Alla distruzione sopravvisse la sola chiesa di santa Maria foris portas, luogo sacro inserito dal giugno 2011 nella lista dei Patrimoni mondiali dell'Umanità di Unesco, insieme con altri sei siti densi di testimonianze architettoniche e pittoriche dell’età longobarda.
La fama di questo luogo, che fu scoperta il 7 maggio 1944 dallo storico e archeologo lombardo Gian Piero Bognetti, è legata al ciclo di affreschi che decora il vano dell'abside, considerato una tra le più alte testimonianze della pittura muraria nell'alto Medioevo.
Si rivela, dunque, prezioso l’intervento di monitoraggio e di manutenzione delle opere pittoriche in programma fino alla primavera del 2025, che vedrà al lavoro Luigi Parma e che è stato promosso nell’ambito di «Restituzioni», il programma biennale di restauri di opere d’arte appartenenti al patrimonio culturale italiano, a cura di Intesa Sanpaolo.
L’intervento conservativo, a cui potranno assistere i visitatori nei consueti orari di apertura della chiesa, consentirà una mappatura completa dello stato di conservazione degli affreschi, una spolveratura e una pulitura a secco, agendo con iniezioni di malta idraulica naturale laddove si rilevassero distacchi dell’intonaco.
Le origini del piccolo edificio religioso, ora sconsacrato, sono difficilmente ricostruibili: in passato si è pensato che l’edificazione della chiesa fosse databile al VII-VIII secolo; oggi, in seguito a un’accurata ricerca di Carlo Bertelli (supportata dall’esame della termoluminescenza), si è spostata l’epoca di fondazione intorno al secondo quarto del IX secolo, all’interno della temperie culturale carolingia. Sebbene edificata con materiali poveri e rinvenuti in zona, quali ciottoli di fiume, l'architettura è raffinata e mostra forti influenze mediorientali (siriache per la precisione), come ben documenta la pianta a trifoglio, non comune in Occidente.
Delle tre absidi, una sola sussiste, ed è quella dove si trovano le pitture rinvenute da Giampiero Bognetti e rimaste a lungo nascoste sotto uno strato d'intonaco quattrocentesco.
Il programma pittorico, la cui squisita ricchezza contrasta con la disadorna umiltà delle pareti dell’aula, racconta, con un linguaggio fortemente naturalistico e impressionistico, storie dell’infanzia di Gesù (dall’Annunciazione alla presentazione al tempio) e celebra il dogma dell’Incarnazione, tema caro alla teologia dei cristiani d’Oriente, nel quale si «parla» della consustanzialità di Cristo, ovvero della perfetta unione tra natura umana, implicita nei soggetti della vita di Cristo incarnato, e natura divina, come nella rappresentazione del Cristo pantocrator. Anche la fonte ha provenienza orientale: ai Vangeli canonici si è preferito un testo apocrifo, compilato in Egitto e diffuso con il nome di Protovangelo di Giacomo.
Difficile datare le pitture, che risalgono in ogni caso a prima della metà del X secolo, per via di un'iscrizione, graffita al di sopra della superficie pittorica, che ricorda Arderico, arcivescovo di Milano, eletto nel 936 e morto nel 948. Tre sono le principali ipotesi: l’età tardo antica (VI secolo), quando a seguito della guerra greco-gotica la penisola fu conquistata dai bizantini; l’età Longobarda (VII secolo) quando, per contrastare l’eresia ariana che negava la natura divina di Cristo, si ribadirono le miracolose storie legate al suo concepimento; e il IX secolo, nel contesto della contrapposizione tra Chiesa orientale e papato sul culto rivolto alle immagini sacre.
La straordinaria libertà nelle composizioni, l'uso di uno spazio illusionistico e scenografico, insieme alle figure allungate e a una tecnica rapida, di grande freschezza, giocata su una combinazione di pochi, essenziali colori (ocra, calce, nero di carbone) ci riportano a un'atmosfera anticheggiante, memore della grande pittura romano-classica.
La tecnica pittorica del frescante, conosciuto come Maestro di Castelseprio e forse originario di Costantinopoli dato che i nomi dei personaggi sono riportati in caratteri greci, appare sapiente: la sua mano sembra veloce e sicura (in alcuni casi il disegno dei contorni è fatto direttamente col colore), le velature danno una luminosità diffusa, le ombre sono ben definite e le lumeggiature appaiono pastose.
Il ciclo affrescato, disposto su due ordini e non diviso da riquadri, ha inizio, nell’emiciclo absidale, in alto a sinistra, con la scena dell’Annunciazione, dove l’angelo sorprende Maria intenta a filare, il tutto sotto lo sguardo comprensibilmente meravigliato di una giovane donna, forse un’amica della Vergine. Seguono l’episodio della Visitazione, del quale una larga crepa ha purtroppo cancellato la figura di santa Elisabetta, e quello con la cosiddetta «Prova delle acque amare», prescritta dalla legge ebraica per accertare le gravidanze sospette e a cui anche Maria, secondo i Vangeli apocrifi, si sottopose. Dopo un tondo con il busto del Cristo benedicente, a cui ne corrispondeva uno oggi perduto con l’immagine del Battista, ci troviamo davanti all’Apparizione dell’angelo a san Giuseppe, scena maestosa e delicata al medesimo tempo, ricca di dettagli finissimi. La narrazione riprende con la raffigurazione del viaggio a Betlemme, con un tenero dialogo tra i due sposi, Maria sull’asino e Giuseppe che la segue a piedi.
Passando dalla fascia superiore a quella inferiore, si vedono raffigurate la Natività e l’annuncio ai pastori: su un fondo roccioso illuminato dalla cometa, la Madonna, adagiata su un giaciglio, ha di fronte a sé l’incredula levatrice Salomè, mentre in basso altre due donne lavano il Bambino. Giuseppe siede in disparte, in attesa pensosa; sopra di lui, dietro a una roccia, in vista di una città, l’angelo annuncia la nascita del Cristo. Solo un albero divide questa scena dalla successiva: l’Adorazione dei Magi. Ritornando verso il centro dell’abside, incontriamo, infine, la presentazione al tempio: la Vergine, attorniata da Giuseppe e da altri due personaggi, porge il Bambino al vecchio sacerdote Simeone che lo accoglie con la mano sinistra velata.
L’ultimo importante intervento di restauro sul ciclo di affreschi risale ai primi anni Novanta e fu eseguito dalla nota restauratrice lombarda Pinin Brambilla, il cui nome è legato agli interventi conservativi alle pitture di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova e agli affreschi di Masolino da Panicale nel Battistero di Castiglione Olona, ma soprattutto all’impresa ventennale per salvare dall’incuria del tempo «Il Cenacolo» di Leonardo da Vinci, nel monastero del santuario di Santa Maria delle Grazie di Milano.
Quest’ultimo restauro degli affreschi di Castelseprio – racconta Luigi Parma - «rimane ancora molto valido e storicizzato» e «sarà preservato». L’intervento tecnico avrà, dunque, carattere conservativo e manutentivo. «Si procederà» – spiega, con precisione, il restauratore - «con un’attenta osservazione degli affreschi accompagnata da una documentazione fotografica preliminare con riprese a luce diffusa e in luce radente per verificare la complanarità dell’intonaco e la presenza di eventuali sollevamenti e decoesioni della materia pittorica. Tramite battitura sarà verificato lo stato di adesione dell’intonaco alle murature con la stesura di una mappatura di ogni scena, redatta digitalmente in formato editabile con relative legende, dove verranno segnalate eventuali zone di distacco, problemi di adesione o di coesione dell’intonachino con l’arriccio e tra l’arriccio e supporto murario. Si interverrà con una leggera spolveratura con pennellesse morbide allo scopo di rimuovere il materiale lipofilo superficiale senza intervenire sulle aree con decoesione ed eventuali sollevamenti della materia pittorica. Successivamente si procederà con una pulitura a secco mediante spugne Wishab per rimuovere la stratificazione lipofila più tenace. Quindi si procederà con il consolidamento profondo delle zone di intonaco decoeso dal supporto murario con iniezioni di malta idraulica naturale tipo Ledan. Le eventuali zone di decoesione tra intonachino e arriccio verranno risolte con iniezioni di resina acrilica Primal. Le incongruenze materiche riscontrate sul supporto murario nelle zone inferiori saranno rimosse meccanicamente con micro-scalpelli. La successiva stesura materica sarà effettuata con malta a base di calce Lafarge e sabbia selezionata di granulometria e cromatismo simile all’intonaco. Eventuali decoesioni e sollevamenti di materia pittorica saranno risolte localmente mediante l’impiego di nanotecnologie».
La chiesa di santa Maria foris portas a Castelseprio, tra il verde lussureggiante della natura, è, dunque, pronta a vivere una nuova stagione, diventando anche scenario di un cantiere di restauro aperto, un’occasione sempre di grande interesse per il pubblico.
Didascalie delle immagini
[fig.1] Veduta esterna della chiesa di santa Maria foris portas, a Castelseprio; [fig. 2 e fig. 3] Veduta interna della chiesa di santa Maria foris portas, a Castelseprio; [fig. 4] Maestro di Castelseprio, «Cristo benedicente», s.d..Castelseprio, chiesa di santa Maria foris portas; [fig. 5] Maestro di Castelseprio, «Presentazione al Tempio», s.d..Castelseprio, chiesa di santa Maria foris portas; [fig. 6] Maestro di Castelseprio, «Sogno di san Giuseppe», s.d..Castelseprio, chiesa di santa Maria foris portas; [fig. 7] Maestro di Castelseprio, «Andata a Betlemme», s.d..Castelseprio, chiesa di santa Maria foris portas
Informazioni utili
Chiesa di Santa Maria Foris Portas, via Castelvecchio, 1514 - Castelseprio (Varese). Orari: martedì e mercoledì, ore 9.00-14.00; giovedì, venerdì e sabato ore 13.30-18.30; domenica e festivi* ore 13.30-18-30 [*Per tutto il mese di Novembre e Dicembre 2024 il Parco Archeologico resterà chiuso domeniche e i festivi]. Informazioni: tel. +39 0331820438 e fax +39 0331855816, parcoarcheologico.castelseprio@beniculturali.it. Sito internet: http://www.antiquarium.castelseprio.beniculturali.it/
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