Ispirato all'episodio biblico dell'«Ultima cena», l’olio su tela di grandi dimensioni (settanta metri quadrati di superficie dipinta su una tela di 560 x 1309 centimetri) affronta il tema con uno stile mondano e festoso, già sperimentato dall’artista veneto a partire dalle «Nozze di Cana» del 1563, tela oggi conservata al Louvre di Parigi.
Proprio la frizzante convivialità della scena raffigurata con colori chiari e luminosi, e con il chiaroscuro ridotto al minimo, all’interno di una cornice architettonica monumentale di ispirazione classicheggiante, che vedeva la presenza di figure inconsuete come il servo che perde sangue dal naso, il buffone nano con il pappagallo, gente ebbra e persino alcuni alabardieri «armati alla tedesca», costrinse il Veronese a fronteggiare le accuse di eresia da parte del tribunale della Santa Inquisizione.
In sua difesa l’artista dichiarò, con ostentata ingenuità: «nui pitori si pigliamo la licentia che si piglino i poeti et i matti. Se nel quadro vi avanza spacio io l’adorno di figure, secondo le inventioni». Il Veronese difese cioè il proprio diritto a usare la fantasia e a inserire personaggi di «ornamento» alla scena centrale, stando tuttavia attento a porre tutte le figure più fantasiose all’esterno dello spazio occupato da Cristo.
Obbligato comunque a emendare in tre mesi gli «errori» contenuti nel dipinto, di fatto già ultimato, il pittore ovviò al problema trasformando quella che doveva essere un'«Ultima Cena» in un «Convito a casa di Levi», esplicitando in primo piano il riferimento a un altro passo biblico, tratto dal quinto capitolo del vangelo di Luca (7, 36-50), con l’iscrizione «Fecit D. Covi. Magnu. Levi – Lucae Cap. V.».
«C’era una folla di pubblicani e d’altra gente seduta con loro a tavola. I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: “Perché mangiate e bevete con i pubblicani e i peccatori?”. Gesù rispose: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi”»: sono, queste, le parole evangeliche a cui il pittore veneto dà colori e forma con la sua arte. Un’arte da cui sprigiona «un senso di letizia, di giovinezza, di calma appagante», «il pieno abbandono all’incanto del colore puro, fresco, primaverile, […] vibrante alla luce d’un cielo sereno», scriveva Adolfo Venturi all’inizio del Novecento nel suo manuale di storia dell’arte.
Chi, in questi giorni, visita le Gallerie dell’Accademia di Venezia vede il capolavoro del Veronese, saccheggiato dai francesi alla fine del XVIII secolo per essere esposto al Musée Napoleon di Parigi (a partire dal 1797) e restituito all’Italia nel 1815, in una veste inedita, ovvero utilizzato come scenografica quinta teatrale di un’opera site-specific dal forte impatto visivo: «Convito di vetro». Si tratta di un opulento tavolo delle meraviglie lungo otto metri per due su cui sono esposti, in uno stringente gioco di rimandi con il «Convito a casa di Levi», oltre duecento manufatti tra brocche, bottiglie, calici, bicchieri, caraffe, decanter, alzate, vasi, candelieri, ciotole e bomboniere, ma anche fiori, ortaggi e frutta, disegnati da ventisette designer e realizzati a Murano nell’arco di circa un secolo, dagli anni Venti del Novecento ai giorni nostri. Le lastre di vetro su cui sono allestiti i trentadue servizi, provenienti da collezioni pubbliche e private, esaltano il riflesso e i colori scintillanti del vetro; mentre la tovaglia bianca è un richiamo visivo al vicino dipinto del Veronese.
Dopo «Cristiano Bianchin, Figure» (2018), «Ritsue Mishima – Glass Works» (2022) e «Laura De Santillana. Oltre la materia» (2023), il museo veneziano ha così aperto ancora una volta le porte alla «Venice Glass Week» - evento settembrino che anima ogni angolo della città celebrando la sapiente cultura artistica, artigiana e industriale muranese - e, questa volta, lo ha fatto avvalendosi della collaborazione della Pentagram Stiftung e della curatela di Sung Moon Cho, storica dell’arte specializzata in servizi da tavola del Novecento.
Vale la pena sottolineare che, fin dall’inizio dell’attività, Murano ebbe un ruolo fondamentale nell’arte del vetro da tavola, in particolare nei secoli XV-XVI, quando le fornaci presenti sull’isola tradussero in vetro il linguaggio classico del tempo, ampliando al contempo la gamma degli oggetti di uso domestico realizzati. Nei dipinti veneziani rinascimentali, di cui alcuni notevoli esempi sono conservati alle Gallerie dell’Accademia, si possono osservare diverse tipologie di questi oggetti: bicchieri, calici, brocche, caraffe, piatti, coppe e compostiere, che ispirarono, all’inizio del XX secolo, una vera e propria rinascita estetica del vetro da tavola di Murano. È anche questa la storia che viene raccontata dall’installazione a cura di Sung Moon Cho, che ha scelto come criterio espositivo l’ordine cronologico, invitando i visitatori all’osservazione in senso orario.
La prima sezione è dedicata alla V.S.M. Cappellin Venini & C., fondata nel 1921 e protagonista del primo movimento di modernizzazione. Sensibili al nuovo interesse per il linguaggio classico e consapevoli del cambiamento di gusto verso la sobrietà che stava dominando le nuove residenze borghesi, Paolo Venini e Giacomo Cappellin – con il loro direttore artistico, il pittore Vittorio Zecchin - diedero vita a un nuovo repertorio di servizi da tavola in vetro, dalle forme sobrie ed essenziali, di grande raffinatezza anche per l’uso di colori delicati e discreti (come il fumé, l’ambra, il pagliesco, l’ametista, l’azzurro e il verdognolo), in un evidente richiamo alla tradizione vetraria del Cinquecento. Emblematico di questo nuovo stile è il cosiddetto vaso «Veronese», disposto al centro della tavola in quattro varianti, che i maestri vetrai muranesi realizzarono prendendo come modello il vaso con piede e collo allungato dipinto nell’«Annunciazione» (1580) del maestro veneto, conservato alle Gallerie dell’Accademia.
La sezione successiva è, invece, dedicata agli anni Trenta, periodo in cui il gusto stava evidentemente evolvendo verso forme più geometriche nonché colori vivaci e audaci, grazie all’apporto di due grandi artisti quali Carlo Scarpa e Napoleone Martinuzzi. Entrambi diedero un notevole contributo alla rinascita del vetro da tavola, sperimentando e reinventando varie tecniche antiche di Murano, come è evidente nei portacandele «Fungo» in vetro sommerso o corroso, nel servizio in mezza filigrana o nella coppa interamente realizzata in pasta vitrea rossa.
Proseguendo il nostro viaggio nel tempo, nei decenni successivi alla Seconda Guerra mondiale e fino agli anni Ottanta, la creatività di designer italiani e stranieri rivitalizzò la produzione di oggetti da tavola in vetro a Murano, come dimostra la terza sezione, con un focus sulla fornace di Paolo Venini, che svolse un ruolo pionieristico nell'instaurare un legame tra design e artigianato, collaborando con importanti designer milanesi come Gio Ponti e Massimo Vignelli, ma anche con l’americano Charles Lyn Tissot. Della famiglia Venini sono esposti anche i lavori di Ludovico Diaz de Santillana e di Laura de Santillana, della quale si può ammirare un suo raro e unico servizio da tavola (denominato «Sei sensi»), che non è mai stato mostrato finora in Europa.
Mentre per il periodo che va dagli anni Novanta a oggi, la mostra presenta artisti dai profili più diversi, alcuni dei quali introducono una rinnovata consapevolezza del tema attuale della sostenibilità e del riciclo dei materiali o della salvaguardia della tradizione dell’arte vetraria muranese, in pericolo di estinzione. Per gli anni Duemila, si evidenzia il contributo di artisti visivi che impiegano il vetro come mezzo privilegiato quali Maria Grazia Rosin e Tristano di Robilant. Mentre l’oggi è rappresentato da designer quali Stories of Italy, T Sakhi – Tara & Tessa Sakhi e YALI Glass, i cui oggetti, adattati alle esigenze contemporanee, consentono di apprezzare la qualità e la storia dell'artigianato muranese nella vita quotidiana. Infine, Lilla Tabasso (1973) e Bruno Amadi (1946) decorano il centro della tavola con fiori e verdure dalle forme meravigliosamente realistiche, frutto della lavorazione a lume. I loro sono manufatti emblematici di una storia che si rinnova giorno dopo giorno, rimanendo sempre attenta al bello e all’artigianalità.
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Didascalie delle foto
Vista della mostra «Convito di vetro» nella sala X delle Gallerie dell'Accademia a Venezia. Fotografie di Matteo De Fina
Informazioni utili
Gallerie dell’Accademia, Campo della Carità 1050 – Venezia. Orari di apertura: lunedì, dalle ore 8:15 alle ore 14:00 (la vendita dei biglietti termina alle ore 13:00); da martedì a domenica, dalle ore 8:15 alle ore 19:15 (la vendita dei biglietti termina alle ore 18:15). Biglietti; intero € 15.00, ridotto € 2.00 (giovani 18 -25 anni cittadini dell'UE e acquisto con 18app), gratuito per i minori di 18 anni; Prima mattina € 10,00 (biglietto individuale acquistabile tra le 8:15 e le 9:00 con ultimo ingresso entro e non oltre le 9:15); Due giorni € 22,00 (biglietto individuale valido 2 giorni nell’anno solare); Arteritivo € 10,00 (biglietto individuale dedicato ai giovani tra i 26 e i 35 anni non compiuti, valido tutti i venerdì tra le 17:15-19:00; ultimo ingresso entro e non oltre le 18:15); Insieme € 12,00 (biglietto individuale dedicato ai gruppi tra i 10 e i 25 adulti sopra i 26 anni). L'accesso alle mostre è consentito con lo stesso titolo d'accesso. In occasione di esposizioni temporanee il prezzo del biglietto è suscettibile di variazioni. Per maggiori informazioni: https://www.gallerieaccademia.it/informazioni.
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