ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

sabato 24 ottobre 2020

Milano, al Poldi Pezzoli la ‘nuova’ «Madonna con il Bambino» di Andrea Mantegna

Era il 1861 quando Gian Giacomo Poldi Pezzoli (1822-1879) acquistava dallo storico dell’arte Giovanni Morelli (1816-1891), in difficoltà per un debito di gioco, un’opera destinata a diventare iconica all’interno della sua collezione: il piccolo e prezioso dipinto della «Madonna con il Bambino» (1490-1499) di Andrea Mantegna (1431 – Mantova, 1506).
Due anni dopo, nel 1863, il collezionista lombardo affidava la tela alle cure di Giuseppe Molteni (1800–1867), conservatore della Pinacoteca di Brera nonché ritrattista e amico di famiglia, noto nell’ambiente artistico per i suoi interventi di tipo «integrativo», che avevano la pretesta di migliorare l’aspetto estetico dei quadri antichi secondo il gusto accademico in vigore nel secondo Ottocento così da incontrare il favore della ricca committenza dell’epoca.
Per la «Madonna con il Bambino» quel restauro, purtroppo non solo conservativo, rappresentò una vera e propria metamorfosi.
Giuseppe Molteni eseguì, dapprima, una foderatura incollando sul retro una nuova tela, in modo tale da conferire sostegno al delicatissimo supporto originale, che risultava lacerato in corrispondenza della mano della Vergine.
L’artista impreziosì, poi, la veste rossa della Madonna con marezzature dorate e ridipinse completamente il suo manto blu dal risvolto verde, i cui pigmenti originali in azzurrite apparivano irrimediabilmente alterati.
Ma l’intervento conservativo non si limitò a questo: il restauratore prolungò anche arbitrariamente le braccia di Maria sui bordi laterali, dando l’impressione che la scena si svolgesse davanti a una finestra e, in tal mondo, alterò completamente l’impostazione compositiva e prospettica data all’immagine dal Mantegna.
Infine, Giuseppe Molteni verniciò la superficie, per saturare i colori originali percepiti come troppo «piatti» e «polverosi», con un effetto finale di «scurimento» dei toni, che alterò l’equilibrio cromatico della composizione e rese meno intellegibile la distinzione fra il fondo scuro e il manto della Vergine.
L’intero lavoro di restauro fece sì che i critici facessero fatica a inquadrare storicamente la tela, attribuita negli anni alle più varie fasi di attività dell’artista padovano: dal periodo giovanile, trascorso nella città natale, all'inizio del soggiorno mantovano, avvenuto tra il 1462 e il 1470, fino alla tarda attività, nell’ultimo decennio del Quattrocento.
Nel marzo 2019 il museo Poldi Pezzoli di Milano ha affidato, anche grazie al sostegno economico della Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti onlus, il recupero della tela all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze.
Il lavoro di restauro -realizzato da Lucia Maria Bresci, con la collaborazione di Ciro Castelli, sotto la direzione di Marco Ciatti e Cecilia Frosinini, e in collaborazione con Andrea Di Lorenzo- è stato anticipato da un’approfondita campagna diagnostica. Questa prima fase è stata utile per comprendere a fondo la tecnica esecutiva e lo stato conservativo del dipinto, ma anche per definire più accuratamente l’entità dell’intervento di Giuseppe Molteni e, infine, per chiarire alcune piccole scoperte che si andavano rivelando.
«Dagli studi -raccontano i responsabili del restauro- è stato possibile comprendere che la «Madonna con il Bambino» era caratterizzata in origine da un effetto opaco e quasi pulvirulento della superficie, a imitazione degli stendardi o della pittura murale». La vernice a mastice, usata da Giuseppe Molteni per proteggere gli strati pittorici, aveva alterato profondamente l’opera rendendola esteticamente simile a un dipinto a olio e celando le peculiarità della tecnica esecutiva a tempera magra utilizzata dal Mantegna in questa tela e anche in altri suoi lavori come il «Cristo morto» della Pinacoteca di Brera, il grande «San Sebastiano» del Museo del Louvre e la «Madonna con Bambino» dell’Accademia Carrara di Bergamo.
Diffuso nel Quattrocento soprattutto nel Nord Europa, questo particolare procedimento pittorico -raccontano ancora i responsabili del restauro- «consiste nel dipingere su una finissima tela di lino, priva di preparazione e trattata tramite una leggera stesura di amido che la rende più impermeabile alla possibile penetrazione della componente liquida della miscela colore-legante. Quanto al film pittorico, questo è legato a tempera magra (verosimilmente colla animale) e applicato in sottilissime stesure pittoriche per ottenere come effetto estetico finale un’apparenza arida e opaca, enfatizzata e accompagnata, infatti, dall’assenza di verniciatura finale».
Per i restauratori non è stato semplice tornare alla versione antica, che oggi si ritiene essere stata realizzata dal Mantegna negli anni Novanta del Quattrocento, sul finire della vita. 
All’Opificio delle Pietre Dure di Firenze hanno, infatti, affrontato una vera e propria sfida, della quale, in letteratura, esisteva solo un altro caso di parziale successo, operato sull’«Adorazione dei Magi», sempre del Mantegna, del Getty Museum di Los Angeles, da parte di Andrea Rothe, restauratore di formazione italiana, recentemente scomparso.
Oggi possiamo dire che la sfida è stata vinta e che il restauro, iniziato con la graduale rimozione della vernice messa da Giuseppe Molteni, ha riservato anche qualche sorpresa: in corso di pulitura è affiorata una traccia della scritta «Nigra sum sed formosa», espressione tratta dal «Cantico dei Cantici». 
Non visibile a occhio nudo, questo lacerto può essere ammirato, fotograficamente e su un grafico di ricostruzione, nella mostra-dossier «Mantegna ritrovato», allestita al Museo Poldi Pezzoli di Milano, nel Salone dell’affresco, per il ritorno a casa della «Madonna con il Bambino».
L’allestimento della rassegna - realizzato da Unifor, su progetto di Luca Rolla e Alberto Bertini - presenta due stanze: la prima, introduttiva, con i pannelli esplicativi e un video che raccontano le diverse fasi di lavorazione; la seconda spoglia, con la sola opera di Mantegna. Una tenda cinge il tutto isolandolo dal resto del museo e concentrando l’attenzione unicamente sul capolavoro. Il visitatore si trova così a tu per tu con la Madonna mantegnesca. Può ammirare l’armonia estetica e, di conseguenza, contenutistica dell'opera, permeata da sentimenti di tenerezza e semplicità. Può lasciarsi ammaliare dall’immagine di una maternità, intima e dolcissima, lontana da ogni intento celebrativo e regale, quasi nobilitata dalla stessa povertà ed umiltà della Vergine, ben sottolineata dalla scritta, appena rinvenuta, «Nigra sum sed formosa». «Sono nera, ma bella».
 
Didascalie delle immagini
[fig. 1] Madonna con Bambino Andrea Mantegna, Madonna con Bambino, 1490-1499. Tempera magra su tela, 35,5 x 45,5 cm. Milano, Museo Poldi Pezzoli; [figg. 2, 3 e 4] allestimento della mostra Mantegna ritrovato al Poldi Pezzoli di Milano, ottobre 2020; [fig. 5] Mantegna. Adorazione dei Magi, 1495-1505 ca. Tempera a colla e oro su tavola, cm 54,6x70,7. Los Angeles, Getty Museum

Informazioni utili
Mantegna ritrovato. Museo Poldi Pezzoli, via Manzoni, 12 – Milano. Orari: dal mercoledì al lunedì, dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 18.00; il museo resterà eccezionalmente aperto anche martedì 27 aprile e sabato 1° maggio.. Ingresso:  ridotto promozionale dal 26 aprile € 7,00. Informazioni: biglietteria, ferraris@museopoldipezzoli.it; tel. 02.79 4889/6334. Note: sono in programma visite guidate e laboratori per bambini; per informazioni e prenotazioni è possibile scrivere a servizieducativi@museopoldipezzoli.it. Sito internet: www.museopoldipezzoli.it.

giovedì 22 ottobre 2020

«Un marziano a Roma», un Ennio Flaiano precursore dei tempi al Menotti di Milano

Era il 1954 quando Ennio Flaiano scriveva il racconto satirico-scientifico «Un marziano a Roma», nel quale narrava il singolare, quanto imprevisto, atterraggio a Roma, e più precisamente a Villa Borghese, di una aeronave proveniente da Marte. Nel 1960 il racconto breve, pubblicato per la prima volta sulla rivista «Il mondo», diventava una surreale, quanto discussa versione teatrale, pubblicata dalla casa editrice Einaudi di Torino.
Nello stesso anno, il 23 novembre 1960, lo spettacolo debuttava al Lirico di Milano, nell’allestimento della Compagnia del teatro popolare italiano; il debutto, con Vittorio Gassman nel ruolo del marziano Kunt, veniva accolto dal pubblico con fischi e pernacchie. Quella commedia anticipatrice dei nostri tempi e satira sui costumi italiani finiva così per essere il più grande fiasco nella storia teatrale recente. 
Ennio Flaiano -ricorda l’attrice Ilaria Occhini nel suo libro di memorie «La bellezza quotidiana» - non la prese benissimo, ma, pur nello stordimento per la situazione inattesa, se ne uscì con una delle sue battute caustiche e stranianti: «l’insuccesso mi ha dato alla testa».
Al di là dell’aneddoto, che racconta molto dello spirito divertente e divertito dello scrittore, e malgrado l’infelice “prima”, lo spettacolo è stato più volte riproposto nel corso degli anni da varie compagnie e nel 1983 è diventato anche un film per la televisione, prodotto dalla Rai, con la regia di Bruno Rasia e Antonio Salines.
A questa storia, che ha colpito anche l’attenzione di Federico Fellini, guarda il teatro Menotti di Milano per l’apertura della rassegna «Fragili come la terra», dedicata alle crisi ambientale, sociale e culturale che stiamo vivendo.
L’appuntamento è fissato per sabato 24 ottobre e sono già in calendario delle repliche per altre quattro giornate: il 25, il 30, il 31 ottobre e il 1° novembre.
Sul palco salirà un’attrice di talento e spessore come Milvia Marigliano, più volte candidata al Premio Maschere del teatro italiano, accompagnata dal trombettista Raffaele Kohler, diventato famoso nei giorni del lockdown per il video, virale sui social, nel quale suona «O Mia Bela Madunina» dietro a un’inferriata, alla finestra, in occasione di un flashmob
Firma la regia e l’adattamento dello spettacolo, una produzione Tieffe Teatro, Emilio Russo; il disegno luci porta la firma di Mario Loprevite.
«Un marziano a Roma» anticipa l’idea, oggi molto attuale, di società effimera, omologata e in bilico, tra il reale e l’immaginario, alla vana ricerca di un senso al nulla virtuale che ci circonda.
Il testo racconta l’epopea tragicomica di Kunt, un marziano arrivato sulla terra, con l’idea di fare un viaggio in un pianeta accogliente, placido e blu. 
La sua storia si consuma in pochi giorni, dal 12 ottobre 1953 al 6 gennaio 1954. 
Al suo atterraggio è il caos: il marziano è la novità, la notizia da raccontare a tutti. 
In poco tempo, Kunt diviene una superstar, tutti lo conoscono e tutti vogliono incontrarlo. Le televisioni lo invitano nei loro talk show. I giornali fanno «titoloni» sulle sue avventure. Le donne, infatuate, gli scrivo appassionate lettere d’amore. I cittadini romani si aspettano che lui risolva tutti i loro problemi e renda migliore la vita della città. 
Passata la curiosità iniziale, il marziano viene dapprima ignorato, costretto ad aggirarsi solo e malinconico per la città. Poi viene addirittura deriso. 
Quel mondo pieno di intellettuali annoiati, giornalisti venditori di fumo, gente che dibatte sul nulla, con la sua superficialità e la sua vanità, non è adatto a Kunt. Il marziano lo capisce e non gli resta che una scelta: fare ritorno nello spazio in silenzio e di nascosto senza nemmeno salutare. Così va la vita.

Vedi anche

Informazioni utili
Un marziano a Roma. Teatro Menotti, via Ciro Menotti, 11 – Milano. Orari biglietteria: dal lunedì al sabato, dalle ore 15.00 alle ore 19.00 | domenica, ore 14.30- 16.00 solo nei giorni di spettacolo | i biglietti sono acquistabili anche on line, con carta di credito, sul sito del teatro. Orari spettacolo: sabato 24 ottobre ore 20.00, domenica 25 ottobre ore 16.30, venerdì 30 ottobre ore 20.00, sabato 31 ottobre ore 19.30, domenica 1 novembre ore 19.30 Ingresso: intero 15,00, ridotto € 10,00. Informazioni: tel. 02.36592544 – biglietteria@tieffeteatro.it

mercoledì 21 ottobre 2020

A Milano un ciclo di visite guidate per conoscere «Il teatro scolpito» di Arnaldo Pomodoro

«Il teatro mi dà un senso di libertà creativa: mi sembra, in un certo senso, di poter materializzare la visionarietà». Così Arnaldo Pomodoro (Morciano di Romagna, 23 giugno 1926) parla del suo rapporto con il palcoscenico, che, nel corso della vita, lo ha portato a realizzare costumi e scenografie per più di quaranta spettacoli, dalla tragedia greca all’opera lirica, dalla musica al teatro contemporaneo. Dal 25 ottobre a questo particolare aspetto del fare creativo dello scultore e orafo romagnolo di nascita e milanese d'adozione, noto per le sue grandi sfere di bronzo dislocate in varie parti del mondo, sarà dedicato un ciclo di visite guidate open studio negli spazi, recentemente rinnovati, della Fondazione Pomodoro di Milano.
Maquettes
, figurini, tavole progettuali, fotografie di scena e un costume originale racconteranno ai visitatori un ambito ancora poco conosciuto dell’attività dell’artista, ma sperimentato sin dagli albori. Risale, infatti, al 1954 il premio per il progetto scenico dell’opera teatrale «Santa Giovanna dei Macelli» di Bertolt Brecht al Festival d’arte drammatica di Pesaro. Inizia così un viaggio straordinario e unico che porta Arnaldo Pomodoro a lavorare, per esempio, con Luca Ronconi per il dramma «Caterina di Heilbronn» del poeta tedesco Heinrich von Kleist, nell’allestimento proposto sul lago di Zurigo nel 1972, e con Ermanno Olmi nell’insolito dittico formato dall’opera lirica «Cavalleria rusticana» di Pietro Mascagni e da «Šárka» di Leoš Janáček, che va in scena al teatro La Fenice di Venezia nel 2009.
Il teatro è per il maestro romagnolo il luogo principe della ricerca. È lo stesso artista a dichiararlo: «l'esperienza teatrale mi ha aperto nuovi orizzonti e mi ha stimolato a sperimentare anche nel campo della scultura. In alcuni progetti per la scena, soprattutto nel caso di testi classici, ho realizzato grandi macchine spettacolari da cui poi ho tratto vere e proprie sculture. In altri casi ho preso lo spunto da progetti di sculture non realizzate». Macchine teatrali sono, per esempio, quelle costruite per una delle esperienze sceniche più affascinanti del Novecento: l’«Orestea di Gibellina» di Emilio Isgrò, tratta da Eschilo e messa in scena sui ruderi di Gibellina tra il 1983 e il 1985, con la regia di Filippo Crivelli.
Il programma culturale della Fondazione Pomodoro si arricchisce così di un nuovo percorso didattico, in aggiunta a quelli già attivi al «Labirinto» di via Solari 35, alla Fonderia De Andreis di Rozzano, nel centro di Milano con il tour «Pomodoroincittà» e nello stesso Studio Arnaldo Pomodoro, dove ogni mese si svolge un ricco programma di workshop incentrati sulle tecniche della scultura.
Il percorso «Il teatro scolpito» prevede per i prossimi mesi quattro visite guidate, in programma con il seguente calendario: 25 ottobre (ore 11), 8 e 22 novembre (ore 17), 13 dicembre (ore 17).
Questa iniziativa segna un nuovo passo nel progetto globale di conservazione, valorizzazione e promozione dell'archivio e dei suoi contenuti, avviato con la pubblicazione on-going del «Catalogue Raisonné» dell'artista e promosso dalla fondazione milanese con l'obiettivo di favorire una sempre più ampia conoscenza dell'opera di Arnaldo Pomodoro e una piena accessibilità al pubblico del proprio patrimonio materiale e immateriale.
Alla valorizzazione dell'archivio si affianca, poi, quella della collezione attraverso una serie di iniziative diffuse sul territorio, a cominciare dal comodato d’uso triennale del monumentale «Obelisco per Cleopatra», collocato per i prossimi tre anni nel piazzale antistante al Castello Campori di Soliera, nel Modenese.
Per presentare al meglio questo lavoro - progettato nel 1989 in riferimento alla messinscena del dramma storico «La passione di Cleopatra» di Ahmed Shawqi, rappresentato sui ruderi di Gibellina – è stata appena inaugurata a Soliera la mostra «Arnaldo Pomodoro. {sur}face», a cura di Lorenzo Respi. L'esposizione - accompagnata dalla pubblicazione di un catalogo dedicato alla genesi e all'attuale collocazione dell'«Obelisco» - racconta l'esperienza teatrale di Arnaldo Pomodoro attraverso costumi di scena originali, disegni preparatori, bozzetti scenografici, fotografie e video dello spettacolo «Cleopatra», ma non solo.
Un altro aspetto poco noto dell'attività dell’artista, quello della produzione grafica, sarà, invece, al centro della mostra in programma per novembre alla Galleria d'arte contemporanea «Vero Stoppioni» di Santa Sofia, sull’Appennino Forlivese. L’esposizione, a cura di Renato Barilli, fa seguito alla recente inaugurazione del comodato d'uso quinquennale di un'altra opera monumentale di Arnaldo Pomodoro, «Cono tronco» (1972), da poco collocata sul lungofiume del Bidente nel Parco di sculture all'aperto di Santa Sofia.
Sono, inoltre, in via di definizione altri due importanti comodati di opere, quello al Museo del Novecento di Milano, nell'ambito del nuovo ordinamento della sezione che racconterà il periodo dagli anni Venti agli anni Cinquanta, e quello agli Horti dell'Almo Collegio Borromeo di Pavia, che sarà aperto al pubblico come oasi naturalistica e spazio d'arte contemporanea a cielo aperto.
Un programma, dunque, fitto di impegni quello che la Fondazione Pomodoro di Milano ha in cantiere nei prossimi mesi per diffondere la conoscenza di un artista-artigiano che al mondo del teatro ha lasciato le macchine di scena per la «Semiramide» di Gioachino Rossini, andata in scena nel 1982 al Teatro dell’Opera di Roma, la spirale metallica e i costumi vivaci e moderni del «Ballo in maschera» di Giuseppe Verdi, presentato a Lipsia nel 2005, e ancora le scene per l’opera «Teneke» di Fabio Vacchi, proposta nel 2007 al teatro alla Scala di Milano. Lavori dai linguaggi e dalle sensibilità diverse che hanno incontrato lo stesso stile, quello di Arnaldo Pomodoro e del suo inconfondibile «teatro scolpito».

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1[ Modellino di scena (scala 1:50) | fiberglass patinato, ottone e legno | da: La tempesta di William Shakespeare, regia di Cherif | Palermo, Cantieri Culturali della Zisa, 7 aprile 1998 | Fotografia Dario Tettamanzi, courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro; [fig. 2] Costume di Enea. Tessuto, ottone e fiberglass dorato | da: La tragedia di Didone regina di Cartagine di Christopher Marlowe  | Adattamento e regia di Cherif | Gibellina, Ruderi, 6 settembre 1986 | Fotografia di Pietro Carrieri, courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro; [fig. 3] Cavallo per Didone, 1986, legno, piombo e fiberglass - 36 × 76 × 31 cm | Catalogue Raisonné n. 803 | da: La tragedia di Didone regina di Cartagine di Christopher Marlowe, ddattamento e regia di Cherif | Gibellina, Ruderi, 6 settembre 1986 | Fotografia Studio Boschetti, courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro; [fig.4] Rive dei mari, 1987, fiberglass - 252 × 95 × 29 cm | da: Alceste di Christoph Willibald Gluck, regia di Virginio Puecher | Genova, Teatro Margherita, 26 febbraio 1987 | Fotografia Fondazione Arnaldo Pomodoro; [fig. 5]  Modellino di scena (scala 1:20), ottone patinato, plexiglass e legno | da: Alceste di Christoph Willibald Gluck, regia di Virginio Puecher | Genova, Teatro Margherita, 26 febbraio 1987 | Fotografia Studio Tettamanzi, courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro; [fig. 6]Arnaldo Pomodoro, Obelisco per Cleopatra. Foto Fotostudio Solierese #1; [fig. 7] Cono tronco, Santa Sofia, 2020. Foto: Nicola Andrucci  

Informazioni utili 
Visite guidate Open Studio - Il teatro scolpito. Dove: Studio Arnaldo Pomodoro, via Vigevano 3 - Milano (cit. 061). Quando: 25 ottobre (ore 11); 8 novembre (ore 17); 22 novembre (ore 17); 13 dicembre (ore 17). Durata: 60 min circa. Costo: biglietto intero € 11,00 / ridotto € 8,00; per adulti (dai 15 anni in su). Acquista i biglietti: https://fondazionearnaldopomodoro.it/visita/visita-open-studio-singoli/. Prenota una visita di gruppo: https://fondazionearnaldopomodoro.it/visita/visita-open-studio-gruppi/. Maggiori informazioni su tutte le attività della Fondazione Arnaldo Pomodoro sul sito: fondazionearnaldopomodoro.it