ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 31 ottobre 2024

Berthe Morisot, Tina Modotti, Mario Merz e...: le mostre da vedere a Torino nell'autunno 2024

Torino riaccende, per il ventisettesimo anno consecutivo, le sue «Luci d’artista», uno dei progetti più longevi e rappresentativi del ruolo dell’arte contemporanea per l’identità e la vita culturale della città. Ventotto sono le installazioni di grandi autori contemporanei che ogni notte, fino al 12 gennaio 2025, trasformeranno il capoluogo piemontese in un luminoso museo a cielo aperto da guardare con il naso all'insù. Tra questi lavori ce ne sono due nuovi: «VR Man» di Andreas Angelidakis (Atene, 1968), una grande silhouette umana stilizzata arricchita da un riferimento alla statuaria antica, in piazza Vittorio Veneto (angolo lungo Po Cadorna), e «Scia’Mano» di Luigi Ontani (1943), un omaggio alla tradizione magica torinese, visibile ai Giardini Sambuy. Tutto intorno ci sono opere luminose ormai conosciute al grande pubblico, dal coloratissimo «Tappeto volante» di Daniele Buren, in piazza Palazzo di Città, alla spettacolare installazione «Piccoli spiriti blu» di Rebecca Horn, con cerchi di luce capaci di donare un aspetto surreale e onirico, quasi da astronave in volo, alla chiesa di santa Maria al Monte dei Cappuccini, senza dimenticare «Il volo dei numeri» di Mario Merz sulla Mole Antonelliana, la sede del Museo del cinema. 

Sotto queste speciali luminarie natalizie c'è l'ampia offerta espositiva della città, una delle eredità più belle della trentunesima edizione di «Artissima», che nella sua tre giorni di inizio novembre ha visto musei, fondazione e gallerie private inaugurare la loro stagione autunnale, dando vita a una vera e propria festa della cultura e delle arti contemporanee, ma non solo. 

Dalla fotografia di Tina Modotti all'arte impressionista di Berthe Morisot, dai capolavori novecenteschi della Gnam di Roma alla mostra per il centenario della nascita di Mario Merz, dal bianco e nero di Mimmo Jodice al «Rabbit Inhabits the Moon» di Nam June Paik, dalla grande antologica su Salvo ai progetti espositivi sul colore di Mary Heilmann e Maria Morganti, dalle icone del cinema hollywodiano alla personale di Bekhbaatar Enkhtur (vincitore del Premio illy Present Future 2023), senza dimenticare gli interessanti progetti espositivi «Mutual Aid. Arte in collaborazione con la natura» al Castello di Rivoli e «Crossing. Attraversare una collezione» a Palazzo Madama, ma anche le mostre al Pav - Parco Arte Vivente, alle Officine grandi riparazioni  e ai musei dell'automobile e della montagna: un percorso - o meglio un diario di viaggio (le «Notizie in pillole» pubblicate sulla pagina Facebook dal 30 ottobre e al 3 novembre 2024) - tra le mostre che coloreranno l'autunno di Torino.

Ma all'ombra della Mole le sorprese non sono ancora finite. Già nei prossimi giorni apriranno due nuove esposizioni: al Museo Accorsi-Ometto i riflettori saranno puntati su Giorgio De Chirico (dall'8 novembre 2024 al 2 marzo 2025), in occasione del centenario del Surrealismo; all'Accademia Albertina si terrà la mostra personale «Reborn – Through India To My Soul» (dal 7 novembre all'8 dicembre 2024) della fotografa Ivana Sunjic, che è stata anche assistente del fotoreporter e ritrattista Steve McCurry. Mentre a metà novembre il Mauto - Museo dell'automobile inaugurerà «125 volte Fiat»: opere d’arte, bozzetti d’artista e manifesti pubblicitari, documenti d’archivio, materiali grafici, fotografici e audiovisivi d’eccezione, oltre a otto vetture, racconteranno la storia della celebre casa automobilistica, nata nel 1899 con il nome di Fabbrica Italiana Automobili Torino. 

Buona lettura! 

AI MUSEI REALI «LA GRANDE ARTE» DELLA GNAM DI ROMA
[2 novembre 2024] Il ventennio fra il 1950 e il 1970 rappresenta una stagione unica per l’arte italiana, un eccezionale laboratorio di rinnovamento stilistico e tematico che non può fare a meno di guardare al passato, ovvero alle ancora laceranti ferite della Seconda guerra mondiale, e di riflettere sul presente, dominato dal necessario entusiasmo per la «ricostruzione» del Paese. A questa straordinaria stagione guarda la mostra «1950-1970. La grande arte italiana», a cura di Renata Cristina Mazzantini e Luca Massimo Barbero, allestita fino al 2 marzo 2025 ai Musei Reali di Torino.

Nelle Sale Chiablese sfilano settantanove opere provenienti dalla Gnam - Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma, riunite insieme per la prima volta fuori dal museo di appartenenza, che evidenziano il trentennale rapporto dell’allora soprintendente Palma Bucarelli con gli artisti più significativi e innovativi di quegli anni, protagonisti, per usare le parole di Luca Massimo Barbero, di un vero e proprio «movimento tellurico». Si tratta di ventuno autori, che si muovono tra il linguaggio astratto e informale e il tema della materialità, di cui l’Arte povera, che nasce proprio a Torino, rappresenta l’apice.

Il percorso espositivo, articolato in dodici sale, inizia con Ettore Colla («Rilievo con bulloni», 1958/59) e Pino Pascali («L’arco di Ulisse», 1968), per proseguire con gli ideogrammi di Capogrossi, i raffinati «Concetti spaziali» di Lucio Fontana, le opere germinali (e ancora astratte) di Mimmo Rotella, i polimaterici di Bice Lazzari e lo straordinario «Gobbo» (1950) di Alberto Burri. Entrano, quindi, in scena Afro e Piero Dorazio, maestri che nel secondo Dopoguerra contribuirono al successo dell’arte italiana negli Stati Uniti. Si giunge così al cuore della mostra: un inedito dialogo tra Lucio Fontana e Alberto Burri, con undici opere, tra cui il «Concetto spaziale. Teatrino» (1965) del primo e il «Nero cretto G5» (1975) del secondo.

Roma, con il fermento creativo che la caratterizzò tra gli anni ’50 e ’60, è la protagonista del passo successivo. Ecco così le opere di Giosetta Fioroni, Sergio Lombardo, Tano Festa, Carla Accardi, Giulio Turcato, Gastone Novelli e Toti Scialoja.

La mostra ricorda, quindi, che la Gnam, prima di qualsiasi museo nazionale, fece entrare nelle sue sale i «Quadri specchianti» di Michelangelo Pistoletto, le corrosive critiche al potere costituito di Franco Angeli, le provocazioni di Piero Manzoni, le «Cancellature» di Emilio Isgrò e, a meno di un anno dal suo tragico incidente in motocicletta, l’opera di Pino Pascali, che, nella mostra torinese, è messa in dialogo con quella di Mario Schifano, per raccontare una stagione capace di smentire e invalidare il «culto reverenziale dell’oggetto d’arte fatto per l’eternità».


Per maggiori informazioni: https://museireali.beniculturali.it/

TINA MODOTTI A CAMERA – CENTRO ITALIANO PER LA FOTOGRAFIA
[2 novembre 2024] Libera, audace, determinata e con una biografia più avvincente di un romanzo, che la vide non solo fotografare, ma anche recitare nel cinema muto con Rodolfo Valentino, avere una storia d’amore (finita tragicamente) con l’attivista cubano Julio Antonio Mella, essere animatrice del Soccorso rosso internazionale e lottare strenuamente per i diritti delle donne e di chi vive ai margini della storia: Assunta Adelaide Luigia Saltarini Modotti, detta Tina (Udine, 17 agosto 1896 – Città del Messico, 5 gennaio 1942), fa parte di quella schiera di intellettuali del Novecento, da Tamara de Lempicka a Frida Kahlo, attorno alla cui figura si è creato un alone di leggenda, che spesso ha finito per oscurarne l’ampia produzione fotografica caratterizzata da oltre cinquecento scatti realizzati in soli 46 anni di vita.
Alla fotografa messicana, con natali friulani, è dedicata la mostra autunnale di Camera – Centro italiano per la fotografia di Torino con trecento immagini, selezionate da Riccardo Costantini, che provengono da ben trentadue archivi di tutto il mondo (da Honolulu a San Francisco, da Città del Messico a Mosca, da Udine a Canberra).

Dagli anni della formazione come assistente di Edward Weston fino agli ultimi scatti, dalle prime nature morte alle conosciute immagini di documentazione sociale e antropologica dai forti rimandi politici, l’esposizione offre un ritratto integrale e completo di Tina Modotti, che spazia dalla nascita a Udine fino all’esilio in Messico, passando per i viaggi in Austria, Stati Uniti, Germania, Russia, Francia e Spagna.
Sotto i riflettori ci sono le sue «fotografie oneste», libere da virtuosismi e caratterizzate da un’immediatezza che non rinuncia alla sperimentazione, nelle quali vengono raccontati il lavoro, l’attivismo politico, la povertà, le contraddizioni del progresso e del passaggio alla modernità, ma anche il folklore messicano e l’arte muralista di Rivera, Siquieros, Orozco, Guerrero, Pacheco.

La mostra «Tina Modotti. L’opera», aperta fino al 2 febbraio 2025, è importante anche dal punto di vista documentale, perché raccoglie materiali inediti, video, riviste, documenti, ritagli di quotidiani, ritratti dell’artista e fotografie che riscostruiscono la sua prima e unica esposizione, tenutasi dal 3 al 14 dicembre 1929 nell’atrio dell’Università nazionale del Messico. La rassegna include, inoltre, un percorso di opere visivo-tattili accompagnate da audiodescrizioni.

In contemporanea, la Project Room di Camera ospita l’esposizione «Mimmo Jodice. Oasi», curata da Walter Guadagnini con la collaborazione di Barbara Bergaglio, che allinea quaranta immagini, realizzate tra il 2007 e il 2008 per una committenza ricevuta da Fondazione Zegna, nelle quali è possibile ritrovare – si legge nella nota stampa - tutta la poetica del fotografo napoletano, «la sua capacità di trasformare la realtà naturale o artificiale in una visione metafisica, sospesa nel tempo e nello spazio».

[Didascalie delle immagini: 1. e 2. Vista della mostra «Tina Modotti. Opera», aperta fino al 2 febbraio 2025 a Camera - Centro italiano per la fotografia di Torino. Foto di Andrea Guermani; 3. Vista della mostra «Mimmo Jodice. Oasi», aperta fino al 2 febbraio 2025 a Camera - Centro italiano per la fotografia di Torino. Foto di Andrea Guermani]

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Per maggiori informazioni: www.camera.to

DAGLI IGLOO ALLA «LEGGEREZZA DELLE FAVOLE»: CENTO ANNI DI MARIO MERZ
[1° novembre 2024] Metafora dell’habitat ideale, nel suo rievocare un mondo in cui l’uomo vive in simbiosi con la natura, la forma dell’igloo segna il percorso creativo di Mario Merz (1925-2003), uno dei maestri dell’Arte povera, a partire dal 1968 fino alla sua morte. In occasione del centenario della nascita, la fondazione torinese che porta il nome dell’artista riunisce alcune di queste strutture iconiche, prodotte con vari materiali e in differenti dimensioni, nella mostra «Qualcosa che toglie il peso che mantiene l’assurdità e la leggerezza della favola».

Nello specifico, sono esposti tre igloo: uno in foglie d’oro («Senza titolo», 1997), che con i suoi riflessi luminosi irradia lo spazio circostante; uno del diametro di cinque metri, ricoperto di lastre di pietre rosa provenienti da una cava argentina («Senza titolo», 2002); e un altro («Senza titolo», 1989), realizzato per l’esposizione personale dell’artista al Solomon R. Guggenheim Museum di New York nel settembre 1989, sulla cui struttura in rete metallica si susseguono fittamente delle forme di pane.

La mostra, curata dalla figlia Marisa Merz, propone anche altri lavori: installazioni, tavoli, tele e opere su carta, tutti ispirati alle teorie dell'antropologo Claude Lévi-Strauss sui modelli culturali a fondamento del pensiero umano.
Il titolo dell’esposizione, tratto da uno scritto dello stesso Mario Merz, evoca il concetto di «leggerezza
» concettuale presente nell’intera produzione del maestro, in cui l'«assurdità» si mescola alla poesia della «favola».
A dialogare con i numeri di Fibonacci, antica presenza negli spazi della fondazione torinese, ci sono i vasi luminescenti del progetto «L’horizont de lumière traverse notre vertical du jour» (1995), l’imponente lavoro pittorico «Geco in casa» (1983), il grande tavolo in cera «Quattro tavoli in forma di foglie di magnolia» (1985), esposto per la prima volta in Europa, e grandi disegni di forme organiche che potrebbero essere radici, fiori o esseri invertebrati, le cui forme sono ritratte con rapidi e sicuri segni a carboncino, pastello, inchiostri o vernice.

Chiude idealmente il percorso espositivo il video-documentario «Che fare? / Mario Merz» di Roberto Cuzzillo, con una selezione di interviste d'epoca, accompagnate da immagini di mostre passate e recenti, che offrono una riflessione su cosa significasse essere artisti negli anni dell’Avanguardia poverista, quando materiali umili come prodotti industriali (cemento, eternit, ferro) ed elementi naturali (terra, acqua, legno) diventavano opere d’arte.

[Immagini:Veduta della mostra «Qualcosa che toglie il peso che mantiene l’assurdità e la leggerezza della favola» di Mario Merz, allestita fino al 2 febbraio 2025 alla Fondazione Mario Merz di Torino. Courtesy Fondazione Merz]

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Per saperne di più: https://www.fondazionemerz.org.

«CROSSING. ATTRAVERSARE UNA COLLEZIONE»: QUATTRO ARTISTI CONTEMPORANEI A PALAZZO MADAMA
[1° novembre 2024] «Solo ciò che è trascorso o mutato o scomparso ci rivela il suo volto reale»: sono queste parole, tratte dal libro «Il mestiere di vivere» di
Cesare Pavese, a spiegare il senso del progetto espositivo «Crossing. Attraversare una collezione», a cura di Cristina Beltrami. Quattro artisti contemporanei differenti per età, formazione e provenienza si confrontano con la storia millenaria, la vasta collezione e i maestosi spazi di Palazzo Madama, il Museo civico d’arte antica di Torino.
Ad aprire il percorso espositivo, allestito fino all’8 dicembre, sono le «Panacée» di Frédérique Nalbandian (Mentone, Francia, 1967), tre figure monumentali che richiamano la statuaria antica, collocate in cima allo scalone juvarriano in omaggio alla fondazione romana dell’edificio. Il dialogo col passato si fa, qui, contemporaneo attraverso un gioco illusorio, che è anche un omaggio alle origini torinesi dell’Arte povera, grazie all’utilizzo di materiali inattesi. l’usuale marmo viene, infatti, sostituito con stoffe e sapone, quest’ultimo proveniente dal Saponificio «Fer à Cheval» di Marsiglia, fabbrica di antica tradizione con cui l’artista collabora da anni.


Nella stanza delle ceramiche, dove sono presenti anche dei manufatti a tema culinario,
RunoB (Zhang Xiaodong,1992) giovane artista cinese di nascita e veneziano d’elezione, presenta, invece, dieci vasi di grandi dimensioni realizzati durante una sua recentissima residenza a Nove (Vicenza). La tematica del cibo viene rivisitata in chiave pop, attraverso colori vivaci, chiamando in causa l’iconografia dei fast-food e della sempre più diffusa abitudine del take-away.

Il percorso espositivo prosegue con «Ritornello», un grande tondo di quasi due metri realizzato da Marta Sforni (Milano, 1966) come omaggio al monumentale lampadario, ideato nel 1928 dai fratelli Toso, al centro della sala dedicata ai vetri. Da tempo l’artista fa fatto del lampadario veneziano il soggetto prediletto della sua pittura, con una tecnica personale fatta di sottili velature che si concentrano, lambendo a tratti i confini dell’astratto, in particolare sui dettagli – le «bossette», in termine tecnico, e i «fiori» – di questi sontuosi manufatti antichi.

La mostra si chiude, nella veranda Juvarriana, con una grande installazione di
Giuseppe Lo Cascio (Baucina, Palermo, 1997), giovane artista particolarmente attento al tema della memoria, che presenta degli schedari monumentali, delle vere e proprie «torri di Babele in metallo e cartoncino o lamine plastiche», che ribadiscono la ragione stessa del museo, inteso come rifugio del sapere.

Con questi quattro «momenti di inciampo» rispetto al consueto percorso di visita, «Crossing» offre, dunque, un nuovo sguardo sulle collezioni di Palazzo Madama, scrigno d’arte antica che in questi giorni, e fino al 13 gennaio, ospita anche una riflessione sul cambiamento climatico con la mostra «Change. Ieri, oggi, domani, il Po». Mentre nel giardino medioevale è allestita, fino al 9 dicembre, la personale «In ascolto», con tredici sculture in bronzo di Sergio Unia (Roccaforte Mondovì, 10 marzo 1943) che trattano temi universali sviluppati quali il rapporto con la natura, l’antico, l’infanzia e i giochi dell’adolescenza. Il progetto nasce su iniziativa della Fondazione Crc, nell’ambito del progetto «Donare».

[Didascalie delle immagini: 1. Frédérique Nalbandian (Mentone, Francia, 1967), Panacée I,II,III, 2021. Sapone di Marsiglia, stoffa e cassaforma in legno. Vista della mostra «Crossing. Attraversare una collezione», a cura di Cristina Beltrami, allestita fino all'8 dicembre 2024 a Torino, nelle sale di Palazzo Madama. Foto: Giorgio Perrottino; 2. RunoB (Zhang Xiaodong,1992), Un'evoluzione di un delivery rider, 2024. Porcellana dipinta a mano. Vista della mostra «Crossing. Attraversare una collezione», a cura di Cristina Beltrami, allestita fino all'8 dicembre 2024 a Torino, nelle sale di Palazzo Madama. Foto: Giorgio Perrottino; 3. Marta Sforni (Milano, 1966), Ritornello, 2024. Tecnica mista su tavola. Vista della mostra «Crossing. Attraversare una collezione», a cura di Cristina Beltrami, allestita fino all'8 dicembre 2024 a Torino, nelle sale di Palazzo Madama. Foto: Giorgio Perrottino] 

Per maggiori informazioni: https://www.palazzomadamatorino.it.


«MUTUAL AID», ARTE E NATURA SI INCONTRANO AL CASTELLO DI RIVOLI 
[31 ottobre 2024] Sarà perché il cambiamento climatico e il riscaldamento globale sono diventati temi di stringente attualità. Sarà perché sono sempre più evidenti i danni, in molti casi irreversibili, che l’uomo ha fatto agli ecosistemi. Sarà perché da più parti giunge l’invito alla sostenibilità ambientale. Sta di fatto che, negli ultimi anni, è aumentato il numero di artisti che si interessano alla natura non tanto come soggetto delle proprie opere, quanto come parte vitale del proprio processo creativo. Tronchi d’albero, sterpaglie, ciottoli di fiume, piante velenose, ragni, farfalle, lombrichi sono diventati così materia d’arte al pari di un tubetto di colore o di un blocco di marmo. Tutto ha avuto negli anni Sessanta con la Land Art, corrente che in Italia ha avuto tra i suoi pionieri Giuseppe Penone (Garessio, 1947). Ed è proprio l’artista piemontese, insieme con Agnes Denes (Budapest, 1931), ad aprire idealmente il percorso espositivo della mostra «Mutual Aid. Arte in collaborazione con la natura», a cura di Francesco Manacorda e Marianna Vecellio, allestita fino a domenica 23 marzo 2025 al Castello di Rivoli.

Il titolo della rassegna, ideata appositamente per lo spazio della Manica Lunga, si ispira alle teorie che Piotr Kropotkin (1842–1921) presentò nel suo libro «Il mutuo appoggio – Un fattore dell’evoluzione», pubblicato all’inizio del secolo scorso. Ribaltando la visione evoluzionista di Charles Darwin, il filosofo e zoologo russo ipotizzò che, in uno scenario instabile e con risorse limitate, la migliore opzione di sopravvivenza fosse la collaborazione tra specie. Ed è proprio una sinergia tra uomo e mondo naturale quella che anima la mostra del Castello di Rivoli, dove espongono venti artisti internazionali con i loro differenti linguaggi creativi - dal video alla pittura, dal suono all'installazione, dalla scultura alla fotografia –, dando vita a un vero e proprio «organismo vivente» che muta, si decompone e si ricompone sotto gli occhi del visitatore.


Le ragnatele cosparse di polvere di grafite di Tomás Saraceno (San Miguel de Tucumán, Argentina, 1973), le imponenti tele di Vivian Suter (Buenos Aires, 1949) sulla foresta pluviale guatemalteca, le sculture con il fungo Trametes versicolor di Nour Mobarak (Cairo, 1985), l’installazione «Le lâcher d’escargots» («Il rilascio delle lumache» 2009), di Michel Blazy (Monaco, 1966), l’ambiente naturale ricreato da Natsuko Uchino (Kumamoto, Giappone, 1983), dove assaporare un kefir, sono solo alcune delle opere in mostra. Il percorso culmina con l’installazione immersiva «The sun eats her children» (2023) di Precious Okoyomon (Londra, 1993), in cui una serra tropicale accoglie farfalle e piante velenose in un paesaggio surreale; l’ambiente naturale è qui un potente simbolo di forza e rigenerazione. Si chiude così questo affascinante viaggio, dagli anni Sessanta a oggi, che è anche e soprattutto un invito a salvare il pianeta.

[Immagini: 1.Hubert Duprat, Larva di tricottero con il suo astuccio (veduta della mostra), 1980-1994. Oro, opale, perle. Lunghezza 2,5 cm. Photo: H. Del Olmo. © Hubert Duprat, ADAGP, 2024. Courtesy l’artista e / the artist and Art : Concept, Paris; 2. Michel Blazy, Le lâcher d'escargots (Il rilascio delle lumache / The snail release), 2009 (dettaglio).Lumache, moquette marrone, dimensioni variabili. Veduta dell’installazione- Room II, Maison Hermès, Tokyo, Japan, 2016- © Michel Blazy. Courtesy l’artista e Concept, Paris; 3. Nour Mobarak, Apollo Copy (Copia di Apollo), 2023. Micelio di Trametes versicolor, legno intonacato. 30 x 25 x 30 cm, dimensioni totali  100 x 120 x 50 cm. Courtesy l’artista e d Sylvia Kouvali, London / Piraeus] 

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Per maggiori informazioni: https://www.castellodirivoli.org/.

ALLA GAM DI TORINO IL COLORE DI MARY HEILMANN, MARIA MORGANTI E BERTHE MORISOT   
[1° novembre 2024] Colore, luce, tempo quotidiano ed essenzialità del gesto pittorico: sono questi temi a fare da filo rosso tra le mostre di Mary Heilmann (San Francisco, 1940) e Maria Morganti (Milano, 1965), in programma fino al 16 marzo 2025 negli spazi della Gam - Galleria d’arte moderna di Torino, che ha da poco riaperto i battenti con un nuovo allestimento della propria collezione, all’interno del quale Stefano Arienti (Asola, 1961) è «L’intruso», ovvero l’artista ospite invitato a creare degli «inciampi creativi» che interrompono la narrazione espositiva per destare stupore nell’osservatore.

Quella di Mary Heilmann, figura di spicco nell’astrazione contemporanea, è la sua prima grande mostra antologica in Italia. Attraverso sessanta opere, selezionate da Chiara Bertola (con la collaborazione dello Studio Heilmann di New York), vengono ripercorsi sessant’anni di carriera dell’artista americana, dai primi dipinti geometrici degli anni Settanta fino alle recenti tele sagomate in colori fluorescenti.
 
In un percorso ipnotico e gioioso che spazia da «Chinatown» (1976) a «Tube at Dusk» (2022), passando per tele come «French Screen» (1978) o «Driving at Night» (2016), rossi accesi, blu profondi, gialli intensi, verdi vivaci e rosa vibranti, tonalità miscelate a larghe campiture e spesso messe in contrasto tra di loro, si presentano come un «marcatore autobiografico», per usare le parole della stessa pittrice, la cui arte dalle geometrie minimaliste «è influenzata – si legge nella presentazione - dalla controcultura degli anni ‘70, dal movimento per la libertà di parola e dallo spirito surfistico della sua nativa California, che seppe anticipare persino la cultura beat e i successivi movimenti di contestazione del sistema».

Il colore è protagonista anche nell’antologica dedicata a Maria Morganti, con una selezione di lavori realizzati tra il 1988 e il 2024. La rassegna, a cura di Elena Volpato, porta nelle sale della Gam di Torino il cuore dello studio dell’artista milanese di nascita e veneziana d’adozione, «luogo fisico e mentale, dove – si legge nella presentazione - dare forma al tempo attraverso la semplicità di atti quotidiani che compongono, per lento accumulo, il complesso diario cromatico di un’esistenza».
 
Tra «Confronti» con i maestri del passato, «Diari», «Sedimentazioni» e un «Quadro infinito», realizzato ogni giorno dal 2006, c’è in mostra anche la ciotola in cui l’artista crea ogni giorno un nuovo colore, una «melma cromatica» mescolata e rimescolata da anni, erede di una gestualità che guarda alla grande tradizione pittorica lagunare.

Alla Gam di Torino è, inoltre, visibile l’esposizione «Grasso» dedicata ai primi sette numeri della rivista ideata nel 2016 da Giuseppe Gabellone e Diego Perrone. Il nome risponde alla inusuale grandezza del progetto editoriale, un vero fuori formato, che per essere letto deve potersi dispiegare nei suoi due metri di base per tre metri di altezza.

Non manca, poi, nelle sale del museo un omaggio all’arte del passato con la mostra su Berthe Morisot, l’unica pittrice del movimento impressionista francese, della quale sono esposte una cinquantina di opere, tra celebri dipinti, disegni e incisioni, provenienti dalle istituzioni più importanti d’Europa (tra cui il Musée d'Orsay di Parigi e il Museo Nacional Thyssen-Bornemisza di Madrid) e da preziose collezioni private. «Sfera familiare», «Ritratti femminili», «Paesaggi e giardini» e «Figure nel verde» sono le quattro sezioni in cui si articola il percorso espositivo, tutte accomunate dalla luce, quella con cui la pittrice francese smaterializzava l’apparenza condensandola in un istante irripetibile. A queste sezioni si affianca una sala dedicata a un’importante raccolta di opere su carta, provenienti dal Musée Marmottan Monet di Parigi. 

Tra le opere in mostra, per la curatela di Maria Teresa Benedetti e Giulia Perin, ci sono «Eugène Manet all’isola di Wight» (1875), «Eugène Manet e sua figlia nel giardino di Bougival» (1884), «Donna con ventaglio o Al ballo» (1875), «Il Ciliegio» (1891), «Pasie che cuce nel giardino» (1881-82) e «La ciotola del latte» (1890), dipinto, quest'ultimo, esposto per la prima volta in Italia e venduto in un’asta Sotheby’s a maggio 2022 per più di un milione di euro, a dimostrazione della costante valorizzazione che l’opera della pittrice acquista nel tempo. L’allestimento della mostra, che sarà visibile fino al 23 febbraio 2025, accoglie, poi, anche un display realizzato da Stefano Arienti. L'artista utilizza materiali differenti come ritratti di Berthe Morisot rivisitati, elementi olfattivi, nastri di stoffa in raso e organza, carte da parati, oggetti dell’epoca, per fare da sfondo ai meravigliosi e ariosi dipinti della pittrice impressionista, la cui massima espressione si ha nelle scene en plein air, sempre caratterizzate da atmosfere vibranti e cromaticamente intense. 

[Didascalie delle immagini: 1. e 3. Maria Morganti. Vista della mostra in corso fino al 16 marzo 2025 alla Gam - Galleria d'arte moderna di Torino. Foto: Luca Vianello e Silvia Mangosio; 2. Mary Heilmann. Vista della mostra in corso fino al 16 marzo 2025 alla Gam - Galleria d'arte moderna di Torino. Foto: Nicola Morittu; 4. Installazione della mostra di Berthe Morisot alla Gam di Torino. Foto: Perrottino]

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Per saperne di più: https://www.gamtorino.it/.


SALVO ALLA PINACOTECA AGNELLI 
[30 ottobre 2024] Il 1973 è convenzionalmente un anno importante per Salvo Mangione (Leonforte, 1947-Torino, 2015). L'artista incomincia a dedicarsi esclusivamente alla pittura (rimanendovi fedele per i successivi quarant’anni), sebbene sia ancora legato al linguaggio concettuale e all'Arte povera. Risalgono a quell'anno due mostre importanti che documentano la svolta, una alla John Weber Gallery di New York - con fotomontaggi di immagini tratte dalla stampa periodica sul tema dell'autorappresentazione -, l’altra alla Galleria Toselli di Milano - con due tele di grandi dimensioni come «San Giorgio e il drago» e «San Michele sconfigge Satana», dove i volti dei santi diventano autoritratti. È questo il primo capitolo della grande antologica «Arrivare in tempo», a cura di Sarah Cosulich e Lucrezia Calabrò Visconti, aperta dal 1° novembre 2024 al 25 maggio 2025 alla Pinacoteca Agnelli di Torino.

Articolata sui tre piani dello spazio espositivo, la mostra allinea più di centosettanta opere e affronta alcuni dei motivi fondamentali nella ricerca dell’artista: «il concetto di ripetizione nell’esplorazione di motivi ricorrenti, inteso sia come tecnica pittorica sia come urgenza concettuale; la riflessione sulla pittura come linguaggio e sul linguaggio come arte; il rapporto tra storia dell’arte e sguardo sulla quotidianità».

Il percorso è immaginato come una passeggiata che parte dallo studio di Salvo per uscire, poi, alla scoperta del mondo, raccontato attraverso motivi ricorrenti quali i bar con i giocatori di flipper o di biliardo, le strade illuminate dai lampioni, le fabbriche, i porti, i tetti innevati dei paesi di montagna, le rovine dell’antichità in paesaggi di un’arcadia immaginata, il mare.

Non mancano lungo il percorso espositivo i cieli incendiati dal tramonto, un tema caro all’artista. Ed è proprio a un aneddoto legato a questo soggetto che è ispirato il titolo dell’esposizione torinese: in una lettera a Giuseppe Pontiggia, presente in mostra, Salvo racconta, infatti, che, dopo un piccolo tamponamento da lui causato, si scusò con il malcapitato dicendo che cercava di arrivare in tempo per vedere il tramonto.

In occasione di «Artissima» (in programma dal 1° al 3 novembre), la Pinacoteca Agnelli inaugura anche, sulla Pista 500, due nuove opere site-specific: l’installazione neon ambientale «Come Run With Me» di Monica Bonvicini (1965) e l’immagine sul billboard «My Mother Was My First Country» di Chalisée Naamani (1995), una riflessione, quest’ultima, sulla funzione propagandistica del cartellone pubblicitario.

[Image Courtesy Pinacoteca Agnelli, Torino - Ph. Credit Sebastiano Pellion di Persano]

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Maggiori informazioni sul sito https://www.pinacoteca-agnelli.it/.


NAM JUNE PAIK AL MAO – MUSEO ARTE ORIENTALE 
[31 ottobre 2024] È il 1996 quando l’artista sudcoreano Nam June Paik (Seul, 1932 – Miami, 2006), uno dei pionieri della video arte e tra le voci più significative di Fluxus, posiziona un coniglietto di legno davanti a uno schermo televisivo sul quale compare la luna: nasce così «Rabbit Inhabits the Moon», un’opera iconica che vuole invitare l’osservatore a riflettere sul potere dei mass media e sui riti della società capitalistica occidentale.

Quasi trent’anni dopo quell’installazione, che si rifà a un topos letterario caro a diverse culture asiatiche, dà il titolo alla mostra, per la curatela di Davide Quadrio e Joanne Kim, con Anna Musini e Francesca Filisetti, che il Mao – Museo d’arte orientale di Torino dedica fino al prossimo 23 marzo all’artista, in occasione del 140° anniversario delle relazioni diplomatiche tra Corea e Italia.

In un allestimento che fa dialogare realtà e immaginazione, tradizione e tecnologia, e dove è centrale l’elemento sonoro e performativo, diciassette lavori di Nam June Paik – perlopiù in prestito dalla Fondazione Bonotto – sono messi a confronto con nuove produzioni degli artisti coreani Kyuchul Ahn, Jesse Chun, Shiu Jin, Young-chul Kim, Dae-sup Kwon, Chan-Ho Park, Sunmin Park ed eobchae × Sungsil Ryu.
Completa il percorso espositivo una selezione di preziosi manufatti tradizionali che forniscono il contesto storico per i riferimenti spirituali e tradizionali a cui le opere attingono. Questi lavori, tra cui spiccano uno specchio in bronzo a otto lobi di epoca Goryeo e una bottiglia piriforme in gres del XV secolo, sono stati dati in prestito da prestigiose istituzioni, tra le quali il Musée Guimet - Musée national des Arts asiatiques, il Museo d’arte orientale «E. Chiossone» di Genova e il Museo delle Civiltà di Roma.

In occasione della Notte del contemporaneo, in programma a Torino sabato 2 novembre, il Mao – Museo d’arte orientale presenta anche la seconda edizione di «Declinazioni contemporanee», il programma di residenze d’artista e commissioni site-specific che interpreta, rilegge e valorizza il patrimonio museale attraverso il linguaggio della creatività contemporanea.
Durante la serata verranno presentati l’installazione «Ancient Desires - Memories of Water & Earth» di Qiu Zhijie, con cento vasi votivi decorati a mano dall’artista con iscrizioni di preghiere, il progetto «Mappamundi» di Charwei Tsai e «Ultraworld» di Patrick Tuttofuoco, opera luminosa realizzata per la facciata del museo, nell’ambito del progetto «Costellazioni» di «Luci d’artista».


Per maggiori informazioni: https://www.fondazionetorinomusei.it.


DA CHRISTIAN CHIRONI ALLE «MOVIE ICONS», LE MOSTRE AI MUSEI DELL’AUTOMOBILE, DEL CINEMA E DELLA MONTAGNA
[2 novembre 2024] Torino non è solo un punto di riferimento per l'arte contemporanea grazie alle «Luci d'artista», a musei come il Castello di Rivoli e la Gam - Galleria d'arte moderna, al circuito delle sue gallerie private e ai tanti festival dedicati ai linguaggi dell'oggi - da «Artissima» a «The Others», da «Paratissima» a «Flashback Habitat» -, ma è anche storicamente la città del cinema, dell'automobile e della montagna. Qui, dove le Alpi sono poco distanti, il 7 novembre 1896 i fratelli Lumière allestirono, per iniziativa del fotografo Vittorio Calcina, la loro prima proiezione italiana; mentre l'11 luglio 1889 nasceva la Fiat, fondata all'epoca come «Società Anonima Fabbrica Italiana di Automobili – Torino». A queste tre eccellenze cittadine sono dedicati altrettanti musei, che, in occasione della Art Week torinese, hanno aperto le proprie porte all’arte contemporanea.

Nella Project room del Mauto, il museo nazionale dell’automobile che il 15 novembre inaugurerà la mostra storica «125 volte Fiat», Christian Chironi presenta, fino al 12 gennaio 2025, l’esposizione «Torino Stop», della quale è protagonista una Fiat 127 Special del 1971. La vettura, ribattezzata «Camaleonte» per la sua capacità di cambiare colore in base al contesto in cui sosta, è stata al centro di una performance itinerante, che ha toccato varie città del mondo - da Parigi a Marsiglia, da La Plata a Bologna, per giungere a Torino nei giorni di «Artissima 2024». Il drive tour ha seguito il filo rosso delle abitazioni ideate dal celebre architetto e urbanista svizzero Le Corbusier (pseudonimo di Charles-Édouard Jeanneret-Gris, 1887-1965), dando così vita – si legge nella nota stampa - a «una tastiera architettonica, dove i colori si accostano come suoni», secondo l’idea che «una casa è una macchina da vivere».
Nella Project Room del Mauto, accanto all’automobile, sono esposte opere che attingono a svariati linguaggi e discipline - dalla fotografia al collage, dalla scultura alla videoinstallazione – insieme a elementi provenienti dalle precedenti tappe del progetto itinerante. Per l’occasione, Christian Chironi firma «Supercar», un’installazione luminosa per la facciata dell’edificio di corso Unità d’Italia.

Una «Luce d’artista», ovvero «Il volo dei numeri» di Mario Merz, illumina anche la Mole Antonelliana, sede del Museo del cinema, dove è allestita, fino al 13 gennaio 2025, la mostra «Movie Icons», a cura di Domenico De Gaetano e Luca Cabler, con centoventi oggetti di scena, costumi e memorabilia provenienti dai set di Hollywood, in un percorso che spazia dalla piuma di «Forrest Gump» alla bacchetta magica di «Harry Potter», dal casco degli Stormtrooper di «Guerre stellari» fino alla pallottola di «Matrix».

Infine, al Museo della montagna è possibile vedere, fino al 29 giugno 2025, la mostra d’arte contemporanea «Walking Mountains», curata da Andrea Lerda e con Hamish Fulton e Michael Höpfner come mentori, che interpreta il cammino non solo come attività fisica rigenerante, ma anche come gesto culturale e politico attraverso il lavoro di una ventina di artisti, tra cui compaiono figure storiche come Richard Long e Joseph Beuys.

Nella stessa sede è allestita anche l’esposizione «Era come andare sulla Luna. K2 1954», con attrezzature, fotografie, pubblicità, giornali e registrazioni che raccontano l’impresa del 31 luglio 1954 sul K2. Chiude il percorso un’installazione artistica del collettivo D20 Art Lab.

[Didascalie delle immagini: 1. e 2. Vista dell'esposizione «Torino Stop» di Christian Chironi, allestita fino al 12 gennaio 2025 al Mauto - Museo dell'automobile di Torino. Photo Credits Cosimo Maffione - Courtesy: Museo dell'automobile di Torino; 3. Vista della mostra «Movie Icons», a cura di Domenico De Gaetano e Luca Cabler, allestita fino al 13 gennaio 2025 al Museo del cinema di Torino. Foto: Marco Carossio. Courtesy: Museo nazionale del cinema, Torino]

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PAV, ORG E FONDAZIONE SANDRETTO RE REBAUDENGO: SCRIGNI D’ARTE E DI ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE

[3 novembre 2024] Torino non è solo la città dell’automobile e del cinema, ma è anche un centro nevralgico di archeologia industriale, che ha visto riconvertire, grazie a sapienti progetti di rigenerazione urbana, alcuni delle sue vecchie fabbriche storiche in spazi museali. È il caso delle Officine grandi riparazioni – Org, dove un tempo ci si occupava della manutenzione dei treni e che ora è un centro di innovazione e creatività.

Fino al 2 febbraio 2025, la suggestiva cornice del Binario 1 appare trasformata in un ambiente immersivo psichedelico grazie a «Retinal Rivalry », progetto dell’artista francese Cyprien Gaillardon (Parigi, 1980), per la curatela di Simone Piazza, presentato in anteprima alla Fondazione Beyeler di Basilea, nell’ambito della collettiva «Summer Exhibition».
Attraverso un gioco di immagini stereoscopiche in movimento, il mezzo filmico perde la sua bidimensionalità e si trasforma in scultura. Il flusso visivo mescola visioni differenti, rievocando alcune architetture tipiche della Germania, dall’Oktoberfest alle rovine romane ritrovate in un parcheggio sotto la cattedrale di Colonia, da un Burger King di Norimberga a un paesaggio romantico di Bastei, formazione rocciosa più volte dipinta dal pittore Caspar David Friedrich. La colonna sonora arricchisce la visione grazie al mixaggio di melodie e suoni diversi, che mettono insieme ritmi sudanesi con le note di un organo incontrato per le strade di Weimar.

Altro spazio di archeologia industriale è il Pav – Parco arte vivente, centro sperimentale concepito dall’artista Piero Gilardi su un ex sito industriale della Framtek, azienda produttrice di molle, affiliata al Gruppo Fiat. In questa sede è allestita, fino al 15 febbraio 2025, «Cambio de Fuerza», la prima mostra personale in Italia dell’artista ecuadoregno Adrián Balseca (Quito, 1989), curata da Marco Scotini, il cui titolo fa riferimento allo slogan «La fuerza del cambio» («La forza del cambiamento») utilizzato alla fine degli anni '70 durante la campagna elettorale di Jaime Roldós Aguilera, primo presidente democraticamente eletto, nel 1979, dopo il periodo della dittatura.

Attraverso una serie di progetti realizzati negli ultimi dieci anni che combinano fatti reali, archivi storici, etno-fiction e memoria, la rassegna indaga il ruolo dell’essere umano come attore consapevole nell’eco-sistema, sottolineando le interconnessioni tra economia, ecologia e memoria, e analizzando le dinamiche di potere legate all’estrazione delle risorse naturali.
Tra le opere esposte è possibile vedere «Plantasia Oil Co.» (2021-ongoing), un'installazione composta da barili e lattine che un tempo contenevano olio per motori e lubrificanti industriali prodotti da aziende italiane e transnazionali, e «The Unbalanced Land» (2019), un lavoro sulle trasformazioni dei sistemi capitalistici e coloniali in America Latina, nel quale suoni, fotografie e oggetti scultorei danno vita al resoconto di viaggio «Travels Amongst the Great Andes of the Equator» (1892) dello scienziato ed esploratore britannico Edward Whymper. Vale la pena ricordare che l’attenzione all’ambiente anima anche la mostra di «Mitch Epstein. American Nature», allestita fino al 2 marzo 2025 alle Gallerie d’Italia di Intesa San Paolo.

In Borgo San Paolo, nell'area dell'ex Fergat che produceva cerchioni per automobili, c’è l’ultima tappa del nostro percorso tra le mostre che hanno aperto nei giorni di «Artissima» e che coloreranno l’autunno di Torino: la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, il cui programma espositivo guarda alla scena internazionale, con tre promettenti nomi dell’arte contemporanea.
Si inizia con lo scultore olandese Mark Manders (Volkel, Paesi Bassi, 1968), noto per le sue innovazioni concettuali e materiche nel campo della scultura, che presenta fino al 15 marzo 2025 «Silent Studio», la sua prima mostra antologica in un’istituzione italiana, con più di venti opere, tra sculture e installazioni, in bronzo, acciaio, ferro, ma anche carta e pittura, realizzate nel corso di oltre trent’anni, sull'idea dell’autoritratto concepito come edificio.
Mentre in «Your Mouth Come Second», Stefanie Heinze (Berlino, 1987), alla «prima mostra personale istituzionale», racconta la sua ricerca pittorica con disegni a matita, inchiostro, penna a sfera e collage, nel quale è centrale l’esplorazione di tematiche quali la tenerezza e la vulnerabilità.
A concludere il cartellone c’è il vincitore del Premio illy Present Future 2023: Bekhbaatar Enkhtur. L’artista, classe 1994, presenta, fino al 5 gennaio 2025, la mostra «Hearsay», un’indagine sul potenziale simbolico degli animali e degli esseri umani, realizzata attraverso figure a bassorilievo metallico, dove la mitologia della sua terra natale, la Mongolia, prende vita anche tramite materiali organici come argilla, cera e paglia.

[Didascalie delle immagini: 1. Vista di Retinal Rivalry », progetto dell’artista francese Cyprien Gaillardon (Parigi, 1980) esposto alle Officine grandi riparazioni - Org di Torino fino al 2 febbraio 2025; 2. Adrián Balseca, Recolector (Estela negra), 2019. 35mm photograph, 51 cm x 43 cm; 3. Bekhbaatar Enkhtur, vincitore dell'Illy Present Future Prize 2023. Vista dell'installazione: Perottino-Piva-Peirone / Artissima]  

Per maggiori informazioni: https://ogrtorino.it/ | http://parcoartevivente.it  | https://fsrr.org.



a cura di Annamaria Micaela Sigalotti


[ultimo aggiornamento domenica 3 novembre 2024, alle ore 18:10

mercoledì 30 ottobre 2024

Artissima 2024, la fiera torinese è «un sogno a occhi aperti»

Sognare a occhi aperti, dimenticando le tensioni della vita quotidiana, non è più considerata un’attività oziosa e una distorsione della psiche, lontana dalla percezione del «qui e ora» e persa in inutili fantasticherie, ma anzi fa bene alla plasticità del cervello e alla memoria. È un’attività che ha riconosciuti effetti antistress e stimola il processo creativo aiutando a trovare soluzioni inedite a problemi rimasti fino a quel momento senza risposta. Lo dice la scienza. E «Artissima», la fiera d’arte più contemporanea e sperimentale d’Italia, in programma da venerdì 1 a domenica 3 novembre all’Oval di Torino (con inaugurazione su invito giovedì 31 ottobre), fa suo questo pensiero avuto per la prima volta nel 1966 dallo psicologo Jerome L. Singer, acclarato da sempre più neuroscienziati, psichiatri e filosofi con le proprie ricerche (come spiegava «The New York Times» in un articolo dell’agosto del 2022) e al centro anche di un recente studio della Harvard Medical School, pubblicato sulla rivista «Nature», nel dicembre 2023.
«The Era of Daydreaming» (ovvero «L’Era del sogno a occhi aperti») è, infatti, il titolo della trentunesima edizione della fiera torinese, la terza diretta da Luigi Fassi e la settima che si avvale della collaborazione dello studio grafico torinese Fionda, diretto da Roberto Maria Clemente, per disegnare la sua identità visiva, un racconto per immagini in sequenza, con dettagli di movimenti e azioni, che danno forma e colori all’idea che i sogni a occhi aperti possano trasformare la realtà e delineare l’immediato futuro.

Riconosciuta a livello internazionale per l’attenzione alle pratiche sperimentali e come trampolino di lancio per artisti emergenti e per realtà che si occupano di «ricerca e cutting-edge» (ovvero Avanguardia), quest’anno «Artissima» apre le porte a cento e ottantanove gallerie italiane e internazionali, provenienti da trentaquattro Paesi distribuiti su quattro continenti, con una significativa rappresentanza dall'America Latina e dall'Europa dell’Est.
La proposta dell’evento mercantile, che vede la presenza del 54 % di espositori stranieri, è distribuita, nello specifico, su una superficie di 20mila metri quadrati ed è suddivisa in sette sezioni, di cui quattro principali - «Main Section», «New Entries», «Monologue/Dialogue» e «Art Spaces & Editions» – e tre curate - «Present Future» (sui talenti emergenti), «Back to the Future» (sui pionieri dell’arte contemporanea) e «Disegni» -, oltre a una vetrina virtuale sulla piattaforma digitale «Artissima Voice Over».
Tra ritorni e conferme, saranno in fiera realtà ormai consolidate come  Alfonso Artiaco (Napoli), ChertLüdde (Berlino), Continua (San Gimignano, Pechino, Les Moulins, L’Avana, Roma, San Paolo, Parigi, Dubai), Martin Janda (Vienna), Sylvia Kouvali (Il Pireo, Londra), KOW (Berlino), Urs Meile (Lucerna, Pechino, Ardez, Zurich), Francesca e Massimo Minini (Milano e Brescia), Franco Noero (Torino), P420 (Bologna), Gregor Podnar (Vienna), Lia Rumma (Milano, Napoli), Sies+Höke (Dusseldorf), Tucci Russo (Torre Pellice, Torino), Vistamare (Milano, Pescara), Zero… (Milano), solo per fare qualche nome.

Mentre trentasette, tra cui le italiane Matta di Milano e Triangolo di Cremona, sono le gallerie al loro debutto. Undici sono, poi, i premi che verranno assegnati, molti dei quali finanziati da importanti brand internazionali come il triestino illycaffè o il parigino Orlane (un’eccellenza nel settore della cosmesi di lusso), a cui vanno aggiunti due fondi, di cui uno di acquisizione (quello della Fondazione per l’arte moderna e contemporanea CRT a beneficio della Gam di Torino e del Castello di Rivoli) e l'altro a supporto della partecipazione di tre gallerie emergenti. 
Limitandoci a un racconto per numeri, sessantasei sono, infine, i progetti monografici presentati, un dato molto significativo perché di solito quando una galleria partecipa a un evento mercantile tende a privilegiare una scelta multipla per poter avere più possibilità di vendita.
Tutta questa complessa macchina - che verrà raccontata al pubblico attraverso un sito internet, delle audio-guide e il podcast «Lo stereoscopio dei solitari» - coinvolge a vario titolo oltre cinquanta tra curatori e direttori di musei, tra i quali si ricordano: Heike Munder (curatrice indipendente e scrittrice a Zurigo) e Jacopo Crivelli Visconti (curatore indipendente a San Paolo) per «Back to the Future»; Léon Kruijswijk (curatore del KW Institute for Contemporary Art di Berlino) e Joel Valabrega (curatrice di Performance and Moving Image al Mudam di Lussemburgo) per «Present Future»; Irina Zucca Alessandrelli (curatrice della Collezione Ramo di Milano), riconfermata per «Disegni».

Internazionalizzazione
, impresa e valore culturale sono, dunque, le parole che fanno da filo rosso a questa edizione di «Artissima», il cui cartellone è reso ancora più ricco da un numero consistente di progetti speciali ed eventi collaterali, frutto di collaborazioni con partner d’eccezione e prestigiose istituzioni culturali.
Per esempio, Intesa San Paolo porterà, nel suo stand all’Oval, un nucleo di opere fotografiche di Olivo Barbieri, che dal prossimo febbraio verranno esposte nell'ambito della rassegna «La grande fotografia italiana» alle Gallerie d’Italia di Torino. Sempre in fiera la Fondazione Compagnia di San Paolo presenterà, nell’ambito del percorso triennale «Identity» (2023-2025), il progetto «WoW – Worlds of Words» con un focus sul mondo dei magazine e dei progetti editoriali italiani e internazionali. Mentre la Juventus scriverà una nuova pagina della storia di «Artissima Junior», invitando i bambini dai 6 agli 11 anni a partecipare alla creazione di un’opera corale, dal titolo «sognare di lato, di qua, di là», che avrà per artista-tutor Sara Enrico (Biella, 1979), rappresentata dalla galleria Vistamare (Milano-Pescara).

Fuori dalle mura, o meglio dalle vetrate trasparenti, dell’Oval, struttura realizzata nel 2006 come stadio del ghiaccio per i Giochi olimpici invernali di Torino, sarà possibile vedere, sulla facciata dell’Unione Industriali, l’installazione luminosa «Euridome» di Erik Saglia (Torino, 1989), un movimento orbitale, «una cosmogonia – si legge nella nota stampa - fatta di linee che si incrociano, si curvano, si sommano e si sottraggono», pensata per il circuito «Costellazione» di «Luci d’artista»
Mentre il Museo di storia naturale, riaperto dopo dieci anni dall’incendio che lo rese inagibile, farà da scenario all’installazione «Objects in Mirror Might Be Closer Than They Appear» di Julian Charrière e Julius von Bismarck, una riflessione sull’impatto del cambiamento climatico e sulla necessità di ripensare criticamente il rapporto uomo-natura.
Alle Gallerie d’Italia, Intesa San Paolo presenta, invece, la rassegna di film e video d’artista «The Underground Cinema», a cura di Irene Calderoni, con otto opere di Pauline Boudry & Renate Lorenz, Alice Bucknell, Stephanie Comilang, Pauline Curnier Jardin, Valentina Furian, Lungiswa Gqunta, Beatrice Marchi, Lili Reynaud Dewar e Silvia Rivas, che esplorano – si legge nella nota stampa - «immaginari onirici, sospesi tra la veglia e il sonno, la luce e l’oscurità, la realtà e la sua proiezione sullo schermo pensare criticamente il rapporto uomo-natura».
Alla videoarte e alle nostre responsabilità sociali nei confronti dell’ambiente guarda, poi, anche il progetto «Raised in the Dust» dell’artista Andro Eradze (Georgia, 1993), all’ex Giardino zoologico – Parco Michelotti. Mentre all’Hotel Principi di Piemonte va in scena, per iniziativa di Una Experience, «Afasia 1» di Arcangelo Sassolino (Vicenza, 1967), uno dei primi lavori in cui l’artista applica la fisica alla scultura indagando sul concetto di velocità.
Completano l'offerta espositiva la mostra «Hearsay» di Bekhbaatar Enkhtur, artista vincitore del Premio illy Present Future 2023, alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, e la rassegna «Embrace», con la capsule-collection di occhiali d’artista ideata da Elisa Alberti per lo showroom VanniOcchiali di piazza Carlo Emanuele II.

A dimostrazione di quanto la fiera piemontese sia diventata, anno dopo anno, un’importante vetrina per gli operatori del settore e un appuntamento imperdibile per i collezionisti, è, poi, il cosiddetto circuito off, ovvero il ricco cartellone della Torino Art Week, che culminerà sabato 2 novembre con l’ormai tradizionale Notte delle arti contemporanee. Musei, fondazione e gallerie private, ma anche fiere indipendenti di settore come «Paratissima», «Flashback» «The Others», oltre al progetto «Diffusissima», scenderanno in campo per celebrare la cultura e l’arte contemporanea. Dal Mao – Museo d’arte orientale (con una mostra su Nam June Paik) alla Pinacoteca Agnelli (con la più grande antologia mai realizzata sul Salvo e due nuove installazioni sulla Pista500 firmate da Monica Bonvicini e Chalisée Naamani), da Palazzo Madama (con i progetti espositivi «Crossing» e «Change! Ieri, oggi e domani, il Po») alla Gam – Galleria d’arte moderna (con due focus su Mary Heilmann e Maria Morganti, oltre a una grande mostra sulla pittrice impressionista Berthe Morisot), dal Castello di Rivoli (con «Mutual Aid. Arte in collaborazione con la natura») alla Fondazione Merz (con un omaggio a Mario Merz, a centro anni dalla nascita), da Camera – Centro per la fotografia (con le rassegne su Tina Modotti e Mimmo Jodice) al Pav – Padiglione Arte Vivente (con Adrien Balseca), da Org Torino (con Cyprien Gaillard) al Museo Ettore Fico (con la mostra «Sogni»), senza dimenticare il Mauto (il Museo dell'automobile), con la Fiat 127 «Camaleonte» di Cristian Chironi, che nei giorni di «Artissima» viaggerà per le strade del centro e della periferia invitando il pubblico a salire a bordo per una riflessione su temi come la migrazione, la memoria, la costruzione di una casa e l'ospitalità, nessuno ha voluto mancare all’appello colorando la città con decine di mostre ed eventi tematici.

A incorniciare il tutto è la ventisettesima edizione di «Luci d’artista», uno dei progetti più longevi e rappresentativi del ruolo dell’arte contemporanea per l’identità e la vita culturale della città di Torino. Ventotto sono le installazioni di grandi artisti che ogni notte trasformeranno il capoluogo piemontese in un luminoso museo a cielo aperto da guardare con il naso all'insù. Tra questi lavori ce ne sono due nuovi: «VR Man» di Andreas Angelidakis (Atene, 1968), una grande silhouette umana stilizzata arricchita da un riferimento alla statuaria antica, che animerà piazza Vittorio Veneto (angolo lungo Po Cadorna), e «Scia’Mano» di Luigi Ontani (1943), un omaggio alla tradizione magica torinese, visibile ai Giardini Sambuy. Tutto intorno ci sono opere luminose ormai conosciute al grande pubblico, dal coloratissimo «Tappeto volante» di Daniele Buren, in piazza Palazzo di Città, alla spettacolare installazione «Piccoli spiriti blu» di Rebecca Horn, con cerchi di luce capaci di donare un aspetto surreale e onirico, quasi da astronave in volo, alla chiesa di santa Maria al Monte dei Cappuccini.

Torino si prepara, dunque, a vivere un vivace fine settimana all’insegna dell’arte contemporanea, mostrando ancora una volta la sua capacità di essere crocevia di relazioni, progettualità, investimento di mercato. E ripensando al 1994, l’anno in cui nasceva quasi in sordina «Artissima» e il capoluogo piemontese scopriva il suo volto di città votata al contemporaneo e alla ricerca d'Avanguardia, viene proprio da dire che i sogni migliori sono quelli che si fanno ad occhi aperti. 

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Identità visiva di Artissima 2024. Credits: Fionda/ Artissima; [fig. 2] Juan  Araujo, Clouds and Shadows on Mars - Exhibition view, 2024, oil on canvas, variablexvariablexvariable cm. Courtesy the artist and Galleria Continua. Photo: Giorgio Benni; [fig. 3] Anna Boghiguian, Sikkim, 1999, pencil and gouache on paper, 29x29x3 cm. Courtesy Courtesy the artist and Galleria Franco Noero. Photo: Sebastiano Pellion di Persano; [fig. 4] Mario Uliassi, Fabbrica di stelle, 2022, oil on used canvas, 210x410 cm. Courtesy The artist and Triangolo, Cremona; [fig. 5]  Teresa Giannico, Her, 2023, Print on cotton paper, 43x34 cm. Courtesy Viasaterna; [fig. 6] Olivo Barbieri, site specific Roma 04, 2004, inkjet print on archival paper. © Olivo Barbieri; [fig. 7] Arcangelo Sassolino, Afasia 1, steel, glass, nitrogen, pneumatic system, Plc, h 300 x 500 x 2200 cm. Photo: N.Miguletz; [fig. 8] Julius von Bismarck and Julian Charrière „Objects in Mirror Might Be Closer Than They Appear”, 2016, film still, full HD colour film, stereo sound, 12:42 min, Courtesy the artists © The Artists; VG Bild-Kunst, Bonn 2024. 

Informazioni utili
Artissima 2024. OVAL Lingotto Fiere, via Giacomo Mattè Trucco, 70 – Torino. Preview: giovedì 31 ottobre 2024 ore 15.00–20.00 (su invito). Apertura al pubblico: 1-2 novembre 2024, ore 12.00–20.00; 3 novembre, 2024 11.00–19.00. Biglietti (acquistabili su www.vivaticket.com) con prevendita: intero € 24,00, ridotto € 20,00 (ragazzi 12-18 anni. Over 65. Studenti universitari su presentazione della tessera universitaria. Militari in divisa), ridotto titolari Abbonamento Musei e Torino+Piemonte Card € 18,00, abbonamento 2 giorni € 35,00, special friday: € 17,00. Ingresso gratuito per bambini 0 - 11 anni, persone con disabilità e accompagnatore, senza limitazione di giorno e fascia oraria.Informazioni: www.artissima.art. Dall'1 al 3 novembre 2024. 

martedì 29 ottobre 2024

Da Raffaello a Barocci, Pesaro è anche «Capitale del disegno»

Dall’acquerello al collage, dal pastello alla china: qualsiasi tecnica si scelga il disegno è un momento fondamentale di ogni sperimentazione artistica. È così, nella quotidianità della propria bottega o del proprio studio, che il pittore e lo scultore visualizzano per la prima volta le proprie idee; danno un abbozzo di forma a ciò che intendono realizzare.
Nella storia dell’arte, il disegno è anche un mezzo per fissare sulla carta, con uno stile rapido e asciutto, la memoria di ciò che si è visto durante un viaggio. È cioè una sorta di strumento di studio per comprendere proporzioni, volumi e rapporti delle opere dei grandi maestri del passato.
A questo «potente segno di comunicazione e di trasmissione del sapere» è dedicata la mostra «Capitale del disegno. Raffaello, Barocci, Cantarini, Lazzarini dalla Biblioteca Oliveriana per Pesaro 2024», a cura di Anna Cerboni Baiardi con Anna Maria Ambrosini Massari.

Nelle sale dei Musei civici di Palazzo Mosca, una quarantina di opere grafiche tracciano un percorso ideale alla scoperta di quegli artisti che, tra il XVI e il XVIII secolo, si sono avvicendati in quella porzione di territorio marchigiano più vicina alla Romagna: l’urbinate Federico Barocci (1533-1612), attivo per il duca Francesco Maria II della Rovere, insieme ai suoi valenti seguaci; i pesaresi Simone Cantarini (1612-1648), genio inquieto e innovativo, e Giovanni Andrea Lazzarini (1710-1801), protagonista del Settecento nella sua città natale e nelle Marche.
Tutti questi tre artisti si sono trovati a riflettere, in tempi e modi diversi, sull’opera del grande Raffaello Sanzio (1483-1520), che, nato a Urbino e chiamato da papa Giulio II a Roma, ha dato vita a opere ritenute così perfette da diventare modelli inesauribili per le generazioni future.

I lavori esposti provengono dalla collezione Viti Antaldi, conservata nella Biblioteca Oliveriana, nota nei secoli passati per il gran numero di autografi di Raffaello custoditi, che rappresentavano una parte significativa, seppure parziale, di quella che fu la raccolta personale di Timoteo Viti, allievo e collaboratore del pittore urbinate, e che oggi sono un vanto delle più prestigiose raccolte grafiche al mondo.

L’intero fondo, collezionato nell’Ottocento dal marchese Antaldo Antaldi e ceduto alla biblioteca pesarese nel 1922 dal nipote Ciro Antaldi Santinelli, consta di 803 fogli di provenienza prevalentemente marchigiana, emiliana e toscana e datati dalla fine del Quattrocento a tutto il Settecento.
Tra questi c’è l’unico autografo raffaellesco rimasto nella raccolta pervenuta alla Città di Pesaro, che raffigura una figura acefala sul recto e una figura maschile nuda sul verso. È un disegno piccolo, ma molto prezioso, perché è tra i pochi rimasti della produzione giovanile dell’artista. Si tratta di uno studio per la «Resurrezione» conservata al Museo d’arte di San Paolo del Brasile, realizzata dal pittore urbinate tra la fine del ‘400 e gli inizi del ‘500, dove sono evidenti gli influssi di Perugino e di Pinturicchio.
Il foglio, cuore pulsante della mostra pesarese, – spiega la curatrice Anna Cerboni Baiardi - «attesta l’idea che Raffaello sia stato un campione del disegno ancor prima che della pittura, considerato magister non ancora ventenne, attratto dallo studio dal vero e dalla ponderazione armoniosa come dimostra il nudo rappresentato su un lato del foglio. Dall’altra parte, lo studio del panneggio documenta tutta l’importanza che le pratiche disegnative hanno sempre avuto nell’attività di Raffaello, fin dagli esordi, in una corte, quella urbinate, tra le più ricche di esiti artistici nel panorama italiano».
Grazie ai sistemi multimediali, la mostra pesarese permette, inoltre, di scoprire parte del prezioso nucleo raffaellesco della Collezione Viti Antaldi, riportando virtualmente a casa anche i meravigliosi disegni oggi conservati all’Ashmolean Museum di Oxford. Attraverso questi esercizi grafici, dove si nota la linea sintetica di alcuni o la morbidezza chiaroscurale di altri, è possibile seguire le diverse fasi di progettazione delle opere, dai primi abbozzi al cartone preparatorio, ma anche comprendere lo svolgersi del pensiero di Raffaello, riconoscendo riferimenti e cambiamenti e perfino capendo il ruolo che il disegno poteva assumere nel dialogo con la bottega.

Attorno all’autografo raffaellesco si snoda un percorso espositivo fatto di opere grafiche di estrema delicatezza, che permette al visitatore – spiega ancora la curatrice - «di entrare nella dimensione più creativa dell’elaborazione artistica, di ammirare il valore sintetico di una linea o la morbidezza di un segno sfumato, di godere di un’immagine funzionale a un progetto o semplicemente di un esercizio di stile fine a se stesso».

In questo avvincente percorso espositivo, un’altra chicca da non perdere porta la firma di Federico Barocci ed è un foglio giovanile relativo alla decorazione del soffitto della prima stanza del Casino di Pio IV a Roma, dove l’artista lavorò tra il 1561 e il 1563 accanto a Federico Zuccari e a Santi di Tito.
«Questi disegni – spiega Anna Cerboni Baiardi - sono realizzati sul recto e sul verso di una carta cerulea e con almeno due tecniche: la pietra nera e l’inchiostro bruno utilizzato con la penna. Non tutte le immagini che compaiono nel recto sono presenti nel Casino, al quale si connettono solo le figure tracciate a penna. La mezza gamba destra in scorcio nel verso del foglio, con la pianta del piede in vista, trova riscontro in diverse prove giovanili dell’artista, che non ha mai affrontato un’opera pittorica senza valutare ogni minimo dettaglio attraverso la pratica disegnativa».
Di Federico Barocci sono esposti anche altri fogli che documentano come il pittore, sebbene abbia scelto di rimanere nella sua città natale, sia stato al centro della scena artistica italiana ed europea per quasi un secolo e si sia imposto tra i più richiesti autori di opere sacre della seconda metà del Cinquecento.

I lavori in mostra esemplificano la sorprendente ricchezza del segno barroccesco, passando da esiti più geometrizzanti, come quelli per la parte superiore della «Deposizione» di Senigallia, dove si registra la prima idea dei movimenti delle figure, a quelli ben più pittorici degli studi per l’«Ultima cena» di Urbino o per la «Circoncisione» del Louvre, un tempo sull’altare maggiore della chiesa pesarese del Nome di Dio.
Insieme ai disegni sono esposti anche alcuni ritratti che vogliono evocare l’indagine introspettiva che i suoi allievi e i suoi seguaci si impegnarono a proseguire. Tra questi ci sono Antonio Cimatori detto «Visacci» (1550 ca.-1623), Antonio Viviani detto il Sordo (1560-1620) e il fedelissimo Ventura Mazza (1560-1638) da Cantiano che, morto il maestro, concluse alcune sue tele e proseguì l’attività di copista delle sue opere più celebri.

Il percorso espositivo prevede, poi, un focus su Simone Cantarini detto il Pesarese (1612-1648). Il ricco corpus di disegni documenta la grande facilità inventiva dell’artista, testimoniata in mostra da una serie di fogli diversi per tipologie: alcuni sono semplici schizzi a penna; altri, più rifiniti a pietra rossa, possono essere preparatori per opere pittoriche come la «Trasfigurazione di Cristo» della Pinacoteca Vaticana (1637). Insieme ai dipinti normalmente esposti nel museo marchigiano, vengono presentati per l’occasione la «Sacra Famiglia con santa Marta» delle raccolte di Intesa Sanpaolo, riferibile alla prima attività del Pesarese e ispirata a modelli barocceschi, e un’inedita «Adorazione dei Magi» di collezione privata.

Chiude il percorso espositivo una sezione dedicata al canonico Giovanni Andrea Lazzarini (1710-1801), principale artista pesarese del suo tempo, responsabile della creazione nella città marchigiana di una frequentata scuola d’arte. Cresciuto nel culto dell’antico e dei grandi maestri del classicismo seicentesco, ma soprattutto nel mito di Raffaello, il pittore usò più volte il disegno come strumento di lavoro, ora per studiare i modelli dell’antichità, ora per progettare e mettere a punto l’opera pittorica, ora per dialogare con i suoi collaboratori attraverso il linguaggio delle immagini. I fogli presentati in mostra raccontano tipologie grafiche diverse. Ci sono i primi pensieri per una delle opere della chiesa pesarese della Maddalena o per la pala di Gualdo (Forlì). E ci sono modelli definitivi ben più pittorici per la «Santa Illuminata» di Massa Martana (Perugia) e fogli di studio più disordinati per elaborare un «Riposo nella fuga in Egitto», tema che il pittore amò particolarmente. Lo «Studio per san Giuseppe da Copertino» documenta, infine, il progetto per un’opera un tempo nella chiesa di San Francesco a Pesaro, al momento dispersa.
È, dunque, un bell’omaggio alla forza espressiva e all’essenzialità del disegno, la dimensione più intima di un lavoro creativo, quello che mette in scena Pesaro nel suo anno da Capitale italiana della Cultura, raccontando l’eredità dell’urbinate Raffaello Sanzio tra gli artisti della sua terra natale, colpiti dall’arte, raffinata ed elegante, del «divin pittore», che rappresentò una vera e propria rivoluzione estetica e intellettuale per gli artisti dei secoli a venire.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Raffaello, Studio per il Cristo risorto (recto). Pietra nera e sfumino su carta, 216x90 mm. Pesaro, Biblioteca Oliveriana; [fig. 2] Raffaello, Studio per il Cristo risorto (verso). Pietra nera su carta, 216x90 mm. Pesaro, Biblioteca Oliveriana; [fig. 3] Federico Barocci, Studio di braccio per il Noli me tangere. Carboncino e tracce di pietra rossa, sfumino e gessetto su carta preparata, 300x438 mm.Pesaro, Biblioteca Oliveriana; [fog. 4] Federico Barocci 
Studio con due teste di profilo e un braccio per l'Ultima cena. Carboncino e sfumino, tracce di pietra rossa e gessetto su carta preparata bruna, 212x281 mm. Pesaro, Biblioteca Oliveriana; [fig. 6] Federico Barocci, Studi di braccio e gamba per l'Ultima cena. Carboncino e sfumino, tracce di pietra rossa e gessetto su carta bruna, 280x192 mm. Pesaro, Biblioteca Oliveriana; [fig. 7] Simone Cantarini, Studio per una Pietà. Pietra rossa su carta, 285x256 mm. Pesaro, Biblioteca Oliveriana 

Informazioni utili 
Capitale del disegno. Raffaello, Barocci, Cantarini, Lazzarini dalla Biblioteca Oliveriana per Pesaro 2024. Palazzo Mosca – Musei Civici, piazzetta Mosca, 29 – Pesaro. Orari di apertura: martedì-domenica e festivi, ore 10-13 / 15.30-18.30. Biglietto: Ingresso con Card Pesaro Capitale: intero 14€; ridotto 8€ (gruppi min. 15 persone, studenti universitari, possessori di Card Pesaro Cult, gruppi accompagnati da guida turistica con patentino, convenzionati); omaggio minori di 18 anni, soci ICOM, giornalisti muniti di regolare tesserino, disabili e persona che li accompagna, studenti del Conservatorio Statale di Musica G. Rossini, possessori di Carta Famiglia del Comune di Pesaro. Per informazioni: tel. 0721 387541- info@pesaromusei.it - www.pesaromusei.it. Fino al 17 novembre 2024