È un drappo colorato, morbido e giocoso di
Sam Gilliam (Tupelo - Missisipi, 1933), uno degli esponenti più celebri del movimento artistico Color Field, che dagli anni Quaranta utilizza grandi tele coperte interamente da estensioni invariate di colore, escludendo qualsiasi interesse per il valore della forma, del segno o della materia, ad aprire il percorso espositivo della cinquantasettesima
Esposizione internazionale d’arte di Venezia.
L’opera, dedicata a
Yves Klein, ravviva con le sue pennellate blu il razionale colonnato di ingresso del
Padiglione centrale, agghindando a festa una Biennale che fa dell’espressione
«Viva arte viva», tre parole cariche di energia positiva e prospettica, il suo mantra.
Si apre così un viaggio tra le opere di
centoventi artisti internazionali, provenienti da
cinquantuno Paesi e in gran parte al loro debutto sulla scena lagunare, che la curatrice
Christine Macel,
chief curator del Center Pompidou, ha suddiviso in
nove Trans-padiglioni tesi a raccontare la varietà delle pratiche creative e la molteplicità delle posizioni artistiche di fronte alla complessità del mondo.
Padiglione centrale: «l’ozio è il padre»…della creatività
La prima tappa del percorso espositivo, al Padiglione centrale dei
Giardini, pone l’accento sui concetti di
otium e
negotium, ozio e azione, spiegando come l’inoperosità, il vagabondaggio mentale e il tempo libero possano essere sorgenti di creatività. C’è così chi dorme disteso sul letto come
Yelena Vorobyeva (Balkanabat, 1959) e
Viktor Vorobyev (Pavlodar, 1959) nell’installazione-performance «The Artist is asleep» (1996) o chi fa all’uncinetto come le filippine
Katherine Nuñez (Manila, 1992) e
And Issay Rodriguez (Manila, 1991) nell’opera «In Beetween The Lines». C’è chi si rilassa su un divano come
Frances Starks (Newport Beach, 1967) in «Behold Man!» o chi fa meditazione come
Søren Engsted (Ringsted, 1974) nella video-performance «Levitation».
Una fonte di ispirazione per gli artisti è anche la lettura, metaforicamente presente nel Padiglione centrale grazie ai volumi imbevuti di inchiostro e pittura di
Geng Jianyi (Zhengzhou – Repubblica Popolare Cinese, 1962), alle enciclopedie bruciate di
John Latham (Livingstone, 1921 – Londra, 2006), alle copertine in miniatura di
Liu Ye (Pechino, 1964) e, ancora, ai libri venduti come merce di
Hassan Sharif (Dubai, 1951) e ai codici criptici contenuti nei «Diaries» dell’arabo
Abdullah al Saadi (Khorfakkan, 1967).
All'
otium ideativo è affiancato in mostra il
negotium come pratica di lavoro con finalità collettive. È il caso del progetto «Green light – An artistic workshop» di
Olafur Eliasson (Copenhagen, 1967), piattaforma che invita ad assemblare e fabbricare dei moduli di lampadine utilizzando componenti ideati dall’artista e messi a disposizione dei visitatori, al quale stanno lavorando in questi giorni studenti, migranti e giovani rifugiati. Anche
Dawn Kasper (Fairfax, 1977) ha deciso di installare il proprio studio ai Giardini, nella Sala Chini: qui lavora, suona e scrive, mettendosi a nudo e non rifiutandosi mai di rispondere alle domande dei curiosi.
Un viaggio nello spazio intimo degli artisti, nell’universo delle emozioni e delle contraddizioni del quotidiano, lo propone anche il
Padiglione delle gioie e delle paure, nel quale domina la grande sala dedicata a
Kiki Smith (Norimberga, 1954) con una serie di quadri in vetro dipinto a fuoco e foglie d’argento con protagoniste donne, rappresentate a grandezza naturale, con le loro storie di fragilità.
Rachel Rose (New York, 1986) ci restituisce, invece, una visione onirica e fantasiosa con la videoinstallazione «Lake View», realizzata con la tecnica del
cel animation e
compositing, nella quale è protagonista un animale ibrido, metà coniglio e metà volpe, che si muove in una serie di scene costruite tramite l’assemblaggio di
texture estratte da libri per bambini del XIX secolo. Una visione tra realtà e
fiction è anche quella che offre
Sebastián Díaz Morales (Comodoro Rivadavia, 1975) con il video «Suspension», nel quale una densa nuvola di vapore bianco, dissolvendosi, lascia vedere la figura di un uomo sospeso a mezz’aria, metafora della nostra condizione esistenziale nella postmodernità.
Da Maria Lai a Sheila Hicks: tra le opere dell’Arsenale seguendo il filo di un gomitolo
I Giardini cedono così il testimone all’
Arsenale, dove si respira ancora una vena intimista tra padiglioni dedicati al tempo, alle tradizioni, ai colori, al sessualità e al piacere, alle battaglie in difesa dell’ambiente e alle utopie ecologiste, all’arte come strumento terapeutico, veicolo di spiritualità o, ancora, come legame con la propria terra e la propria comunità. Lo documenta bene il lavoro di
Maria Lai (Ulassai, 1919-Cardedu, 2013) con i suoi pani delle feste e i suoi fili di telaio, che portano con sé il bagaglio culturale dell’amata Sardegna. Quattro grandi teli bianchi inchiostrati di parole pendono dall’alto aprendo, insieme con i grandi cubi colorati del pakistano
Rasheed Araeen (Karachi, 1935) per il progetto «Chaar Yaar. Zero to Infinity», il viaggio nel
Padiglione dello spazio comune. Fili e nastri sono la trama e l’ordito dell’omaggio che Christine Macel fa a Maria Lai presentando alcuni dei suoi lavori più noti realizzati tra il 1981 e il 2008, dai «Libri cuciti» alle mappe della serie «Geografie», da «Enciclopedia pane» al video della
performance «Legarsi alla montagna», realizzata nel 1981 a partire da una fiaba locale nella quale si racconta la storia di una bambina che salvò la propria comunità dal crollo di una montagna inseguendo un nastro azzurro.
All’arte tessile guarda anche il lavoro di
Lee Mingwei (Taichung, 1964), «The Mending Project», con rocchetti di filo appesi alla parete e un grande tavolo da lavoro sul quale l’artista-sarto rattoppa vestiti e articoli tessili, portati dai visitatori, che poi dispone in una pila insieme agli altri già sistemati, con le estremità dei fili ancora attaccati a simboleggiare la rete di rapporti che si viene a creare durante l’arte del rammendo.
Ma fili e nastri, trame e orditi, ago e filo scandiscono l’intero percorso espositivo ideato per l’Arsenale dalla curatrice francese, quarta direttrice donna nella storia della Biennale dopo
Rosa Martinez e
Maria de Corral nel 2005 e
Bice Curiger nel 2011. L’arte tessile è centrale, per esempio, nella ricerca di
David Medalla (Manila, 1938), in mostra con l’installazione «Stitch in Time», un progetto itinerante, iniziato nel 1968, basato sul ricamo in gruppo come atto creativo: i visitatori sono invitati a lavorare su un grande tessuto appeso alla parete, contribuendo così alla creazione dell’opera.
Riconoscono nel cucito un mezzo di espressione innovativo anche
Franz Erhard Walther (Fulda, 1939), con i suoi tessuti per le installazioni «Wall Formation», e
Petrit Halilaj (Kostërrc, 1986), con le sue monumentali sculture di farfalle notturne, realizzate con tessuti tradizionali kosovari.
Seguendo come la mitologica Arianna il filo di un gomitolo si giunge, poi, al diario in tessuto del viaggio di
Abdoulaye Konaté (Diré, 1953) in Brasile, ai barretti di lana marocchina applicati su lampade rotonde collocate al suolo dell’installazione «Taqiya-Nor» di
Younès Rahmoun (Tétouan, 1975) e alla vivace installazione di
Sheila Hicks (Hastings - Nebraska, 1934), erede della teoria dei colori di
Josef Albers, che sembra invitare il visitatore al riposo o alla scoperta tattile.
Un intreccio di tessuti in poliammide compone anche la grande tenda a ragnatela del brasiliano
Ernesto Neto, all’inizio del Padiglione degli sciamani, che ripropone la forma della
cupixawa, un luogo di socializzazione, incontri politici e cerimonie spirituali degli indios Huni Kuin, che vivono nella foresta amazzonica, al confine con il Perù. All’interno di questa struttura, dentro la quale i visitatori si possono sedere, l’artista ha ricreato un ambiente naturale, disponendo a terra, sabbia, libri e vasi di ceramica e circondando il tutto con piante. È, questa, una delle opere più scenografiche di «Viva l’arte viva» insieme con il video di
Charles Atlas (Saint Louis, 1949) con un flusso costante di tramonti, le piante nelle scarpe di
Michel Blazy (Monaco, 1966), la distesa di musicassette di
Maha Malluh (Riad, 1959), le grandi sfere di
Mariechen Danz (Dublino, 1980) e
Alicja Kwade (Katowice, 1979) all’esterno dell’Arsenale, il cerchio di scope in saggina di
Michel Blazy (Monaco, 1966) che, idealmente, chiude, al Giardino delle vergini, il percorso della mostra ufficiale.
Ma la Biennale offre al visitatore la possibilità di confrontarsi con l’arte di tutto il mondo anche attraverso l’offerta espositiva di
ottantasei Padiglioni nazionali e di
ventitré eventi collaterali, come la mostra dedicata a
Michelangelo Pistoletto all’isola di San Giorgio o quella di
Shirin Neshat al Museo Correr. Una
kermesse, dunque, ricca quella veneziana che permette di scoprire la vivacità della scena artistica contemporanea, «luogo -per usare le parole di Christine Macel- di riflessione e di salvaguardia dell’umanesimo di fronte ai conflitti e ai sussulti del mondo».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Ernesto Neto, Um sagrado lugar, 2017; cotone lavorato a uncinetto, ovatta, voile, tela, juta, nodi di voile, legno, compensato, filtro d’acqua, terra, sabbia, strumenti, vasi di ceramica, piante, fotografia, disegno Huni Kuin, tessuti, canti, libro Una Isi Kayawa, libro in tessuto; dimensioni variabili; 57. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, Viva Arte Viva; [fig. 2] Due libri cuciti di Maria Lai. Foto: Italo Rondinella; [fig. 3] Katherine Nuñez e Issay Rodriguez, In between the lines 2.0, 2015-2017; lavoro a uncinetto, ricamo, lavoro di cucito; 57. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, Viva Arte Viva; [Fgi. 4] Lee Mingwei, The mending project, 2009/2017; installazione; 57. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, Viva Arte Viva; [fig.5] Olafur Eliasson, Green light – An artistic workshop, 2017; 57. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, Viva Arte Viva; [fig. 6] Sam Gilliam, Yves Klein Blue, 2016; acrilico su nylon, 3 x 18.2 m; 57. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, Viva Arte Viva; [fig. 7] Mariechen Danz and Alicja Kwade, Clouded in Veins: A Subjective Geography, 2017; 57. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, Viva Arte Viva
Informazioni utili
«Viva Arte Viva». 57. Esposizione internazionale d'Arte. Giardini e Arsenale - Venezia.Orari: 10.00-18.00; chiuso il lunedì, escluso lunedì 15 maggio, lunedì 14 agosto, lunedì 4 settembre, lunedì 30 ottobre e e lunedì 20 novembre 2017; ore 10.00-20.00 all’Arsenale tutti i venerdì e i sabato fino al 30 settembre 2017. Ingresso: intero € 25,00, ridotto € 22,00 o € 20,00, studenti/under 26 € 15,00, family formula € 42,00 (2 adulti + 2 under 14), altre agevolazioni sono consultabili sul sito ufficiale dell’evento. Catalogo ufficiale, catalogo breve e guida: Marsilio editore, Mestre. Informazioni: tel. 041.5218828. Sito internet: www.labiennale.org. Dal 13 maggio al 26 novembre 2017.