ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 14 novembre 2024

A Bologna l’«album inedito» del vedutista Giacomo Savini

Giardini all’antica dove lo sguardo si riposa tra salici piangenti e barche ormeggiate alla riva di un laghetto. Rovine di una civiltà del passato a raccontare la caducità del nostro vivere quotidiano. Visioni silenziose dei colli bolognesi, ma anche eleganti scorci di castelli e orti botanici. Scene rurali e appenniniche che, pur nell’assenza della figura umana, raccontano la povertà dei più umili e la fatica del loro lavoro. Paesaggi bucolici dalla forte intonazione poetica e rapidi schizzi per fissare nella memoria le suggestioni di un viaggio. C'è l'intero universo figurativo di Giacomo Savini (Bologna, 1768 – ivi, 1842), artista ancora poco noto, la cui feconda produzione come pittore di quadri da cavalletto e decoratore di «stanze paese» ne fa uno dei più pregevoli protagonisti della scuola dei vedutisti felsinei tra Settecento e Ottocento, nella mostra-dossier che Mark Gregory D’Apuzzo e Ilaria Chia curano, con la collaborazione di Ilaria Negretti, per il Museo civico d’arte industriale e Galleria Davia Bargellini di Bologna.

I riflettori sono puntati su ventidue vedute a penna acquarellata su carta, provenienti da una cartella di oltre centoquaranta disegni conservata nell’archivio storico della Fondazione Opera Pia Davia Bargellini, già ritenuta di grande interesse da esperti e studiosi, ma quasi del tutto inedita al grande pubblico, se si eccettua la riproduzione di pochi esemplari su pubblicazioni di settore risalenti a diversi decenni fa.

Queste carte sono messe a confronto con un importante nucleo di oli e tempere dell'artista emiliano, di solito visibili nelle Sale 1 e 6 della pinacoteca bolognese, tra cui si segnalano due «paesaggi da camera» a pastelli, a lungo assegnati a Rodolfo Fantuzzi ma da attribuirsi alla mano di Giacomo Savini secondo la tesi avvalorata da Vincenzo Nascetti, oltre a un «Paesaggio ideale» da collezione privata.

Non manca in mostra una riflessione sul vedutismo nella cultura artistica bolognese attraverso una selezione di lavori di Giuseppe Termanini (Bologna, 1759 – ivi, 1850), Gaetano Tambroni (Bologna, 1763 – ivi, 1841), Rodolfo Fantuzzi (Bologna, 1779 – ivi, 1832), Giambattista Bassi (Massalombarda, 1784 - Roma, 1852) e il maestro Vincenzo Martinelli (Bologna, 1737 - ivi, 1807), di cui sono segnalate – all’interno del percorso - sei tempere su tela, unitamente a due oli su rame attribuiti alla sua bottega. Questo focus permette di ricollocare Giacomo Savini – già definito «il più intelligente e colto rappresentante della scuola martinelliana» - tra le personalità di primo piano nella storia pittorica bolognese che si muove tra riferimenti neoclassici e suggestioni protoromantiche.

A completare l’impaginazione della rassegna ci sono, poi, alcuni lavori del marchese Giuseppe Davia (Bologna, 1804 – ivi 1874), collezionista e paesaggista dilettante, ultimo discendente di due importanti famiglie senatorie bolognesi, nonché custode di un ingente patrimonio immobiliare e di una delle più prestigiose quadrerie cittadine, composta da dipinti dal XIV al XVIII secolo, che costituisce uno dei due nuclei patrimoniali originari del museo di Strada Maggiore. Il nobile, che fu anche fondatore dell'Opera Pia Davia Bargellini, con finalità di sostegno all’istruzione dei bambini bisognosi e di fruizione pubblica dei beni di interesse artistico, era legato da un rapporto di stima reciproca e di assidua frequentazione con Giacomo Salvini, al quale commissionò la grandiosa «stanza paese» per il Palazzo Davia Garagnani a Bologna e del quale fu un grande collezionista.
I fogli esposti, «attenti e meticolosi», testimoniano come il pittore bolognese seppe interpretare il genere del paesaggio con una nuova attenzione al vero, anche grazie alle sue frequenti escursioni nel contado bolognese, sostenute da un’assidua pratica di osservazione e di sperimentazione, che lo vide tra i primi a praticare la pittura en plein air.

Tramite riproduzioni di scene teatrali, schizzi per «boscherecce» e affreschi da interni, questi lavori raccontano, inoltre, la poliedricità dell’artista, la cui attività era sapientemente condotta tra scenografia, decorazione e vedutismo.

L’ordinamento del percorso espositivo, intitolato «L’album inedito di Giacomo Savini. Pittura di paesaggio al Museo Davia Bargellini», si basa sulla suddivisione delle vedute in cinque tipologie tematiche: «Luoghi di delizie», «Bologna e dintorni», «Appunti di viaggio», «Scorci quotidiani» e «Confronti». Tra borghi e pievi, tra ponti e angoli di Ancona e Parma, si giunge a fissare lo sguardo sulla vita quotidiana e su soggetti all’epoca ritenuti troppo modesti per essere rappresentati. I muri sbrecciati e invasi dai rampicanti, i lavatoi dove le donne si recano per fare il bucato, i vasi alle finestre, i panni stesi ad asciugare al sole sono, infatti, gli ultimi soggetti disegnati dall’artista. È la la fine del mito arcadico di ispirazione poetica del locus amoenus a favore di una raffigurazione del quotidiano priva di idealizzazione, che avrebbe caratterizzato molta della pittura successiva.

La mostra sull’album inedito, che è stato interamente pubblicato in un prezioso catalogo di White Book, è solo uno degli appuntamenti con il quale Bologna riscopre, in questi ultimi mesi del 2024 e nei primi del 2025, la figura di Giacomo Savini. Oltre a visite guidate, incontri, laboratori didattici e passeggiate per la città, al Museo dell’Ottocento è in programma, fino al 3 marzo 2025, la mostra «Dinastia Savini. Giacomo (1768 – 1842), Alfonso (1838 – 1908), Alfredo (1868 - 1924)», a cura di Francesca Sinigaglia e Ilaria Chia: un viaggio in novanta opere che - da padre in figlio, da figlio a nipote - spazia dal Neoclassicismo al Liberty, passando per la stagione dei quadri a soggetto storico e neopompeiano. Mentre al Museo civico del Risorgimento verrà proposto, dal 16 febbraio al 23 marzo 2025, il focus espositivo «Alfonso Savini ed Emilio Putti. Un pittore professionista ritrae un pittore amatoriale», a cura di Otello Sangiorgi e Roberto Martorelli. Il filo rosso che lega questi tre percorsi tra di loro - anche con le Collezioni comunali d’arte, dove si trova esposto il celebre dipinto «Auxilium ex alto» di Alfredo Savini, vincitore nel 1896 del Premio Baruzzi - è attestato da alcune agevolazioni e riduzioni dell’ingresso che si potranno ottenere presentando il biglietto di una delle sedi negli altri luoghi coinvolti.

Bologna focalizza, dunque, l’attenzione sulla sua storia e regala al pubblico un progetto, «Il secolo dei Savini», che dimostra quanto l’attento studio e la ricerca appassionata possano creare mostre di qualità, presentando al pubblico non sempre e soltanto i soliti grandi nomi della storia dell’arte. 

Informazioni utili 
L’album inedito di Giacomo Savini. Pittura di paesaggio al Museo Davia Bargellini. Museo civico d’arte industriale e Galleria Davia Bargellini, Strada Maggiore 44 – Bologna. Orario di apertura: Martedì, mercoledì, giovedì 10.00 - 15.00; Venerdì 14.00 - 18.00; Sabato, domenica, festivi 10.00 - 18.30; Chiuso lunedì non festivi. Ingresso: Gratuito. Catalogo: White Book, Bologna. Informazioni: tel. +39 051 236708 | museiarteantica@comune.bologna.it| www.museibologna.it/daviabargellini | Facebook: Musei Civici d'Arte Antica | Instagram: @museiarteanticabologna | Twitter: @MuseiCiviciBolo; Settore Musei Civici Bologna www.museibologna.it | Facebook: Musei Civici Bologna | Instagram: @bolognamusei. Fino al 23 marzo 2025

mercoledì 13 novembre 2024

L’antico Egitto nelle medaglie del Museo archeologico di Bologna

Era il 1994 quando il Museo civico archeologico di Bologna procedeva al riallestimento della sua sezione egizia, la cui collezione completa - tra le più significative in Europa e ovviamente in Italia, insieme con quelle di Torino e Firenze – conta circa 3.500 oggetti di straordinario valore storico, provenienti principalmente dalla raccolta del pittore Pelagio Pelagi (1775-1860), eminente artista bolognese molto attivo negli anni successivi alla caduta definitiva di Napoleone Bonaparte a Waterloo e al Congresso di Vienna (1815).

Originariamente esposta al primo piano di quello che nel Quattrocento era l'Ospedale di Santa Maria della Morte (poi Palazzo Galvani), simbolico edificio nel cuore antico della città, quell’anno la collezione fu spostata al piano interrato creando un percorso di visita cronologico e tematico per mostrare lo sviluppo dell'arte e della civiltà egiziana dall'Antico regno all'Epoca tarda, in un percorso che spazia tra manufatti di grande importanza storica e di varia tipologia - sculture, bassorilievi, bronzi, ceramiche, papiri e sarcofaghi, ma non solo -, tra i quali spiccano i cinque rilievi della tomba di Horemheb, generale dell'esercito al tempo del faraone Akhenaton che, con Tutankhamon, raggiunse i livelli più alti del comando militare, per diventare infine faraone.

Trent’anni dopo il museo - che è anche stato scelto dal fotografo Martin Parr come scenografia della sua mostra «Short & Sweet», un viaggio ironico e disincantato tra le manie e le eccentricità della società contemporanea - celebra l’anniversario con una serie di iniziative, tra le quali la quarta tappa del progetto espositivo «Il medagliere si rivela», volta a far conoscere la più che ricca collezione numismatica del museo.

Dopo le esposizioni tematiche su San Petronio (il patrono della città), il Natale e le due Torri (la Garisenda e l’Asinelli, che rendono inconfondibile lo skyline bolognese), i riflettori sono puntati proprio sull’Egitto con una vetrina tematica che accoglie una ventina di medaglie realizzate tra il XV e il XIX secolo, le cui iconografie testimoniano il lascito e la permanenza della civiltà egizia nella cultura occidentale.
«L’antico Egitto nelle medaglie del Museo archeologico di Bologna. Suggestioni culturali e sopravvivenze» è il titolo della rassegna - piccola, ma preziosa -, a cura di Paola Giovetti, Laura Marchesini e Daniela Picchi, liberamente fruibile fino al 16 dicembre nell’atrio del museo.

È bene ricordare che la civiltà egizia suscita grande interesse sin dai tempi degli antichi romani, che rimasero affascinati dalla ricchezza e magnificenza artistica della terra del Nilo.

Durante il Rinascimento, la conoscenza di questo Paese era prevalentemente indiretta, ovvero si basava su testi greci e latini. In quel periodo, la difficile comprensione dei geroglifici, interpretati come simboli figurati, fece ritenere l’Egitto un luogo di sapienza profonda e dissimulata, destinata a una cerchia ristretta di savi. A queste istanze culturali sono riconducibili le tre medaglie rinascimentali esposte nella mostra bolognese, nei cui emblemi compaiono elementi egittizzanti caricati di significati misteriosi che rendono, ancora oggi, non univoca l’interpretazione delle iconografie. Quella dedicata al celebre umanista Leon Battista Alberti raffigura un occhio alato e circondato da fiammelle, ispirato all’occhio risanato del dio egizio Horo (udjat). Quella per il condottiero Francesco Gonzaga II raffigura un emblema con piramide la cui interpretazione potrebbe trovarsi negli «Hieroglyphica», il testo più importante dell’epoca consacrato all’interpretazione dei geroglifici, scritto da Pierio Valeriano. A quest’ultimo personaggio è dedicata la terza medaglia che omaggia il suo importante lavoro di raccolta e collazione del sapere antico.

Con lo spirito della Controriforma alla Chiesa viene chiesto di prendere le distanze dal neopaganesimo del periodo precedente. Tuttavia i lavori di ammodernamento e di riassetto urbanistico della Capitale della cristianità portano alla luce numeroso materiale archeologico tra cui anche reperti egizi giunti in città durante l’età imperiale. Il desiderio di riscattare alla cristianità questi simboli dell’idolatria agli dei antichi è alla base delle celebri erezioni degli obelischi sotto il pontificato di Sisto V. A queste colossali imprese di elevazione dei monoliti sono dedicate quattro medaglie esposte al Museo archeologico di Bologna.

Il Seicento eredita l’impiego degli obelischi nel riassetto urbanistico dell’urbe, ponendo particolare cura all’estetica, nel pieno spirito barocco. Alcuni degli esemplari in mostra celebrano questa nuova istanza, con la raffigurazione dell’erezione dell’obelisco domizianeo sulla fontana dei Quattro Fiumi o con il racconto visivo del nuovo assetto di piazza del Popolo, che nel monolite esposto, proveniente dal Circo Massimo, trova il nuovo punto focale e prospettico.

Rinnovato interesse assumono, in questo periodo storico, anche le piramidi, per lo più ignote nelle loro fattezze e dimensioni reali, la cui iconografia nel nostro Paese si ispirava al locale modello del mausoleo di Gaio Cestio a Roma. Quest’ultimo edificio è ripreso in alcune medaglie, dove il significato simbolico di fermezza e incorruttibilità attribuito alle costruzioni egiziane viene riconosciuto per traslazione anche all’effigiato, come nel caso del cantante Farinelli.

Tra la fine del Settecento e l’Ottocento l’Egitto vive un momento di rinvigorito interesse, legato alle campagne napoleoniche di conquista del Paese. Assieme alle truppe militari viaggiava un’equipe di scienziati, storici e letterati, tra i quali il celebre artista e archeologo francese Dominique Vivant Denon (ricordato in una rara medaglia esposta), che ebbe l’importante compito di documentare l’antica civiltà egizia, facendola conoscere all’Europa intera.

L’incontro diretto con la terra del Nilo e la sua storia influenzò l’arte europea, compresa la medaglistica, che durante questa felice stagione toccò vette di raffinata eleganza e inventiva, contribuendo essa stessa alla diffusione di quella cultura entrata nella leggenda.
 
Celebratissima dalla medaglistica è l’occupazione dell’Egitto da parte del generale Napoleone Bonaparte, che nel dritto di una medaglia è raffigurato con con il nemes, il copricapo del faraone. Mentre due statue della dea Sekhmet, che l’esploratore e avventuriero Giovanni Battista Belzoni donò alla città di Padova, compaiono sulla medaglia dedicata alle sue scoperte, compiute per conto del governo britannico.

Chiude la breve rassegna un raffinato esemplare d’argento, emesso per l’inaugurazione nel 1839 del Museo Gregoriano Egizio in Vaticano, dove nel ristretto spazio del tondello si vede la prospettiva del vestibolo e della sala dei monumenti. L’allestimento, all’avanguardia per l’epoca, voleva valorizzare i reperti egizi di collezione e quelli rinvenuti sul territorio.

Didascalie delle immagini
[1. e 5.] Medaglia di André Galle per Napoleone, 1799 (diritto e rovescio) Bronzo, diam 35 mm Bologna, Museo Civico Archeologico, inv. 13041   La medaglia ricorda la presa dell’Alto Egitto da parte delle truppe napoleoniche e al dritto mostra il profilo di Napoleone che indossa il nemes, tipico copricapo del faraone.   [2. e 6.] Medaglia di Luigi Manfredini per Giovanni Battista Belzoni, 1819 (diritto e rovescio). Bronzo, diam. 53,5 mm. Bologna, Museo Civico Archeologico, inv. 9181 La medaglia, commissionata dalla città di Padova, esprime riconoscenza verso il concittadino G. B. Belzoni che le aveva donato due colossali sculture di Sekhmet, raffigurate al dritto, acquisite durante la sua spedizione in Egitto. [3. e 4.Medaglia di Pietro Girometti per papa Gregorio XVI, 1839 Bologna (diritto e rovescio). Argento, diam. 50,5 mm. Bologna, Museo Civico Archeologico, inv. 7370. La medaglia ricorda l’inaugurazione nel 1839 del Museo Gregoriano Egizio del Vaticano, voluto   da papa Gregorio XVI

Informazioni utili 
«Il Medagliere si rivela. L’antico Egitto nelle medaglie del Museo Archeologico di Bologna. Sugge-stioni culturali e sopravvivenza», a cura di Paola Giovetti, Laura Marchesini e Daniela Picchi. Museo civico Archeologico, via dell'Archiginnasio 2 | 40124 Bologna. Orari: lunedì, mercoledì, giovedì, ve-nerdì 9.00 - 18.00; sabato, domenica, festivi 10.00 - 19.00; chiuso nei martedì non festivi. Ingresso: la mostra è visitabile liberamente nell’atrio del museo. Informazioni: tel. +39.051.2757211 | www.museibologna.it/archeologico. Fino al 16 dicembre 2024

martedì 12 novembre 2024

«A occhi aperti»: a Bologna il fumetto e l’illustrazione raccontano il «corpo a corpo» tra l’uomo e l’ambiente

Può il disegno immaginare nuove relazioni con gli spazi che viviamo? Il paesaggio esiste a prescindere da noi o è il nostro sguardo a crearlo? Quale equilibrio è possibile tra l’uomo e ciò che esiste fuori di lui? Quali declinazioni di questo rapporto si possono raccontare con il fumetto e l’illustrazione? Sono queste domande a tessere la trama della seconda edizione del festival «A occhi aperti. Disegnare il contemporaneo», nato nel 2022, quale erede del celeberrimo «BilBolBul», per iniziativa di Hamelin, associazione che da più di vent’anni si occupa di letteratura per l’infanzia, fumetto e illustrazione attraverso mostre, laboratori, residenze, incontri, produzioni artistiche ed editoriali.

Dopo il progetto pilota dello scorso anno che ha raccontato il nostro modo di vivere la casa e la città, Bologna si prepara a diventare teatro, nelle giornate tra mercoledì 13 a domenica 17 novembre, di svariati eventi per riflettere – si legge nella presentazione - sul nostro «modo di stare nel mondo e col mondo», toccando questioni urgenti e di scottante attualità: «la crisi climatica, il bisogno di superare nozioni rigide di identità, la necessità tutta umana di sentirsi in armonia con un ambiente che sempre più appare indifferente o ostile».


Mostre
, incontri, tavole rotonde, una rassegna di cinema d’animazione e un comic reading, con protagoniste alcune delle eccellenze del fumetto di ricerca e dell’illustrazione contemporanea, compongono il ricco programma al quale farò da filo rosso il tema «Corpo a corpo. Il fragile equilibrio fra il paesaggio e noi».

L’evento più atteso è senz’altro «Costellazioni» (dal 15 novembre al 15 dicembre; inaugurazione giovedì 14 novembre, alle ore 19:30), la prima personale italiana di Dominique Goblet (Bruxelles, 1967), illustratrice e pioniera del graphic novel europeo, che, grazie a una residenza all’ombra delle Due Torri, si è confrontata con la storia dell’ex chiesa barocca di San Mattia, oggi spazio adibito alla convegnistica e alle esposizioni, gestito dalla Soprintendenza regionale per i Beni e le Attività culturali dell'Emilia Romagna, in passato luogo di culto abitato dalle «monache eremitesse», custodi della Madonna nera conservata nel Santuario di San Luca sul colle della Guardia, un ordine di clausura così potente da rispondere direttamente al Papato, liberandosi dalle ingerenze della Curia locale. Ne è nata una riflessione sul ruolo della donna nella società e sul corpo femminile in relazione al paesaggio, che presenta, tra l’altro, «Les forêts sombres» – lavoro di prossima pubblicazione in Belgio e in anteprima esclusiva al festival bolognese - che vede alcune donne, ritratte nella loro nudità, attraversare foreste come luoghi fisici e simbolici, in un gioco di luci e ombre, bianco e nero e colore.

L’artista belga - della quale in questi giorni viene pubblicato da Sigaretten «Paesaggi di carne», il suo primo libro italiano - curerà anche una rassegna filmica, dal titolo «Carta bianca», al cinema Modernissimo; incontrerà il pubblico allo spazio Das – Dispositivo arti sperimentali (via del Porto 11/2) in dialogo, prima, con l’antropologa e storica dell’arte Patrizia Cirino (sabato 16 novembre, alle ore 17) e, poi, con gli illustratori Gwénola Carrère e Joe Kessler (domenica 17 novembre, alle ore 11:30); e, infine, nella sua veste di docente di fumetto all’École de Recherche Graphique di Bruxelles, terrà una lezione agli studenti dell’Accademia di Belle arti.

L’istituzione bolognese sarà protagonista anche della rassegna «Avere vent’anni» (dal 14 novembre 2024 all’11 gennaio 2025; inaugurazione il 13 novembre, alle ore 17:30), una collettiva con sessanta opere di docenti e studenti per festeggiare i due decenni di attività del Corso di fumetto e illustrazione, il primo (e per lungo tempo il solo) in Italia. Sarà possibile vedere i lavori di attuali insegnanti come Otto Gabos, Sara Colaone, Gianluca Costantini, Andrea Bruno, Onofrio Catacchio, Lorenzo Ghetti, Maja Celija, ma anche di professori del passato quali Octavia Monaco, Chiara Carrer, Sergio Ruzzier, Alessandro Sanna, Adelchi Galloni e Paper Resistance. Non mancheranno in mostre le opere di ex studenti, oggi professionisti del settore, come Flavia Biondi, Bianca Bagnarelli, Iris De Biasio, Federica Ferraro, Alessandro Pastore, Emma Lidia Squillari e Luisa Torchio.

Festeggia gli anni nei giorni del festival bolognese anche Canicola, editore indipendente che ha trasformato la scena del fumetto di ricerca contemporaneo, che per i suoi vent’anni di attività darà vita a un happening di disegno e musica (TPO, via Camillo Casarini, 17/5, sabato 16 novembre, alle ore 20), in collaborazione con Maple Death, etichetta underground che compie dieci anni.

Tra le tante altre mostre da visitare in città - tutte visibili anche dopo la conclusione del festival «A occhi aperti» grazie al progetto «Vieni a vedere», realizzato con il contributo di Fondazione Carisbo – sono molto attese dagli appassionati di fumetto: «Per sparire» (Spazio &, via Guerrazzi 1, dal 14 novembre al 1° dicembre; inaugurazione il 13 novembre, alle ore 20), sulla ricerca creativa di Bianca Bagnarelli, nota per aver collaborato con «The New York Times», «Il Post», «The Atlantic», «Il Foglio» e «The Milaneser», e la personale dell’illustratrice francese Gwénola Carrère (Sof:Art, Corte Isolani, 1/c, dal 14 novembre al 8 dicembre; inaugurazione mercoledì 13 novembre, alle ore 20), già ospite apprezzata a Bologna, che presenterà al pubblico le sua utopia femminista con le tavole originali di «Extra-Végétalia», futuristico giardino dell’Eden abitato da donne che vivono in completa sintonia con la vegetazione.

Ritorna a Bologna anche il fumettista inglese Joe Kessler, cofondatore e direttore editoriale della casa editrice Breakdown Press, con «The Gull Yettin» (Squadro, via Nazario Sauro 27, dal 16 novembre al 7 dicembre; inaugurazione il 15 novembre, alle ore 20), che racconta, con un tratto espressionista e un disegno dai colori acidi, il trauma della perdita dei genitori attraverso la storia di un bambino orfano, diventato vagabondo, che viene perseguitato da un uccellaccio antropomorfo e mutaforma, compagno di viaggio ambiguo, che è insieme minaccia e guida.

Altra mostra molto attesa è «Tutto il corpo risuona» (Zoo, Strada Maggiore 50/a, dal 14 novembre 2024 al 15 gennaio 2025; inaugurazione mercoledì 13 novembre, alle ore 21), con un focus sul libro «La caverna degli abbracci» (Canicola Edizioni, 2024) di Andrea De Franco, autore poliedrico che si muove nel panorama underground italiano, che sperimenta una narrazione libera nella quale il disegno si fa scrittura.

Ci sono anche due collettive: «NudeDoodle» (Inuit Atelier, via Sant’Apollonia, 23, dal 13 al 18 novembre; inaugurazione martedì 12 novembre, ore 19:30), un'esposizione degli schetch book nati durante un ciclo di incontri di disegno dal vivo con modelli e modelle; e «Rosa masticato» (Titivil, via Mascarella, 31/a, dal 15 novembre al 1° dicembre; inaugurazione sabato 16 novembre, alle ore 19:30), rassegna a cura di Titivil e Martina Sarritzu, che riunisce Karla Paloma, Elsa Klée, Lucile Ourvouai e la stessa Martina Sarritzu. In mostra due delle zine antologiche più interessanti del panorama contemporaneo: «Hairspray magazine», raccolta di storie intime intorno alla memoria, alla sessualità e all’esperienza personale, e «Fanatic Female Frustration», dedicata a Aline Kominsky-Crumb, figura centrale nella scena del fumetto underground americano, che si propone di far rivivere e continuare la tradizione delle fanzine a fumetti autobiografiche femministe.
Le quattro artiste saranno anche protagoniste di una conversazione con la critica e traduttrice Maria Nadotti (sabato 16 novembre, alle ore 15, al Das - Dispositivo arti sperimentali) e animeranno il comic reading «Sloppy Talk», format che per la prima volta viene presentato al festival, durante il quale saranno letti alcuni racconti a fumetti dall’antologia «Autumn in Berlin» e da «Anti Baby», «Elsa and the Haters» e «La signora dei bianchini e la sindrome dell’estasi perduta», con una colonna sonora speciale (venerdì 15 novembre, alle ore 20:30, al Das - Dispositivo arti sperimentali).

In un percorso che mette principalmente sotto i riflettori «corpi in trasformazione, corpi fuori scala, corpi che rivendicano e che affermano la loro unicità», il programma espositivo del festival «A occhi aperti» è completato dalle personali di Jul Maroh sulle icone della comunità queer e transgender (al Das – Dispositivo arti sperimentali, via del Porto 11/2, fino al 17 novembre), di Liza De Nardi sulle nostre intimità quotidiane (da Canicola c/o Casa del custode, Parco della Montagnola, via Irnerio 2/3, dal 12 al 18 novembre; inaugurazione lunedì 11 novembre, ore 18), di Martoz e Gloria Pizzilli (all’Inuit Bookshop, via G. Petroni, 13/a, dal 13 novembre al 1° dicembre; inaugurazione martedì 12 novembre, alle ore 19) con le loro «anatomie misteriose come paesaggi senza prospettiva», e del disegnatore argentino José Muñoz con le illustrazioni per il «Bologna Jazz Festival 2024» (nelle Bacheche di Cheap, via Indipendenza, via San Giuseppe, via Mascarella, via Castiglione, via Ugo Bassi, via Marsili, fino al 17 novembre).

«A occhi aperti», che presenta anche un bookshop con le principali novità editoriali, prevede, inoltre, un focus sul cinema d’animazione realizzato in collaborazione con la Emca di Angoulême, che porterà a Bologna oltre trenta cortometraggi di sedici artiste e artisti che hanno studiato nella scuola, realizzati con la complicità di Ahmed El Nessib.

A chiudere il programma sarà l’inaugurazione della nuova stanza d’artista al Phi Hotel Bologna (domenica 17 novembre, alle ore 19:30, in via de’ Fusari, 9), albergo di lusso nel cuore della città, che da anni sostiene il disegno contemporaneo. Si conosce solo il tema che ha dato vita all’idea progettuale per la camera: il mare. Il resto è una sorpresa non tanto per chi in quella stanza dormirà quanto per chi, entrandoci, sognerà «A occhi aperti».

Didascalia delle immagini
Illustrazione di Gwenola Carrère, 2. llustrazione di Joe Kessler per The Gull Yettin; 3. Illustrazione di Dominique Goblet; 4. Illustrazione di Lucile Ourvouai; 5. Illustrazione di Andrea De Franco per Tutto il corpo risuona; 6. Immagine esposta nella mostra Naked Lines (Martoz + Pizzilli); 7. Immagine di Andrea Bruno per Il bacio  
 
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