È solo nel Novecento, con la riscoperta del Manierismo e dei suoi protagonisti, che il nome dell'artista riaffiora: il primo a interessarsi al suo lavoro è Roberto Longhi in un saggio del 1952; seguono gli studi di Antonio Pinelli (1967), Louis A. Waldman (2001) e Simone Giordani (2007). La prima importante mostra monografica organizzata in Europa (ancora visibile per qualche giorno alle Gallerie dell’Accademia di Firenze) risale, invece, alla fine del 2023.
Mentre circa una quarantina di opere autografe, tra dipinti e disegni, hanno, dunque, riacceso le luci sulla vita e sulla carriera artistica di Pier Francesco Foschi, anche grazie al recupero e alla riscoperta di alcuni suoi dipinti religiosi presenti nel territorio fiorentino, un restauro ha tolto la grigia patina del tempo da una delle sue tre opere per la fiorentina Basilica di Santo Spirito: la «Trasfigurazione», importante pala d'altare conservata nella cappella Capponi d’Altopascio.
L’intervento conservativo, commissionato dalle Gallerie dell'Accademia, è stato eseguito da Kyoko Nakahara, per quanto riguarda la superficie pittorica della tavola, e da Francesca Brogi, in collaborazione con la Bottega d’Arte Maselli di Gabriele Maselli, per la cornice originale, intagliata e dorata, sotto la Direzione Lavori e l’Alta sorveglianza della Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato (SABAP-FI), in accordo con il Priore della Basilica, padre Giuseppe Pagano. Il dipinto, viste anche le dimensioni, è stato smontato dall’altare, tolto dalla cornice e spostato in un cantiere creato ad hoc all’interno della chiesa, una pratica più appropriata per la conservazione dell’opera che così non ha subito particolari cambiamenti climatici e neppure sollecitazioni, dovute al trasporto in un laboratorio esterno.
La «Trasfigurazione» è una delle tre pale di Foschi che sono ancora nella Basilica di Santo Spirito e che già Vasari ricorda in questo luogo, pur senza precisarne i soggetti, fin dal 1550. Il dipinto era stato commissionato dal facoltoso mercante fiorentino Piero di Giovanni Bini nel corso del 1545 e completato al più tardi entro il 1546. L’opera, ornata di una cornice monumentale ascrivibile alla bottega di Baccio d’Agnolo, fu collocata sull’altare della Cappella Bini nel transetto sinistro, ma nell’Ottocento venne trasferita nella Cappella Capponi d’Altopascio, dove tuttora si trova. Il soggetto prescelto è estremamente significativo poiché, secondo Sant’Agostino, la Trasfigurazione di Cristo tra Mosè e Elia alla presenza degli apostoli Giacomo e Giovanni è un episodio che prefigura la Morte e Resurrezione di Gesù. Il pittore mette in scena una vera e propria visione, in cui la raffinata scelta cromatica impreziosita di effetti cangianti, le lunghe e ascetiche figure dei Profeti fluttuanti accanto allo squarcio luminoso tra le nubi e gli Apostoli, sgomenti ai piedi del Cristo, fanno del dipinto uno dei vertici della produzione di Foschi, alla metà del Cinquecento. Le altre due pale, ubicate nei primi due altari, a destra e a sinistra, entrando nella Basilica, raffigurano la «Concezione della Vergine» e la «Resurrezione». Il Foschi viveva proprio nel quartiere di Santo Spirito, ed era cresciuto in contesto familiare non estraneo al savonarolismo. Le tre opere furono eseguite a distanza di pochi anni e i soggetti raffigurati sono tutti in relazione con i misteri di Santo Spirito, a cui la chiesa è dedicata ed è possibile che gli agostiniani, come aveva sottolineato Roberto Longhi, avessero avuto un ruolo in quella scelta. Sono gli anni in cui la basilica agostiniana era al centro di un acceso dibattito religioso, a ridosso del Concilio di Trento del 1545.
Malgrado l’imperfezione del legno, la tavola si trovava in una buona condizione da un punto di vista strutturale. La superficie pittorica appariva piuttosto opaca, offuscata dall’accumulo di depositi di origine atmosferica e di nero fumo di candele, con una pesante patina di natura diversa. L’opera aveva subito una pulitura pregressa molto grossolana e drastica, presumibilmente nel secolo XIX, se non prima. Era stata alterata da alcuni ritocchi situati sui panneggi dei santi e da una ridipintura sulle nuvole, all’altezza del braccio alzato di San Pietro, per nascondere il degrado causato presumibilmente dal fumo di candela.
Sono state effettuate varie indagini diagnostiche non invasive: la tecnica di fotografia in VIS - IR riflesso - IR falso colore, l’analisi spettroscopica Fors (Spettroscopia in riflettanza con fibre ottiche) e la Xrf (Fluorescenza Raggi X), al fine di comprendere la tecnica di esecuzione e le condizioni conservative, soprattutto nelle parti più critiche, dovute ai pregressi restauri aggressivi.
Come prima operazione, quindi, è stata effettuata la disinfestazione anossica, in quanto sia la tavola sia la cornice hanno subito un’ingente infestazione di insetti xilofagi, seguita poi dalla disinfestazione preventiva. Il dipinto è stato successivamente sottoposto all’intervento di pulitura. Il restauro effettuato ha voluto garantire una buona stabilità del supporto dell’opera e una buona conservazione degli strati preparatori, pittorici e dorati nel tempo, in particolare, di restituire una migliore lettura del valore formale e cromatico della pala notevolmente offuscata, e contribuire, dunque, ad una maggiore leggibilità.
La cornice in legno intagliato nello stile del manierismo fiorentino, dorata a foglia d’oro con la tecnica a guazzo, è quella originale. Il restauro è consistito sostanzialmente nell’intervento di pulitura della superficie dorata e dello stemma policromo/dorato con la rimozione degli strati di depositi atmosferici e dello spesso strato di ‘patine’ scure con i materiali e la metodologia idonei (solventi organici neutri, le basi, tensioattivi, addensanti, ecc.). Su indicazione della Direzione Lavori, non sono stati ricostruiti gli elementi lignei decorativi mancanti, come alcune teste dei putti o le numerose roselline e palmette, in quanto tale intervento sarebbe stato arbitrario. Sull’intera cornice è stato dato, infine, uno strato protettivo.
«Grazie al restauro, un omaggio all’artista caduto ingiustamente nell’oblio, la «Trasfigurazione» – racconta Cecilie Hollberg delle Gallerie dell'Accademia di Firenze – ha recuperato l’originale freschezza e ci ha riservato delle sorprese riguardo le modalità operative del Foschi, di cui sono state, anche, rivenute, sulla superficie pittorica, le impronte digitali. Attraverso l’analisi dei pigmenti, è stato possibile capire meglio la tavolozza dell'artista e le caratteristiche della sua pittura, contraddistinta da effetti di raffinato cangiantismo. Nel corso della movimentazione della «Resurrezione», un’altra grande pala che il Foschi realizzò per la stessa Chiesa di Santo Spirito, eccezionalmente esposta in mostra, abbiamo individuato invece il monogramma-firma del pittore, finora non conosciuto». Un ulteriore tassello, questo, per approfondire la conoscenza di un pittore del Cinquecento, a torto dimenticato.
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