ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

sabato 4 dicembre 2021

Dalla monografia di TvBoy al volume su Bergamo di FMR, novità in libreria

FRANCO MARIA RICCI DEDICA UN VOLUME A BERGAMO
Bergamo, insieme a Brescia, sarà Capitale italiana della cultura 2023. L'importante riconoscimento è arrivato, subito dopo i giorni più bui della pandemia, per incarnare la fiducia verso il futuro. Per celebrare la speciale occasione, la Franco Maria Ricci Editore ha deciso di raccontare l'unicità della città e dei suoi monumenti in un volume, che verrà presentato al pubblico il 14 dicembre, alle ore 18, nelle sale di Palazzo Moroni.
Dalla casa editrice emiliana raccontano così la peculiarità del centro lombardo: «mentre altre città italiane sono state per una parte della loro storia capitali di territori più o meno vasti, e ospitarono una corte, il caso di Bergamo è diverso: nel 1428 la città passò sotto il dominio di Venezia e vi restò, abbastanza quietamente, sino all’epoca napoleonica. Le capitali tendono a eliminare ogni traccia della rusticità originaria; Bergamo l’ha elaborata e raffinata, crescendo, senza ripudiarla, incarnando squisitamente, anche nella modernità, il sentimento dei borghi antichi». Queste vicende sono al centro del testo che il musicologo Giovanni Gavazzeni ha scritto per il volume di FMR, nel quale viene raccontato come il dialetto e la musica si siano fusi nella città in un’unica, armoniosa melodia.
Lo scritto dello storico dell’arte Simone Facchinetti svela, invece, le meraviglie artistiche di Bergamo e del territorio circostante, in un itinerario che, partendo dai maestri veneti Bellini e Lotto, tocca i «pittori della realtà» Moroni e Ghislandi (Fra’ Galgario) e approda all’originalissimo Bonomini, muovendosi tra i capolavori dell’Accademia Carrara e le gemme nascoste nelle chiese della città e nelle valli vicine.
In chiusura, il testo di Stefan Krause racconta la rocambolesca vita di Bartolomeo Colleoni, condottiero e capitano di ventura, figura cruciale nel Rinascimento bergamasco.
A fianco delle parole scorrono le immagini dei più bei luoghi di Bergamo ritratti dal fotografo Massimo Listri. Dalla Basilica di Santa Maria Maggiore ai palazzi Terzi e Moroni, che dischiudono sfarzi e affreschi, alla Cappella Colleoni, le fotografie restituiscono al lettore l’impressione di una città colta, viva, che si specchia nella sua storia senza narcisismi.
Il volume, stampato nei consueti tipi bodoniani e pubblicato con il supporto di Crédit Agricole Italia, è, dunque, un omaggio e un incoraggiamento a una città di sorprendente forza e bellezza, che riprende oggi in mano il suo destino.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito https://www.francomariaricci.com/it.

«LE TUE LETTERE SONO UN GRANDE CONFRONTO PER NOI…», A LUGANO UN INCONTRO SULL’EPISTOLARIO DI SOPHIE TAEUBER-ARP

Il 2021 è stato l'anno della riscoperta, a livello internazionale, di Sophie Taeuber-Arp (Davos, 19 gennaio 1889 – Zurigo, 13 gennaio 1943), esponente della corrente Dada, nonché pioniera dell’astrazione, il cui volto è stato per diversi anni sulla banconota da 50 franchi.
Il lavoro dell’artista svizzera, conosciuta anche per essere stata la moglie di Jean/Hans Arp, è stato omaggiato nell’anno in corso da tre grandi retrospettive al Kunstmuseum di Basilea, alla Tate Modern di Londra e al Moma di New York.
Nel 2021 la Fondazione Marguerite Arp di Locarno ha anche curato la pubblicazione del volume «Lettere di Sophie Taeuber-Arp a Annie e Oskar Müller-Widmann», co-pubblicato dalle Edizioni Casagrande di Bellinzona (nella versione in lingua italiana) e dalla Scheidegger & Spiess di Zurigo (in tedesco e in inglese), che raccoglie, e rende per la prima volta pubbliche, le lettere e le cartoline scritte dall’artista ai suoi collezionisti.
Tutte le cartoline illustrate e alcune lettere sono riprodotte in facsimile. Le trentacinque missive inviate tra il 1932 e il 1942 sono introdotte da un saggio di Walburga Krupp e da una prefazione di Simona Martinoli. Arricchiscono il volume un indice dei nomi, fotografie d’archivio in parte inedite e riproduzioni di opere citate nelle lettere.
Il libro verrà presentato sabato 4 dicembre, alle ore 11, al Lac di Lugano, alla presenza di Tobia Bezzola, direttore del Masi di Lugano, Walburga Krupp, autrice e co-curatrice della mostra «Sophie Taeuber-Arp: Living Abstraction», Simona Martinoli, direttrice della Fondazione Marguerite Arp, e della giornalista Cristina Foglia.
L’ingresso è libero fino a esaurimento dei posti disponibili. Per accedere all’evento è richiesto, per i maggiori di 16 anni, il certificato Covid e vige l’obbligo di indossare la mascherina. È consigliata la prenotazione su www.edu.luganolac.ch.

24 ORE CULTURA PUBBLICA LA PRIMA MONOGRAFIA DELLO STREET ARTIST TVBOY
Elton John
, Raffaella Carrà, Jean-Michel Basquiat, Donald Trump e la regina Elisabetta: sono queste alcune delle icone contemporanee finite sotto l’occhio critico e ironico dello street artist TvBoy, pseudonimo di Salvatore Benintende. Dal 2 dicembre sarà in libreria la prima monografia ufficiale dell’artista (cartonato 21 x 26 cm, 144 pagine con 100 illustrazioni, € 34,00, codice Isbn: 978-88-6648-534-6), da anni residente a Barcellona, le cui opere sono autentiche satire ispirate alle più accese tematiche dell’attualità politica e sociale. A pubblicare il libro, a cura di Nicolas Ballario e con un contributo di Oliviero Toscani, è 24 Ore Cultura.
Realizzato in stretta collaborazione con l’artista, il volume, corredato da saggi critici che inquadrano il suo ruolo all’interno della scena artistica contemporanea, ne ripercorre l’intera carriera: dagli esordi con la sua firma stilizzata – un bambino con la faccia incastrata nel televisore – passando per i primi murales caratterizzati dalla tecnica dei graffiti e dello stencil fino alle opere più recenti dedicate dalla pandemia di Covid-19 e alle elezioni americane.
Con oltre settanta opere, il libro è suddiviso in capitoli dedicati alle principali tematiche trattate da TvBoy. Il primo capitolo è dedicato ai baci, opere che hanno reso famoso l’artista nel mondo e che rappresentano per lui il gesto più intimo e romantico, ma anche il dialogo per eccellenza, ovviamente nell’accezione ironica che caratterizza i suoi lavori. Si prosegue, poi, con il tema del potere, dove i più potenti del mondo sono rappresentati secondo la visione talvolta celebrativa, talvolta critica, di TvBoy. Si passa, quindi, agli eroi personali dell’artista, che hanno lasciato un segno duraturo nell’ambito dell’impegno civile, della cultura, della musica, dello spettacolo, dello sport e del costume. Il volume si chiude, infine, con il capitolo dedicato alle icone dell’arte, i punti di riferimento che l’artista vuole celebrare con lo scopo di avvicinare sempre più il pubblico all’arte, abbattendo quell’aura di sacralità che caratterizza spesso i grandi capolavori.
Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina www.24orecultura.com.

5 CONTINENTS EDITIONS PUBBLICA LA PRIMA MONOGRAFIA DEL FOTOGRAFO SENEGALESE OMAR VICTOR DIOP
È il continente africano, fra storia e attualità, il protagonista della monografia (cartonato, 23 x 31 cm, 96 pp. e 41 illustrazioni a colori, codice ISBN: 978-88-7439-993-2, € 39,00) dedicata al fotografo senegalese Omar Victor Diop (Dakar, 1980), appena pubblicata da 5 Continents Editions in coedizione con la galleria parigina Magnin-a
Consacrato dalla recente edizione di Paris Photo e dal Photo Vogue Festival di Milano, l’artista affonda la propria ricerca fotografica nel suo vissuto personale. Guarda cioè alla tradizione africana della posa in studio - a partire dalle immagini di Seydou Keïta, Mama Casset e Malick Sidibé – e racconta una visione alternativa della storia del suo continente, nella quale viene dato risalto a figure e personaggi trascurati dalla narrazione occidentale.
Il libro – bilingue francese / inglese – ospita tre serie fotografiche, emblematiche dell’evoluzione del percorso artistico di Omar Victor Diop, commentate dai testi di Renée Mussai, Imani Perry e Marvin Adoul.
In «Diaspora» (2014), Diop sceglie l’arte dell’autoritratto. Il fotografo incarna nelle sue immagini diciotto personalità della diaspora africana dai destini straordinari, ma dimenticate dalla storia dell’Occidente. Vivacizzando le foto con oggetti legati al mondo del calcio ne smorza la carica drammatica e catapulta i suoi personaggi storici nel presente, inserendoli di fatto nel dibattito sull’immigrazione e l’integrazione degli stranieri nella società europea.
Con «Liberty» (2017), l’artista propone una lettura universale della storia del suo popolo alla ricerca della libertà. Giocando su riferimenti visivi e mescolando autoritratti e rappresentazioni, analizza gli avvenimenti salienti di questa complessa vicenda, certamente diversi per epoca, luoghi e importanza.
«Allegoria» (2021), serie presentata di recente a Paris Photo, inaugura, invece, un nuovo capitolo del lavoro di Diop, teso a raccontare l’ambiente e l’importanza della natura nel continente africano.
Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina www.fivecontinentseditions.com.

«TEMPLES», IN UN LIBRO LA SARDEGNA DI GIANCARLO PRADELLI
È una Sardegna poco nota ai più quella che viene raccontata dal libro fotografico «Temples»Z (cartonato, 30 x 24 cm, 96 pp. e 40 illustrazioni in tricromia, € 30,00, codice ISBN 979-12-5460-000-9), appena uscito in libreria grazie alla 5 Continents Editions, con una prefazione di Elisabetta Bazzani.
Attraverso quaranta scatti fotografici in bianco e nero di Giancarlo Pradelli, il volume mostra le aree rurali e campestri della regione, lontane dal mare e popolate da resistenti edifici antichi, testimoni dello scorrere del tempo e, insieme, del suo potere corrosivo.
Nell’isola chiamata dai greci Ichnusa, fra cardi selvatici, macchie di lentisco e di elicriso dall’intenso profumo, in paesaggi assolati e battuti dal vento, si trovano chiese, monasteri e pievi di antica costruzione perlopiù caduti in disuso.
Sono edifici battezzati con i nomi di santi, un tempo parte di un tessuto urbano oggi vuoto di uomini, accomunati dalla posizione solitaria che ne aumenta il fascino paesistico: veri e propri miracoli di pietra, di rara bellezza, simboli di una sacralità intrinseca del territorio.
Lo sguardo di Giancarlo Pradelli non si sofferma solo su edifici prestigiosi, frutto delle storiche infiltrazioni culturali nell’isola, ma predilige modeste costruzioni di stili diversi e rustiche chiese campestri, di matrice pastorale, realizzate da maestranze locali per resistere alla forza del vento e al clima mediterraneo.
Spesso ridotti alla condizione di muri crollati per il potere corrosivo del tempo, questi relitti, ormai vago ricordo delle originarie architetture, hanno assunto una nuova forma, destinata inesorabilmente a ulteriori silenti mutazioni.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.fivecontinentseditions.com.

venerdì 3 dicembre 2021

Da 24 Ore Cultura e Libri Scheiwiller tre libri su Piet Mondrian

È appena uscito in libreria «Piet Mondrian. Dalla figurazione all’astrazione», catalogo della mostra in programma fino al prossimo 27 marzo al Mudec – Museo delle culture di Milano. A editare il volume - a cura di Benno Tempel, storico dell’arte e direttore del Kunstmuseum dell’Aja - è 24 Ore Cultura. Il libro è un invito a conoscere un «altro» Mondrian e a riscoprirne i capolavori, attraverso un’originale chiave di lettura della sua poetica e del processo evolutivo della sua arte, anche grazie al confronto con altri artisti che hanno condiviso con lui il fermento creativo dell’epoca.
Protagonisti del primo capitolo sono i membri della Scuola dell’Aja, un gruppo di pittori che operarono tra il 1860 e il 1890 e che rivoluzionarono la pittura olandese, rifiutando le raffigurazioni idealizzate dell’epoca romantica a favore di un approccio più realistico. Le loro opere, caratterizzate dalla sobrietà nell’uso dei colori e da una decisa predilezione per il grigio, hanno creato l’immagine archetipica del paesaggio olandese conosciuta in tutto il mondo.
Il catalogo prosegue analizzando l’opera di Mondrian prima e dopo il 1908. I primi lavori dell’artista, influenzati in parte dalla Scuola dell’Aja e in parte dalla sua formazione artistica tradizionale alla Rijksakademie van Beeldende Kunsten, sono principalmente paesaggi realizzati con un pennello largo e molte sfumature di ocra e di grigio. A partire dal 1900 il pittore abbandona progressivamente la rappresentazione fedele della natura per sperimentare forme e colori. Utilizzando mulini a vento, fossi, fiori e altri motivi, Mondrian esplora la possibilità di ridurre il mondo che lo circondava alla sua essenza assoluta. Abbandonata la logica della prospettiva, che aveva caratterizzato l’arte europea dal Rinascimento in poi, il pittore inizia a dedicarsi alle forme astratte. Con l’utilizzo delle linee perpendicolari, l’artista olandese rende via via più radicale il proprio minimalismo fino a far nettamente prevalere, nell’ultima fase della sua carriera, le linee sui colori.
Particolare attenzione viene, inoltre, dedicata a De Stijl, il movimento sorto nei Paesi Bassi nel 1917 su iniziativa dello stesso Mondrian e di Theo van Doesburg, attivo ancora alle soglie degli anni Trenta. Mentre, a chiusura del catalogo, è pubblicato un focus sull’influenza che il Mondrian della fase neoplastica ha avuto sul mondo del design: dall’arredo alla grafica, dall’interior all’exhibition design, fino ad arrivare addirittura alla moda, con la collezione-tributo di Yves Saint Laurent del 1965.
In occasione della mostra al Mudec, 24 Ore Cultura pubblica anche il libro «Piet Mondrian. Una vita per l’arte», a cura di Elena Pontiggia. Il volume ripercorre le fasi stilistiche dell’artista olandese dagli esordi come pittore figurativo fino all’astrazione, intesa non solo come tecnica pittorica, ma anche e soprattutto come concezione filosofica, ispirata alla teosofia e proiettata verso un futuro utopico.
Grande innovatore dell’arte moderna, Mondrian comincia nel 1920 a utilizzare rigorosamente griglie di righe nere definenti piani di colore puro, alla ricerca di un equilibrio asimmetrico-astratto. Nel 1940 si trasferisce a New York e i suoi studi evolvono: l’artista sostituisce la riga nera con fasce composte da piccoli rettangoli di colore, conferendo un ritmo sempre più dinamico ai suoi lavori.
Elena Pontiggia è autrice anche di un saggio contenuto nel volume «Scritti teorici. Il neoplasticismo e una nuova immagini della società», un altro volume pubblicato in occasione della mostra milanese da Libri Scheiwiller. Il libro, che contiene anche un’intervista al pittore ad opera di James Johnson Sweeney, raccoglie gli scritti più importanti e rivelatori dell'artista pubblicati tra il 1917 e i primi anni Venti. È nell’ottobre 1917 che Mondrian pubblica, sulla rivista «De Stijl», il primo articolo in cui definisce la sua visione del mondo e dell’arte, chiarendo gli ideali della tendenza da lui stesso fondata: il neoplasticismo. Lo scopo della vita e della nuova pittura, scrive, è abolire il tragico. Una trentina di anni prima, un altro artista olandese, Vincent van Gogh, aveva portato il tragico nel cuore dell’arte moderna; ora, quasi come un contrappasso, Mondrian aspira a un’arte libera dal dolore. E per farlo crea un linguaggio basato unicamente sulla geometria e sulle linee rette, che si stacca dalla natura e dall’io e coglie le strutture dell’essere. Per il padre del neoplasticismo il quadro è il luogo perfetto in cui i dualismi originari dell’essere sono ricondotti all’unità, conciliando l’io con l’universale e la natura con lo spirito. Nel suo percorso verso l’essenziale, l’arte di Mondrian, che il pittore cercò di teorizzare in numerosi scritti, è anche una ricerca filosofica dell’assoluto attraverso la composizione degli opposti.
In questi ultimi giorni del 2021 chi va in libreria ha, dunque, occasione di trovare tre volumi che estendono e approfondiscono lo studio di uno degli artisti più rivoluzionari del Novecento, «il pittore della griglia nera e dei rettangoli colorati» che cercava l’assoluto attraverso la composizione degli opposti.

Informazioni utili
«Piet Mondrian. Dalla figurazione all’astrazione». Editore: 24 ORE Cultura. A cura di: Benno Tempel. Formato: cartonato 23 x 28 cm. Pagine: 142 pagine con 160 illustrazioni. Prezzo: € 32,00. Codice ISBN: 978-88-6648-578-0. In vendita in libreria e on-line
 
«Piet Mondrian. Una vita per l’arte». Editore: 24 ORE Cultura. A cura di: Elena Pontiggia. Formato: brossura 20 x 28 cm. Pagine: 64 pp. con 50 illustrazioni. Prezzo: € 12,90. Codice ISBN: 978-88-6648-576-6. In vendita in libreria e on-line

«Scritti teorici. Il neoplasticismo e una nuova immagini della società». Editore: Libri Scheiwiller. A cura di: Elena Pontiggia. Formato: brossura con alette 13 x 20 cm. Pagine: 144 pp..Prezzo: € 18,90. Codice ISBN: 978-88-7644-686-3. In vendita in libreria e on-line

giovedì 2 dicembre 2021

A Bologna torna BilBOlbul, il festival del fumetto

Compie quindici anni BilBOlbul, il festival internazionale di fumetto, ideato e organizzato da Hamelin, con il sostegno del Gruppo Hera, che dal 2 al 5 dicembre animerà Bologna con un calendario che alterna grandi nomi a nuovi talenti e omaggia una tradizione, quella del graphic novel italiano, nata vent’anni fa proprio all’ombra delle Due Torri grazie a realtà editoriali come Coconino Press, Phoenix, Kappa Edizioni, Black Velvet e PuntoZero.
Proprio al romanzo a fumetti, un genere che ha il suo precursore nel romano Guido Buzzelli (1927-1992), l’autore del racconto «La rivolta dei racchi» (1967), definito il «Michelangelo dei mostri» nel 1974 e il «Goya italiano» nel 1978, è dedicato l’appuntamento inaugurale del festival. Giovedì 2 dicembre, alle ore 9, l’Accademia di belle arti di Bologna, che è stata a lungo l’unica in Italia a ospitare un corso di fumetto e illustrazione, formando molte firme che troviamo ora in libreria, ospita il convegno «Ieri, oggi, domani: 20 anni di graphic novel in Italia». Igort, Vanna Vinci, David B., Paolo Bacilieri, Daniele Brolli, Ratigher dialogheranno con le generazioni più giovani rappresentate da Fumettibrutti, Maurizio Lacavalla, Eliana Albertini, Alice Milani, Lorenzo Ghetti e con gli autori e docenti della scuola felsinea, tra cui Sara Colaone, Otto Gabos, Onofrio Catacchio e Gianluca Costantini. L’intento del convegno, visibile in streaming anche sul sito www. bilbolbul.net (così come tutti gli appuntamenti principali del festival), è quello di ripercorrere le maggiori trasformazioni provocate dal graphic novel nel panorama del fumetto in Italia, di esplorare i generi che ne hanno segnato la storia, dal fumetto di realtà alle sue forme più romanzesche, e di riflettere sulle nuove estetiche e i nuovi approcci narrativi.
Il dialogo tra passato e futuro è anche al centro del progetto «Invisible Lines. Landscapes, borders, revelations», finanziato dalla Commissione europea nell’ambito del programma Creative Europe, che raccoglie le opere realizzate durante un viaggio di formazione in tre tappe – Italia (Venezia), Francia (il centro di accoglienza Bernanos di Strasburgo) e Repubblica Ceca (i boschi di Broumov) – da dodici giovani artisti under 30: Clara Chotil, Omar Cheikh, Bim Eriksson, Lode Herregods, Lucie Lučanská, Katarzyna Miechowicz, Mia Oberländer, Lisa Ottenburgh, Elena Pagliani, Léopold Prudon, Marco Quadri e Barbora Satranská. Sotto la guida di Stefano Ricci, Juraj Horváth e Yvan Alagbé, i ragazzi, i cui lavori sono in mostra dal 4 al 21 dicembre all’Accademia di belle arti di Bologna, si posti l’obiettivo ambizioso di disegnare l’invisibile nelle sue più diverse diramazioni i: i segni del tempo sul paesaggio, i confini e le migrazioni, il mistero del quotidiano.
Tra le mostre da non perdere c’è anche «Giorni felici» di Zuzu, un nome imprescindibile della nuova generazione di fumettiste italiane, che presenterà le sue tavole sulla storia di una ragazza in bilico tra la tentazione di annullarsi nell’amore e la paura di perdere sé stessa allo Squadro Stamperia Galleria d’arte. 
Alla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna è, invece, possibile vedere, dal 4 dicembre al 5 gennaio, la collettiva «Prendere posizione. Il corpo sulla pagina», con una selezione di opere di Émilie Gleason, Rikke Villadsen, Nicoz Balboa e Alice Socal. Mentre al Museo internazionale della musica è in programma, dal 4 dicembre al 9 gennaio, la rassegna «One step inside» di Tommi Parrish, rivelazione del fumetto statunitense con «La bugia e come l’abbiamo raccontata», che a Bologna presenterà le tavole originali di un graphic novel pubblicato per Diablo Edizioni: la storia di due amici che si incontrano per caso dopo anni e hanno così un pretesto per fare un bilancio della loro esistenza. Il tutto è raccontato attraverso uno stile originalissimo fatto di vignette incompiute o semi-smontate, disegni lasciati a metà, e un uso spettacolare del colore.
Arricchisce il cartellone delle esposizioni il «BBB Off», ventiquattro appuntamenti che animeranno vari angoli della città - gallerie, librerie, musei, negozi e spazi associativi – proponendo i lavori di Noemi Vola, Miguel Vila, Martina Sarritzu, Percy Bertolini, Andrea Seri e molti altri ancora.
Il festival ha in programma anche un ciclo di presentazioni, che metterà in dialogo quattro esordienti internazionali – David Marchetti, Lina Ehrentraut, Percy Bertolini e Juta – con altrettanti grandi nomi del fumetto: Manuele Fior, Nicoz, Francesco Cattani, Emilie Gleason. Sono, poi, in agenda quattro «Ritratti d’autore» con altrettanti ospiti internazionali: Anders Nilsen, Antoine Cossé, Gabriella Giandelli e Frederik Peeters, pluripremiato fumettista svizzero noto soprattutto per i graphic novel «Pillole Blu» e «Castello di sabbia», autore del manifesto di BilBOlbul 2021. Infine, Paul Gravett, uno dei più importanti critici europei, porterà uno sguardo sulle tendenze più interessanti del fumetto internazionale nell’incontro «Fumetti dal mondo».
Al festival si parlerà anche del fumetto come mestiere con l’associazione MeFu, nata nel 2020, che porta avanti un’indagine su mercati editoriali, fiscalità, tutele legali, riconoscimento pubblico e rappresentanza. Venerdì 3 dicembre, alle ore 11, al Das – Dispositivo arti sperimentali è in programma l’incontro «Ti sei trovato un lavoro vero?», rivolto a professionisti che desiderano indagare la situazione economica dell’industria del fumetto italiana. Di mestieri del fumetto parla anche l’incontro «All critics are bastards» (venerdì 3 dicembre, alle ore 17:30, al Das), con Andrea Benei, Matteo Contin e Virginia Tonfoni.
Per i più piccoli ci saranno i laboratori di BBB Kids a cura di Emma Lidia Squillari, Andrea Antinori e Noemi Vola. Non mancheranno, poi, le proiezioni alla Cineteca di Bologna in collaborazione con «Schermi e Lavagne», gli incontri dedicati alle classi delle scuole secondarie, le portfolio review per gli studenti dell’Accademia di Belle arti.
BilBOlbul 2021 farà, infine, la sua consueta tappa al Phi Hotel Bologna - Al Cappello Rosso, il primo «FumettHotel» d’Italia con le sue 33 camere d’artista. A chiusura del festival verranno presentate le due ultime stanze decorate da tre giovani artisti: il duo formato da Noemi Vola e Andrea Antinori, che ha dato vita a una giocosa rielaborazione dei personaggi che popolano le loro storie per l’infanzia, ed Emma Lidia Squillari, che ha creato rimandi a decorazioni di ambienti e carte da parati giocando con motivi naturalistici e con i toni dell’azzurro. Vario, dunque, anche quest’anno il cartellone del festival, che fa il punto sul passato e sul futuro del fumetto, «l'arte dell'ellissi», per usare una felice espressione di Daniel Pennac, che condensa «venti pagine di un romanzo» in una sola immagine, unica e indimenticabile.

Informazioni utili 

mercoledì 1 dicembre 2021

Torna in libreria «Milano Moderna» di Fulvio Irace

Ritorna in libreria, in una versione aggiornata, il volume «Milano Moderna» di Fulvio Irace, storica e ormai introvabile pubblicazione uscita in libreria nel 1996 per i tipi Federico Motta Editore. A ripubblicare il volume, che allarga ora la pionieristica ricerca sull’architettura della ricostruzione nel capoluogo lombardo del secondo dopoguerra alla nuova città di inizio millennio, è 24 Ore Cultura, che per l'occasione ha organizzato una presentazione al pubblico per la serata di giovedì 2 dicembre, alle ore 18:30, alla Fondazione Memoriale della Shoah di Milano, alla quale prenderanno parte, con l’autore, l’architetto Mario Botta e il giornalista Giangiacomo Schiavi.
Pubblicato originariamente grazie al decisivo contributo di Enrico Baleri che ne condivise l’entusiasmo e l’impianto, «Milano Moderna» voleva essere un omaggio alla forza del capoluogo lombardo, alla sua capacità di proporsi, nelle contingenze più difficili del suo sviluppo, come laboratorio di una cultura non convenzionale, pragmatica e anti-ideologica, che si apprezza sia nell’efficacia dei singoli edifici che nel carattere di una diffusa e colta coralità. Il successo del libro si può misurare dalla risposta degli studiosi e dall’interesse dei lettori, che in breve tempo videro esaurita la prima edizione, rendendolo inaccessibile sul mercato.
24 Ore Cultura ha deciso così di ripubblicare il volume in una versione rivista e allargata a comprendere l’intera portata delle trasformazioni che hanno caratterizzato il costruirsi di una nuova città negli ultimi due decenni. Appariva chiaro allora, infatti, ed è apparso ancora più evidente oggi, che il tema principale del libro sta nella definizione dei mutevoli concetti dell’idea stessa di modernità, un contributo – come afferma Fulvio Irace - «alla capacità della metropoli lombarda di proporsi come laboratorio di una cultura non convenzionale del cambiamento».
L’ossessione di «essere assolutamente moderni» è, infatti, il motore che caratterizza Milano già all’indomani dell’Unità d’Italia, a partire dalla costruzione della sua celebre Galleria, che rimise in moto il cuore di piazza Duomo e avviò la profonda ristrutturazione del centro. Nel 1881 l’Esposizione nazionale ne consacrò il ruolo di capitale industriale, così come l’Expo del 2015 ne ha rilanciato il carisma di città mondo.
«Non perdono tempo questi birboni – scriveva Emilio De Marchi nel romanzo «Demetrio Pianelli» – non hanno ancora il gas che già vogliono la luce elettrica; non hanno ancora finito una casa che già la buttano giù per farne una più grande e più bella»: era il lontano 1890, ma questa definizione sembra attagliarsi alla perfezione anche alla Milano di oggi, con il glamour delle sue nuove architetture e l’esuberanza delle sue nuove torri.
Quando fu semidistrutta dai bombardamenti del 1943, la città non tardò a sollevarsi dalle ceneri di guerre, pensando in grande a quella ricostruzione che doveva avere i caratteri quasi di una nuova costruzione: il vento della modernità era di nuovo cambiato e al posto della Milano di pietra del ventennio, cominciò a delinearsi un nuovo panorama di edifici leggeri e trasparenti. Era la modernità dei «costumi semplificati» auspicata da Gio Ponti: il preludio di una vita all’insegna della velocità, ma anche vetrina che mostrava al mondo la sorpresa di una città che si era completamente reinventata. Dopo il declino del ciclo industriale e la chiusura della cintura di fabbriche che ne avevano fatto la ricchezza, Milano ha dovuto confrontarsi ancora una volta con una serie di traumatici cambiamenti, da cui è uscita però rinnovata e pronta a competere nella sfida delle capitali del XXI secolo.
All’interno del volume l’analisi storica e il racconto delle trasformazioni urbane in tre quarti di secolo si svolge secondo un doppio piano di lettura, testuale e visivo. I testi firmati da Fulvio Irace, uno dei più autorevoli critici e studiosi italiani di architettura, docente al Politecnico di Milano, sono accompagnati da un ricco atlante visivo con immagini di grande formato, affidato per la parte moderna alle fotografie di storici maestri come Gabriele Basilico e Paolo Rosselli e per quella contemporanea all’occhio di «paesaggisti» della nuova generazione come Marco Introini, Filippo Romano e Giovanna Silva.
Suddiviso in sette capitoli il libro racconta il bisogno di Milano di ricostruire, ma ancora di più di costruire una nuova maniera di abitare, partendo dall’operato di Luigi Moretti e l’exploit di Corso Italia, passando per l’invenzione del condominio milanese come simbolo di ordine e modernità con i progetti architettonici di Asnago & Vender, di Ponti, di Magistretti e di tanti master builders che hanno configurato il suo ineguagliabile fascino di elegante modernità. A questa hanno contribuito anche numerosi e importanti artisti - Fontana, Somaini, Pomodoro, Dova, Ramous e altri ancora.- che hanno impreziosito in maniera unica le facciate e gli interni delle case milanesi. Dopo la «stagione dell’inquietudine» tipica degli anni Settanta, l’attenzione si sposta sulla rigenerazione di vecchi quartieri e sulla creazione di nuove isole di urbanità, grazie anche al contributo di alcuni dei più brillanti talenti dell’architettura internazionale. Ieri come oggi, Milano è moderna.

Informazioni utili 
Titolo: Milano Moderna. Architettura, arte e città 1947-2021. Autore: Fulvio Irace. Editore: 24 ORE Cultura, Milano 2021. Formato: cartonato 24,5 x 28,5 cm. Pagine: 240 pagine con 150 illustrazioni. Prezzo: € 65,00. Codice ISBN: 978-88-6648-577-3. In vendita in libreria e online. Sito web: www.24orecultura.com

martedì 30 novembre 2021

Tutankhamon, Botticelli, Leonardo, Rembrandt: la «grande arte» torna al cinema

Artisti dalle vite bizzarre, trasgressive e imprevedibili. Quadri dai destini avventurosi. Storie che hanno il sapore della leggenda. Sono questi gli elementi che animano la nuova edizione del progetto «La grande arte al cinema», che vedrà in agenda nei primi mesi del 2022 quattro nuovi titoli, tutti distribuiti da Nexo Digital.
Il viaggio inizierà nella giornata del 24 gennaio con il primo dei tre giorni di proiezione del film «Botticelli e Firenze. La nascita della bellezza», diretto da Marco Pianigiani. Lo spettatore verrà trasportato nella città toscana all’epoca di Lorenzo de' Medici, detto il Magnifico, in pieno Rinascimento. La bellezza che usciva dalle botteghe degli artisti aveva il suo contraltare nelle lotte per il potere e in intrighi di efferata violenza. Un artista, più di tutti, seppe proiettare nelle sue opere, le luci e le ombre di quegli anni indimenticabili: Sandro Botticelli (1445-1510). Dall’esordio sotto l’ala dei Medici, l’artista, raffinato disegnatore e ritrattista rivoluzionario, si impose come l’inventore di una bellezza ideale, che trovò la sua massima espressione in opere come «Primavera» e «Nascita di Venere».
La morte di Lorenzo Il Magnifico, le prediche apocalittiche di Girolamo Savonarola e i falò delle vanità segnarono la parabola discendente del maestro fiorentino, destinato a un oblio di oltre tre secoli. La sua riscoperta da parte dei preraffaelliti diede inizio a un’autentica Botticelli-mania, che dal XIX secolo si protrae fino a oggi. Da Salvador Dalí a Andy Warhol, da David LaChapelle a Jeff Koons e a Lady Gaga, nessuno sembra immune al fascino eterno del maestro fiorentino e delle sue opere, continuamente re-immaginate dagli artisti di ogni sorta, fino a entrare nell’immaginario collettivo.
La programmazione proseguirà dal 21 al 23 febbraio con il documentario «Tutankhamon. L’ultima mostra», diretto da Ernesto Pagano e prodotto da Laboratoriorosso e Nexo Digital. Lo spettatore cinematografico verrà trasportato nell’imponente e misterioso Egitto dei faraoni e scoprirà la storia dell’archeologo ed egittologo britannico Howard Carter che, con ostinazione e passione, scoprì cento anni fa, nel 1922, a Luxor la camera sepolcrale della tomba di una delle figure più leggendarie di quel periodo storico: Tutankhamon. Sul grande schermo sarà possibile ammirare i centocinquanta manufatti che nel 2019 furono esposti prima a Los Angeles e poi in Francia, alla Grande Halle de la Villette di Parigi, per essere, quindi, presentati anche a Londra e in altre sedi museali di tutto il pianeta, in quello che è stato definito il loro «ultimo tour mondiale», prima di trovare una sede stabile al Cairo.
Il film si avvale della collaborazione del fotografo Sandro Vannini e, per la versione italiana, della voce di Manuel Agnelli, frontman degli Afterhours, al quale era già stata affidata in passato la voce dell’io interiore di Caravaggio, in un’altra produzione Nexo.
Si proseguirà, quindi, con la proiezione del film «Leonardo. Il capolavoro perduto» di Andreas Koefoed, presentato in anteprima, con grande successo, alla Festa del cinema di Roma. Il documentario, in agenda dal 21 al 23 marzo, racconta la storia del «Salvator Mundi», il dipinto più costoso mai venduto (450 milioni di dollari la sua quotazione) ritenuto un capolavoro perduto gel genio toscano. 
«Dal momento in cui viene acquistato da una casa d'aste di New Orleans e i suoi acquirenti scoprono magistrali pennellate sotto un restauro a buon mercato, - si legge nella presentazione - il destino del «Salvator Mundi» è guidato da un'insaziabile ricerca di fama, denaro e potere. Ma man mano che il suo prezzo sale, aumentano anche i dubbi sulla sua autenticità. Questo dipinto multimilionario è davvero di Leonardo o semplicemente alcuni uomini di potere vogliono che lo sia? Svelando i piani segreti di alcuni tra i personaggi più ricchi del mondo e di alcune delle più potenti istituzioni artistiche, «Leonardo: il capolavoro perduto» rivela come spesso gli interessi diventino cruciali e la verità solo un elemento secondario. Anche nel mondo dell’arte».
A chiudere la programmazione sarà, dal 9 all’11 maggio, «Il mio Rembrandt» di Oeke Hoogendijk, un mosaico di storie avvincenti in cui la passione sfrenata per i dipinti dell’artista olandese porta a sviluppi drammatici e colpi di scena inattesi. «Mentre – si legge nella sinossi - collezionisti d'arte come Eijk e Rose-Marie De Mol van Otterloo, l'americano Thomas Kaplan e lo scozzese Duca di Buccleuch mostrano il legame speciale che hanno con i ‘loro’ Rembrandt, il banchiere Eric de Rothschild mette in vendita due opere dell’artista, innescando una dura battaglia politica tra il Rijksmuseum e il Louvre. Il film segue anche l'aristocratico mercante d'arte olandese Jan Six sulle tracce di due «nuovi» dipinti di Rembrandt, uno snervante viaggio di scoperta che pare la realizzazione del suo più grande sogno d'infanzia. Ma quando è accusato di avere violato l’accordo con un altro mercante d'arte, il suo mondo collassa». Rembrandt diventa così un espediente per condurre lo spettatore dietro le quinte del mondo dell’arte, facendogli scoprire ciò che si nasconde dietro un quadro appeso.

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lunedì 29 novembre 2021

Dall’antico Egitto al contemporaneo, a Bologna tutti i segreti della ceramica Faïence – Faenza

È una statuetta del faraone Sethi I, trovata nel 1817 dal padovano Giovanni Battista Belzoni nella Valle dei Re, a Tebe Ovest, ad aprire il percorso espositivo della mostra-dossier «Faïence – Faenza. Dall’antico Egitto al contemporaneo», a cura di Daniela Picchi e Valentina Mazzotti, allestita fino al 30 gennaio negli spazi del Museo civico archeologico di Bologna.
Particolarmente raro per materiale, dimensioni (circa ventisei centimetri), qualità di esecuzione e tono di azzurro, questo manufatto funerario, conosciuto con il nome di ushabti, introduce il pubblico alla sezione dedicata alla faenza silicea, che gli egiziani chiamavano «la brillante», le cui prime produzioni si attestano intorno al IV millennio a.C.. Questo tipo di faïence ante litteram era una maiolica creata con un quarzo friabile, ricoperto da una sottile invetriatura a base alcalina, così da assomigliare a pietre preziose come il turchese e il lapislazzulo, utilizzata, soprattutto nei decenni del Nuovo Regno (dal 1530 a.C. al 1080 a.C.), per decorare gli interni dei palazzi, per arricchire i corredi funerari e per infiniti altri manufatti di uso quotidiano.
Le caratteristiche estetiche così come le molteplici declinazioni cromatiche, oltre alla facilità di reperimento delle materie prime resero, infatti, la faïence di grande attrattiva e di ampia diffusione.
Un ulteriore aspetto da considerare è la valenza magica attribuita a questo materiale, con il quale furono realizzati gran parte degli amuleti in uso tra il popolo egiziano, ma anche un numero considerevole di statuette funerarie del tipo ushabti, la cui produzione è attestata dal Medio Regno all’Epoca Tolemaica (2046-306 a.C.). La maggior parte di questi manufatti ha aspetto mummiforme e raffigura principalmente il dio Osiris, il signore dell’Oltretomba; più rari sono quelli in abito di vivente.
Sempre dall’antico Egitto provengono pettorali e scarabei, che venivano appoggiati sulla mummia per indurre il cuore a non tradire il defunto nel tribunale dell’Oltretomba, permettendogli così di aspirare alla rinascita eterna sotto la protezione delle dee Isis e Nephtis.
Il focus tematico prosegue con una sezione dedicata alla faïence nel mondo islamico, di cui è un importante riferimento è il trattato sulla ceramica scritto nel 1301 da Abu’l Qasim, esponente di una famiglia di vasai di Kashan. Dieci parti di silice (sabbia), una parte di fritta alcalina (vetro macinato) e una parte di argilla bianca devono comporre il materiale, che ha un grande produttore nell’Iran, la cui industria si sviluppò già dalla fine dell’XI secolo in parallelo con quella egiziana.
Tra gli oggetti esposti, si segnala la brocca in faenza silicea con decorazione dipinta in nero sotto vetrina, di produzione iraniana del XII-XIII secolo, che mostra sul corpo globulare una decorazione impressa a «nido d’ape» a probabile imitazione delle coeve produzioni in vetro o in metallo. Di squisita realizzazione è, poi, il frammento di rivestimento murale, proveniente dall’Asia centrale e datato al XV secolo. Il mattone, probabile bordura a un pannello decorativo, mostra un intreccio di girali che creano quadrilobi con all’interno piccoli trifogli. Il profondo intaglio dell’ornato a rilievo è evidenziato dalla densa e lucente invetriatura turchese. Sotto i Timuridi (1370-1507), i portali, le cupole e intere pareti di edifici furono ricoperte di elementi ceramici invetriati, in faenza e in faenza silicea, dalle forme geometriche e vegetali che si intrecciano insieme a eleganti iscrizioni.
Il visitatore trova, quindi, una sezione espositiva dedicata alla faenza dipinta a lustro tra Oriente e Occidente. Si tratta di un complesso procedimento decorativo, applicato sul rivestimento vetroso già cotto, che dopo successiva cottura a temperatura relativamente bassa (tra i 650 e i 700°C) in ambiente riducente consente di ottenere pellicole metalliche dai riflessi iridescenti della madreperla e dalle tonalità generalmente giallo dorate e rosso rubino.
Già perfettamente sviluppata nell’Iraq abbàside del IX-X secolo, questa antica tecnica mutuata dall’arte vetraria giunse in Egitto sul finire del X secolo e conseguì vette di grande virtuosismo nella ceramica persiana del XII-XIII secolo.
Dall’Oriente la produzione faenza dipinta a lustro giunse in Occidente a seguito della conquista musulmana della Penisola Iberica che ebbe inizio nel 711 d.C. e terminò nel 1492 con la presa di Granada da parte dei re cattolici. Si affermò così lo «stile moresco», caratterizzato da decori geometrici, del quale sono uno splendido esempio le faenze smaltate (maioliche) con decorazione dipinta a lustro prodotte a Valencia nei secoli XV-XVII. Le forme tipiche sono piatti, ciotole, scodelle ad ampia tesa di diverse dimensioni e albarelli per contenere erbe officinali e vivande, nei quali gli artigiani adottarono un ricco repertorio decorativo di motivi vegetali a foglie di brionia, edera, felce, cardo, rosette, pseudo-margherite.
Questi manufatti esercitarono una notevole influenza stilistica sulla ceramica italiana del Quattrocento e del Cinquecento, soprattutto per quella delle fabbriche di Deruta e Gubbio.
L’ambivalenza semantica della parola «faenza», toponimo della città romagnola famosa per le sue maioliche, ma anche vocabolo che indica un genere di ceramica a pasta colorata, porosa, rivestita con uno smalto bianco, brillante, a base di ossido di piombo e di stagno, è centrale nella sezione dedicata al Rinascimento e al Barocco.
Tra la fine del ‘400 e gli inizi del ‘500 si impose una cultura decorativa incentrata sulla figura umana, dipinta sulla superficie maiolicata del vasellame ma anche modellata in magnifiche composizioni scultoree con scene tratte dai miti della classicità o con soggetti di carattere devozionale raffiguranti la Madonna con il Bambino, la Pietà, il Compianto e la Natività.
Sono coeve le raffigurazioni pittoriche del vasellame amatorio con «belle», recante l’effige idealizzata della persona amata, da cui si giunse alla formulazione di vere e proprie «istorie».
La vera fortuna degli artefici faentini fu, però, l’elaborazione, a partire dalla metà del XVI secolo, di uno stile antitetico al vivace decorativismo e cromatismo delle maioliche precedenti, che per la predominanza dello smalto bianco, coprente e applicato a spessore, assunse la denominazione di «bianchi» di Faenza, la cui fortuna si protrasse per tutto il XVII secolo, alimentata dall’apprezzamento per gli esemplari delle botteghe di Virgiliotto Calamelli, dei Bettisi e di Enea Utili, solo per citare le più famose.
Tra i pezzi più preziosi di questa sezione c’è uno splendido calamaio in maiolica della fine del XV secolo, conservato ai Musei civici d’arte antica di Bologna, che raffigura i quattro Santi protettori di Bologna e la città turrita.
La mostra si chiude con una sezione dedicata al contemporaneo. Da Fontana a Leoncillo, da Melotti a Valentini, differenti esperienze hanno valorizzato l’antico linguaggio della Faenza. L’esposizione dà voce a Luigi Ontani, artista sperimentatore e anticonformista, che unisce ironia e narcisismo, mito e favola, Oriente e Occidente. La sua scultura «ErmEstEtica AiDialettica», realizzata in collaborazione con la Bottega Gatti di Faenza, è un omaggio alla cultura egizia e alla sua icona più emblematica, l’Erma.

Informazioni utili
«Faïence – Faenza. Dall’antico Egitto al contemporaneo». Museo civico archeologico, via dell'Archiginnasio, 2 – Bologna. Orari: lunedì, mercoledì, ore 9:00-14:00; giovedì, ore 15:00-19:00; venerdì, sabato, domenica, festivi, ore 10:00-19:00; martedì chiuso. Ingresso: intero € 6 | ridotto € 3 | ridotto speciale € 2 ≥ 18-25 anni | gratuito possessori Card Cultura. Sito web: www.museibologna.it/archeologico. Fino al 30 gennaio 2022

venerdì 26 novembre 2021

#notizieinpillole, cronache d'arte della settimana dal 22 al 28 novembre 2021

A GORIZIA UNA MOSTRA IMMERSIVA SU PINOCCHIO
Incline alla menzogna, intollerante alle regole, esuberante fino allo sfinimento, ma anche ingenuo e innocente come sanno essere solo i sognatori: il «burattino più discolo di tutti i discoli» compie centoquarant’anni. Era il 7 luglio 1881 quando Carlo Lorenzini, in arte Collodi, dava alle stampe sul «Giornale dei bambini», inserto settimanale del quotidiano «Il Fanfulla», la prima puntata «Storia di un burattino». Nasceva così Pinocchio, un romanzo per ragazzi che andrebbe riletto da grandi, perché in queste pagine lo scrittore toscano mette nero su bianco gli alti e bassi del nostro cammino in questo mondo, con gli immancabili momenti di crisi, con i presunti amici che ti voltano le spalle, con i furbi che cercano di ingarbugliare la matassa della vita, con la capacità di sognare un futuro diverso e di renderlo realtà anche quando sempre impossibile. Al bambino di legno più famoso di tutti i tempi guarda la nuova mostra immersiva negli spazi multimediali della EmotionHall del Tiare Shopping di Villesse, nel Goriziano, allestita fino al prossimo 31 marzo (tutti i giorni, dalle 10 alle 21).
L’esposizione, che si avvale del patrocinio della Fondazione Nazionale Carlo Collodi e della collaborazione di Giunti Editore, è ideata e diretta da Roberto Luciani, con la curatela di Marine Kevkhisvili.
Il percorso, della durata complessiva di circa sessanta minuti, si articola in 2000 metri quadrati allestiti in otto tappe che coinvolgono digitale e reale attraverso pannelli educativi e didascalie, teche e video con animazioni digitali, videomapping interattivo e bozzetti a colori, costumi originali e animazioni in realtà aumentata, burattini kinetici e teatro virtuale, fino ad arrivare all’esperienza immersiva vera e propria. Grazie al connubio di elementi digitali e interattivi e ad allestimenti e ricostruzioni teatrali, i visitatori possono ripercorrere le avventure del burattino di legno, sperimentando in prima persona le sensazioni provate da Pinocchio nel suo processo di crescita e di educazione per diventare un bambino a tutti gli effetti. La mostra analizza, inoltre, i personaggi principali del romanzo e i luoghi della storia, descritti nel loro possibile collegamento all’infanzia dell’autore.
A completare il percorso, è stata ideata una App scaricabile sul proprio smartphone permette al visitatore di acquisire informazioni sulla mostra, comprare i biglietti on-line, scattare dei selfie per postarli sui propri social e vivere, attraverso il proprio dispositivo, la realtà aumentata presente all’interno della mostra. È prevista, inoltre, una «Caccia al tesoro» con sette quesiti che consente ai più piccoli di scoprire curiosità e memorizzare alcuni aspetti importanti del racconto.
Per saperne di più: www.emotionhallarena.com

«IL SOLE È NUOVO OGNI GIORNO»: IL FRINIRE DELLE CICALI DIVENTA UN’OPERA D’ARTE
Prende spunto da un aforismo di Eraclito, «Il sole è nuovo ogni giorno», il titolo della prima mostra personale di Giuliana Storino (Manduria, 1986) nel suo paese natale: la Puglia. Fino al 31 dicembre il Museo archeologico di Santa Scolastica a Bari accoglie una selezione di opere site-specific, per la curatela di Giacinto di Pietrantonio, che dialogano con l’architettura del museo e rintracciano nell’archeologia, nel tema del Mediterraneo e del genius loci i segni di un’origine, geografica e culturale, che si fa crocevia di sapienza e mitologia, tra contemplazione e incanto.
Spaziando tra media e linguaggi eterogenei, l’artista trasla il linguaggio pittorico e scultoreo in una dimensione architettonico-ambientale, privilegiando il corpo e la sensorialità per sollecitare la partecipazione del pubblico.
Si attraversano così proiezioni aeree e ologrammi, elaborazioni fotografiche e installazioni sospese tra parola e forma, grazie alle quali si osserva il cambiamento dell’uomo in relazione al mondo tecnologico e all’ambiente.
Tra le opere ispirate alla storia pugliese sono in mostra «Cicàdidi» (2018 ologrammi e sound) e da «Cicàdidi, la cadenza della vita» (2021). Giuliana Storino ha infatti registrato dall’alba al tramonto il frinire continuo delle cicale nelle campagne baresi: una scansione dell’arco temporale di una giornata, realizzata grazie alle più recenti tecnologie, che trasforma l’impalpabile canto in volume del suono e realizza l’ossimoro dell’orecchio che vede e dell’occhio che sente.
Con «Ora et labora» (2021) o «Il peso del vuoto» (2018) si compie, invece, un percorso che spazia tra memoria e rinnovamento, che punta a ridefinire l’identità del luogo in cui è radicato e a rendere immortale il suo legame con esso.
Per saperne di più: http://www.cittametropolitana.ba.it/.

Nell'immagine: 
Light pillars, 2021, veduta mostra Il sole è nuovo ogni giorno, Chiostro Museo Arc.di Santa Scolastica

MILANO, UN GRANDE MURALES DI CAMUFFOLAB PER IL CERTOSA DISTRICT
Colori vivaci, forme geometriche che si susseguono, citazioni di elementi architettonici industriali simbolo di un’area in piena evoluzione: è una narrazione per immagini, del quartiere e della sua identità, quella che appare nel nuovo grande murale, lungo oltre 57 metri, appena realizzato a Milano su progetto dello studio grafico veneziano CamuffoLab in via Varesina 162, sul muro esterno del corporate campus La Forgiatura.
Il murales, intitolato «Quando la città cambia tu guarda i suoi colori», rappresenta l’avvio di una più ampia collaborazione e sinergia scaturita dall’incontro fra Signs, l’osservatorio permanente sul visual design che coinvolge oltre 100 progettisti e studi grafici italiani, e Certosa District, il quartiere nella zona nord-ovest del capoluogo lombardo attualmente al centro di una vivace rinascita che, dopo anni di abbandono, sta ora riemergendo come polo commerciale, popolato da industrie creative e aziende innovative in rapida crescita.
Forme diverse e colori decisi compongono una narrazione «a tessere» accostate l’una all’altra, per portare la città dentro a questi spazi e riflettere sul significato di quartiere; il graphic design diventa così strumento di cambiamento.
In occasione dell’inaugurazione, è stata annunciata la prima edizione del Milano Graphic Festival, il nuovo festival diffuso dedicato al graphic design, all’illustrazione e alle culture visive, a cura di Francesco Dondina, che dall’11 al 13 febbraio porterà un ampio calendario di appuntamenti, fra mostre, workshop, talk, lecture, studio visit e installazioni, in tutta la città, a partire dai due hub principali: il Certosa District e Base Milano.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.milanographicfestival.com.


PRATO, AL PECCI APRE L’URBAN CENTER
Uno spazio aperto al confronto e al dibattito, una sala per installazioni immersive, un teatro, un laboratorio di possibilità e strumento fondamentale per portare sempre più il museo a incontrare la città e i suoi cittadini: è tutto questo il nuovo «Urban Center», inaugurato sabato 20 novembre all’interno del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato.
Composto da una grande tenda isolante e fonoassorbente – il cui tessuto, ideato in collaborazione con aziende del territorio, è un omaggio alla grande tradizione tessile della città – «Urban Center» è stato studiato per essere continuamente ripensato nella forma grazie a un grande sipario che abbraccia lo spazio, permettendo in un solo gesto di attivare configurazioni sempre diverse.
In occasione dell’inaugurazione, il Centro Pecci ospita, nell’Ala grande, la mostra «L’arte e la città», a cura di Stefano Pezzato, che mette in dialogo un’ampia selezione di opere dalle collezioni museali con rari materiali d'archivio. Dipinti, sculture, installazioni, fotografie, video, insieme a disegni e stampe di quaranta protagonisti dell’arte italiana e internazionale presentano una panoramica dei rapporti fra creatività contemporanea e ambiente urbano. Tra gli artisti in mostra, i cui lavori saranno visibili fino al prossimo 12 giugno, si segnalano Jan Fabre (con Ilya Kabakov), Fischli & Weiss, Gilbert & George, Nan Goldin, Fausto Melotti, Nino Migliori, Fabrizio Plessi e Andy Warhol.
In occasione dell’apertura dell’Urban Center viene presentata, sotto il titolo «Urban Trilogy / Trilogia Urbana», anche una selezione di film incentrati sul tema della città firmati da Gianni Pettena e dai gruppi Superstudio e Ufo.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito internet www.centropecci.it.

Nella fotografia: Marco Bagnoli, Città del sole (lucernaio), 1988 | Città del sole, 1987-1997. Collezione del Centro Pecci e del Comune di Prato. Foto Carlo Fei 

AL MUSEO DEL TESSUTO DI PRATO UN PROGETTO PER BAMBINI E ADULTI AFFETTI DA AUTISMO
Si intitola «Intorno a te» il nuovo progetto di inclusione sociale destinato a bambini, ragazzi e adulti affetti da autismo ideato dal Museo del tessuto di Prato, con la collaborazione della Fondazione Opera Santa Rita - in particolar modo con il Centro Silvio Politano e il loro servizio ambulatoriale - e con l’associazione Orizzonte autismo.
Il programma, sostenuto da Banco Bpm, prevede quaranta incontri complessivi con percorsi differenziati per le tre tipologie di pubblico coinvolto: ventiquattro bambini a basso, medio e alto funzionamento dagli 8 agli 14 anni della sezione ambulatoriale, quindici adulti a basso, medio e alto funzionamento dai 18 ai 33 anni del Centro Politano e diversi nuclei familiari dell’associazione Orizzonte autismo.
I percorsi nascono dalla co-progettazione tra lo staff educativo del museo e gli esperti sanitari della Fondazione Santa Rita, che ha permesso di individuare le strategie più opportune per coinvolgere i partecipanti attraverso esperienze sensoriali e attività creative collegate ai temi della mostra attualmente in corso «Turandot e l’Oriente fantastico di Puccini, Chini e Caramba». Caramba».
Il museo diventa così non solo un luogo in cui scoprire l’arte, ma anche e soprattutto uno spazio in cui mettersi in relazione e trovare un contatto con gli altri, dove poter dar libero sfogo alla propria immaginazione e condividere pensieri ed emozioni.
A conclusione del progetto è previsto un momento di restituzione con le famiglie coinvolte per far conoscere alla comunità il lavoro svolto in questi mesi da questi ragazzi. «Perché – ricordano dal Museo del tessuto di Prato - le persone autistiche non sono un mondo a parte ma una parte del mondo».
Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina www.museodeltessuto.it.

«MARIA JOSÉ», IN SCENA A ROMA «LA STORIA DELL’ULTIMA REGINA D’TALIA»

Irrequieta, anticonformista e fuori dagli schemi: Maria José di Sassonia Coburgo, la sposa di Umberto II di Savoia, l’ultima regina d’Italia, è protagonista del prossimo appuntamento in cartellone all’Off Off Theatre di Roma.
Nell’anno in cui ricorrono i vent’anni dalla scomparsa, il palcoscenico di via Giulia accoglie il nuovo spettacolo scritto e diretto da Silvano Spada, che vedrà in scena, fino a domenica 28 novembre, un’intensa Elena Croce, attrice protagonista di quarant’anni di teatro italiano con registi del calibro di Strehler, Luca Ronconi, Pressburger, Patroni Griffi e tantissimi altri.
Figlia del re del Belgio e consanguinea di Ludwig di Baviera, Massimiliano d’Asburgo e dello sfortunato principe Rodolfo, noto per la tragedia di Mayerling, Maria José ha intrecciato la sua vita con quelle di Benito Mussolini, Adolf Hitler, Gian Galeazzo Ciano, Vittorio Emanuele III, ma avuto anche rapporti con Ferruccio Parri, Pietro Nenni e, in qualche modo, ha partecipato alla Resistenza, portando armi ai partigiani piemontesi.
Già da principessa ereditaria, fuggiva dal Palazzo del Quirinale e dalle regole, frequentando trattorie romane e incontrando intellettuali antifascisti. Sfuggendo al cerimoniale, si sedeva sui gradini delle chiese per ammirare i monumenti di Roma. Di lei si è detto tutto e il contrario di tutto, si è parlato e scritto delle sue vere o presunte infedeltà coniugali e si sono fatte congetture sulle paternità dei suoi quattro figli. Era anche noto il suo amore per la musica e per la storia. Dal suo esilio di Merlinge, è stata autrice di libri e saggi. Fumava sessanta sigarette al giorno e non disdegnava il whisky. Moglie infelice e ferita ma, il suo ultimo desiderio, è stato di essere sepolta accanto a quello che, comunque, era stato suo marito: l’uomo del quale si era innamorata al primo incontro.
Lo spettacolo racconta, dunque, una storia che, nel bene e nel male, appartiene a tutti noi, quella dell’ultima donna che ha occupato, anche se per poco tempo (poco più di un mese, dal 9 maggio al 13 giugno 1946), il trono d’Italia prima della proclamazione della Repubblica.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito http://off-offtheatre.com/.

«OPEN ART», UN PROGETTO DI DIDATTICA DIGITALE ALLA GALLERIA DELL’ACCADEMIA DI FIRENZE
È stato inaugurato con un focus sul Maestro della Maddalena il nuovo progetto di didattica digitale della Galleria dell’Accademia di Firenze: «Open Art», nato da un’idea del direttore Cecilie Hollberg e realizzato da Federica Chezzi.
Attraverso dieci video animati, pubblicati con cadenza quindicinale sulla pagina https://www.galleriaaccademiafirenze.it/accademia-online/?slide=contenuti-didattici-4807, i più piccoli – bambini dai 6 anni in su, anche stranieri - potranno conoscere le opere conservate nella collezione del museo fiorentino, in un viaggio che spazierà dal Duecento all’Ottocento e che offrirà, di volta in volta, approfondimenti su soggetti e tecniche differenti.
Aperti da una sigla animata in stop motion, dopo una prima parte narrativa di approfondimento sull’opera selezionata, i video, della durata di circa otto minuti, proposti anche in lingua inglese, prevedono un tutorial per un laboratorio creativo da realizzare a casa o in classe. Le opere saranno raccontate da un attore o un’attrice con un linguaggio semplice e puntuale; le narrazioni saranno accompagnate da suoni, musiche e una grafica originale che ha lo scopo di catturare l’attenzione dei più piccoli e trasportarli all’interno delle opere, con visioni di dettagli che a occhio nudo non riusciremmo mai a vedere.
A inaugurare il progetto è stato, martedì 23 novembre, un focus sul Maestro della Maddalena e sul suo dipinto più celebre, la «Santa Maria Maddalena e otto storie della sua vita» (tempera e oro su tavola, databile al 1280-1285). Dopo aver descritto alcune curiosità sulla vita della Santa, il narratore introduce all’opera e al suo autore, purtroppo sconosciuto, prima di passare al laboratorio creativo che richiederà di cimentarsi nella realizzazione di un prezioso fondo oro, proprio come quello del Maestro della Maddalena.
I due video successivi saranno: il primo su Giotto, la sua arte e il suo modo di disegnare, e il secondo su Giovanni di Ser Giovanni, detto lo Scheggia, e il suo celebre Cassone Adimari.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.galleriaaccademiafirenze.beniculturali.it.

«GEN Z ART STORIEZ», GLI UNDER 25 RACCONTANO L’ARTE DELLA COLLEZIONE PEGGY GUGGENHEIM DI VENEZIA
Sono giovani. Amano l’arte in ogni sua forma. Guardano il mondo con occhi curiosi. Sono i protagonisti di «Gen Z Art Storiez», mini serie realizzata dalla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia con la collaborazione del portale Arte.it e con il sostegno economico di Lavazza.
Dal 24 novembre, e per i successivi mercoledì, sui canali social e web del museo lagunare verranno diffusi quattro video nei quali nove ragazzi dai 17 ai 24 anni racconteranno, attualizzandoli, i temi di alcuni capolavori della collezione di Peggy Guggenheim: «Paesaggio con macchie rosse n.2» di Vasily Kandinsky, «L’impero della luce» di René Magritte, «La pastorella delle sfingi» di Leonor Fini e «Dinamismo di un cavallo in corsa + case» di Umberto Boccioni. Ad affiancare i ragazzi nel loro racconto ci saranno quattro ospiti: il musicista Lorenzo Senni, i fotografi Piero Percoco e Matteo Marchi, la scrittrice e attivista Carlotta Vagnoli.
Davanti al paesaggio astratto di Kandinsky, Lorenzo Senni affronta, con Pietro ed Enrico, il tema dell’influenza reciproca tra discipline artistiche, e nello specifico il rapporto che lega arte e musica, fondamentale tanto per l’artista russo, autore de «Lo spirituale nell’arte», quanto per il musicista che afferma come l’arte visiva abbia sempre influenzato la sua musica, tanto da avergli fatto coniare termini quali «pointillistic trance».
La relazione tra sogno e realtà, sorpresa e incanto, è, invece, centrale nel dialogo tra Piero Percoco, Marcello e Sofia, davanti al capolavoro surrealista «L’impero della luce» di Magritte. La dimensione onirica e surreale, centrale nell’opera dell’artista belga, è altrettanto presente nell’immaginario visivo del fotografo, i cui scatti sono arrivati sulle pagine del «New Yorker», e, in generale, fonte d’ispirazione per andare oltre la realtà del mondo visibile.
Due temi attuali e urgenti del vivere contemporaneo quale la parità di genere e l’emancipazione del ruolo della donna oltre gli stereotipi di genere, emergono dal dialogo tra Alice C., Eugenia, e Carlotta Vagnoli, davanti all’enigmatica figura femminile, protagonista del dipinto «La pastorella delle sfingi» della Fini, un’opera, come la definisce scrittrice e divulgatrice fiorentina che utilizza le piattaforme social per trattare temi a lei cari, potente e molto contemporanea, in grado di parlare alle donne di oggi.
Infine, al centro dell’opera di Boccioni, «Dinamismo di un cavallo in corsa + case», emblema dell’avanguardia futurista, c’è la velocità e il movimento sui quali si confrontano Lorenzo, Alice S. e Matteo Marchi, fotografo sportivo per anni sul parquet delle grandi sfide dell’Nba, che focalizza i suoi scatti proprio su quella dinamicità per lui sinonimo di libertà.
Il dialogo e lo scambio attivo tra la Collezione Peggy Guggenheim e questo consolidato team di giovani proseguirà anche nel corso del 2022, con nuovi progetti, ideati con e per loro, legati alle tante attività in programma, quali la mostra temporanea «Surrealismo e magia. La modernità incantata», che aprirà al pubblico il 9 aprile 2022, e i Public Programs correlati.
Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina guggenheim-venice.it.

AL MEIS DI FERRARA UN CONCERTO DELLA ISRAEL KLEZMER ORCHESTRA PER LA FESTA DI HANUKKAH
Arriva a Ferrara una delle poche orchestre al mondo che ancora conoscono e valorizzano il repertorio klezmer. In occasione di Hanukkah, la festa ebraica dei lumi, il Meis – Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah organizza per martedì 30 novembre, alle ore 18, un concerto della Israel Klezmer Orchestra.
Direttamente da Gerusalemme, la band porterà nelle sale della realtà culturale emiliana il ritmo trascinante della musica popolare ebraica, sviluppatasi nei villaggi dell'Europa dell'Est e tuttora molto amata. Il gruppo, unico nel suo genere, possiede una dimensione e un'energia distintive che affondano le radici nel periodo in cui le orchestre di musica klezmer erano di gran moda, all'inizio del XX secolo.
I membri dell'ensemble suonano una varietà di strumenti come legni, ottoni, archi e percussioni, e molti di loro affiancano alla musica strumentale virtuosistica e alle danze tradizionali ebraiche il canto di brani in yiddish, ebraico e inglese.
Le esibizioni si trasformano in trascinanti momenti sociali, che coinvolgono il pubblico a ballare, cantare e prendere parte all'esperienza, mentre i musicisti dell'orchestra spesso si allontanano dal palco per unirsi alla folla.
La festa di Hanukkah si ricollega alla riconquista della libertà di culto degli ebrei, dopo le proibizioni inflitte dagli elleni nel II sec. a.e.v., e il miracolo dell'olio che durò otto giorni e permise di tenere accesa nel Tempio la Menorah, il lume perenne. Ancora oggi, ogni sera, per otto giorni, migliaia di famiglie ebraiche in tutto il mondo accendono la Hanukkiah, mangiano deliziose prelibatezze tradizionalmente fritte, cantano canzoni del repertorio classicamente legato alla ricorrenza e si scambiano doni.
Il concerto è gratuito, è consigliata la prenotazione chiamando il numero 342.5476621 (attivo da martedì a domenica, dalle ore 10 alle ore 18) o scrivendo a meis@coopculture.it.
Per maggiori informazioni: https://meis.museum/.

martedì 23 novembre 2021

Danza, musica, commedia e teatro d’autore: al via la nuova stagione del Maggiore di Verbania

È uno spettacolo dal titolo evocativo, che sembra un messaggio di speranza per questo tempo ancora incerto, quello che il teatro Maggiore di Verbania ha scelto per inaugurare la sua nuova stagione teatrale.
Martedì 23 novembre
, alle ore 21, va in scena «A riveder le stelle», un omaggio a Dante Alighieri, a settecento anni dalla morte, nel quale il giornalista Aldo Cazzullo conduce il pubblico tra i personaggi più conosciuti dell’«Inferno», la prima cantica della «Divina Commedia», in un percorso che spazia da Ulisse al conte Ugolino, da Farinata degli Uberti a Brunetto Latini e molti altri ancora.
Nello stesso tempo, lo spettacolo si configura come un viaggio tra le bellezze italiane: il lago di Garda, Scilla e Cariddi, le terre perdute dell'Istria e della Dalmazia, l'Arsenale di Venezia, le acque di Mantova, la «fortunata terra di Puglia», la bellezza e gli scandali di Roma, Genova, Firenze e delle altre città toscane punteggiano il racconto.
Aldo Cazzullo ricorda, inoltre, che lo scrittore toscano, padre della nostra lingua, ha contribuito anche alla nascita della nostra identità nazionale ed è stato un eccellente narratore dei vizi e delle virtù del nostro popolo. Nelle sue pagine c’è, infatti, la denuncia dei politici corrotti, dei papi simoniaci, dei banchieri ladri, degli usurai e di tutti coloro che antepongono l’interesse privato a quello pubblico, ma c’è anche l’esaltazione della capacità, tutta italiana, di resistere e di rinascere dopo le sventure, le guerre, le epidemie, sino «a riveder le stelle».
In scena con il giornalista del «Corriere della sera» ci sarà un ospite d’eccezione: il cantante Piero Pelù, fiorentino doc. Mentre la regia e le videoproiezioni sono di Angelo Generali.
La stagione della «città giardino sul lago Maggiore» proseguirà nella serata di mercoledì 1° dicembre, sempre alle ore 21, con il premio Oscar Nicola Piovani e il suo spettacolo «La musica è pericolosa – Concertato», nel quale il pianista racconta alcune tappe della sua carriera, rivelando – si legge nella presentazione - «i frastagliati percorsi che l’hanno portato a fiancheggiare il lavoro di De André, Fellini, Magni, registi spagnoli, francesi, olandesi, per teatro, cinema, televisione e cantanti strumentisti. Alternando brani teatralmente inediti e nuovi arrangiamenti delle sue più note composizioni,» il maestro darà vita a «un racconto fatto non solo di parole e musica, ma anche di immagini» che artisti come Lele Luzzati e Milo Manara hanno dedicato alla sua opera musicale.
Con il pianista saranno in scena: Marina Cesari (sax/clarinetto), Pasquale Filastò (violoncello/chitarra), Ivan Gambini (batteria/percussioni), Marco Loddo (contrabbasso) e Sergio Colicchio (tastiere/fisarmonica).
Il mese di dicembre, e più precisamente il tardo pomeriggio di domenica 12 (alle ore 18), vedrà sul palco del Maggiore di Verbania un classico delle feste di fine anno: il balletto «Lo schiaccianoci», nota favola per bambini scritta da Ernest T.A. Hoffmann, musicata da Pëtr Il'ič Ciajkovskij, nell’interpretazione della compagnia EgriBiancoDanza.
In questa versione, a cura di Raphael Bianco, la Fata confetto sarà il personaggio guida che conduce la giovane Clara in una progressiva maturazione attraverso sorprese non sempre felici ma utili, dove i topi rappresentano l’anima nera, i fantasmi e le inquietudini. Al centro dell’azione rimangono la notte di Natale, la magia, i sogni e il senso di smarrimento della ragazzina in un labirinto speculare fra mondo onirico e realtà, in un caleidoscopico ed elettrizzante gioco di scelte per trovare la strada giusta e riscoprirsi adulta.
La programmazione proseguirà domenica 19 dicembre, alle ore 21, con Maria Amelia Monti e Marina Massironi nella commedia «Il marito invisibile», scritta e diretta da Edoardo Erba. Lo spettacolo mette sotto i riflettori una tematica sempre più attuale: la scomparsa della nostra vita di relazione a favore del mondo virtuale. Al centro della storia – si legge nella presentazione - «una videochat fra due amiche cinquantenni, Fiamma e Lorella, che non si vedono da tempo». I saluti di rito, qualche chiacchiera e, poi, l’annuncio a sorpresa: «mi sono sposata». La cosa sarebbe già straordinaria di per sé, vista la proverbiale sfortuna di Lorella con gli uomini. Ma tutto assume i contorni dell’incredibile quando si scopre che il nuovo marito non ha difetti, ma una particolarità: è invisibile.
Il mese di dicembre porterà sul palco del Maggiore, nella serata di giovedì 23, anche il gospel, uno dei generi musicali più amati del periodo natalizio, con J. David Bratton e il Virginia Union Gospel Choir, formazione che accoglie i migliori cantanti e musicisti del gospel americano provenienti dalla Virginia e New York, per un totale di venti artisti. L’esibizione del coro, che da anni porta in giro per il mondo il suo messaggio di pace, sarà arricchita dalla solista Brittany Rumph, soprano di fama internazionale la cui tonalità vocale spazia nei più disparati generi, dall’opera lirica al jazz.
Mentre ad aprire il 2022 sarà, nella serata di martedì 4 gennaio, la danza con il Balletto Di Mosca - Russian Classical Ballet e la sua versione di «Giselle», storia classica e romantica di Théophile Gautier, musicata da Adolphe-Charles Adam, che incanta l'immaginario collettivo fin dalla sua prima messa in scena nel 1841nel prestigioso Théâtre de l'Opéra di Parigi.
Toccherà, quindi, salire sul palco a Isa Danieli e Giuliana De Sio, che martedì 18 gennaio proporranno lo spettacolo «Le signorine» di Gianni Clementi, per la regia di Pierpaolo Sepe: la storia di due sorelle zitelle, offese da una natura ingenerosa, che trascorrono la propria esistenza in un continuo e scoppiettante scambio di accuse reciproche. «Un testo irriverente e poetico – si legge nella sinossi - che ci ricorda come la famiglia sia il luogo dove ci è permesso dare il peggio di noi, senza il rischio di perdere i legami più importanti».
Chiuderà la programmazione di gennaio, nella serata di sabato 29, il musical «Ghost», su musiche di Dave Stewart e Glen Ballard, con la regia di Federico Bellone, trasposizione fedele del cult-movie della Paramount, tra i maggiori successi del cinema di tutti i tempi e vincitore dell’Oscar per la sceneggiatura, riscritto per il palcoscenico dallo stesso sceneggiatore della versione cinematografica, Bruce Joel Rubin.
Sabato 5 febbraio la danza farà il suo ritorno sul palco del Maggiore con la MM Contemporary Dance Company e lo spettacolo «Gershwin Suite/Schubert Frames», per le coreografie di Michele Merola ed Enrico Morelli. Nella prima parte un collage di musiche di Franz Schubert faranno da colonna sonora un ritratto delle molte anime dell’uomo contemporaneo, «dove l’amore lascia il posto al disinganno, il distacco alla condivisione, la passione al timore, e viceversa, in un andare e venire fra crescendo e diminuendo, a rivelare interi universi e legami segreti». La seconda parte, invece, fonde i migliori brani di George Gershwin, musicista tra i più rappresentativi del Novecento, con le suggestioni provenienti dalle opere pittoriche di un altro grande artista americano del ‘900, Edward Hopper.
Seguirà, giovedì 10 febbraio (ore 21.00), «Il delitto di via dell’Orsina (L’affaire De La Rue De Lourcine)», spettacolo per l’adattamento e la regia di Andrée Ruth Shammah, con Massimo Dapporto, Antonello Fassari, Susanna Marcomeni, Andrea Soffiantini e Francesco Brandi. Sarà, poi, la volta, nella serata di venerdì 18 febbraio, di «Party Girl», per la regia e per la coreografia Francesco Marilungo: un’indagine sul concetto di corpo femminile come oggetto del desiderio individuando l’essenza stessa del desiderio nella figura della prostituta.
Il mese di marzo si aprirà con «Servo di scena», una delle commedie più importanti del Novecento, che nella serata di martedì 1 vedrà in scena Geppy Gleijeses, Maurizio Micheli e Lucia Poli, sotto la regia di Guglielmo Ferro. Il pubblico verrà trasportato nell’Inghilterra del 1942: un gruppo di attori di una compagnia di giro si prodiga a tenere alto il morale degli inglesi e porta nei teatri il repertorio di Shakespeare. Sir Ronald, capo comico della compagnia, ormai sul viale del tramonto ma capriccioso, dispotico e vanitoso, continua a recitare perché è la sua unica ragione di vita. Insieme a lui il suo «servo di scena», Norman, che in realtà gli fa da segretario, consigliere, suggeritore, amico e molto altro. I due vivono nell’illusione che l’arte possa sconfiggere le forze oscure della guerra, di ciò che rende la nostra vita meno felice.
La scena sarà, quindi, occupata da Ale e Franz, che lunedì 14 marzo metteranno in scena, con la regia di Alberto Ferrari, «Comincium». A seguire, martedì 22, Sebastiano Lo Monaco impersonerà, sotto la guida di Yannis Kokkos, «Enrico IV», uno dei testi più geniali e affascinanti di Luigi Pirandello, studio sul significato della pazzia e sul tema del rapporto, complesso e alla fine inestricabile, tra personaggio e uomo, finzione e verità. Il mese di marzo si chiuderà, quindi, con la comicità di Lillo e Greg, che martedì 29 marzo proporranno il loro nuovo varietà, «Gagmen Upgrade».
Sabato 23 aprile il palco del Maggiore vedrà, dunque, in scena due importanti interpreti del teatro contemporaneo, Umberto Orsini e Franco Branciaroli, con «Pour Un Oui Ou Pour Un Non», commedia di Nathalie Sarraute, una delle più importanti scrittrici francesi della seconda metà del Novecento, che ha occupato un posto importante nell’alchimia tra teatro dell’assurdo e teatro del quotidiano. Lo spettacolo – per la regia, le scene e i costumi di Pier Luigi Pizzi - mette al centro della scena la forza delle parole, quelle non dette o quelle pronunciate con accenti ambigui, che possono creare malintesi e guastare anche la migliore delle amicizie.
Mentre a chiudere la stagione sarà la compagnia EgriBiancoDanza con l’anteprima nazionale di «Einstein - The Dark Matter». Quale è il senso del tempo, lo spazio di una azione e la sua logica? La realtà e la logica delle nostre azioni può essere solo apparente? In quale forma, dinamica, in quale tempo e in quale spazio si configurano? Sono queste le domande a cui cerca di rispondere il nuovo lavoro di Raphael Bianco, in cartellone nella serata di sabato 14 maggio. Alla base dell’intero lavoro c'è un processo di cattura del suono generato dai danzatori in tempo reale (corpo, respiro e voce) attraverso specifici sensori curati dell’artista-musicista Andrea Giomi
 Un cartellone, dunque, vario quello della nuova stagione del Maggiore di Verbania, all’insegna della qualità e della «leggerezza, da non intendersi assolutamente – racconta la direttrice artistica Renata Rapetti - come superficialità, ma come cultura, spensieratezza e voglia di stare insieme, per provare ad alleggerire il peso degli ultimi mesi», le ferite del recente passato.

Informazioni utili 
www.ilmaggioreverbania.it