ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 10 aprile 2024

«Restaurando Canova», nuova vita per l’«Apollino» e la «Testa di vecchio» delle Collezioni comunali d’arte di Bologna

Due anni fa, in occasione del bicentenario della morte di Antonio Canova (Possagno, 1757 – Venezia, 1822), i Musei civici d’arte antica di Bologna diedero vita un progetto di tutela, valorizzazione e conservazione dell’opera dell’artista ottocentesco, restaurando due sculture appartenenti alle collezioni comunali d’arte: l’«Apollino» (1797) e la «Testa di vecchio» (1820-1830). I due progetti conservativi – che hanno coinvolto l’Opificio delle Pietre Dure, il Museo Gypsotheca Antonio Canova e il Politecnico di Milano – Dipartimento di design e Laboratorio di restauro «Ottorino Nonfarmale» - sono stati recentemente presentati, anche in diretta streaming, al grande pubblico nella Cappella Farnese di Palazzo D’Accursio.
Entrambe le sculture sono pervenute alle collezioni comunali d’arte grazie alla donazione disposta nel 1878 dallo scultore Cincinnato Baruzzi (Imola, 1796 – Bologna, 1878), allievo di Canova e a lungo direttore del famoso studio romano del maestro in via delle Colonnette, a favore del Comune di Bologna, nominato suo erede universale.

L’«Apollino» (cm 53 x 145 x 44 x 62, altezza base cm 78), capolavoro della fase giovanile, fu restituito al catalogo dell’artista veneto nel 2013 da Antonella Mampieri, storica dell’arte dei Musei civici d’arte antica di Bologna, sito in cui la statua era sempre stata esposta, a partire dagli anni Trenta del Novecento, ma riferita allo scultore Cincinnato Baruzzi, che lo aveva acquistato sul mercato antiquario internazionale negli anni Cinquanta dell’Ottocento.
Il lavoro, in marmo bianco apuano, deriva da una lunga riflessione dell'artista sul tema del nudo giovanile, iniziata con l'«Amorino Lubomirski» (1786 - 88), conservato nel Castello Łańcut in Polonia, e proseguita con altre tre versioni idealizzate del medesimo tema: l’«Amorino Campbell» (1787 - 89) dell’Anglesey Abbey di Cambridge, l’«Amorino La Touche» (1789) della National Gallery of Ireland a Dublino e l’«Amorino alato Jusupov» (1793 - 97) all’Ermitage di San Pietroburgo.
Il dio è rappresentato come un giovane nudo dalle forme perfette, in appoggio sulla gamba destra e con la sinistra flessa, leggermente scartata di lato. Il corpo è animato da una lieve torsione serpentinata. Il volto androgino è incorniciato da una chioma di capelli lievemente arricciati e raccolti classicamente sulla sommità del capo in un nodo, che esalta l’effetto etereo della luce. Apollo trattiene con la mano sinistra l’arco, che termina con delle piccole teste di rapace, appoggiato al suolo, in evidenza rispetto alla corteccia del tronco posto dietro di lui. Con la mano destra tratteneva una freccia di metallo, ora perduta. La faretra è legata con un fiocco al tronco d’albero dove il serpente Pitone sta avviluppando le sue spire.
La scultura, scolpita a tutto tondo, è associata al piedistallo di marmo, concepito come un’antica ara. Questo, un cilindro dalla forma a rocchetto, è decorato con festoni vegetali trattenuti da nastri e borchie sul fusto. Gli elementi decorativi sono scolpiti a basso e alto rilievo. Il disco superiore o bilico è variamente modanato e decorato da una fascia perlinata sormontata da una decorazione vegetale dal profilo convesso. La base del piedistallo si presenta variamente modanata e con una fascia concentrica decorata con foglie e bacche di alloro a profilo convesso di imposta al fusto. Il basamento cilindrico è ancora dotato del congegno originario che permetteva la rotazione a 360° della scultura, presente anche in altre opere scultoree di Canova, e in occasione del restauro è stato ripristinato e rimesso in funzione.
L'intervento conservativo ha interessato la pulitura delle superfici e lo studio degli strati superficiali protettivi applicati in passato, per procedere all’eliminazione dei materiali dannosi e non più idonei per l’opera (materiale di deposizione, incrostazioni e collanti).

In occasione del restauro, il Dipartimento di design del Politecnico di Milano, con la direzione scientifica di Giuseppe Amoruso, si è posto l’obiettivo di riprodurre l’opera con le più moderne tecnologie per proporne un nuovo allestimento interattivo ed esperienziale. Il team di ricerca è partito da alcune domande: cosa può giustificare la replica di un capolavoro artistico? Come è possibile, superando le difficoltà tecniche e operative della riproduzione, trasmettere a coloro che la visiteranno quei valori tangibili e intangibili che riflettono ed amplificano i concetti di materialità, fragilità e immaginazione tattile?
Nella prima fase di sviluppo è stata completata l’acquisizione tridimensionale dell’opera tramite la tecnica di scansione senza contatto, attualmente considerata il metodo più efficace per ricavare la morfologia della superficie di un oggetto di forma complessa e di difficile riproduzione fotografica a causa dei numerosi dettagli anatomici e decorativi. Il procedimento ha sperimentato l’utilizzo di uno scanner a luce strutturata, tecnologia che permette di ricostruire la geometria degli oggetti attraverso la proiezione di pattern di luce codificati, che vengono deformati quando si proiettano sul soggetto. I pattern di luce strutturata, solitamente bianca, sono costituiti da motivi geometrici codificati; la fotocamera acquisisce questi modelli di luce distorti, fotogramma dopo fotogramma, mentre il software di scansione analizza la griglia e ricostruisce accuratamente le superfici dell'oggetto. A seconda delle dimensioni dell'oggetto e della durata della scansione, in una sola sessione lo scanner 3D può acquisire decine, centinaia o addirittura migliaia di fotogrammi. La luce riflessa viene trasformata in un modello ad alta risoluzione tramite gli algoritmi di riconoscimento e ricostruzione. Con questo procedimento iterativo si determinano i punti sulla superficie che sono rispettivamente più vicini o più lontani dalla fotocamera. Dal modello geometrico, completato con la rappresentazione dello stato superficiale della scultura (la sua texture), sono state rappresentate le ortofoto (proiezioni ortografiche) a beneficio del successivo intervento di conservazione e il prototipo della maniglia presente sul bilico rotante su cui poggia la statua per poterne poi realizzare una copia e integrare quella mancante. Infine è stata realizzata la replica tattile in scala 1:1 (tramite la stampa 3D) per poter portare il visitatore alla scoperta di quei dettagli che svelano il mito e la sua traduzione nella forma scolpita: i capelli raccolti in un nodo nella parte superiore del cranio, le lunghe ciocche che accarezzano il collo e le spalle del giovane Apollo, i lineamenti del viso che rappresentano la perfezione classica e il desiderio di purezza espressiva.

La «Testa di vecchio» (cm 51 x 52 x 24, altezza base cm 22), databile tra il 1820 e 1830, è un'opera non certa del catalogo di Antonio Canova ed è considerata la sua unica scultura in terracotta, stando a quanto è riportato su una base in marmo con epigrafe latina («Unicum Canovae Plasma») commissionata da Cincinnato Baruzzi. L'attendibilità dell’attribuzione è stata messa in discussione da parte della critica e forse proprio grazie a questo restauro sarà possibile affrontare nuovamente il problema. Tuttavia va sottolineata l'alta qualità del ritratto particolarmente vivo, alla cui naturalezza contribuiscono la lieve rotazione su cui si dispone il personaggio e il torso nudo, altre volte presente nella produzione ritrattistica dello scultore.
L’intervento conservativo, condotto da Giovanni Giannelli del Laboratorio di restauro «Ottorino Nonfarmale», ha recuperato a una migliore leggibilità il lavoro, che torna così alla fruizione del pubblico e all’attenzione degli storici dell’arte, libera da colorazioni incoerenti e da restauri inadeguati, offrendosi a una nuova valutazione critica. Le operazioni di restauro sono state finalizzate alla pulitura completa di tutta la superficie del busto e della base, alla rimozione di tutte le stuccature di giunzione tra i vari elementi e di ricostruzione, alla rifinitura della pulitura della superficie.

Durante l'intervento sono state, inoltre, rilevate nella parte retrostante della scultura delle impronte digitali rimaste sull’argilla durante le fasi di plasmatura. Queste sono state analizzate e comparate dall’Università degli Studi di Padova con il dataset di impronte di Antonio Canova conservato alla Gipsoteca di Possagno, con l’acquisizione di ulteriori dati utili per quanto riguarda l’attribuzione dell’opera. Ora tocca agli studiosi dire la loro.

Informazioni utili
Collezioni comunali d’arte - Palazzo d’Accursio, piazza Maggiore 6 - 40121 Bologna, tel. +39 051 2193998, museiarteantica@comune.bologna.it | www.museibologna.it/arteantica | Facebook: Musei Civici d'Arte Antica | Instagram: @museiarteanticabologna | TiKTok: @museiarteanticabologna | X: @MuseiCiviciBolo

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