ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 23 dicembre 2020

Firenze, Marinella Senatore illumina il cortile di Palazzo Strozzi

Relazione, vicinanza, comunità, inclusione sociale: riflette su questi concetti, rimessi in discussione dalla pandemia, il progetto che Marinella Senatore (Cava de’ Tirreni, 1977), artista multidisciplinare apprezzata per le sue performance e opere pubbliche che coinvolgono intere comunità intorno a tematiche sociali e questioni urbane quali l’uguaglianza o le condizioni dei lavoratori, ha pensato per Palazzo Strozzi a Firenze.
«We rise by lifting Others» («Ci eleviamo sollevando gli altri») è il titolo dell’installazione site-specific, ideata a partire da una frase dello scrittore e politico americano Robert Ingersoll (1833-1899), per ornare il cortile d’onore dell’istituzione toscana, che vede alla guida Arturo Galansino.
Alta oltre dieci metri e costituita da centinaia di luci led, l’opera è ispirata alle luminarie tipiche della tradizione popolare dell’Italia meridionale ed è prodotta in collaborazione con l’atelier dei fratelli Parisi di Taurisano, artigiani pugliesi con cui l’artista toscana ha già lavorato nei mesi scorsi in occasione della sfilata di Dior, dello scorso luglio, davanti al Duomo di Lecce. 
Con questo lavoro, Marinella Senatore, che nel 2013 ha ideato il progetto didattico «School of Narrative Dance» per la crescita personale, «crea – ha dichiarato Arturo Galansino durante la presentazione, tenutasi nei giorni scorsi in diretta streaming su Facebook- una piazza tanto fisica quanto ideale per cercare un senso di vicinanza, comunità in un momento di distanziamento sociale e fisico». Per questo motivo il cortile dalle scenografiche suggestioni rinascimentali, a differenza del museo, chiuso almeno fino al 15 gennaio per effetto dell’ultimo Dpcm con le misure per contrastare la diffusione del Coronavirus, sarà aperto ininterrottamente al pubblico – tutti i giorni, dalle 9 alle 20 - fino al 7 febbraio.
«We rise by lifting Others», motto che l’artista ha visto in fotografia sulla maglietta di un manifestante americano degli anni Settanta, non è la sola frase scelta per attivare una riflessione sul nostro tempo.
L’installazione, che nella sua conformazione ricorda un portone o un varco, una sorta di soglia mistica, propone, infatti, altri due motti che instillano domande e ragionamenti: «Breathe, You Are Enough» («Respira, tu sei abbastanza») e «The Word Community Feels Good» («La comunità di parole si sente bene»), un detto del pensatore Zygmunt Bauman.
Marinella Senatore ci dice così che possiamo essere uniti anche se distanti e dà forma a questo suo pensiero anche attraverso un’intensa attività on-line, caratterizzata da una serie di conversazioni con il curatore e il pubblico, ma anche da workshop sul rapporto tra individui e corpi, che vedranno la partecipazione di gruppi, istituzioni e associazioni: studenti liceali e universitari, frequentatori di centri diurni e Rsa, detenuti della Casa circondariale di Firenze Sollicciano, insegnanti, educatori, volontari e artisti.
Le conversazioni sono partite lo scorso 10 dicembre con Maria Grazia Chiuri, la direttrice artistica delle collezioni donna Dior, e continueranno con tante altre personalità internazionali nel mondo dell’arte e della cultura, come la curatrice spagnola Chus Martinez, l’economista Pier Luigi Sacco e il collettivo russo Pussy Riot. «Pensarsi comunità significa anche questo – conclude Marinella Senatore -: essere persone che attivano altre persone».

Didascalie delle immagini
[Figg. 1,2,3 e 4] Marinella Senatore, «We rise by lifting others», Palazzo Strozzi, Firenze ©photoOKNOstudio

Informazioni utili
Marinella senatore. «We rise by lifting others». Palazzo Strozzi, piazza Strozzi - Firenze.Orari: tutti i giorni, ore 9.00-20.00. Informazioni: +39.055.2645155 (dal lunedì al venerdì, ore 9.00-13.00 e ore 14.00-18.00), prenotazioni@palazzostrozzi.org. Sito  internet: www.palazzostrozzi.org. Fino al 7 febbraio 2021 



martedì 22 dicembre 2020

Un Natale di luci e di alabastro per Volterra, tra le dieci finaliste per il titolo di Capitale italiana della cultura 2022

Sarà un Natale di luci e alabastro quello di Volterra, una delle città entrate nella short list delle dieci finaliste per il titolo di Capitale italiana della cultura 2022. Lo scorso 8 dicembre il centro toscano ha inaugurato, in diretta streaming, l’opera «Arnioni in piazza», uno dei progetti di «22 designer per 22 artigiani», iniziativa curata dalla designer internazionale Luisa Bocchietto, già presidente e ora senator di World Design Organization.
L’opera urbana, pensata per piazza dei Priori, mette al centro la pietra gessosa volterrana, formatasi 6-7milioni di anni fa, unica per la sua conformazione che la vede cambiare aspetto, colorazione e consistenza al variare della composizione chimica del terreno, mostrando diverse venature e trasparenze che rendono ogni oggetto non replicabile.
La storia di Volterra e dell’alabastro ha origini molto antiche: utilizzata già in epoca etrusca per i sarcofaghi e le urne cenerarie, la pietra conobbe una vera e propria riscoperta nel Rinascimento ed ancora oggi rappresenta una delle principali attrattive della città. 
L’alabastro non poteva, dunque, non essere al centro della candidatura di Volterra a Capitale italiana della cultura 2022. Il progetto complessivo, presentato in un dossier dal titolo «Rigenerazione umana», mette al centro il rinnovamento delle persone e delle comunità, ponendosi come esempio di sperimentazione e punto di riferimento per la rinascita dell’Italia, soprattutto dopo questo periodo di pandemia, attraverso i centri di media dimensione e i loro territori.
Accanto alla sapienza artigiana, il dossier trova forza propulsiva nelle esperienze di rigenerazione umana che hanno modellato la città, in particolare quella dell'ex Ospedale psichiatrico, dove si conserva parte del graffito di Fernando Oreste Nannetti, capolavoro dell'art brut, e quella della pluripremiata Ubu, Compagnia della Fortezza, la più importante e longeva esperienza di teatro-carcere nel mondo, condotta da Armando Punzo, che ha creato un innovativo e unico modello di ricerca culturale in continua evoluzione.
L’opera pensata per il Natale nasce dal fascino esercitato su Luisa Boschetto dalle immagini degli «arnioni» liberati in cava dal materiale inerte, per iniziare il loro percorso verso la luce. «Nell’immaginario collettivo dei non addetti ai lavori, estranei alla realtà di Volterra -racconta la designer toscana- si identifica l’alabastro con il marmo, pensando che venga semplicemente cavato da blocchi all’esterno. Non si conosce il percorso di lavorazione del materiale, la sua unicità sul territorio, il suo valore, le sue caratteristiche di trasparenza e modellabilità, che ne fanno un materiale unico e prezioso. In questo senso, piuttosto che realizzare una forma disegnata, è sembrato interessante trovare il modo di evidenziare quest’unicità, con l’obiettivo di valorizzare il materiale e il processo che si svolge a monte della realizzazione dei prodotti, in modo da costruire un racconto d’immediata comprensione». 
Da qui è nata l’idea di portare degli «arnioni» in piazza, con le loro forme «pettinate» a una scala più grande possibile, inserendo della luce al loro interno, per mettere in evidenza la varietà dei colori e delle venature che contraddistinguono il materiale naturale. Ne è nata un’installazione che veicola un duplice messaggio: da un lato la qualità del materiale e la capacità delle imprese locali di lavorarlo per trarne prodotti eccellenti, dall’altro la speranza per un futuro che sia migliore del momento difficile che stiamo vivendo, con la luce come elemento di vita.
Nei giorni di Natale si potranno, inoltre, acquistare lumi portacandele in alabastro realizzati dagli artigiani volterrani, come segno concreto di partecipazione alla candidatura da parte di tutti coloro che vorranno sostenere Volterra. 
Questo Natale la città toscana si racconta, dunque, attraverso un'opera che mette al centro  la luce, simbolo di rinascita, e  la versatilità, la raffinatezza e le mille sfumature di un materiale, l'alabastro, che l'ha resa celebre nel mondo. 

lunedì 21 dicembre 2020

«Hopperiana»: quattro fotografi, un artista iconico e il nostro «tempo sospeso»

Lo hanno definito l'icona pittorica del nostro tempo sospeso, caratterizzato dalla distanza sociale e dal disorientamento per un futuro che facciamo fatica a progettare, in balia delle ondate di Coronavirus e dei Dpcm che scadenzano anche i momenti più intimi della nostra vita. I suoi quadri permeati di solitudini, silenzi e assenze hanno richiamato alla mente di molti il nostro stare chiusi tra le pareti di casa, con l'assordante silenzio di un tempo che si ripete sempre e costantemente uguale a farci compagnia.
Edward Hopper (Nyack, 22 luglio 1882 – Manhattan, 15 maggio 1967), esponente di spicco del Realismo americano della prima metà del Novecento, ha consegnato alla storia interni domestici, scenografie urbane e paesaggi dalle atmosfere poetiche e oniriche, oggi quanto mai attuali. I suoi uomini e le sue donne sospesi tra la volontà di vivere e l’incapacità di esistere, parlano, infatti, anche di noi, della nostra voglia di andare avanti e del nostro essere costretti a vivere in atmosfere immote e, molto spesso, solitarie.
Al mondo dell'artista guarda l'ultima mostra virtuale di Photology, che ha da poco inaugurato una piattaforma 3D con un sistema di navigazione semplice e intuitivo che permette agli utenti di muoversi all’interno di uno spazio virtuale ma allo stesso tempo del tutto realistico. I lavori esposti possono essere ingranditi, guardati nei dettagli e visti da varie angolazioni; i testi, i contributi video e gli apparati informativi sono inseriti nel contesto espositivo per una omogeneità di informazione.
L'ultima rassegna, fruibile in modalità virtuale fino al prossimo 28 febbraio, si intitola «Hopperiana - Social distancing before Covid-19» e «vuole raccontare -spiegano gli organizzatori- la malinconia e la solitudine di un’intera civiltà che, giunta al massimo del suo sviluppo tecnologico ed economico, è stata costretta dagli eventi a porre un freno al suo inarrestabile avanzamento e a fermarsi per una riflessione introspettiva».
Protagonisti del percorso sono quattro artisti dell’obiettivo: Luca Campigotto, Gregory Crewdson, Franco Fontana e Richard Tuschman. La scelta di focalizzare l’attenzione su un medium quale la fotografia non è casuale: «ciò che più affascina nei quadri di Edward Hopper -spiegano ancora da Photology- è il taglio fotografico delle sue inquadrature, laddove luci a volte taglienti e fredde, altre soffuse e morbide, definiscono composizioni geometrizzanti in cui gli elementi scenici si stagliano come su un grande palco davanti a una platea vuota, e l’angolatura spesso diagonale contribuisce a creare un senso di artificialità, dando la sensazione di un’istantanea fotografica». 
Ognuno degli autori in mostra ha adottato il filtro visivo del pittore e lo ha rielaborato in maniera personale, trasformandolo in opere fotografiche fortemente destabilizzanti. Così, come nei dipinti hopperiani, nei lavori dei quattro autori regna il silenzio: la scena è spesso deserta, di rado è presente più di una figura umana, e quando ciò accade tra i soggetti sembra emergere una drammatica estraneità e incomunicabilità. Si pensi ai lavori «Pink Bedroom» di Richard Tuschman o agli scatti di Franco Fontana dedicati a Houston (1986) e New York (1999), dove la presenza di più persone rende ancora più evidente il senso di estraneità nei confronti dell’altro. Uomini e donne sono vicini, ma distanti, quasi separati da un’invisibile barriera di plexiglass.
I fotografi costruiscono i propri set ricreando lo stesso pathos che è pregnante nei lavori di Hopper. Esempio lampante ne sono le figure femminili, eteree e inaccessibili, cariche di un forte significato simbolico, rappresentate assorte nei propri pensieri, con lo sguardo distaccato e fisso nel vuoto. Significative in tal senso sono immagini come «Woman at a window» (2013) o «Woman reading» (2013), entrambe di Richard Tuschman.
Il loro distanziamento sociale, frutto di una scelta, è oggi per noi un’imposizione, «come se -raccontano ancora da Photology- la coltre di surrealtà presente nelle opere di Hopper, Campigotto, Crewdson, Fontana, Tuschman si fosse posata sul presente».

Didascalia delle immagini
[Fig. 1] Richard Tuschman©, Pink Bedroom (Family), 2013, Inkjet print on cotton paper, cm 60x90, Edition 4-6, Signed on verso Framed, Courtesy Photology; [fig. 2] Franco Fontana© , Houston, 1985, Color print on Hahnemuhle Baryta, Mounted on dibond, edition 3-5, cm 65x98, Signed on verso Framed, Courtesy Photology; [fig. 3] Richard Tuschman©, Morning Sun, 2012, Inkjet print on cotton paper, cm 60x90, Edition 2-6, Signed on verso Framed, Courtesy Photology; [fig. 4] Luca Campigotto© , Mercer Street, Soho, NYC, 2004, Pigment print, cm 110x146, From an edition of 15 signed on verso framed, Courtesy Photology; [fig. 5] Richard Tuschman©, Green Bedroom (4 AM), 2013, Inkjet print on cotton paper, cm 76x60, Edition 3-6, Signed on verso Framed, Courtesy Photology

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