di tendenza oggi? È celebrare e razionale, invece di essere selvaggio e sexy». Eppure, malgrado le considerazioni di Escher, Mike Jagger richiede un’immagine per un suo album, ricevendo come risposta un categorico no. Uno stampatore californiano vende, con successo, riproduzioni che regalano ai lavori escheriani improbabili tonalità fluorescenti: «orge di colori» dai «risultati orrendi», per usare le stesse parole dell’artista. Un’icona del pop come Graham Nash -la cui testimonianza è presente nel film- racconta di come proprio grazie ad Escher sia diventato collezionista e si sia appassionato all’arte.
Si chiude, dunque, così, con l’eredità lasciata dal grafico olandese, il documentario: fumetti, pubblicità, film, mostre, balletti, costruzioni Lego, rivisitazioni in chiave contemporanea scorrono sullo schermo, accompagnate da una versione moderna della «Toccata e fuga in D minore (B 565)» di Bach, documentando l’interesse sempre più vivo nei confronti di un’arte che ha fatto del paradosso percettivo e del rigore geometrico i suoi cavalli di battaglia.

Informazioni utili
«Escher - Viaggio nell’infinito». Documentario, Olanda, 2018, 90 min. Regia: Robin Lutz. Fotografia: Robin Lutz. Montaggio: Moek de Groot, NCE. Suono: Louis Zarli Produzione: Robin Lutz AV productions. Dal 16 dicembre 2019 nei cinema italiani.

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