«Noi siamo figli di una traversata in mare». Siamo figli di Europa, una fanciulla della città fenicia di Tiro che, un giorno, decise di fuggire dal suo paese in fiamme, sotto assedio. Quella giovane donna corse sulla sabbia del deserto e, quando la terra finì, attraversò il mare sul dorso di un toro bianco, sotto le cui sembianze si nascondeva il dio Zeus, per giungere sull’isola di Creta, di cui, poi, divenne regina. «Questa è la nostra origine. Ecco chi siamo [….] Scuru».
Si chiude con il racconto mitologico dedicato alla madre di Minosse -una leggenda, questa, narrata anche da Omero nell’«Iliade» e da Ovidio nelle «Metamorfosi»- «L’abisso», il monologo scritto, diretto e interpretato dallo scrittore e drammaturgo Davide Enia che, da martedì 12 a domenica 24 novembre, sarà in scena al Piccolo Teatro Grassi di Milano.
Le repliche saranno precedute mercoledì 13 novembre, alle ore 17, da un incontro con il pubblico al Chiostro di via Ravello, occasione utile per approfondire i temi al centro della pièce, co-produzione del Teatro di Roma, del Biondo di Palermo e dell’Accademia Perduta - Romagna Teatri, in collaborazione con il Festival internazionale di narrazione Arzo.
Tratto dal romanzo «Appunti per un naufragio», pubblicato da Sellerio editore nel 2017, lo spettacolo porta il pubblico in quella terra complessa e affascinante che è la Sicilia e in quella piccola isola del Mediterraneo, Lampedusa, che da anni si trova ad affrontare, prima tra tutti, l’emergenza dei flussi migratori dall’Africa verso l’Europa, i tanti sbarchi di migranti che arrivano nel nostro Paese in cerca di un futuro migliore.
«L’abisso» di cui parla l’autore nel titolo è, dunque, quello del nostro «mare magnum», che talvolta culla i sogni di chi ha detto addio per sempre alla sua patria fino alla vista di un lembo di terra che diventa sempre più grande, talaltra ingoia, tra onde gigantesche e nelle sue acque fredde, essere umani, portandosi via per sempre le loro speranze.
Davide Enia è uomo di mare. È nato a Palermo. La Sicilia è casa sua. Lampedusa la conosce bene. «Quando ho visto il primo sbarco ero con mio padre -racconta-. Approdarono tantissimi ragazzi e bambine. Era la Storia quella che stava accadendo davanti ai nostri occhi. Nell’arco degli anni sono tornato sull’isola, costruendo un dialogo continuo con i testimoni diretti: pescatori, personale della Guardia Costiera, residenti, medici, volontari e sommozzatori».
Le loro parole e, soprattutto, i loro silenzi sono diventati un racconto, testimonianza storica, percorso esistenziale: «Durante i nostri incontri -spiega ancora lo scrittore- si parlava in dialetto. Si nominavano i sentimenti e le angosce, le speranze e i traumi secondo la lingua della culla, usandone suoni e simboli. In più, ero in grado di comprendere i silenzi tra le sillabe, il vuoto improvviso che frantumava la frase consegnando il senso a una oltranza indicibile. In questa assenza di parole, in fondo, ci sono cresciuto. Nel Sud, lo sguardo e il gesto sono narrativi e, in Sicilia, ‘a megghiu parola è chìdda ca ‘un si dice, la miglior parola è quella che non si pronuncia».
La messa in scena fonde diversi registri e linguaggi teatrali: gli antichi canti dei pescatori, intonati lungo le rotte tra Sicilia e Africa, e il cunto palermitano, sulle melodie a più voci che si intrecciano fino a diventare preghiere cariche di rabbia quando il mare restituisce corpi senza vita di uomini, donne, bambini.
Non serve molto a Davide Enia per raccontare questa storia: una sedia per lui e una per il suo compagno di scena, Giulio Barocchieri, autore della partitura musicale composta secondo la logica dell’accumulo, dove «note e rumori si sommano uno all’altro, in progressione, senza scampo, creando disequilibri continui, echi distorti flebili ma persistenti».
Gli sbarchi, l’accoglienza, la cura dei profughi senza strutture sanitarie, il peso che ciascun migrante si porta addosso sono tanti piccoli frammenti di una stessa storia, non semplice da raccontare. Davide Enia si rende conto che il rischio della spettacolarizzazione della tragedia è dietro l’angolo. «Il lavoro -spiega l’autore- è indirizzato, quindi, verso la ricerca di una asciuttezza continua, in cui parole, gesti, note, ritmi, cunto devono risultare essenziali, irrinunciabili, necessari alla costruzione del movimento interno».
È la parola, dunque, la grande protagonista di questo spettacolo di narrazione e di teatro civile, che nella passata stagione si è aggiudicato i premi Hystrio Twister 2019 e Le Maschere del teatro italiano 2019, riconoscimenti più che meritati. Davide Enia parla alle nostre coscienze, le scuote e la domanda che a più riprese si pone diventa anche nostra: «che cosa posso fare?». Impossibile rimanere indifferenti.
Informazioni utili
L’abisso. Piccolo Teatro Grassi , via Rovello, 2 – Milano. Orari: martedì, giovedì e sabato, ore 19.30; mercoledì e venerdì, ore 20.30; domenica, ore 16. Durata: 75 minuti senza intervallo. Prezzi: platea € 33,00, balconata € 26,00. Informazioni e prenotazioni: tel. 02.42411889. Sito internet: www.piccoloteatro.org. Dal 12 al 24 novembre 2019.
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