ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 29 novembre 2024

«La Carraccina», il Guercino e la Pinacoteca di Cento: il Seicento emiliano incontra l’high tech

Era il 20 maggio 2012 quando, nel cuore della notte, alle 04:03, un terremoto di magnitudo 5.9 colpiva un'ampia zona dell'Italia settentrionale, sconvolgendo centri produttivi della Bassa Emiliana come Mirandola, Medolla, Sant'Agostino e San Felice al Panaro. Meno di una decina di giorni dopo, il 29 maggio, alle 9 del mattino e poi alle 12:55, lo stesso territorio veniva interessato da due nuove scosse telluriche superiori ai 5 di magnitudine, meno intense della prima ma più distruttive. Il cosiddetto «cratere» comprendeva 59 Comuni nelle province di Modena, Ferrara, Bologna e Reggio Emilia. Il bilancio finale fu di 28 morti, 300 feriti, 45mila persone sfollate, 66mila imprese coinvolte e una stima dei danni per 12,2 miliardi di euro.

Particolarmente colpito fu anche il patrimonio storico-artistico del territorio: luoghi di culto, palazzi, teatri, torri, castelli, rocche, ma anche opere pittoriche e scultoree. Tra i beni lesionati strutturalmente, e rimasti per lungo tempo chiusi al pubblico, ci fu anche la Pinacoteca civica «Il Guercino» di Cento, cittadina di 35mila abitanti nel Ferrarese. Il museo, il cui nuovo allestimento è stato curato da Lorenzo Lorenzini ed Elena Bastelli, ha riaperto i battenti il 25 novembre 2023, a undici anni dal sisma e dopo due anni di restauri, realizzati dallo studio bolognese OpenProject, in collaborazione con l’Amministrazione centese e sotto la supervisione dell’architetto Beatrice Contri, grazie al finanziamento di quasi 3milioni di euro del Commissario delegato per la Ricostruzione, più un contributo ministeriale di 988.900 euro, ottenuto tramite il Fondo Cultura 2021 e usato per l’allestimento museale con le pareti della stessa tonalità blu dei cieli guercineschi.

Nonostante le sue dimensioni contenute, la pinacoteca è uno scrigno di gioielli. Nelle sue quindici sale, distribuite su due livelli, allinea, infatti, più di centonovanta opere, tra pitture, sculture, disegni, affreschi staccati, che portano la firma di artisti come, per esempio, Scarsellino, Guido Reni, Ludovico Carracci e Matteo Loves, in un percorso che spazia dal Quattrocento all’Ottocento.

Ma la particolarità e preziosità di questo luogo identitario per la cultura della cittadina emiliana, costruito nel 1839 all’interno del Palazzo del Monte di Pietà, consiste soprattutto nel fatto di essere il museo con la maggior concentrazione al mondo di opere di Giovanni Francesco Barbieri (Cento, 1591-Bologna, 1666), detto il Guercino, maestro della pittura barocca, conteso da papi e regnanti, che fu anche un imprenditore ante litteram, a capo di un’organizzatissima bottega fino alla morte, avvenuta nel 1666. Si tratta di sedici pale d’altare e quadri, venti affreschi staccati e undici disegni, molti dei quali erano stati portati al sicuro dai crolli nel Centro di raccolta realizzato al Palazzo Ducale di Sassuolo. Tra questi lavori si annoverano capolavori come «La cattedra di San Pietro», «Cristo risorto appare alla Madre», «La Madonna con Bambino benedicente». In occasione della riapertura della Pinacoteca centese, sono arrivate in città, con un prestito a lungo termine, anche opere del maestro e dei suoi seguaci provenienti da collezioni private e bancarie: dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Cento sono giunte nove opere, tra cui il primo affresco realizzato dal giovane Guercino, che raffigura la «Madonna di Reggio», ovvero la «Madonna della Ghiara»; da Credem Banca sei opere, tra cui il «Matrimonio mistico di Santa Caterina», capolavoro giovanile del pittore centese.

Un anno dopo la riapertura il bilancio è più che positivo: sono stati staccati quasi 20mila biglietti e il Centro studi internazionale «Il Guercino», ubicato all’interno del museo, è stato vicino, negli ultimi mesi, a importanti istituzioni come la Pinacoteca nazionale di Bologna, i Musei reali di Torino e le Scuderie del Quirinale nell’organizzazione di mostre ed eventi di vario genere sull’artista emiliano, la cui riscoperta si deve, negli anni Trenta del Novecento, a Sir John Denis Mahon (Londra, 1910-2011).

Mentre la quadreria di Cento si prepara ad accogliere la mostra «Sentimento e ragione nella grande pittura di Ubaldo Gandolfi», ideata e curata dalla studiosa Donatella Biagi Maino, che dal 30 novembre proporrà un focus su due opere del pittore bolognese (una «Annunciazione» e una pala d’altare dedicata a San Gaetano da Thiene), il percorso espositivo è stato integrato con una replica fedele di un’opera importante della collezione centesca: «La Madonna col Bambino fra i Santi Giuseppe, Francesco e i committenti», nota come «La Carracina», in prestito temporaneo alle Scuderie del Quirinale, nell’ambito della rassegna «Il trionfo del colore. Guercino nella Roma dei Ludovisi».

Per colmare questa assenza è stata contattata Haltadefinizione, tech company del Gruppo Panini Cultura, che ha curato tutte le fasi della riproduzione della copia, dalla digitalizzazione alla fedele riproduzione fisica, fino alla collocazione.

L’iniziativa, promossa con il sostegno della Regione Emilia-Romagna, si inserisce nell’ambito di un ampio programma di valorizzazione del patrimonio culturale locale e garantisce continuità alla fruizione della pinacoteca. La copia può essere toccata e vista da vicino. «Si apre così - racconta Silvia Bidoli, assessore alla Cultura del Comune di Cento - un panorama di possibilità di interazione non solo dal punto di vista fisico ma anche didattico, che sapremo sfruttare anche in futuro quando tornerà l’originale».

L’immagine in altissima risoluzione è, inoltre, disponibile on-line sul sito di Haltadefinizione, accessibile a tutti gli studiosi e appassionati.

«La Carracina», tela del 1591, ornava l’altare della prima cappella destra, quella di proprietà della famiglia Piombini, nella chiesa annessa al convento dei Cappuccini di Cento, ubicato fuori porta Molina, da tempo demolito. Nel luglio del 1796 la pala d’altare fu trasferita in Francia, scelta dai commissari napoleonici fra le opere degne di rientrare nell’utopistico progetto del Musée Napoléon a Parigi. Esposta dal febbraio del 1798 al Louvre, alla caduta di Napoleone fu restituita all’Italia e nel 1816 tornò a Cento.

All'interno di una struttura che si rifà ai modelli leonardeschi della composizione piramidale, si riconoscono al vertice la Madonna e il Bambino, collegati, attraverso un gioco di sguardi e di gesti, con il San Francesco e il San Giuseppe raffigurati alla base della tela. Sempre in basso, nell’angolo a destra, si trovano i ritratti di Pietro Antonio Piombini e di sua moglie Elisabetta Dondini, due personaggi ai quali il committente, indicato in Giuseppe Piombini, era legato da non precisati vincoli di parentela.

Si tratta di una prova di grande qualità della poetica di Ludovico Carracci, che dà vita a una visione familiare, quotidiana e sensibilmente naturalistica, nel quale la luce è grande strumento d'animazione e, insieme, il sintomo dell'esaltazione emotiva.

Da sempre l'opera è ritenuta di fondamentale importanza per il giovane Guercino il quale, stando alla testimonianza diretta del suo biografo Carlo Cesare Malvasia, proprio giocando col cognome del pittore aveva ribattezzato la tela la «mia cara cinna», un’espressione che in dialetto centese veniva pronunciata come «cara zinna», a indicare così la mammella da cui l’artista aveva tratto il primo nutrimento in pittura, imitandone la luce «a macchia» e il sincero naturalismo.

Informazioni utili

Nessun commento:

Posta un commento