A nove anni pizzicava le corde della viola e strimpellava vari strumenti a tastiera, tra cui la spinetta. A dieci anni era in grado di cavarsela in molte discipline musicali come il canto, l’accompagnamento al clavicembalo e la trascrizione degli spartiti. A undici anni iniziava gli studi di composizione e, intanto, cantava e suonava in chiese e teatri. A quattordici anni si iscriveva alle classi di violoncello e contrappunto del neonato Liceo musicale di Bologna; si aggregava come cantore all’Accademia filarmonica felsinea e scriveva la sua prima opera, «Demetrio e Polibio», che sarebbe rimasta per qualche anno nel cassetto. È la storia di un uomo dotato di un talento straordinario e precoce quella di Gioachino Rossini, apprezzato compositore ottocentesco noto per opere famose come «Il barbiere di Siviglia» e il «Gugliemo Tell», nato a Pesaro il 29 febbraio 1792 da una famiglia di modesti musicisti.
Il papà, Giuseppe Rossini, suonava la tromba e il corno nella banda cittadina. Gli amici lo chiamavano «Vivazza» per quel suo carattere sempre allegro e tendente alla burla, ma anche per le sue veraci origini romagnole.
La mamma, Anna Giudarini, era una bella ragazza che cuciva cappelli e che, grazie alla sua voce dolce e piena di grazia, si esibiva nei teatri minori di opera buffa come cantante lirica «a orecchio».
Con l’arrivo a Bologna, datato intorno al 1798, il compositore ebbe la fortuna di trovarsi a vivere in una delle maggiori città musicali del tempo ed è qui che si accostò per la prima volta alle musiche di due grandi autori tedeschi, Wolfgang Amadeus Mozart e Franz Joseph Haydn, le cui partiture erano ancora difficilmente reperibili in Italia, tanto da guadagnarsi il soprannome di «tedeschino».
Poco dedito agli studi ufficiali e incapace di sopportare le regole, Gioachino non completò mai gli studi al Liceo musicale di Bologna, ma le sue idee erano così fresche e innovative che, a soli diciotto anni, nel 1810, riuscì a debuttare con una sua opera, «La cambiale di matrimonio», nel prestigioso teatro San Moisè di Venezia. Fu l’inizio di una brillante carriera, che vide la sua musica dinamica, trascinante e di facile ascolto accogliere i favori del pubblico, anche se non mancò qualche insuccesso. È il caso de «Il turco in Italia», accolto con freddezza dagli appassionati del teatro alla Scala nel 1814, e dell’opera «Il signor Bruschino» (1813), le cui repliche furono totalmente annullate, ma la cui ouverture continua a far parlare di sé per il caratteristico percuotere ritmico degli archi dei violini sul leggio.
Dal 1810 al 1829 Gioachino Rossini compose quarantuno opere, a tamburo battente, con un ritmo di cinque o sei l’anno (con un «rallentando» negli ultimi anni della sua vita).
Già l’anno dopo il debutto veneziano andava in scena a Bologna un altro suo lavoro: «L’equivoco stravagante». E ben presto la fama del compositore pesarese si diffuse oltre i confini nazionali grazie a due opere come il «Tancredi», le cui arie più famose venivano addirittura cantate per le strade, e «L’Italiana in Algeri», della quale i giornali scrissero che alla ‘prima’ gli spettatori stavano quasi per soffocare dal ridere e per la quale Stendhal parlò di «follia organizzata e completa».
Nel 1815 Gioachino Rossini si trasferì a Napoli su invito di Domenico Barbaja, importante impresario del teatro San Carlo, e vi rimase fino al 1822. Appena arrivato nella città partenopea compose «Elisabetta Regina d’Inghilterra», opera che ebbe grande successo grazie anche alla magistrale interpretazione della bella cantante spagnola Isabella Colbran, con cui il compositore si sarebbe sposato sette anni dopo. Fu un periodo molto intenso, che vide il maestro pesarese scrivere anche per altri teatri. Basti pensare che, tra il 1816 e il 1817, videro la luce due delle sue opere più celebri: «Il barbiere di Siviglia» per il teatro Argentina di Roma (1816) e «La Cenerentola» per il teatro Valle di Roma (1817). In questi anni vennero scritti anche lavori come «La gazza ladra» (1817), «Mosè in Egitto» (1818), «La donna del lago» (1819) e «Maometto II» (1820).
Il compositore si trasferì, quindi, a Londra, ma vi rimase pochi mesi preferendo spostarsi a Parigi, dove gli avevano offerto la direzione del Thèâtre des Italiens. Lì compose «Il viaggio a Reims» (1825), la sua ultima opera in lingua italiana, e il «Guglielmo Tell», con cui lanciò un nuovo genere musicale detto grand-opèra, basato su soggetti storici e caratterizzato da spettacolari effetti scenici, balletti e grandi cori. Il debutto di questo lavoro si ebbe la sera del 3 agosto 1829. Il successo fu strepitoso e il compositore fu premiato con la Legione d’Onore, una delle massime onorificenze del Governo francese. Malgrado ciò Gioachino Rossini decise di ritirarsi dalle scene. Non compose più opere, ma continuò a scrivere per piacere sonate e composizioni per pianoforte, oltre a musiche sacre come lo «Stabat Mater» (1841) e la «Petit Messe Solennelle» (1863).
Al momento del ritiro il compositore pesarese aveva trentasette anni. Sarebbe morto trentanove anni dopo, il 3 novembre 1868, nella sua villa di Passy, vicino a Parigi.
La decisione di ritirarsi sorprese tutti i suoi amici e ammiratori che non riuscivano a spiegarsene il motivo. Ma non c’è da sorprendersi: Gioachino Rossini era un personaggio dalle mille sfaccettature: era suscettibile e collerico, ma anche ironico e spiritoso; amava la buona tavola e l’ozio, ma era anche un infaticabile lavoratore quando si trattava di comporre un’opera.
Di lui si ricordano molti aneddoti e battute spiritose: «non conosco -diceva- un lavoro migliore del mangiare» o ancora «l’appetito è per lo stomaco quello che l’amore è per il cuore». Di lui si ricordano molti aneddoti e battute spiritose: «non conosco -diceva- un lavoro migliore del mangiare» o ancora «l’appetito è per lo stomaco quello che l’amore è per il cuore». Era talmente ossessionato dal buon mangiare che quando Richard Wagner si recò da lui a Parigi, Rossini continuò per tutta la visita ad alzarsi per andare a controllare un capriolo sul fuoco. Ed era un ghiottone così raffinato da essere sempre alla ricerca di cibi speciali che si faceva portare dai diversi paesi d’origine: da Gorgonzola il formaggio, da Milano il panettone, da Siviglia il prosciutto e così via. La sua passione per il buon cibo era così grande che a chi gli chiedeva se avesse mai pianto, rispondeva sorridendo: «sì, una volta in barca quando mi è caduto nel lago uno stupendo tacchino farcito con i tartufi. Quella volta ho proprio pianto».
Per il mondo della musica è noto non solo per alcune sue opere immortali, ma anche per aver inventato il «crescendo», un procedimento compositivo che consisteva nel ripetere in maniera ossessiva, e a intensità crescente, un modulo melodico-armonico inserendo gradualmente nuovi strumenti a ogni ripetizione.
Le sue spoglie riposano nella Basilica di Santa Croce a Firenze, definita da Ugo Foscolo «il Tempio dell’Itale glorie», perché al suo interno sono conservate le tombe di grandi personaggi italiani come Michelangelo Buonarroti, Galileo Galilei e Vittorio Alfieri.
Per saperne di più
Gaia Servadio, «Gioachino Rossini. Una vita», Feltrinelli, Milano 2015;
Lina M. Ugolini, Piano pianissimo, forte fortissimo, Rueballu, 2015;
Monica E. Lapenta, «A cena con Giachino Rossini», Babetta's World, Baltimora 2012;
Cecilia Gobbi e Nunzia Nigro, «Alla scoperta del melodramma. Il teatro e le sue storie», Edizioni Curci, Milano 2009;
Fiorella Colombo e Laura Di Biase, «Recitar cantando ovvero come accostare i bambini all’opera lirica attraverso il teatro», Erga edizioni, Genova 2006;
Giorgio Paganone, «Insegnare il melodramma. Saperi essenziali, proposte didattiche», Pensa MultiMedia, Lecce –Iseo 2010;
Fiorella Colombo e Laura Di Biase, «Il barbiere si Siviglia – Un percorso di sensibilizzazione e avvicinamento all’opera di Gioachino Rossini», Erga edizioni, Genova 2012;
Fiorella Colombo e Laura Di Biase, «Figaro qua, Figaro là», Vallardi, Milano 2014 (le immagini pubblicate sono tratte da questo libro);
Cecilia Gobbi e Nunzia Nigro, «Alla scoperta del melodramma – Il barbiere di Siviglia», Curci, Milano 2010;
Isabella Vasilotta (a cura di), «Rossini. Ascoltando Il barbiere di Siviglia, La Cenerentola e Guglielmo Tell», Sillabe, Livorno 2015
Fiorella Colombo e Laura Di Biase, «La Cenerentola – Un percorso di sensibilizzazione e avvicinamento all’opera di Gioachino Rossini», Erga edizioni, Genova 2009;
Cristina Pieropan, «La Cenerentola», Nuages, Milano 2010;
Cecilia Gobbi e Nunzia Nigro, «Alla scoperta del melodramma – La Cenerentola di Rossini», Curci, Milano 2015.
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