ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 24 settembre 2019

«Morandi-esque»: il design contemporaneo incontra le nature morte di Morandi

L’estremo equilibrio compositivo delle sue nature morte, intrise di luce e poesia, ne hanno fatto uno degli artisti più amati e quotati del Novecento. Il bolognese Giorgio Morandi, figura caratterialmente schiva e creativamente estranea alla lezione dei grandi movimenti pittorici del suo tempo, è stato capace di dare una solennità pacata e austera a tanti oggetti semplici e banali, protagonisti involontari della nostra quotidianità: bottiglie, vasi, brocche, caffettiere, ciotole, fiori. Il mondo del design contemporaneo non poteva non guardare alle sue tele, dai colori tenui e dai delicati accordi cromatici, come a dei modelli iconici imprescindibili. Basti pensare, solo per fare un esempio, alle candele artistiche e ai vasi in ceramica di Sonia Pedrazzini per la serie «Le Morandine», che portano nelle nostre case lo stile inimitabile del maestro bolognese con i suoi silenzi compositivi e i suoi oggetti dalla linearità senza tempo, straordinariamente contemporanei pur essendo tradizionali.
In occasione di Cersaie 2019, il salone internazionale della ceramica per l’architettura che si tiene alla Fiera di Bologna dal 23 al 28 settembre, il mondo del design contemporaneo torna a guardare all’insegnamento di quello che una vulgata fin troppo riduttiva ha definito «il maestro delle bottiglie».
Casa Morandi - realtà afferente allo straordinario patrimonio dell’Istituzione Bologna Musei con il Mambo, Villa delle Rose e il Museo della memoria di Ustica- presenta il progetto espositivo «Morandi-esque».
L’originale dimora–atelier al numero 36 di via Fondazza, dove il maestro ha vissuto e lavorato dal 1910 al 1964, ospita i lavori in stampa digitale e i modelli in 3D realizzati dagli studenti partecipanti al workshop dedicato alla relazione fra le tecniche architettoniche e l’arte di Giorgio Morandi, ideato e condotto nel 2018 da Zaid Kashef Alghata, fondatore di House of Zka e docente di design architettonico all’Università del Barhain.
Il tema su cui si è sviluppato il percorso formativo è stata la verifica progettuale su quanto il lavoro di Morandi abbia in comune con concetti e schemi usati nello studio dell’architettura e quanto allo stesso tempo il metodo e l’approccio dell’artista abbiano influenzato lo studio dell’architettura.
Incentrato sulle procedure architettoniche di interpretazione, il workshop ha proposto la comprensione dello spostamento da una prospettiva pittorica, che l’architetto statunitense Peter Eisenman descrive come una «semplice membrana, una linea fra una figura e una superficie» a «un profilo architettonico a tre dimensioni, a un recipiente con una sua propria forma», producendo così un divario nelle sembianze fra ciò che può essere costruito, sia come speculazione della immaginazione del pittore che come realtà fisica dell’oggetto originario. In una sorta di ribaltamento del processo creativo morandiano, gli studenti sono partiti dall'esito pittorico per tornare alla forma originale attraverso un percorso inverso. La correlazione leggibile fra rappresentazione e oggetto della rappresentazione, inerente alla pratica di architettura, fra il disegno e il modello o il disegno e l’edificio, coinvolge tecniche di analisi e costruzione, interpretazione e documentazione.
I partecipanti al workshop sono partiti analizzando una decina di dipinti dell’artista bolognese, ridefinendoli e ridisegnandoli da un punto di vista architettonico, ma sempre rifacendosi ad un’interpretazione precisa e letterale del dipinto. Pur tentando di rendere gli oggetti con un certo grado di autonomia, si sono sempre assicurati che questi combaciassero con la fonte originale. L’esercizio iniziale ha richiesto un metodo geometrico rigoroso nel tracciare le silhouettes degli oggetti attraverso l’uso di archi e cerchi, ripetendo gli stessi gesti compiuti dallo stesso Morandi nel segnare la posizione dei suoi modelli sul piano di lavoro. Le tracce sono state poi rese in tridimensione attraverso le proiezioni, mantenendo come riferimento la distanza dell’oggetto dalla linea dell’orizzonte presente nel dipinto e il loro angolo prospettico, per limitare così la distorsione del disegno morandiano originale. Sfruttando le sottili variazioni operate da Morandi nel rappresentare sempre lo stesso gruppo di oggetti, le inevitabili discrepanze immaginative hanno creato delle differenze formali e prodotto oggetti dalle molteplici fogge. Questo lavoro è stato guidato dal pensiero e dal fondamentale insegnamento del noto storico e critico dell’architettura Robin Evans che riteneva il disegno architettonico «non dominante ma sempre interagente con ciò che rappresenta» e ha offerto al contempo un’ulteriore riflessione sui metodi di rappresentazione attraverso le nuove tecnologie digitali.
Un’occasione, dunque, quella offerta dalla mostra a Casa Morandi per parlare ancora una volta della modernità di quello che Roberto Longhi chiamava «il solitario di via Fondazza», un artista che ha reso pittura la riservatezza e la bellezza semplice della sua anima.

Didascalie delle immagini
Per tutte le fotografie: Credito / Credit: House of ZKA | @houseofzka | www.houseofzka.com

Informazioni utili
«Morandi-esque». Casa Morandi, via Fondazza 36 | 40125 Bologna. Orari: dal 24 al 29 settembre (Bologna Design Week), ore 17.00–21.00; dal 4 ottobre fino al 1° dicembre (solo su appuntamento) venerdì e sabato, ore 14.00–16.00; domenica, ore 11.00–13.00. Ingresso: libero. Informazioni:  tel. 051.300150/6496611. Sito internet: www.mambo-bologna.org/museomorandi/. Inaugurazione: martedì 24 settembre 2019 h 18.00. Dal 25 settembre al 1° dicembre 2019. 

giovedì 20 giugno 2019

Nella Marchesini: una pittura di famiglia, donne e silenzi. A Torino

Visse l’arte come una «stella polare». Lavorò con pennelli, chine e colori con grande dedizione e assaporò quella capacità unica della pittura e del disegno di far dimenticare le «incombenze» della vita quotidiana. Stiamo parlando di Nella Marchesini (Marina di Massa, 1901 - Torino, 1953), artista della prima metà del Novecento a cui la Gam di Torino dedica la sua prossima mostra negli spazi della Wunderkammer, la «Camera delle meraviglie» dove, dal 2009, è possibile scoprire una delle raccolte meno conosciute e più cospicue del museo piemontese, quella dedicata alla grafica d’autore.
Nata a Marina di Massa nel 1901, insieme alla famiglia, Nella Marchesini si trasferisce a Torino durante la Grande guerra. Con le sorelle Maria e Ada, appartiene alla cerchia intellettuale dei giovani raccolti intorno a Piero Gobetti e alle sue riviste. È legata ad Ada Prospero, moglie e poi vedova di Gobetti, partigiana, sposata con Ettore, uno dei fratelli Marchesini. È amica di Carlo Levi, non ancora pittore, e dei futuri letterati e storici Natalino Sapegno, Edmondo Rho e Federico Chabod. È la prima allieva di Felice Casorati, la capostipite della sua Scuola libera di pittura, dove lavorerà fianco a fianco a molte compagne e compagni, fra i quali Lalla Romano, Paola Levi Montalcini, Daphne Maugham, Albino Galvano e Marisa Mori.
La scuola di Casorati è un «chiostro», come lo definirà l’artista stessa, lo spazio di un apprendistato severo e disciplinato e, allo stesso tempo, un luogo aperto, frequentato da amici e personalità come Mario Soldati, Giulio Carlo Argan e Italo Cremona. Il matrimonio, nel 1930, con Ugo Malvano, pittore di formazione parigina, estenderà il raggio delle sue referenze, aprendo il consueto lavoro in atelier, basato sulla lezione degli antichi maestri e concentrato sulla figura e sulla natura morta, a quello dell’arte e dei paesaggi della modernità internazionale. Nella Marchesini esce all’aperto, si addentra nella natura, scoperta e indagata durante le villeggiature estive che trascorre con i tre figli piccoli in Val d’Aosta e poi, negli anni della Seconda guerra mondiale, in Valchiusella, al riparo dai bombardamenti su Torino.
La mostra alla Gam di Torino -curata da Giorgina Bertolino e Alessandro Botta, autori nel 2014 del Catalogo generale dedicato all’artista- presenta un gruppo di trenta opere, fra dipinti e disegni, realizzati tra il 1920 e il 1953. Le opere sono sia provenienti da collezioni private sia di proprietà della Gam, dove giunsero con un’acquisizione del 1954 e grazie alla generosa donazione degli eredi Malvano-Marchesini, accolta da Rosanna Maggio Serra nel 1978.
Attraverso questi lavori vengono ricostruite tutte le stagioni dell’arte di Nella Marchesini e le tappe di una carriera espositiva scandita dalla partecipazione alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma e dalle presenze nelle gallerie private di Torino, Milano, Genova e Firenze.
Dal «Ritratto del padre» (1923) a «Tre donne» (1952), le opere esposte accompagnano il visitatore lungo un tragitto che mette in luce, attraverso il mutare della materia pittorica, le evoluzioni e le ricorrenze dei temi iconografici, dei soggetti e delle fonti. La predominanza dell’autoritratto, nelle diverse fasi dell’esistenza, offre il senso e la chiave di una pittura esercitata nella forma della narrazione e dell’autobiografia.
Le lettere, le cartoline, le fotografie d’epoca, i volumi e alcune pagine degli scritti dell’artista, conservati nell’Archivio Malvano-Marchesini, completano la rassegna, fornendo una mappa di documenti personali che racconta, in parallelo, la Torino fra gli anni Venti e Cinquanta del Novecento.
«Sarebbe assurdo cercare il posto della sua pittura nel "giro" materiale dell'arte di oggi, di ieri e neppure di domani […] Isolamento? No, eccezione»: disse di lei Filippo Casorati tre anni dopo la sua morte, nel 1956. Nella Marchesini arricchì, infatti, con la sua cifra e voce peculiare il dialogo di quella intensa stagione della pittura italiana che fu l’inizio del Novecento, alimentando il versante di ricerca delle donne artiste attive in quegli anni. Lasciò ai posteri un universo poetico e professionale che si identifica con i confini dello spazio domestico e familiare, in cui figure femminili, nudi, autoritratti, nature morte dialogano con una serie di ritratti di famiglia.
I sobri accordi tonali e le geometrie nitide degli inizi lasciano, con gli anni, spazio a volumi quasi sfaldati, a pennellate rapide e a una luminosità più soffusa e indefinita, come dimostrano «L'Ireos» (1931 circa) e «La finestra dello studio» (1931). Opere, queste, che rendono palpabile anche il ricco mondo interiore dell'artista, quel suo essere sempre -disse Natalino Sapegno- «la più remota e la più silenziosa».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Nella Marchesini, in una fotografia del 1924 circa. Collezione privata; [fig. 2] Nella Marchesini, L’ireos (Autoritratto), 1931. Olio su cartone, 99 x 69,5 cm. Torino, collezione eredi Malvano-Marchesini; [fig. 3] Nella Marchesini, La finestra dello studio, 1931. Olio su cartone, 71 x 50,5 cm. Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea; [fig. 4] Nella Marchesini, Tre donne, 1952. Tempera e olio su compensato, 83 x 84,5 cm. Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea

Informazioni utili
Nella Marchesini. La vita nella pittura. Opere dal 1920 al 1953. Gam – Galleria civica d’arte moderna e contemporanea, via Magenta, 31 - Torino. Orari: da martedì a domenica, ore 10.00 - 18.00, lunedì chiuso. La biglietteria chiude un’ora prima. Biglietti: intero € 10,00, ridotto € 8,00; Ingresso libero Abbonamento Musei e Torino Card. Informazioni: tel. 011.4429518 – 011.4436907, gam@fondazionetorinomusei.it . Sito internet: www.gamtorino.it. Dal 27 giugno al 29 settembre 2019. 

venerdì 14 giugno 2019

«The Self-Portrait and its Double»: Vivian Maier ritrae Vivian Maier

Tata di mestiere, fotografa per vocazione: quando si parla di Vivian Maier (1926-2009) è questa la prima espressione che viene in mente. L’artista americana -conosciuta al grande pubblico solo nel 2007 quando John Maloof acquistò all’asta il suo corposo archivio, composto da più di 150.000 negativi, super 8 e 16mm film, diverse registrazioni audio, alcune fotografie e centinaia di rullini non sviluppati- si occupava, infatti, dell’educazione dei figli degli altri e nel frattempo, con la sua inseparabile Rolleiflex, ritraeva in bianco e nero, con uno sguardo curioso, attratto da piccoli dettagli, scene di strada, ritratti di sconosciuti e il mondo dei bambini.
Vivian Maier era, dunque, un’ottima street photographer, capace di raccontare la bellezza dell’ordinario, scovando le fratture impercettibili e le inflessioni sfuggenti della realtà nella quotidianità che la circondava. Scattare ritratti era per lei una necessità. Era il modo attraverso il quale definiva la propria posizione nel mondo, e quello con cui provava a restituire l'ordine delle cose. Quando i protagonisti dei ritratti erano poveri, lasciava loro una legittima distanza. Quando, invece, appartenevano all'alta società metteva in atto azioni di disturbo facendo in modo che nello scatto risultassero infastiditi. La Maier aveva due facce: quella che accettava la propria condizione di bambinaia, e quella che, invece, la combatteva cercando di essere qualcun altro. Questo dualismo, generato dallo scontro tra le due anime, ha dato vita a una vicenda senza paragoni nella storia della fotografia.
Di Vivian Maier ci sono giunti anche molti autoritratti e sono proprio questi i protagonisti della mostra «The Self-Portrait and its Double», in programma dal 20 luglio al 16 ottobre al Magazzino delle Idee di Trieste, per la curatela di Anne Morin. L’esposizione -realizzata con la collaborazione della madrilena diChroma photography, della John Maloof Collection e della Howard Greenberg Gallery di New York- allinea settanta lavori, di cui cinquantanove in bianco e nero e undici a colori, questi ultimi mai esposti prima d’ora sul territorio italiano.
L'interesse di Vivian Maier per l'autoritratto era più che altro una disperata ricerca della sua identità. Ridotta all'invisibilità, a una sorta di inesistenza a causa dello status sociale, l’artista americana si mise a produrre prove inconfutabili della sua presenza in un mondo che sembrava non avere un posto per lei. Lasciò la sua memoria in tutti i luoghi dove ebbe occasione di lavorare come bambinaia per oltre quarant’anni, a partire dai primi anni Cinquanta e per quattro decenni, da New York a Chicago.
Il suo riflesso in uno specchio, la sua ombra che si estende a terra, o il contorno della sua figura: come in un lungo gioco a nascondino, tra ombre e riflessi, in mostra ogni autoritratto di Vivian Maier è un'affermazione della sua presenza in quel particolare luogo, in quel particolare momento.
Caratteristica ricorrente è l'ombra, diventata una firma inconfondibile nei suoi autoritratti. La sua silhouette, la cui caratteristica principale è il suo attaccamento al corpo, quel duplicato del corpo in negativo «scolpito dalla realtà», ha la capacità di rendere presente ciò che è assente.
Inedito nel percorso espositivo è il nucleo di immagini a colori. Per Vivian Maier, il passaggio al colore è stato accompagnato da un cambiamento dovuto all’utilizzo di una Leica all'inizio degli anni Settanta. La fotocamera è leggera, facile da portare: le foto sono riprese direttamente a livello dell'occhio, a differenza della Rolleiflex che usava prima. Vivian Maier è così in grado di raccogliere il contatto visivo con gli altri e fotografare il mondo nella sua realtà colorata. Il suo lavoro a colori rimane singolare, libero e anche giocoso. Esplora le caratteristiche specifiche del linguaggio cromatico con una certa casualità, elabora il proprio vocabolario, ma soprattutto si diverte con il reale: sottolineando stridenti dettagli di colore, mostrando le discrepanze multicolore della moda o giocando con brillanti contrappunti.
Accompagna gli scatti fotografici in mostra una serie di filmati in super 8mm realizzati dalla stessa Vivian Maier, che ci permettono di seguire il movimento dell'occhio dell’artista. Nel 1960 l’artista inizia, infatti, a filmare scene di strada, eventi e luoghi. Il suo approccio cinematografico è strettamente legato al suo linguaggio da fotografa: è una questione di esperienza visiva, di un’osservazione discreta e silenziosa del mondo che la circonda. Non c'è narrazione, nessun movimento della macchina (l'unico movimento cinematografico è quello della carrozza o della metropolitana in cui si trova). Vivian Maier filma quello che la porta all'immagine fotografica: osserva, si ferma intuitivamente su un soggetto e lo segue. Ingrandisce con la lente per avvicinarsi senza avvicinarsi e concentrarsi su un atteggiamento o un dettaglio (come le gambe e le mani di individui in mezzo alla folla). Il film è sia una documentazione (un uomo mentre viene arrestato dalla polizia, oppure i danni causati da un tornado) sia un oggetto di contemplazione (la strana processione di pecore ai mattatoi di Chicago).
Dall’esposizione triestina emerge, dunque, il ritratto di una fotografa, diventata icona solo in anni recenti, capace non solo di appropriarsi del linguaggio visivo della sua epoca, ma di farlo con uno sguardo sottile e un punto di vista acuto.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Vivian Maier, Untitled, Chicago, IL, 1974_Paper size: 11x14 inches. ©Estate of Vivian Maier, Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery, NY; [fig. 2] Vivian Maier, Self-portrait on a beach in New York's Staten Island, 1954_ Image size: 12x12 inch (30,48 x 30,48 cm) Paper size: 20x16 inch (50,8 x 40,64 cm)©Estate of Vivian Maier, Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery, NY; [fig. 3] Vian Maier, n.d.Image size: 12x12 inch (30,48 x 30,48 cm) Paper size: 20x16 inch (50,8 x 40,64 cm); [fig. 4] Vivian Maier, 1955_Image size: 12x12 inch (30,48 x 30,48 cm)_Paper size: 20x16 inch (50,8 x 40,64 cm) ©Estate of Vivian Maier, Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery, N

Informazioni utili
Vivian Maier, The Self-Portrait and its Double. Magazzino delle Idee, Corso Camillo Benso conte di Cavour, 2 – Trieste. Orari: da martedì a domenica, ore 10.00-20.00; lunedì chiuso | aperture straordinarie: 15 agosto. Informazioni: info@magazzinodelleidee.it | tel. 040.3774783 | tel. 0481.91697. Sito internet: www.magazzinodelleidee.it | www.vivianmaier.com. Inaugurazione: 19 luglio 2019, ore 18. Dal 20 luglio al 22 settembre 2019. La mostra è prorogata fino al 16 ottobre 2019.