ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 22 novembre 2019

Dall'India al Perù, a Lucca i grandi reportage di Werner Bischof

Ha raccontato la bellezza degli angoli più lontani del mondo: dall’India al Giappone, dalla Corea all’Indocina, fino ad arrivare a Panama, in Cile e in Perù. Lo svizzero Werner Bischof (Zurigo, 26 aprile 1916 – Trujillo, 16 maggio 1954), il cui nome è legato alla fondazione dell'agenzia internazionale Magnum Photos, è stato uno dei più importanti fotoreporter del Novecento, un vero e proprio maestro del reportage per tanti giovani che, dopo di lui, hanno voluto raccontare il mondo e le persone che lo abitano, il rapporto dell’uomo con la natura e con se stesso.
Centocinque scatti, con immagini che vanno dal 1934 al 1954, ripercorrono la sua parabola creativa nella mostra «Werner Bischof. Classics», allestita negli spazi del Lu.C.C.A. - Lucca Center of Contemporary Art, per la curatela di Maurizio Vanni e Alessandro Luigi Perna.
Otto sono le sezioni espositive in cui si articola la rassegna toscana, aperta fino al prossimo 7 gennaio, grazie alla quale è possibile ripercorrere la storia di un uomo e di un fotografo, che è stato instancabile «ricercatore di verità», raffinato «archeologo dei sentimenti umani», attento «narratore dello straordinario quotidiano», «appassionato di vita profonda e vera», esperita e raccontata con grande empatia fino all’incidente mortale in Perù.
La mostra offre anche la possibilità di vedere alcune immagini «scartate» perché ritenute allora prevedibili e prive di originalità –di fatto perché non esaltano la «cronaca di guerra» e sono meno sensazionalistiche–, ma che, poi, aprono all’artista svizzero la porta a riconoscimenti, mostre e pubblicazioni.
Nudi femminili, studi di luce, indagini sulla natura e sulla spirale dei gusci della lumaca, ritratti che mostrano un primordiale interesse per i temi del sociale come «Bambini sordomuti» del 1944 sono i soggetti dei primi scatti, documenti di quanto sia stata fondamentale nella formazione di Werner Bischof l’incontro con Hans Finsler e Alfred Willimann, docenti alla Kunstgewerbeschule di Zurigo, oggi Zürcher Hochschule der Künste, che gli trasmettono un approccio al mestiere legato alla consapevolezza tecnica, alla continua ricerca, a un atteggiamento etico unito a una disciplinata impostazione professionale.
Nel 1945 la rivista «Du» mette a disposizione del fotografo svizzero un’automobile per girare nei Paesi d’Europa deflagrati dalla Seconda guerra mondiale. Ha inizio così un viaggio che dura tutta la vita: «Da quel momento in poi -racconta l’artista- la mia attenzione si concentrò sul volto dell'essere umano che soffre. Volevo comprendere quale fosse il volto vero del mondo».
Del post-conflitto bellico Werner Bischof racconta i segni di ripresa e ciò che dà speranza all’uomo: il volto sorridente dei bambini, la preghiera e la fede (di cui sono una bella testimonianza le foto «Ex voto di Castel di Sangro» o «L’ultimo libro» della Biblioteca di Montecassino), il tentativo di riprendere una parvenza di vita sociale (come documentano le immagini «Contadini nei pressi di Debracen» o «Locanda nella Puszta»).
Nel 1949 arriva la collaborazione con Magnum Photos. Il primo incarico ufficiale è nel 1951 come inviato in India per documentare la terribile carestia in corso. La sensibilità, il desiderio di aiutare gli altri, la predisposizione a documentare i problemi sociali portano il fotografo a ritrarre la difficile situazione che ha di fronte a sé per informare e sensibilizzare i politici occidentali a fornire aiuti concreti.
Quelle immagini, con madri alla disperata ricerca di cibo e corpi scheletrici riversi sul terreno, arrivano dirette al cuore delle persone e gli valgono importanti riconoscimenti internazionali.
Da questo momento in poi, Bischof non si sente più un reporter, ma -racconta Maurizio Vanni- «un traduttore di coloro che non potevano parlare, che non avevano possibilità di trasmettere la propria condizione e i propri stati d'animo, dando loro voce con immagini che avrebbero sensibilizzato il mondo».
È, poi, la volta del Giappone, dove il fotografo si reca tra il 1951 e il 1952. Nel Sol Levante rimane colpito dalla filosofia di vita dei nipponici, dal loro legame con la natura, dal loro senso di equilibrio dell'immagine, dal rapporto con le iconografie dell'universo. Templi, giardini zen, monaci diventano protagonisti dei suoi scatti, riuniti in uno splendido libro, che gli vale, seppur postumo, il premio Nadar del 1955.
Dello stesso biennio sono le fotografie che raccontano la guerra in Corea e quella in Indocina. Il fotografo si discosta dal concetto di «documentazione sensazionalistica». È più interessato a mostrare le conseguenze emotive, psicologiche e pratiche del conflitto sulla popolazione civile. Vuole essere «un divulgatore di valori e di umanità». Nascono così servizi come quello nel villaggio di pescatori sull'isola giapponese di Kau Sai o quello a Barau, un piccolo villaggio dell’Indocina fuori mano, abitato dalla popolazione Moi, o ancora quello nell’isola di Koje-Do, in Corea del Sud, per documentare il campo di rieducazione delle Nazioni Unite per prigionieri comunisti nordcoreani e cinesi.
Il 1954 è il suo ultimo anno di vita. Werner Bischof è in Sud America. Visita il Messico, Lima, il Cile e il Perù. A Cuzco, il fotografo svizzero produce una serie di «immagini che evidenziano -racconta ancora Maurizio Vanni- la grande sintonia tra uomo e natura, quella sostenibile leggerezza dell'essere che permette di vivere con disinvoltura, di arrivare all'anima delle cose senza pesi sul cuore, di essere veloci, delicati, ma non superficiali».Tra queste immagini c’è lo «scatto perfetto»: «Sulla strada per Cuzco», in cui è ritratto un bambino peruviano che cammina con un grande sacco sulle spalle, mentre suona un flauto.
Poco tempo dopo, il 16 maggio del 1954, l’auto di Werner Bischof, diretta verso una miniera a quattro mila metri sul livello del mare, perde il controllo e precipita nel vuoto. Il fotografo muore. Ma le sue immagini lo rendono eterno. Perché lì dentro c’è tutto e il contrario di tutto: estetica e profondità di pensiero, ricerca e valori etici e morali, stupore e disagio, finito e infinito, bianco e nero, vita e morte. Luce.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Werner Bischof, On the road to Cuzco, near Pisac, Peru, May 1954. © Werner Bischof / Magnum Photos; [fig. 2] Werner Bischof, Nude, Zurich, Switzerland, 1942. © Werner Bischof / Magnum Photos; [fig. 3] Werner Bischof, Courtyard of the Meiji shrine, Tokyo, Japan, 1951. © Werner Bischof / Magnum Photos 

Informazioni utili
Werner Bischof. Classics. Lucca Center of Contemporary Art, via della Fratta, 36 – Lucca. Orari: dal martedì alla domenica, ore 10.00-19.00. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00. Informazioni: tel. 0583.492180, info@luccamuseum.com. Sito internet: www.luccamuseum.com. Ufficio stampa: Ufficio Stampa: simonettacarbone@simocarbone.it - francescadapisa@gmail.com - m.cicchine@luccamuseum.com. Fino al 7 gennaio 2020

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