ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 26 novembre 2014

A Venezia un corso di alta formazione sul vetro muranese e sulla nascita dei musei europei di arte decorativa

Rimarranno aperte fino al 7 gennaio le iscrizioni al corso di alta formazione sul vetro muranese in programma dall’11 al 13 marzo 2015 a Venezia per iniziativa del Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Il simposio, promosso nell’ambito del progetto «Glass in Venice», si intitola «La nascita dei grandi musei: le collezioni vetrarie tra Rinascimento e revival» e vede tra i partner l’Ecole du Louvre, la Fondazione musei civici di Venezia e il Victoria & Albert Museum, con l’Ufficio regionale dell’Unesco.
Il programma, incentrato sull’Ottocento, prevede relazioni di carattere storico e artistico, studi sugli stili e sui materiali, compresa la presentazione di moderne tecniche di analisi per la datazione dei manufatti oggi adottate da alcuni tra i principali musei europei, fino a dimostrazioni pratiche di alcune tecniche di esecuzione particolarmente rilevanti, eseguite e commentate in una fornace di Murano in compagnia di Davide Fuin e William Gudenrath.
La tre giorni di studio comprende, inoltre, una visita all’Archivio di Stato di Venezia, dove sono conservati importanti documenti, inventari e ricettari, utili allo studio di aspetti particolarmente significativi della produzione vetraria veneziana. Sono, poi, in programma visite alla collezione Barovier e ai depositi del Museo vetrario di Murano, i cui oggetti conservati verranno illustrati da Rosa Barovier Mentasti e dalla direttrice Chiara Squarcina. Si avrà, inoltre, la possibilità di vedere la mostra «Within light / Inside glass - An intersection between art and science», concepita da Vicarte e dedicata alle corrispondenze tra luce e vetro, e la collezione di Fiorella e Phillip de Boos-Smith, che comprende centinaia di oggetti, selezionati e disposti in base alle diverse tecniche di lavorazione, e che ha consentito il recupero dell’antico stile muranese ottocentesco in cui gli oggetti in filigrana, millefiori, avventurine e calcedoni, ispirate dall’arte vetraria rinascimentale e barocca, si distinguono per la raffinatezza tecnica, il virtuosismo decorativo e l’audacia dei colori.
Le conferenze di Rosa Barovier Mentasti, Rosella Mamoli Zorzi, Marco Verità, Cristina Tonini, William Gudenrath, Suzanne Higgott, Reino Liefkes, Antonio Pires De Matos, Maria Joao Burnay e Rainald Franz(questi i relatori fino ad oggi confermati) permetteranno, poi, di approfondire la storia dei musei di arte decorativa in Europa e in America, nella maggior parte dei casi fondati nell’Ottocento.
Il vetro antico, soprattutto quello romano e veneziano, venne riscoperto in quel periodo e riscosse l'interesse degli storici e degli studiosi d’arte.Furono, quindi, scritti i primi libri focalizzati sulla storia del vetro, si redassero cataloghi di collezioni pubbliche e private e vennero editi i cataloghi delle numerose aste, da cui giunsero veri capolavori nei musei internazionali. La creazione di questi musei e di queste collezioni ha segnato una svolta nella storia della cultura, ma alcuni capolavori, pur noti già nel XIX secolo, non sono ancora stati studiati come meritano.
Questo fenomeno sarà al centro del convegno veneziano, come anche il problema della realizzazione di copie e falsi nello stesso XIX secolo. Nell'epoca dei revival, infatti, i musei di arti decorative –il Victoria & Albert Museum e il Museo vetrario di Murano, ad esempio- avevano spesso come missione istituzionale quella di proporre modelli da imitare agli artigiani contemporanei. Oggi gli studiosi di arte vetraria non solo considerano con interesse la produzione vetraria dei revival, ma sono anche impegnati nella individuazione di pezzi antichi e di pezzi ottocenteschi nell'ambito delle collezioni museali.

Informazioni utili 
«La nascita dei grandi musei: le collezioni vetrarie tra Rinascimento e revival». Domande di iscrizioni: vanno inviate via e-mail, entro il 7 gennaio 2014, corredate di curriculum vitae nel quale venga messo in evidenza l'interesse per la materia e gli studi precedentemente compiuti nel settore. Quota di partecipazione: € 300,00. Informazioni: Laura Padoan, ivsla@istitutoveneto.it. Sito web: http://www.istitutoveneto.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/941

lunedì 24 novembre 2014

«Perfecto e virtuale», a Fano l’«Uomo vitruviano» di Leonardo diventa tridimensionale

Corpo muscoloso, volto virile e sguardo sicuro: l’«Uomo vitruviano», uno dei disegni più celebri al mondo e canone rinascimentale della bellezza perfetta, sarà esposto a Milano, nelle sale di Palazzo Reale, in occasione della mostra «Leonardo da Vinci 1452-1519. Il disegno del mondo», curata da Pietro Marani e Maria Teresa Fiorio per Expo 2015. Una mostra senza precedenti, questa, che traccerà un ritratto a tutto tondo del poliedrico artista rinascimentale e nella quale saranno visibili, tra l’altro, il «Musico» della Pinacoteca ambrosiana, il «San Gerolamo» dei Musei vaticani, la «Scapigliata» della Galleria nazionale di Parma, la «Madonna Dreyfuss» della National Gallery di Washington e tre opere inestimabili provenienti dal Louvre di Parigi: la «Bella Ferronière», il «San Giovanni Battista» e l’«Annunciazione».
Il prezioso ed enigmatico capolavoro a matita e inchiostro del genio vinciano, databile intorno al 1490 e conservato dal 1822 nel Gabinetto dei disegni e delle stampe alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, resterà nel capoluogo milanese per un intero mese, grazie al nullaosta dato da Giovanna Damiani, soprintendente al Polo museale di Venezia. I tanti visitatori dell’Esposizione internazionale potranno così eccezionalmente ammirare questa disegno di piccole dimensioni, grande poco più di venti per trenta centimetri (esattamente 34,3 x 24,5), celebre rappresentazione delle proporzioni ideali del corpo umano inscrivibile armoniosamente nelle due figure «perfette» del cerchio e del quadrato secondo i canoni classici della bellezza classica, tracciati da Vitruvio nel terzo libro del «De Architectura».
In attesa del grande evento, previsto per la prossima estate, l’«Uomo vitruviano», o meglio la sua versione tridimensionale, è a Fano, nelle Marche. Nel Complesso rinascimentale di San Michele rimarrà, infatti, allestita fino al prossimo 6 gennaio la mostra-spettacolo «Perfecto e virtuale»,curata da Annalisa Perissa Torrini, direttrice del gabinetto dei disegni del Polo museale veneziano, e ideata da Paolo Clini, coordinatore scientifico del Centro studi vitruviani di Fano, con l’ausilio per l’allestimento degli architetti Adriana Formatio e Anna Paola Pugnaloni dell’Università Politecnica delle Marche.
Il famoso e delicato foglio di Leonardo Da Vinci, raramente visibile anche a Venezia per motivi conservativi (la luce diretta e un microclima non adeguato potrebbero scolorirne l’inchiostro), si presenta al pubblico per la prima volta in versione 3D attraverso un ologramma che ruota a 360° e lo proietta a grandezza originale, abbinato a un innovativo sistema touch screen di visualizzazione che consente di entrare nel disegno fino al centesimo di millimetro, studiandone il tratto della matita o la consistenza della filigrana della carta, nonché di coglierne ogni più incredibile dettaglio non visibile a occhio nudo, andando al di là di quello che forse lo stesso artista toscano poteva vedere.
Particolare si rivela, inoltre, l’allestimento che si distribuisce spazialmente ripercorrendo i segni principali del disegno leonardesco: si parte dalla genesi geometrica del disegno proveniente dalla collezione del pittore e scrittore milanese Giuseppe Bossi e dalla storia di Leonardo per, poi, passare all’interazione digitale vera e propria per ammirare l’opera d’arte come solo il suo autore poteva fare al momento della realizzazione.
Il modello tridimensionale del disegno è stato realizzato su uno dei più avanzati software di modellazione e visualizzazione, il Deltagen, messo appositamente a disposizione da 3DXcite per questa applicazione. «Il foglio leonardesco diventa così navigabile in modo interattivo, senza alcuna limitazione dovuta alle necessità di conservazione. Tale applicazione può, dunque, costituire –raccontano gli organizzatori- una possibile risposta alle sempre crescenti difficoltà di circolazione e divulgazione di opere delicate e che, come nel caso del lavoro leonardesco, possono essere esposte solo ogni cinque anni, a fronte di continue richieste di musei di tutto il mondo».
L’«Uomo vitruviano» diventa, invece, palpabile e studiabile da ogni angolazione grazie a una tecnica teatrale chiamata Pepper’s ghost, utilizzata per la prima volta nella serie di «Star Wars». L’esplorazione delle proporzioni ideali continua, poi, con il mirroring interattivo, una speciale pedana che mette a confronto le forme di ogni visitatore con quelle del disegno leonardesco, grazie a sistemi di natural interaction e computer vision appositamente sviluppati.
Ologrammi, touch screen, proiezioni, filmati e giochi interattivi fanno, dunque, muovere questa mostra sui binari della spettacolarizzazione, pur mantenendo la rigorosità scientifica, e la rendendo adatta ad un pubblico di tutte le età, dai bambini agli appassionati d’arte.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Leonardo da Vinci, «Uomo vitruviano», 1490 circa. Matita e inchiostro su carta, cm 34,3 x 24,5. Venezia, Gallerie dell’Accademia; Elaborazioni 3d dell’«Uomo vetruviano» a cura di Marco Gaiani; [fig. 3] Allestimenti tecnologici realizzati da Eve spin off per la mostra «Perfecto e virtuale. L’Uomo vitruviano di Leonardo» a Fano; [fig. 4] L’«Uomo vitruviano» in 3D che fluttua nella campana olografica.

Informazioni utili 
«Perfecto e virtuale. L’Uomo vitruviano di Leonardo». Complesso di San Michele, Arco di Augusto – Fano. Orari: martedì-venerdì, ore 17.00-19.30 (la mostra è aperta può essere aperta in mattinata solo per scuole e gruppi, previa prenotazione), sabato e domenica, ore 10.00-12.30 e ore 17.00-19.30; lunedì chiuso. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 338.4234702 o tel. 328.3790087; info@centrostudivitruviani.org. Sito internet: www.centrostudivitruviani.org. Fino al 6 gennaio 2015.

venerdì 21 novembre 2014

Corea, Giorgio Morandi e le sue nature morte in mostra a Seul

Sono ventisei le opera volate da Bologna verso Seul per la mostra su Giorgio Morandi che il National Museum of Modern and Contemporary Art di Deoksugung promuove fino al prossimo 25 febbraio, in occasione delle celebrazioni per i centotrenta anni delle relazioni diplomatiche tra Italia e Corea. Ricorrenza, questa, che il Comune di Bologna e la Città di Seul hanno voluto ricordare con uno speciale protocollo d'intesa, impegnandosi a rafforzare sempre più i rapporti di scambio e cooperazione reciproca.
L’esposizione porta, dunque, per la prima volta nel Paese asiatico un consistente numero di opere del maestro bolognese, presentando i principali nuclei tematici delle raccolte del Museo Morandi, a conferma del forte interesse e dei continui studi che in tutto il mondo ruotano intorno alla figura dell’artista, uno dei protagonisti più significativi della pittura del XX secolo.
Nello specifico sono partiti da Bologna alla volta della Corea sei dipinti, cinque acquerelli, sei disegni, cinque incisioni e quattro opere di collezione privata in deposito di comodato, oltre a una serie di oggetti originali provenienti da Casa Morandi, tra i quali il foglio che ricopriva il tavolo di lavoro dell’artista e sul quale venivano segnate le posizioni degli oggetti che sarebbero, poi, stati raffigurati nelle celebre nature morte.
«La selezione delle opere in mostra, ben lontana dal voler essere un’antologica, non procede cronologicamente e non vuole esaminare rapporti e influenze nell'ambito della pittura europea del Novecento ponendo Giorgio Morandi in una prospettiva storiografica. Il progetto espositivo -spiegano dall’Istituzione Bologna Musei- ambisce piuttosto a rendere evidente il peso di una ricerca artistica in grado, oggi, di dialogare con le istanze culturali di un mondo globalizzato, perché ha saputo interrogarsi incessantemente sul valore dell'opera e sull'atto stesso del dipingere».
Nature morte, fiori, paesaggi e conchiglie, dipinti attraverso poche tonalità di colore o disegnati con l’incisivo bianco e nero delle acqueforti, diventano da sempre agli occhi dello spettatore pure forme, oggetti privi di qualsiasi semantica, che l'artista trascende per coglierne l'essenza. Il percorso espositivo coreano non smentisce questo assunto e permette così di addentrarsi, attraverso opere realizzate tra gli anni Quaranta e gli anni Sessanta, in un’indagine artistica sempre coerente e rigorosa che è riuscita a tradurre felicemente in pittura un’esperienza umana e un universo poetico, quello di Giorgio Morandi appunto, artista che, lavorando su continue variazioni di pochi temi e rivolgendosi a oggetti o paesaggi familiari, è arrivato a cogliere l'essenziale nell'idea stessa di pittura.
Un momento di ulteriore approfondimento della vita e della poetica del maestro bolognese è, poi, rappresentata dalla proiezione del film «La polvere di Morandi», un documentario del regista Mario Chemello, prodotto da Imago Orbis, in collaborazione con il museo bolognese e con il contributo della Film Commission dell’Emilia Romagna. La rassegna mette, inoltre, a confronto l’opera del «pittore delle bottiglie» con quella di artisti coreani che si sono ispirati al suo lavoro quali To Sang-bong, Oh Ji-ho, Kim Whan-ki, Park Soo-keun, Kim Ku-lim, Choi In-soo, Sul Won-gi, Ko Young-hoon, , Shin Mee-kyoung, Hwang Hae-sun, Lee Yoon-jean e Jeong Bo-young.
Un’occasione, dunque, preziosa quella offerta dalla mostra di Seul per vedere come un pittore che non amava molto viaggiare abbia attraversato, grazie al suo lavoro, i confini dell’Italia, insegnando a molti la sua filosofia ideativa: «di nuovo al mondo non c’è nulla o pochissimo, l’importante è la posizione diversa o nuova in cui un artista si trova a considerare e a vedere le cose della cosiddetta natura e le opere che lo hanno preceduto e interessato».


Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] National Museum of Modern and Contemporary Art, Deoksugung, Seul, Corea. Facciata allestita per mostra Giorgio Morandi; [fig. 2] Giorgio Morandi, «Natura morta», 1939. Olio su tela, 41,5 x 47,3 cm. Istituzione Bologna Musei - Museo Morandi; [fig. 3] Giorgio Morandi, «Fiori», 1950. Olio su tela. Istituzione Bologna Musei - Museo Morandi  

Informazioni utili
Giorgio Morandi. National Museum of Modern and Contemporary Art di Deoksugung - Galleria Venue 1 e 2, 99 Sejong-daero, Jung-gu, Seoul 100-120 (Corea). Orari: martedì-domenica, ore 10.00-19.00 mercoledì e sabato, ore 10.00-21.00; lunedì chiuso (la biglietteria chiude un'ora prima). Ingresso: adulti 9,000won, studenti delle scuole secondarie 7,000won,studenti delle scuole primarie 5,000won. Informazioni per l'Italia: Mambo di Bologna, tel. 051.6496611, fax 051.6496637 o info@mambo-bologna.org. Sito web: www.mmca.go.kr. Fino al 25 febbraio 2015. 

giovedì 20 novembre 2014

Milano, al teatro Verdi una performance dell’artista H.H. Lim

Si apre alle contaminazioni tra il teatro e le arti visive l’ottava edizione del Festival internazionale IF, prestigiosa vetrina di teatro di immagine e di figura promossa dal Buratto che, fino al prossimo 31 maggio, porterà a Milano il meglio delle produzioni europee e mondiali che fanno dell’uso di marionette e pupazzi animati, di videoproiezioni e di tagli di luce la propria cifra stilistica, inaugurando così una nuova sezione intitolata «Performing Art District». Venerdì 21 e sabato 22 novembre il teatro Verdi, nel cuore del vivace e contradditorio fermento creativo e culturale del quartiere Isola/Garibaldi, ospiterà, infatti, l’eclettico artista cino-malese H.H. Lim nella performance site-specific «Tornare al senso costruttivo», curata da Francesca Pasini e realizzata in collaborazione con la Galleria Bianconi, dove lo scorso aprire è stata ospitata la prima personale milanese del fondatore dello spazio espositivo «Edicola Notte» di Roma, una delle realtà più dinamiche e propositive della capitale.
Attraverso proiezioni video e una «fulminante» azione teatrale, H.H. Lim rivolge l’attenzione artistica alla spettacolarità e alla superficialità del mondo mediatico. In questo modo viene condivisa la concezione di un’arte che rivaluti la realtà e si ponga come specchio del mondo, un’arte attenta cioè alle manifestazioni sensibili della sfera umana, ai malesseri sociali, all’emarginazione etnica e alla diversità sessuale.
L’interazione tra cultura e politica coinvolge del resto tutto il lavoro dell’artista, che attraverso il mondo della scena esprime compiutamente l’adesione alla città, secondo una logica antica che, sin dall’antica democrazia ateniese, vedeva nel teatro il punto di svolta dell’aggregazione urbana, civile, politica e rituale, ovvero il nucleo costruttivo della convivenza sociale e culturale.
La performance di Lim è accompagnata dalla ripresa video di tre metaforici «cantieri» che rappresentano la dimensione ciclica di ogni costruzione, dando così forza a quel «senso costruttivo» che rappresenta in realtà la costante attività di elaborazione dei rapporti, degli affetti e dei comportamenti culturali e politici.
I video proiettati in scena riguardano lo scavo del trapano di un dentista, dove i denti appaiono come elementi di una strana architettura, la visione del cantiere in fieri di Expo Milano 2015, e il lavoro di una fonderia, dove Lim ha fatto realizzare a suo tempo una spada. Questa stessa spada, presente fisicamente in scena, viene «ricostruita» e tramutata da Lim in una sorprendente realizzazione sotto lo sguardo del pubblico. Immediata è l’allusione metaforica al taglio del nodo gordiano per liberare nuove energie e decisioni diverse, ma anche alla necessità di rendere inefficace questo oggetto di aggressione attraverso l’attribuzione di un senso costruttivo che non preveda solo una speculare distruzione.
Il cantiere di Expo Milano 2015 è invece, come dice Lim stesso, «un collegamento alla Milano contemporanea» e un segnale della condizione straordinaria delle città italiane, che continuano il ciclo dell’esistenza tra glorioso passato storico e ricostruzione del presente. Le immagini realizzate dall’artista si alleano al concetto processuale del costruire, perché rappresentano una documentazione «storica e unica»: il cantiere è in costante movimento, sempre diverso da se stesso, e rappresenta un tempo che non sarà più visibile una volta ultimati i lavori.
L’opera, rivelando il processo, assume così la forma di un atto performativo che mette in scena un evento non ancora avvenuto, creando un dialogo costruttivo con il simbolo della spada e, tagliando i tempi della previsione lineare, mette in primo piano il costruire che prosegue nel tempo, fino all’apparire di un ponte che congiunge la scena alla famosa sentenza di Martin Heidegger «Costruire – Abitare – Pensare», in cui l’azione del pensare è il perno attorno al quale si attuano sia il costruire che l’abitare.

Informazioni utili 
«Tornare al senso costruttivo» - Performance di H.H.Lim. Teatro Verdi, via Pastrengo, 16 – Milano. Orari: venerdì 21 e sabato 22 novembre, ore 21. Ingresso: € 5,00. Informazioni: tel. 02.6880038 e info@teatrodelburatto.it. Prenotazioni: dal lunedì al venerdì, dalle ore 10.00 alle ore 13.00 e dalle ore 14.00 alle ore 18.00. Sito internet: www.teatrodelburatto.it. Da venerdì 21 a sabato 22 novembre 2014.

martedì 18 novembre 2014

In mostra a Parigi l’arte dell’amore e del piacere ai tempi delle geishe

La bellezza femminile, l’immaginario erotico e le abitudini di vita del Giappone si svelano alla Pinacothèque de Paris, dove è allestita la mostra «L’art de l’amour au temps des geishas. Les chefs-d’oeuvre interdits de l'art japonais», per la curatela di Francesco Paolo Campione, direttore del Museo delle culture di Lugano, e la direzione artistica di Marc Restellini.
Disegni, pitture, stampe e immagini dell’Ottocento colorate a mano, oltre a una quarantina di opere d’arte applicata appartenenti alle collezioni dei musei d'arte orientale di Torino e Venezia, per un totale di duecentocinquanta reperti datati tra il XVII secolo e i giorni nostri, in massima parte conservati all'Heleneum di Lugano, compongono il percorso espositivo, nel quale sono messe per la prima volta organicamente a confronto le opere tradizionali del periodo Edo con le fotografie della Scuola di Yokohama e soprattutto con le opere d’arte contemporanea d’ispirazione erotica e pornografica che ne sono la diretta prosecuzione artistica e culturale.
L'esposizione, della quale rimarrà documentazione in un catalogo in lingua francese pubblicato dalla casa editrice Giunti di Firenze, è frutto di una ricerca condotta dal Museo delle culture di Lugano e sostenuta anche dalla Fondazione «Ceschin Pilone» di Zurigo, che è stata avviata nel 2006 e che ha già dato vita a due mostre sull'arte erotica giapponese, una al Palazzo Reale di Milano nel 2009, l’altra all’Heleneum di Lugano nel 2010.
Al centro dell’esposizione parigina, alla quale ne è contemporaneamente affiancata una sul Kamasutra nell’arte indiana, si trova un nucleo di oltre centocinquanta stampe che raffigurano le «belle donne», soggetto della tradizione ukiyo-e che viene definito bijin-ga, e una variegata serie di circostanze erotiche, raffigurazioni per le quali in Giappone si usa il termine shunga, letteralmente «immagini della primavera», così da rievocare alla mente la gioiosa vita del principe ereditario tra letti di piacere.
I due generi, entrambi creati con la tecnica della xilografia policroma, raggiunsero la loro massima fioritura nel periodo dello shogunato Tokugawa, tra il 1603 e il 1867. In estrema sintesi, essi sono la manifestazione di una riflessione etica ed estetica sulla brevità e sulla transitorietà dell’esistenza umana, che esprime -a diversi livelli- i valori del ceto borghese delle grandi città, composto da mercanti, artigiani, medici, insegnanti e artisti. Queste persone, dette chōnin, erano escluse dal potere politico, ma avevano un tenore di vita economicamente fiorente, grazie al quale si affermò una concezione edonistica dell’esistere, in contrasto con la rigida morale neoconfuciana sostenuta dalla classe guerriera dei samurai, che reggeva in quei secoli il governo centrale del Giappone. I chōnin offrivano, infatti, uno stile di vita raffinato, ostentavano il lusso, organizzano feste, frequentano i teatri, i bordelli e le case da tè. Il termine ukiyo-e, che designa l’arte ispirata a tale genere di vita, finì così per diventare sinonimo di «moderno» e fu usato per esprimere una sorta di filosofia incentrata sul gusto di un’esistenza piacevole e, per quanto possibile, appagante dei desideri personali.
«I bijinga e gli shunga -spiegano al Museo delle culture di Lugano- sono composizioni semplici, ma non povere. La loro «semplicità» è il risultato della ricerca profonda di un’associazione formale che giunge allo schematismo, anche se -è bene sottolinearlo- nel gesto pittorico o nel bulino, non vi è mai tecnicismo o rarefazione artata, ma piuttosto la pienezza senza ripensamento di un’idea a lungo maturata, prima di diventare forma». Basti pensare alle ōkubie, le «immagini dal grande collo» di Kitagawa Utamaro, attraverso le quali il volto sembra effettivamente spiccare il volo dal corpo, trascendendone la materialità per porsi quasi a un livello spirituale.
Gli shunga, usati per album dalla diffusione semi-clandestina o anche come illustrazioni per racconti erotici e per manuali destinati all’educazione delle giovani spose e delle cortigiane, giunsero, poi, in Europa nella seconda metà dell’Ottocento, ovvero dopo che il Giappone fu costretto ad aprire le sue isole alle navi straniere e agli scambi commerciali col mondo occidentale. Diventarono così motivo di ispirazione diretta di letterati e artisti della levatura di Zola, Klimt e Van Gogh, e influirono in modo significativo sulla riflessione artistica nell’ambito dell’Orientalismo della fine del XIX e dell’inizio del XX secolo, proprio nello stesso frangente in cui l’interesse per questo genere artistico stava andando ad affievolirsi nel Paese natale, finendo per diventare un tabù.
Una mostra, dunque, che non lascia spazio all’immaginazione quella della Pinacothèque de Paris, dove il massimo della crudezza erotica, rappresentata da amplessi (anche saffici) nei quali si vede nudo solo il sesso dei soggetti raffigurati in sontuosi abiti da sera, si sposa con il massimo dell’artificio artistico, dove corpi intrecciati, volti distaccati e colori dalle tonalità più varie raccontano di un mondo lontano, un mondo di coinvolgente sensualità e di estatica raffinatezza.

Disascalie delle immagini
[Fig. 1] Utagawa Kunisada - Kesa Gozen, moglie di Watanabe Wataru (Watanabe Wataru no tsuma Kesa Gozen) - 1843-1847. Museo delle culture, Lugano. © 2014 Museo delle culture, Foto A. Quattrone; [fig. 2] Keisai Eisen, Senza titolo, 1835-1840 ca. Museo delle culture, Lugano. © 2014 Museo delle culture, Archivio iconografico; [fig. 3] Kitagawa Utamaro, Libro illustrato. Abbracciare Komachi (Ehon Komachi biki) - 1802. Museo delle Culture, Lugano. © 2014 Museo delle Culture, Foto A. Quattrone; [fig. 4] Utagawa Hiroshige I, La notte di primavera (Haru no yowa), 1851. Museo delle culture, Lugano. © 2014 Museo delle Culture, Archivio iconografico.

Informazioni utili   
«L’art de l’amour au temps des geishas. Les chefs-d’oeuvre interdits de l'art japonais». Pinacothèque de Paris, 28 Place de la Madeleine  - Parigi (Francia). Orari: tutti i giorni, ore 10.30-18.30, mercoledì e venerdì apertura notturna fino alle ore 21.Ingresso: intero € 13,00, ridotto € 11,00. Informazioni: tel. +33142680201 o billetterie@pinacotheque.com. Sito web: www.pinacotheque.com.Fino al 15 febbraio 2015.