ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

lunedì 29 giugno 2020

Ustica, scene di una «stragedia». Nino Migliori tra i relitti dell'aereo


C'era chi partiva per le vacanze, chi era andato «nel Continente» per una visita medica, chi tornava da un viaggio di lavoro e chi, all'atterraggio, avrebbe festeggiato il matrimonio di un amico. C'era un ingegnere nucleare, la prima donna a laurearsi in Italia in quella disciplina, che tornava da Urbino, insieme alla figlia e alla baby sitter, dopo aver assistito alla laurea del fratello. E c'era una ragazzina di undici anni che, soddisfatta, aveva messo nello zaino la pagella da mostrare al papà che l'attendeva a Palermo. C'erano ottantuno persone, con le loro storie straordinariamente normali, simili a quelle di tante altri, eppure uniche, sull’aeromobile Douglas DC-9 IH 870 della compagnia aerea Itavia che alle 20:59 del 27 giugno 1980 spariva dai radar nel tratto di mare compreso tra le isole di Ponza e Ustica, facendo perdere ogni traccia.
Era una sera d’estate come tante altre e chi, nell’affollata sala d’attesa dello scalo di Punta Raisi, riscontrava sul tabellone il ritardo del volo partito da Bologna, dall’aeroporto «Guglielmo Marconi» di Borgo Panigale, alle 20:08 (con due ore di ritardo a causa di un violento temporale), e atteso a Palermo alle 21:13, non si aspettava che, di lì a poco, la sua vita sarebbe cambiata per sempre.
Alle 22:00, dopo le operazioni di ricerca, l'aeromobile veniva dato ufficialmente per disperso e scattavano le misure d’emergenza. La noia e il nervosismo delle prime ore si trasformavano in angoscia.
All'alba del 28 giugno uno degli elicotteri impegnati nella missione di soccorso vedeva affiorare alcuni rottami; intorno alle 9 quei resti venivano identificati con quelli del Douglas DC-9 IH 870. L’angoscia diventava dolore, rabbia, silenzio stupito.
La notizia non voluta, ma temuta arrivava nella sala d’attesa di Punta Raisi. Rimbalzava nelle case di parenti e amici grazie ai vecchi telefoni a gettoni. Raggiungeva tutti gli italiani attraverso i giornali e le televisioni. L’aereo era caduto in mare e tutte le persone a bordo -64 passeggeri adulti, 11 ragazzi tra i due e i dodici anni, due bambini di età inferiore ai 24 mesi e 4 uomini dell’equipaggio- erano morte.
Per cinque giorni le navi fecero la spola con Palermo per portare a terra detriti e rottami. Si cercò anche di dare degna sepoltura a tutti i corpi, ma alla fine ne vennero recuperati solo trentanove su ottantuno.
Cos’è successo quella sera? Perché quell'aereo è caduto? Cosa lo ha distrutto in volo? A quarant’anni di distanza queste domande rimangono ancora senza risposta. La strage di Ustica è senza colpevoli. Silenzi, bugie, depistaggi, scontri di potere, tracciati radar cancellati, registrazioni manomesse, coperture politiche hanno nascosto una verità scomoda, una verità che ancora oggi sembra essere inconfessabile per chi sa.
Inizialmente si parlò di un «cedimento strutturale». Poi si avanzò l’ipotesi di un attentato terroristico con l’esplosione di una bomba a orologeria. Infine, nel 1996, un giudice, Rosario Priore, mise nero su bianco quello che era successo: c’era stata «una guerra in tempo di pace», aerei militari di diverse nazioni -Francia, Stati Uniti, Libia, Italia e altre ancora (a detta della Nato)- avevano sorvolato i nostri cieli e uno dei questi aveva abbattuto il volo civile dell’Itavia, nella cui scia si celava –fuori dai radar- il bersaglio mancato. Sembra un film e, invece, è una pagina di storia, una pagina ancora incompleta perché non si sa chi sia il responsabile materiale della strage e quale fosse l’obiettivo mancato.
Dal 2007 i resti dell’aereo sono raccolti in un museo a Bologna, all'interno degli ampi spazi dell'ex magazzino dell’azienda di trasporti cittadina Atc.
Attorno al relitto l’artista francese Christian Boltanski ha ideato un’installazione permanente, un invito alla memoria che fa venire i brividi.
Dal soffitto scendono ottantuno lampadine, una per ogni vittima, che si accendono e si spengono a intermittenza, al ritmo del respiro. Tutt’intorno ci sono ottantuno specchi neri che riflettono l’immagine di chi percorre il ballatoio posto attorno al relitto. Mentre, dietro ognuno di essi, ottantuno altoparlanti emettono parole e frasi sussurrate a sottolineare la casualità e l’ineluttabilità della tragedia. Infine, nove casse, coperte da un drappo nero, contengono, gli oggetti appartenuti alle vittime: scarpe, pinne, boccagli, occhiali e vestiti che documenterebbero la scomparsa di un corpo, rimangono così invisibili agli occhi dei visitatori.
Tredici anni fa, poco tempo dopo che il relitto del velivolo, recuperato al largo dell’isola di Ustica, ha compiuto lo straziante percorso a ritroso che dall’aeroporto di Pratica di Mare lo ha riportato a Bologna, Nino Migliori ottiene il permesso per entrare in quel capannone che sarebbe diventato un museo. Vi rimane quattro notti e, a lume di candela, fotografa i resti dell’aereo non ancora ricomposto nella sua forma originaria intorno allo scheletro della fusoliera. Il risultato sono ottantuno immagini, una per ogni vittima, che illuminano, con una tremula fiamma che ha il sapore di un cero votivo, i muti testimoni -rottami contorti, piegati, spezzati e rotti- di quella che il fotografo bolognese definisce una «stragedia», neologismo inventato per congiungere l’idea della tragedia a quella di una volontà stragista.
La severa cromia del bianco e nero che Nino Migliori sceglie per consegnare alla memoria, nostra e di chi verrà dopo di noi, i dettagli delle superfici metalliche disgregate dell’aereo dell’Itavia, posti con pietoso rispetto e delicata compostezza sul pavimento dell’hangar, amplifica la straordinaria forza emotiva delle immagini, a partire dallo scatto cover: l’oblò simile a una bocca, «che urla come nel quadro di Munch».
Tredici anni dopo quelle immagini diventano una videoinstallazione immersiva, per la curatela di Lorenzo Balbi, allestita negli spazi dell’ex chiesa di San Mattia a Bologna, edificio cinquecentesco dal fastoso impianto decorativo interno che, nel Settecento, vide al lavoro il «quadraturista» Pietro Scandellari e gli artisti Nicola Bertuzzi e Tertulliano Taroni.
Sette schermi di grandi dimensioni, posizionati ad altezze e angolature diverse, come a voler avvolgere lo spettatore, proiettano nel buio della chiesa bolognese, trasformata nel 2015 in spazio museale, una narrazione audio-visiva che rielabora le ottantuno immagini del reportage realizzato nel 2007.
Una voce dalla torre di controllo, il rumore dell’esplosione, lo sciabordio del mare, una nenia che sembra una liturgia funebre e poi quegli scatti che non hanno nulla di piacevole, che ti colpiscono come un pugno allo stomaco, con i rottami che sembrano riemergere dall’acqua e fluttuare nel vuoto vanno a comporre quattordici minuti sospesi nel tempo, una narrazione di grande intensità per la sceneggiatura e il montaggio video di Elide Blind e Simone Tacconelli, con la musica e il sound design di Aurelio Zarrelli e con l’allestimento tecnico di Paolo Barbieri.
Le forme sembrano anche sfaldarsi, fino a sconfinare nell’astratto, fino a generare un ulteriore effetto di spaesamento. Quello stesso spaesamento che, da quarant’anni, proviamo nell’ascoltare questa storia non risolta. Un ennesimo mistero italiano che ha ancora molto da dire e su cui c’è ancora molto da indagare. Una ferita profonda e mai rimarginata che si porta dietro il dolore e la richiesta di verità dei familiari delle vittime e di un intero Paese. Perché solo la verità può dare pace al ricordo, a quei corpi rimasti in fondo al mare con le loro speranze, i loro sogni, la loro vita.

Informazioni utili 
 «Stragedia - Nino Migliori».  Ex Chiesa di San Mattia, via Sant’Isaia, 14/a - Bologna. Orari: venerdì e sabato, ore 20.00 – 22.00; domenica, ore 18.00 – 20.00.  Ingresso libero, con prenotazione  al numero 051.6496611 o su https://ticket.midaticket.it/museicivicibologna/Event/36/Dates. Catalogo: Edizioni MAMbo, Bologna. Informazioni  MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna, tel 051.6496611 - info@mambo-bologna.org. Sito web: www.mambo-bologna.org. Fino al 7 febbraio 2021.  

venerdì 26 giugno 2020

Dalla petizione al palco: «L’arte è vita» diventa uno spettacolo. Debutta ad Arte Sella e a ForlìMusica «Bach, Queneau, Esercizi e Variazioni»

È la fine di marzo. L’Italia è in quarantena fermata da un virus sconosciuto, il Covid-19, arrivato in sordina dalla Cina. Le vittime aumentano di giorno in giorno, soprattutto tra gli anziani, la memoria del nostro Paese. Le strade delle città sono deserte. Si fanno le code davanti ai supermercati con mascherina e guanti. Si canta sui balconi. Si attende il bollettino giornaliero della Protezione civile. Si guardano le dirette streaming che portano in casa un po’ di cultura grazie a quanti hanno arricchito i propri profili social con sonate, letture, monologhi e interpretazioni. Si spera di ritornare presto a pianificare il proprio futuro, riempiendo l’agenda di appuntamenti e incontri, mentre in molti, tra le mura delle proprie cucine, impastano e panificano.
In questo tempo sospeso c’è chi si incontra sul web o in videochiamata, condividendo passioni e suggestioni. È il caso dell’attore bergamasco Alessio Boni, del violinista rock Alessandro Quarta, del violoncellista di fama mondiale Mario Brunello e di Danilo Rossi, prima viola del Teatro alla Scala di Milano.
Non si sono mai incontrati prima d’ora, ma hanno un obiettivo comune: tutelare lo spettacolo dal vivo, «una realtà, un patrimonio, una esigenza di tutti che non può essere sostituita dal digitale». Vogliono difendere i diritti di chi lavora in questo settore, proteggendo l’intera macchina organizzativa che si cela dietro a un concerto, a uno spettacolo teatrale, a un balletto, dal regista all’elettricista, dal drammaturgo alla maschera, dal direttore artistico al bigliettaio, dal costumista all’addetto stampa, dal macchinista a chi si occupa del «trucco e parrucco». Nessuno escluso.
Nasce così, sulla piattaforma Change.org, la petizione «L’arte è vita», che in pochi giorni viene firmata da più di ventisettemila persone, raccogliendo l’adesione anche di nomi noti come, per esempio, Ascanio Celestini, Vinicio Capossela, Sergio Rubini, Amii Stewart, Andrea Mingardi, Pino Insegno, Luca Barbarossa e Paolo Fresu.
La ripartenza del settore sembra lontana, più lontana di quanto poi non è realmente accaduto. L’incontro tra musicisti, attori e pubblico sembra quasi impossibile in un mondo caratterizzato dalla distanza sociale; eppure è quell’incontro a creare le emozioni sempre nuove, diverse di sera in sera, dello spettacolo dal vivo.
Con la ripresa delle attività per il settore culturale, avvenuta il 18 maggio per i musei e il 15 giugno per i teatri, «L’arte è vita» diventa uno spettacolo. Mario Brunello lancia la proposta, subito accettata dagli altri tre: combinare le «Variazioni Goldberg» di Bach con gli «Esercizi di stile» di Queneau. Un'opera concepita come un'architettura modulare di trenta variazioni di un’aria e un testo composto da novantanove modi diversi di raccontare una vicenda apparentemente banale, mettendo alla prova tutte le figure retoriche (dall’epico al drammatico, dal racconto gotico alla lirica giapponese) e giocando con sostituzioni lessicali e sintattiche, convivono così sul palco in una produzione firmata da Arte Sella e ForlìMusica.
Nasce, dunque, on-line uno spettacolo inedito, nella forma e nei contenuti, pronto a vivere davanti al pubblico per raccontagli, dopo i giorni grigi della quarantena, le tante e varie sfumature di colore dell’arte e del nostro rapporto con essa.
L’abbinamento non è casuale, come spiega Alessio Boni: «Umberto Eco, nella famosa prefazione al libro di Raymond Queneau, racconta di aver letto da qualche parte che l’autore ha concepito l’idea degli Esercizi ascoltando delle variazioni sinfoniche. E persino Stefano Bartezzaghi, nella postfazione, sottolinea come, per Queneau il ‘nume tutelare’ del suo progetto fosse nientemeno che Johann Sebastian Bach».
«Facendo eco alla lettera aperta in cui Gabriele Vacis invitava a cogliere le sfide imposte dall’emergenza sanitaria, immaginando una trasformazione generativa delle modalità di fruizione degli spettacoli dal vivo, il recital nato dalla petizione «L’arte è vita», intitolato «Bach, Queneau, Esercizi e Variazioni», «dilaterà -raccontano gli organizzatori- lo spazio teatro, utilizzando prima lo streaming in una chiave capace di potenziare le peculiarità dell’esecuzione dal vivo, senza sostituirla per poi arrivare al momento magico del contatto con il suono dal vivo, come una riscoperta dell’emozione di essere a tu per tu con gli artisti».
La prima nazionale si svolgerà nella splendida cornice di Arte Sella, in Trentino, nei giorni dal 27 al 29 giugno, alle ore 18 (prenotazione al numero 0461.751251 o artesella@yahoo.it | ingresso € 40,00). L’evento si terrà nella cornice unica dell’area espositiva di Malga Costa. Qui gli spettatori, dotati di cuffie wireless, potranno ascoltare in diretta il prologo del concerto veicolato in streaming, camminando immersi nella natura, scoprendo le opere d’arte disseminate nel bosco, attraversando di fatto uno sconfinato teatro naturale accompagnati dalle note della musica. Infine, in un’atmosfera di grande intimità, al cospetto di un’opera d’arte, potranno assistere allo spettacolo dal vivo.
«Bach, Queneau, Esercizi e Variazioni» verrà, quindi, proposto a Forlì nella serata di mercoledì 1° luglio, alle ore 21.30, in apertura del programma di «ForlìMusica Estate 2020», ribattezzato per l’occasione «L’arte è vita».
Nella splendida cornice del secondo chiostro dei Musei di San Domenico sono in programma sette appuntamenti. Dopo il recital con Alessio Boni, Alessandro Quarta, Mario Brunello e Danilo Rossi (direttore del cartellone), a salire sul palco sarà l’Orchestra Maderna, che venerdì 10 luglio proporrà «Ouverture» (intesa qui con il senso di ripartenza), un programma con l’ensemble di fiati e le musiche di Donizetti, Gounod e Mozart. Mentre venerdì 17 luglio si esibirà, con la sola formazione d’archi, accanto alla giovanissima Lucilla Mariotti, solista al violino, nell’esecuzione delle «Quattro stagioni» di Vivaldi.
Sabato 25 luglio salirà, invece, sul palco Cesare Picco, alla sua prima volta a Forlì, con un concerto di sue musiche dal titolo «Un piano per le stelle».
Venerdì 7 agosto sarà, quindi, la volta di un’altra prima nazionale con lo spettacolo «Il sogno di Giacomo Giuseppe», una parodia lirica ideata e scritta dal tenore e attore Diego Bragonzi Bignami, che per l’occasione sarà accompagnato al pianoforte da Maria Silvestrini.
Giovedì 20 agosto, invece, Stefano Benni e Danilo Rossi, moderati da Oreste Bossini di Rai Radio 3, animeranno la serata «Incontro scontro tra parole e musica».
Il programma si concluderà il 23 agosto con le note travolgenti del Gipsy Quartet, composto da Mariam Serban al cimbalon, Mihai Florian alla fisarmonica, Nicolae Petre al contrabbasso, Vasile Stingaciu al violino.
Il sogno di tornare a vivere lo spettacolo, la musica, il teatro dal vivo, insieme al pubblico – quel sogno che a marzo sembra quasi impossibile- diventa, ora, realtà in Emilia Romagna, a Forlì, pur con tutte le limitazioni del caso. E, nei chiostri forlivesi di San Domenico, dove è in corso anche una bella mostra sul mito di Ulisse nell’arte, non possono non ritornare alla mente le parole che Dante Alighieri mise in bocca all’eroe greco: «considerate la vostra semenza / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Alessio Boni; [fig. 2] Alessio Boni con il violinista rock Alessandro Quarta, il violoncellista di fama mondiale Mario Brunello e Danilo Rossi, prima viola del Teatro alla Scala di Milano; [figg.3,4,5] Arte Sella, in Trentino; [fig. 6] Chiostri dei Musei di San Domenico a Forlì; [fig. 7] La nave di Gela esposta nella mostra su Ulisse a Forlì

Informazioni utili 
www.artesella.it 
forlimusica.it

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giovedì 25 giugno 2020

«Made Of Sound», arte e suono si incontrano al Pac di Milano

È il mese di novembre del 2003 quando la musicista e artista newyorkese Laurie Anderson, icona dell'arte multimediale, arriva a Milano per la sua prima retrospettiva in Italia. «The Record Of The Time» è il titolo del progetto espositivo, per la curatela di Jean Hubert Martin e Thierry Raspail, che viene ospitato dal Pac – Padiglione d’arte moderna. Qui sculture, oggetti, disegni, fotografie e installazioni raccontano lo speciale cocktail di teatro, musica pop e immagini che, miscelati elettronicamente con l’uso del computer, danno vita a performance e installazioni basate su episodi della vita personale, sogni, poemi, miti e leggende.
Quasi vent’anni dopo Laurie Anderson torna idealmente nel museo milanese. È, infatti, lei la madrina della terza edizione di «Performing Pac», la rassegna annuale dedicata a un tema attuale nell’ambito degli studi delle arti visive contemporanee.
Il tema scelto per il 2020 è il rapporto tra arte e musica, sviluppato attraverso opere video, materiali d’archivio, interventi di artisti, critici e curatori che esplorano l’interazione tra suono e immagine nella pratica e nella ricerca artistica contemporanea.
«Made Of Sound» è il titolo scelto per il programma, in agenda dal 2 luglio al 13 settembre. Di Laurie Anderson verrà proiettato per la prima volta il video realizzato in occasione della mostra milanese, accompagnato da documenti, fotografie e materiali d’archivio.
L’artista sarà protagonista anche di un appuntamento in cartellone a luglio, in una data ancora da stabilire, quando nel cortile del Pac verrà proiettato il suo lungometraggio «Heart of a dog», la storia che ha incantato e commosso la stampa alla Mostra del cinema di Venezia. Realizzato nel 2015, il documentario è un viaggio intimo e delicato in compagnia dell’amata cagnetta Lolabelle, scomparsa nel 2011, che diventa occasione per una riflessione multimediale sul significato della memoria, della perdita e dell’amore. Con un linguaggio visivo ai confini dell’onirico, l’artista rompe gli schemi del documentario classico, mischiando filmini di famiglia in 8 millimetri a opere d’arte, musica a frammenti di memorie legati ai suoi affetti d’infanzia, senza dimenticare citazione di scrittori e musicisti che l’hanno ispirata fino al compianto marito Lou Reed.
Il percorso espositivo di «Art of The Sound» si sviluppa attraverso i lavori di cinque artisti che utilizzano suono e musica nella loro ricerca.
Il duo Barbara and Ale (Barbara Ceriani Basilico e Alessandro Mancassola) porta al Pac il film «The sky is falling» (2017), dove il vibrafono di Elio Marchesini, percussionista della Teatro alla Scala, viene suonato su un lago ghiacciato tra montagne innevate. Il vibrare del metallo dialoga, scompare e resiste alle folate continue, mentre il musicista si ostina a non perdere il controllo, smarrito nel paesaggio.
Jeremy Deller e Nicholas Abrahams propongono, invece, «Our Hobby Is Depeche Mode» (2006), film che fotografa la fanbase dei Depeche Mode, muovendosi in poche settimane tra Messico, Stati Uniti, Germania, Romania, Brasile, Canada e Russia. Il lavoro documenta come il comportamento disordinato, caotico e spesso imprevedibile con il quale i fan si appropriano della band entri in collisione con l’immagine commerciale accuratamente elaborata del gruppo.
Pamela Diamante presenta «Generare corpi celesti - Esercizi di stile» (2020), installazione inedita che esplora il rapporto tra visione antropocentrica e infinito. In collaborazione con il composer Malasomma, l’artista scompone e trasla in musica le parole di Paolo, ipovedente, che narra l’emozione del ricordo di poter osservare le stelle; Antonio invece, non vedente dalla nascita, ha raffigurato su due grandi tele un cielo stellato che non ha mai potuto osservare.
Mentre il duo artistico italiano Invernomuto (Simone Bertuzzi e Simone Trabucchi) porta al Pac l’installazione audiovisiva «Vers l'Europa deserta, Terra Incognita» (2017), che - muovendosi in una periferia allargata tra Italia e Francia - lavora sui modelli di auto-rappresentazione condivisi dalle culture giovanili suburbane di tutta Europa attraverso mezzi come videoclip, storie di Instagram e flussi di Snapchat.
Nell’opera dell’artista portoghese João Onofre, invece, un'adolescente canta «La Nuit n'en Finit Plus» di Petula Clark in downtempo a capella, all'interno di una buca sul terreno di una prateria. L'opera «Untitled (N'en Finit Plus)», del 2010-11, indaga così il tema dell'appropriazione, declinato sia nella pratica artistica che nella musica pop, e la possibilità che questi due mondi paralleli si sovrappongano.
Il progetto espositivo è arricchito, poi, da due ulteriori interventi. Nella project room una selezione di videoclip musicali diretti da sette tra i più importanti e visionari registi contemporanei - Anton Corbijn, Chris Cunningham, Jonathan Glazer, Michel Gondry, Spike Jonze, Mark Romanek e Stephane Sednaoui– raccontano le incursioni dell’arte nell’universo musicale pop e rock.
Mentre nel parterre è visibile l’installazione di Marie Cérisier, giovane artista di Roquebrune-Cap-Martin, che con «Pile à Cd (Pila di Cd/ Pila da cedere)» costruisce la sua memoria personale e immaginaria in un bilico «sonoro» regalandone un frammento al pubblico, tra «équilibre» e «déséquilibre».
Ad arricchire la rassegna sono stati pensati anche degli appuntamenti da godere on-line. Per tutta la durata dell’esposizione la musica accompagnerà il pubblico sul canale Spotify Performing PAC – High Fidelity, con una playlist collaborativa nella quale curatori e artisti condivideranno la loro personale classifica di cinque brani. Sono, poi, in programma due eventi in streming su You Tube. Venerdì 11 settembre, alle ore 21, si terrà una performance live del duo Invernomuto, che sperimenta l’interazione tra immagine in movimento e suono con il quarto capitolo di Black Med, un dj set supportato da proiezioni che intercetta le traiettorie tracciate dai suoni che attraversano il Mediterraneo.
Sabato 12 settembre, alle 18, Andrea Lissoni, senior curator international art (Film) alla Tate Modern (2014-2020), recentemente nominato direttore del Haus der Kunst di Monaco, sarà in dialogo con il duo Invernomuto e con Iolanda Ratti, conservatore del Museo del Novecento.
Un programma, dunque, articolato quello studiato dal Pac – Padiglione arte contemporanea di Milano per questa estate, nel quale eventi on-line e fruizione dal vivo, nel rispetto di tutte le normative anti-Covid, si fondono per raggiungere il maggior numero di persone possibile.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Pamela Diamante, GENERARE CORPI CELESTI - ESERCIZI DI STILE (2020) Video still. Courtesy Galleria Gilda Lavia; [fig. 2] Heart of a dog di Laurie Anderson, 2015 still da video; [fig. 3] Invernomuto, Portrait, 2018, Photo Jim C. Neddù; [fig. 4] Jeremy Deller con Nicholas Abrahams, Our Hobby Is Depeche Mode, 2006. Courtesy the Artist and The Modern Institute/Toby Webster Ltd, Glasgow. Photo Jeremy Deller; [fig. 5] Barbara and Ale, The sky is falling, 2017. Courtesy the artists

Informazioni utili 
Made of  Sound. Pac - Padiglione d'arte contemporanea, via Palestro, 14 - Milano. Orari: da giovedì a domenica, ore 11 - 20; ultimo ingresso un’ora prima della chiusura. Ingresso: gratuito previa prenotazione (prenotazioni dal 25 giugno). Informazioni: info@pacmilano.it o 02.88446359. Sito internet: pacmilano.it. Dal 2 luglio al 13 settembre 2020.