ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

lunedì 2 novembre 2015

Dal nuovo Fondo Vinicio Vianello a una borsa di studio sulla produzione vetraria: tutte le novità della Fondazione Cini di Venezia

Si arricchisce di un nuovo importante tassello il Centro studi del vetro, costituito nel 2012 all’interno della Fondazione Giorgio Cini di Venezia. Lo scorso 29 ottobre è stato, infatti, firmato sull’Isola di San Giorgio Maggiore l'atto formale con cui l’architetto Toni Follina, nipote di Vinicio Vianello (1923-1999), ha donato al centro l’archivio del pittore e designer veneziano, vincitore di una Medaglia d’oro alla IX Triennale di Milano nel 1951 e del Compasso d’oro nel 1957, che, a fianco di Franco Albini e Carlo Scarpa, fu anche tra i fondatori del primo Corso sperimentale di progettazione per disegnatori industriali e artigiani di Venezia.
Il fondo Vianello -consultabile previo appuntamento nei giorni feriali, dal lunedì al venerdì, dalle ore 9.30 alle ore 13 e dalle ore 14 alle ore 17- costituisce un importante nucleo di documentazione: oltre milletrecento esemplari in originale, fogli relativi alla progettazione e produzione di vasi, lampade, progetti d'illuminazione su interventi architettonici e urbanistici realizzati in Italia e all'estero, circa cinquecentocinquanta riproduzioni fotografiche, numerosi cataloghi e brevetti, articoli di rassegna stampa e pubblicazioni del maestro Vinicio Vianello relativa al settore del vetro.
Nello specifico l’archivio comprende i disegni originali realizzati anni Cinquanta, quando Vinicio Vianello produce e brevetta lampade in vetro soffiato, ma concepite come oggetti industriali di serie, tra le quali si annovera la famosa lampada «Nelson» (1957), pubblicata più volte da riviste prestigiose come «Domus».
Si trovano, inoltre, conservati nel fondo i disegni progettuali di elementi di illuminazione per interventi architettonici urbani, la documentazione originale dei vasi asimmetrici «Torre vegetale», «Scoppio a Las Vegas» e «Reazione nucleare», i progetti per prototipi di elementi di illuminazione pensati per lo sfruttamento delle fonti alternative di energia, studiati negli anni Settanta e purtroppo mai realizzati. È, poi, possibile consultare anche disegni di opere in scala architettonica come la bandiera ziggurat in vetro di Murano del Monumento al milite ignoto di Baghdad, realizzato tra il 1979 e il 1982, in collaborazione con Marcello d’Olivo, e ancora esistente.

In questi giorni il Centro studi del vetro sta facendo parlare di sé anche per l’indizione di una nuova borsa di studio residenziale finalizzata allo studio della produzione vetraria a Venezia nel Novecento.
Mentre lo studioso francese Guillaume Serraille continua il suo progetto di ricerca dal titolo «Il repertorio ornamentale del vetro di Murano: usi e trasformazioni della filigrana e della murrina», la Cini lancia un nuovo bando destinato a dottorandi o a post-doc italiani o stranieri che intendano trascorrere sei mesi di ricerca (da aprile a dicembre 2016) sull’Isola di San Giorgio.
La borsa di studio del valore di 12.500 euro è finanziata grazie al contributo di Pentagram Stiftung e le iscrizioni al bando, consultabile on-line sul sito http://www.cini.it/centro-branca/borse-di-studio-centro-vittore-branca, rimarranno aperte fino al prossimo 31 gennaio.
I candidati dovranno proporre un tema di ricerca in relazione con i fondi archivistici custoditi all'interno della Fondazione Cini. La residenza nel campus del centro «Vittore Branca» offre, inoltre, l'opportunità di un confronto interdisciplinare tra gli studiosi e la comunità scientifica della Fondazione Cini, oltre all'accesso alle biblioteche e alla fototeca a un servizio di tutorship e la partecipazione alle iniziative culturali della fondazione.
La borsa di studio rientra nella serie di azioni promosse dal Centro studi del vetro finalizzate all’incremento progressivo di un Archivio generale del vetro veneziano - a disposizione della comunità scientifica nazionale e internazionale - nonché alla valorizzazione e al rilancio dell’arte vetraria, in particolare del Novecento. All’interno di questo archivio sono stati da poco digitalizzati per la consultazione fondi di artisti contemporanei attivi a Murano, quali Ginny Ruffner, Peter Shire ed Emmanuel Babled, e un cospicuo corpus di disegni di Dino Martens per la vetreria Aureliano Toso. L’importante lavoro di elaborazione e divulgazione on-line dei materiali depositati, avviatosi dal 2014, sta procedendo anche per il prezioso archivio della Seguso vetri d’arte, di cui il Centro studi del vetro conserva, tra i materiali vari, più di 20.000 disegni e oltre 25.000 foto d’epoca.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Vinicio Vianello, Vasi asimmetrici, 1952; [fig. 2] Vinicio Vianello, Disegno per vaso, 1956; [fig. 3] Centro Studi del Vetro, Isola di San Giorgio Maggiore. Ph. Matteo De Fina

Informazioni utili 
Centro studi del vetro - Istituto di storia dell’art, tel. 041.2710306, centrostudivetro@cini.it. Sito web: www.cini.it 

domenica 1 novembre 2015

«Biscotti P. Gentilini», in un libro centoventicinque anni di bontà e grafica pubblicitaria

Compie centoventincinque anni una delle più prestigiose aziende dolciarie italiane, fiore all’occhiello per l’eccellenza del made in Italy con i suoi fatturati in controtendenza a quella che è la crisi economica italiana. Si tratta dell’azienda «Biscotti P. Gentilini», esempio nei decenni di successo, serietà, tradizione, romanità e autorevolezza, la cui affascinante storia è ora raccontata in un libro scritto da Daniela Brignone per i tipi della Palombi Editori.
Difficile dare una classificazione al volume che si configura ora come un saggio ora come una biografia, ma che è anche un catalogo d’arte e una raccolta di preziosi documenti d’archivio e dati economici, nel quale vengono ricordati gli inizi di una realtà imprenditoriale, ora capitanata da Paolo Gentilini, nata grazie alle speranze di successo di un giovane partito dalla provincia di Bologna verso la capitale. Il ragazzo è Pietro Gentilini che, lasciata la sua Vergato, ha reso realtà un sogno grazie al sudore di un sano lavoro, a una volontà ferrea, a una fantasiosa creatività e a una lungimirante mentalità imprenditoriale.
Il libro ripercorre questa storia, ricostruendo in dettaglio – tra eventi e contesti storici diversificati, carteggi epistolari e racconti familiari - l’eroica sfida di un uomo che ha speso la propria vita nel creare specialità gastronomiche che hanno accompagnato la vita degli italiani per oltre un secolo: dolcetti composti da farina, zucchero, burro, miele e vaniglia sapientemente miscelati (la ricetta è ancora segreta) e confezionati in scatole di lusso per pochi privilegiati, ma diventati nel tempo un prodotto ricercato da famiglie di ogni estrazione sociale. Una storia semplice e pulita, quella narrata dall’autrice, che abbraccia un modello di tradizione alimentare italiana tracciando un ritratto sull’evoluzione dei consumi e dell’immaginario collettivo ad essi connesso, oltre che sulla storia di Roma legata alle sue attività commerciali, industriali e iconografiche da fine Ottocento ai giorni nostri.
In ogni cofanetto di biscotti è raffigurato un pezzo della Città eterna, un elemento bucolico o uno stereotipo grafico atto a generare ricordi e visioni collegati all’infanzia: un packaging d’immagine che nel corso degli anni si è adeguato con originale creatività anche alle logiche del marketing pubblicitario.
Insieme alla fotografia sociale di un’epoca che cambia con i suoi prodotti di consumo alimentare, si racconta delle profonde relazioni affettive di una famiglia numerosa che mai si scoraggia di fronte ad eventi imprevedibili e vince la partita con il consumatore il quale, più che cliente, risulta un affezionato e costante seguace, innamorato da più generazioni di sapori genuini ed inequivocabili.
Le tracce legali e contabili dell’evoluzione dell’azienda – anno per anno – sono frutto di una ricerca d’archivio che, accorpata a inedite immagini d’epoca, sia private che pubblicitarie, e a una scorrevolezza testuale che accresce la curiosità di fatti storici come di aneddoti personali, fanno di quest’opera una testimonianza completa di una vicenda aziendale unica nel suo genere.
Oltre al libro, la Biscotti P. Gentilini, festeggerà il suo centoventicinquesimo anniversario con l’emissione di un folder, realizzato in collaborazione con Poste Italiane Filatelia, contenente due cartoline con francobollo, personalizzate e timbrate con bollo speciale dell’evento.

Informazioni utili 
Daniela Brignone, Biscotti P. Gentilini 125 anni di bontà (1890 – 2015), Palombi Editori, Roma 2015. ISBN 9788860606921. Note: 192 pagine, 50 fotografie in bianco e nero, 250 fotografie a colori. Prezzo: € 39,00. Informazioni: Triumph Italy, via Lucilio, 60 - 00136 Roma, tel. 06.35530334, e-mail gentilini125@thetriumph.com. Sito internet: www.biscottigentilini.it

mercoledì 5 agosto 2015

«Lino, lana, seta e oro», la storia del ricamo rivive a Torino

«Ho voluto dare spazio alle straordinarie risorse di perizia e di pazienza di un certo artigianato, grande e unico. Così, per esempio, miriadi di cristalli sono ricamati con effetti bajadère su tuniche assolutamente stupefacenti». Così Gianfranco Ferré, nel 2002, descriveva l’elegante abito concesso in prestito dalla sua fondazione per la mostra «Lino, lana, seta e oro», allestita fino al 16 novembre a Torino, nella sala Atelier di Palazzo Madama.
Oltre sessanta manufatti della prestigiosa collezione museale piemontese ripercorrono otto secoli di storia del ricamo, dai disegni ad ago del Medioevo agli abiti danzanti degli anni Venti, vibranti di perline e conterie in vetro.
Ci sono in mostra delle vere e proprie preziosità come un ricamo in lana svizzero tedesco del 1580 che unisce la raffigurazione della parabola delle «Vergini sagge e delle vergini stolte» a quella degli evangelisti e delle stagioni, una raffinata tovaglia ricamata da Caterina Cantoni tra 1590 e 1610, e un frammento di stolone di piviale con allegri teschi infiocchettati ispirato a un’opera raffigurata da El Greco nel 1586.
Lungo il percorso espositivo sono, poi, rappresentati splendidi ricami in seta e oro, con un prezioso san Cosma in or nué, ricami in lino bianco dei monasteri svizzero tedeschi e altri in lana colorata per i tessuti da arredo, particolari della zona di Zurigo e Sciaffusa nel Cinque-Seicento. Fiori e rocailles decorano con leggerezza i tessuti e gli accessori di abbigliamento settecenteschi: pettorine e borsette femminili, o i corpetti a trapunto, ma anche le marsine, i gilet, i copricapo da uomo.
Palazzo Madama espone, inoltre, un oggetto assai raro: un quaderno manoscritto di disegni per ricami ad inchiostro e tempera, dedicato alla «mirabile matrona Marina Barbo» nel 1538. Assolutamente preziosa è anche la collezione di agorai, in smalto, avorio, microintaglio ligneo, dal XVII al XIX secolo: oggetti d’uso raffinatissimi compagni di lavoro di donne agiate.
Ad illustrare l’antico uso di «imparar l’arte» del ricamo è presente in mostra, poi, una bella raccolta di imparaticci, noti anche come samplers, i riquadri di tela lavorati nei secoli dalle ragazzine per esercitarsi e raccogliere modelli di punti per ricamo e rammendo. L’imparaticcio più antico è firmato da Maria Teofine, che aveva tredici anni quando lo terminò nel 1617, ma gli stessi segni -l’alfabeto, i numeri, la croce, la chiave, i piccoli animali, i simboli della passione- si ritrovano nei lavori delle ragazze di due, tre secoli dopo.
Ricamo deriva dall’arabo raqm: segno. Disegnare ad ago è una pratica antichissima nel bacino del Mediterraneo e in Oriente e, dal Medioevo, diffusa in tutta Europa. Si usano tutti i filati di origine vegetale o animale naturali o tinti, arricchiti da materiali preziosi, quali oro, argento, perle, coralli, o conterie in vetro, paillettes metalliche, in plastica o di gelatina.
Il ricamo è, nella storia, lavoro di uomini e donne: alla fine del XIII secolo a Parigi lavorano duecento mastri ricamatori, al 50% uomini e 50% donne. Nei secoli successivi, l’organizzazione corporativa dei mestieri affida agli uomini la titolarità delle botteghe, dove continuano a lavorare persone di entrambi i sessi. Oltre ai laboratori professionali, luoghi di produzione organizzata di ricami sono anche i monasteri femminili mentre, nel XVI secolo, il ricamo si diffonde come attività domestica, intrattenimento di nobildonne ed esercizio pratico ed educativo per le ragazze. Libri di modelli a stampa diffondono i disegni utilizzati per decorare tovaglie, biancheria, camicie.
Oggi, è il ricamo di alta moda che più dimostra la vitalità e potenzialità di quest’arte. I campioni di ricamo di Pino Grasso proposti per le creazioni dei grandi stilisti italiani aprono la prospettiva sul futuro, un alto artigianato che affonda saldamente le radici nella propria storia. Una storia che ha il sapore della pazienza e della meraviglia.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Abito baiadera. Foto: Graziano Ferrari. Credit: Fondazione Ferré; [fig. 2] Frammento di stolone di piviale raffigurante «San Cosma in trono». Firenze, 1470-1490; [fig. 3] Telo raffigurante la parabola «Le Vergini sagge e le vergini folli». Sciaffusa, 1580-1600 

Informazioni utili 
«Lino, lana, seta e oro. Otto secoli di ricamo». Palazzo Madama - Museo civico d’arte antica / Sala atelier, piazza Castello – Torino. Orari: lunedì – sabato, ore 10.00-18.00; domenica, ore 10.00-19.00; martedì chiuso; la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso: intero mostre e collezioni € 12,00, ridotto € 10,00, gratuito ragazzi fino ai 18 anni e abbonati Musei Torino Piemonte. Informazioni: tel. 011.4433501. Sito internet: www.palazzomadamatorino.it. Fino al 16 novembre 2015.

martedì 4 agosto 2015

L’arte contemporanea e il Palio di Siena: la Contrada della Torre fa da mecenate a due allievi dell’Accademia di Bruxelles

Le contrade del Palio di Siena si aprono all’arte contemporanea. Di fronte a una tradizione che affonda le proprie radici nel Medioevo e che ogni anno si rinnova mantenendo intatti riti e culture, l’affermazione potrebbe sembrare una contraddizione in termini. In realtà, il progetto sperimentale nasce per iniziativa dell’associazione FuoriCampo nell’ambito del cartellone di Siena capitale italiana della cultura 2015, nato dall'esperienza della candidatura di Siena a capitale europea della cultura 2019, con l’intento di formare competenze lavorative di profilo europeo nell'ambito dell'arte contemporanea.
La contrada coinvolta nell’iniziativa, grazie alla propria associazione I Battilana, è quella della Torre. I due giovani invitati a partecipare al progetto, la cui residenza in città avrà luogo dal 9 al 18 agosto, sono l’illustratrice Virginia Folletti (Lugano, 1989) e il pittore Lucien Roux in arte Buisson (Parigi, 1990), due artisti entrambi laureati quest'anno all'Académie Royale de Beaux-Arts di Bruxelles - Ecole Supérieure des Arts che, nella scorsa primavera, sono stati selezionati dalla giuria del Prix Itinera, un programma più ampio di scambio tra la Toscana e il Belgio, per partecipare a una residenza a Siena. 
Virginia Folletti e Buisson effettueranno un sopralluogo guidato sul territorio, una sorta di analisi partecipante sulla città e sul palio. Avranno così l’opportunità di vivere dall’interno tutti i momenti e i riti della preparazione, avvicinarsi ai ritmi della festa e immergersi nella sua intimità, al fine di acquisire il materiale intellettivo/emozionale per la produzione di alcune opere che saranno poi presentate nel mese di ottobre; un'opera realizzata da ciascuno di loro sarà, inoltre, donata alla contrada, istallata nella sede ed entrerà, così, a far parte del patrimonio della Torre.
I due giovani sono stati selezionati perché ritenuti adatti a soddisfare la richiesta della committenza; la pittura sequenziale di Lucien Roux, così come la capacità descrittiva, di presa emozionale e attenzione al dettaglio delle illustrazioni di Virginia Folletti sono, infatti, scelte stilistiche interessanti per rappresentare alcune situazioni tipiche del palio e della vita contradaiola.
Alla base di questa esperienza c’è,dunque, un'idea semplice ma brillante che vede la contrada, in veste di mecenate, promuovere la mobilità internazionale di giovani artisti, ponendosi come modello virtuoso di produzione di cultura contemporanea.

Informazioni utili
www.comune.siena.it 

mercoledì 29 luglio 2015

Eataly e «Gli orti di Venezia» insieme per il restauro di Palazzo ducale

Sono fresche, sane, naturali e fanno anche bene alla cultura. Le insalate del marchio «Gli orti di Venezia», nato da un’intuizione dell’imprenditore Paolo Tamai e di sua moglie Marina, finanziano dal 2010 importanti iniziative culturali della città lagunare, unendo il sapore della terra all’amore per l’arte come documentano, per esempio, i progetti di riqualificazione delle statue «Il pescatore» di Cesare Laurenti e «Il gobbo» di Pietro Grazioli da Salò nel popolare mercato del pesce vicino al ponte di Rialto.
In occasione del restauro degli elementi lapidei di uno dei due portali della Scala d’oro di Palazzo ducale, il marchio «Gli orti di Venezia» fa un ulteriore passo in avanti nella sua opera di promozione e approda nel reparto freschi della catena Eataly, con sedi a Torino Lingotto e Lagrange, Pinerolo, Monticello d'Alba, Milano Smeraldo, Genova, Piacenza, Bologna, Forlì, Firenze, Roma e Bari.
Ogni confezione di insalata venduta contribuirà, dunque, alla risistemazione dell’accesso che conduce prima all’atrio quadrato e poi alle sale istituzionali del palazzo veneziano, un luogo varcato ogni giorno da migliaia di visitatori, la cui costruzione si inserisce cronologicamente in quella lunga serie di lavori di ristrutturazione iniziata nel 1483 nell’ala orientale dell’edificio e proseguita nel resto dello stabile fino agli anni Sessanta del XVI secolo.
Il progetto di una scala d’onore, interpellati architetti come il Sanmicheli e il Palladio, fu, infine, affidato a Jacopo Sansovino, che ne realizzò la parte iniziale, tra il 1556 e il 1567, sotto i dogi Lorenzo e Girolamo Priuli. L’ultimazione dei lavori fu, invece, seguita dall’architetto Antonio Abbondi detto lo Scarpagnino a partire dal 1559. Mentre l’arco con lo stemma del doge Andrea Gritti era stato eretto in precedenza, a partire dal 1538 e in corrispondenza di una scala lignea provvisoria. La volta dell’accesso fu, invece, ornata con fastose decorazioni a botte eseguite in stucco e foglia d’oro a partire dal 1557 da Alessandro Vittoria, che fu coadiuvato nell’affresco dei riquadri da Giambattista Franco.
La scala, nata dall’esigenza di separare gli ambienti dedicati alla privata abitazione del doge dal Palazzo di giustizia, si articola su cinque rampe, l’ultima delle quali si affaccia sull’atrio quadrato, una sorta di vestibolo delle sale in cui si riunivano i più importanti organi di governo. L’ambiente è caratterizzato dal soffitto intagliato e dorato che incastona dipinti del Tintoretto, mentre l’apparato architettonico è scandito da pilastri lapidei, compositi e scanalati.
Il progetto di restauro, approvato di recente dalla Soprintendenza belle arti e paesaggio per Venezia e laguna, prenderà il via a settembre e terminerà nel gennaio 2016, riportando all’antico splendore le due paraste e gli arconi sommitali in marmo della Scala d’oro, decorati a riquadri con bassorilievi finemente scolpiti che raffigurano scene fortemente simboliche che rimandano ad avvenimenti storici, commemorativi e ai temi cari ai Veneziani quali potenza, forza militare, saggezza e giustizia.
In particolare sugli stipiti è rappresentato il leone nella versione raccolta «in moléca» in posizione frontale e accovacciato, in questo caso con il libro chiuso a simboleggiare la sovranità delegata e, quindi, delle pubbliche magistrature. Un arcone dà accesso all’atrio quadrato e l’altro apre a un piccolo ambiente, oggi non accessibile agli itinerari di visita, in cui in origine aveva sede il Savio della scrittura, l’ufficio adibito al pagamento del soldo alle truppe. I bassorilievi scolpiti propongono anch’essi scene evocanti le gesta e le caratteristiche del mito veneziano.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Uno dei portali sommitali della Scala d'oro del Palazzo ducale di Venezia; [figg. 2-3] Particolare di uno dei portali sommitali della Scala d'oro del Palazzo ducale di Venezia

Informazioni utili 
www.gliortidivenezia.it