ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 21 giugno 2018

Ad Arezzo i cavalli di Gustavo Aceves

È una mostra itinerante quella che Gustavo Aceves (Città del Messico, 1957), artista messicano che oggi vive e lavora a Pietrasanta, propone ad Arezzo.
Oltre duecento opere distribuite in cinque sedi espositive compongono il percorso della mostra «Lapidarium: dalla parte dei vinti», una delle tappe fondamentali del suggestivo progetto a cui l’artista sta lavorando dal 2014. San Francesco, la sala Sant’Ignazio, il sagrato del Duomo, piazza Vasari e la fortezza Medicea sono le sedi scelte per questa riflessione sui concetti di viaggio e di migrazione. Con le sculture esposte realizzate con materiali tra i più vari come pietra, bronzo, resina e legno, solo per fare qualche esempio, Aceves intende ricreare idealmente le peregrinazioni della «Quadriga di San Marco», opera che l’artista messicano, appena ventenne ebbe modo di ammirare nella sua Città del Messico, restandone folgorato. Erano gli anni ’70 e prima di essere musealizzati, quegli antichissimi cavalli bronzei provenienti da Costantinopoli, percorrevano un ultimo giro attorno al mondo, che avrebbe messo fine alla serie di migrazioni delle quali, sin dal XIII secolo, erano stati protagonisti.
Da lì è nata l’idea di dare vita a un’opera che potesse ripercorrere lo stesso itinerario fatto dalla «Quadriga di San Marco»: il Lapidarium di Aceves propone così statue dedicate al cavallo, simbolo che evoca il movimento, lo spostamento.

Come nei classici lapidari museali, dove sono conservati frammenti di opere antiche con cui ricostruire la storia, anche l’opera dell’artista messicano è caratterizzata dal «frammento», elemento attraverso il quale ciascuno può recuperare le radici della propria storia.
Il viaggio dei cavalli di Aceves è il viaggio dei popoli migranti, una tema di grande attualità, ma che in assoluto caratterizza ciclicamente l’intera storia dell’umanità. I suoi cavalli itineranti sono mutilati, scheletrici, sopravvissuti: una sorta di monumento equestre inverso, dedicato non ai vincitori ma ai vinti, agli antieroi di ieri, di oggi, di sempre.
Non mancano, poi, i motivi per i quali la mostra «Lapidarium: dalla parte dei vinti» trova una sede privilegiata nella città di Arezzo, il cui simbolo araldico è un cavallo e che ai cavalli affida la celebrazione della sua festa più importante: la Giostra del Saracino. Inoltre alla «Quadriga di San Marco» si legano due episodi importanti: nel 1364, fu l’aretino Francesco Petrarca, ospite d’onore ai festeggiamenti per la sottomissione di Candia alla Repubblica di Venezia, a dare annuncio dell’avvenuto trasferimento del gruppo equestre alla corte dei dogi veneziani. Infine la quadriga ha un rimando immediato a Costantino, figura importante per il percorso umano e intellettuale dello scultore messicano, la cui storia trova nella città toscana la propria consacrazione nel racconto affrescato da Piero della Francesca.
Arezzo offre, dunque, un motivo in più in questi giorni per perdersi tra le sue strade del centro storico: andare alla ricerca dei cavalli mutilati di Aceves, artista che ha già portato il suo progetto in città come Berlino, Roma, Istanbul, Parigi e Venezia con l’intento di evocare, con i suoi scheletri di galeoni spagnoli, il viaggio dei barconi naufragati nelle acque del Mar Mediterraneo, raccontando così gli antieroi di ieri, di oggi, di sempre.

Informazioni utili 
«Lapidarium: dalla parte dei vinti» ad Arezzo. Sedi espositive: San Francesco | Sala Sant’Ignazio | Sagrato del Duomo | Piazza Vasari | Fortezza Medicea . Orari: dalle ore 10.00 alle ore 19.00; giorno di chiusura: lunedì. Ingresso: € 3,00; accesso gratuito per i minori di 12 anni; i biglietti sono acquistabili presso le sedi espositive di Sant’Ignazio e Fortezza Medicea oppure presso l’Info Point di Piazza della Libertà, 1. Informazioni: tel. 0575.356203. Sito internet: www.arezzoaceves.wordpress.com. Dal 16 giugno al 14 ottobre 2018.

martedì 19 giugno 2018

Caserta, Marco Lodola e Giovanna Fra dialogano con la Reggia e la sua storia

Passato e presente si incontrano nelle sale della Reggia di Caserta grazie al progetto espositivo «Marco Lodola – Giovanna Fra. Tempus – Time», che vede la curatela di Luca Beatrice e l’organizzazione di Mary Farina e Augusto Ozzella, con la collaborazione della galleria Deodato Arte.
«La mostra -sottolinea Mauro Felicori, direttore dell’istituzione napoletana- si inserisce nell’importante storia del rapporto che il museo ha avuto con l’arte contemporanea e con la variegata polifonia dei suoi linguaggi, un dialogo lungo e intenso che si è rinnovato costantemente nel corso degli anni nel confronto continuo e forte, sentito tra epoche e stili, che rende sempre attiva e feconda la vita di uno spazio museale così significativo».
Il titolo della mostra, allestita fino al prossimo 15 settembre, è un voluto riferimento al trait d’union che Marco Lodola e Giovanna Fra, grazie alle loro opere, creano fra il Tempus, la dimensione temporale legata all’antichità, al classico, alla storica sede espositiva, e il Time, sintesi del mondo contemporaneo.
Il percorso espositivo -del quale rimarrà documentazione in un catalogo di Skira editore, con testi, tra gli altri, di Renzo Arbore, Jovannotti e Piero Chiambretti, ma anche di critici quali Achille Bonito Oliva, Philippe Daverio, Gillo Dorfles, Martina Corgnati e Vittorio Sgarbi- si compone di una selezione di opere dei due artisti, che dall’ingresso si snoda negli spazi interni, nel parco reale, fino ad arrivare agli appartamenti del piano nobile.
L’immenso parco della sontuosa villa, nel raggio di un chilometro, è punteggiato da oltre venti monumentali sculture luminose di Marco Lodola, che rappresentano alcuni dei suoi soggetti tipici, uomini e donne, ballerini, danzatrici, animali, figure reali e immaginarie, che metaforicamente partecipano a una festa di corte.
Questi lavori, oltre al forte impatto creato grazie alla loro imponenza e alla vivacità dei colori, si caratterizzano per la loro peculiarità: l’emanare luce, che genera dinamismo, potenza, vitalità; qualità che non riguardano solamente le opere in sé, ma che vengono trasmesse anche all’ambiente circostante.
Le installazioni di Lodola appaiono in grande sintonia con le tele di Giovanna Fra che accolgono il visitatore negli appartamenti reali e, con il loro forte cromatismo, incarnano perfettamente quell’arte contemporanea in cui la contaminazione di tecniche e la sperimentazione sono elementi imprescindibili. L’artista si misura con lo spazio interno e l’architettura vanvitelliana, reinterpretando nelle sue opere i motivi decorativi settecenteschi, arazzi, carte da parati, arredi barocchi e neoclassici, attraverso il linguaggio segnico, costituito da tracce di colore dalle forme imprevedibili e uniche, da textures astratte che si intrecciano con le trame del supporto digitale.
I suoi lavori di matrice informale abbandonano, infatti, i mezzi tradizionali e, partendo da frame fotografici stampati su tela, Giovanna Fra arriva al risultato finale, percorrendo un cammino a ritroso, che la conduce a terminare l’opera con delle pennellate tradizionali, un’ulteriore dimostrazione del legame fra tempus e time e nel caso specifico del «passaggio da time a tempus».
Seppure provenienti da formazioni diverse i lavori di Marco Lodola e Giovanna Fra creano un profondo dialogo e si completano vicendevolmente, ma soprattutto instaurano un forte legame con il luogo che li ospita, come afferma Luca Beatrice nel testo dedicato alla mostra: «Dialogare con stucchi, decorazioni, pitture di genere e, soprattutto, con un’architettura di inestimabile pregio può costituire infatti una sfida ardua eppure affascinante per gli artisti contemporanei, a partire dall’utilizzo di materiali anomali che solo da poco sono entrati nel novero appunto dell’artisticità. Senza contare volumi, cubature e l’immensità di un parco che farebbe spaventare chiunque. […] Realizzare un cortocircuito visivo tra il tempus e il time, ovvero il passato e il presente, è rischio che l’arte di oggi sente di correre con sempre maggior frequenza. Ora, in particolare, tra pittura, elaborazione digitale, plastica e luce».

Informazioni utili 
Marco Lodola – Giovanna Fra. Tempus – Time. Reggia di Caserta, via Douhet, 2/A – Caserta. Orari: Appartamenti storici - tutti i giorni dalle  ore 8.30 alle ore 19.30 (ultimo ingresso ore 19 - uscita dal museo 19.25) | Parco, dalle 8.30 alle 19 (ultimo ingresso ore 18) | Giardino Inglese - dalle 8.30 alle 18 (ultimo ingresso ore 17); martedì chiusura settimanale; aperture serali straordinarie dalle 19.30 alle 22.30 nelle giornate dal 23, 30 giugno; 4, 7, 14, 21 luglio; 10 agosto; 9, 15 settembre con biglietto di ingresso a € 3,00. Ingresso: mostra compreso nel biglietto della Reggia | Appartamenti storici, Parco e Giardino Inglese € 12,00 intero, € 6,00 ridotto | Solo Appartamenti Storici (acquistabile quando il parco è chiuso) € 9,00 intero, € 4,50 ridotto; la prima domenica di ogni mese: Appartamenti storici gratuito - Parco della Reggia € 5,00 intero, € 2,50 ridotto, gratis fino a 18 anni. Informazioni al pubblico: www.tempustime.com - info@tempustime.com. Fino al 15 settembre 2018. 

domenica 17 giugno 2018

«Resistere»: con il crowdfunding un viaggio fotografico nel cuore terremotato del Centro Italia

Si intitola «Resistere. Nel cuore terremotato del Centro Italia» ed è un libro fotografico alla cui realizzazione potranno contribuire tutti. Il volume, realizzato da Alessio Pagani e Francesco Fiorello per le edizioni Seipersei di Stefano Vigni, è, infatti, da poco sbarcato su Ulule, la principale piattaforma di reward-based crowdfunding d’Europa.
Chiunque potrà sostenere il progetto e ricevere a casa il volume che, attraverso decine di fotografie in bianco e nero riunite sotto il nome Genziana Project, racconta i venti mesi successivi al sisma che, il 24 agosto 2016, ha cambiato il Centro Italia.
Amatrice, Accumoli, Arquata del Tronto, Visso, Ussita, Castelsantangelo sul Nera, Pescara del Tronto, Camerino, Norcia, Castelluccio sono alcuni dei paesi al centro del racconto, che permette di conoscere più da vicino la quotidianità delle zone terremotate sin dai primissimi momenti, la sua evoluzione e le situazioni di difficoltà in cui le persone sono costrette a vivere tutt'oggi.
Si tratta di un progetto importante che ha un solo obiettivo: portare in tutta Italia le immagini e le storie di chi, nonostante tutto, ha scelto di resistere e restare in piedi.
Lo raccontano bene le parole dei due fotoreporter autori delle immagini raccolte nel volume: «Ho un’immagine impressa del 24 agosto 2016 -spiega Alessio Pagani-. A Pescara del Tronto c’è distruzione totale, ma una porta è lì ferma che rimane in piedi. In quel momento ho pensato che non tutto fosse perduto, né per le persone né per noi fotografi: potevamo raccontare non soltanto il dramma, ma anche la grande voglia di riscatto».
«Il cuore del libro fotografico ‘Resistere’ -aggiunge Francesco Fiorello- è la gente dell’Appennino ferito: per questo con il nostro lavoro abbiamo cercato di essere più obiettivi possibile senza però dimenticare mai di stare dalla parte delle popolazioni e della loro resistenza».
«Nelle nostre foto -spiegano entrambi- ci sono le macerie ancora per le strade, la non ricostruzione, le difficoltà. Ma ci sono anche la forza di volontà delle persone che abbiamo conosciuto e fotografato, la loro voglia di restare o ritornare appena possibile, i loro sforzi per andare avanti nonostante tutto, le loro proteste, manifestazioni e marce sempre troppo poco prese sul serio».
Dall’attesa per le soluzioni abitative d’emergenza alla riapertura di una strada, passando per le piccole meraviglie quotidiane come la semina a Castelluccio e ogni tentativo di rinascita che, nonostante tutto, si prova a mettere in campo nei luoghi del terremoto: «Resistere» è la realtà del Centro Italia, «è la fotografia di un popolo indomito che nonostante tutto continua a camminare a testa alta. Chinandosi – chiosano i due autori- solo «per cogliere la genziana», come ci hanno insegnato gli abitanti di quelle terre».
Il lavoro di Alessio Pagani e Francesco Fiorello ha i ritmi lenti di chi ha continuato a scattare anche quando è terminata l’emergenza della quotidianità che si fa cronaca. La loro è una narrazione che non si è mai sottomessa alla pressione di qualche testata dai modi troppo frettolosi per far le cose come si deve, «per seguire – scrive Davide Burchiellaro, vice direttore di «Marie Claire»- l’avventura di una lenticchia che deve germogliare lì, proprio lì, nella Piana di Castelluccio a dispetto delle strade dissestate». Perché la vita vince sempre.

Informazioni utili 
https://it.ulule.com/resistere/