ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 15 aprile 2021

Al via la V edizione di «kunst.stück», il concorso che premia le etichette dei vini

«Un progetto serio, bello, giovane, e al tempo stesso anche ironico, democratico e innovativo»: viene raccontato con queste parole il bando di concorso «kunst.stück» (in italiano: «opera d'arte»), lanciato per il quinto anno consecutivo dalla Cantina Kaltern, una delle aziende vitivinicole più importanti dell'Alto Adige con i suoi 450 ettari e circa 1.200 vigneti. La call to action, aperta fino al 25 aprile, alle ore 23.59, è rivolta ad artisti e designer affermati o emergenti, chiamati a realizzare un'etichetta d'arte che sappia interpretare il vitigno più rappresentativo dell’anno.
In questa edizione l’incoronazione a «kunst.stück» è andata a una parcella di Pinot Grigio, vitigno che è un po’ la «cenerentola» – se così si può dire – dei vitigni autoctoni e non, presenti nelle ripide vigne dell’Alto Adige e del lago di Caldaro. Anche se non sempre l'eccezione è la regola: «in alcune parcelle molto vocate e in certe annate, si può cogliere la vera grandezza del Pinot Grigio e il suo splendore», ci insegna l'enologo Andrea Moser. Questo è successo nell’annata 2019, dal ritmo sui generis, che, tra pioggia e sole, ha permesso a Cantina Kaltern di raccogliere uve Pinot Grigio di altissima qualità. Il tema del concorso di quest'anno è così «Il grande momento di Cenerentola».
A ogni edizione, infatti, l'argomento del concorso cambia e, in questi cinque anni, è nata una collezione di vini «opere d’arte della natura», vestiti con altrettante opere d’arte e prodotte in edizione limitata.
Le edizioni passate hanno visto, per esempio, nel 2014 le varietà di Pinot Bianco interpretate da Claudio Paternoster, artista che ha convinto sia la giuria sia il pubblico con la sua elegante interpretazione creativa. Margit Pittschieler ha, invece, vinto il concorso per l'etichetta del «kunst.stück» Cabernet Sauvignon Riserva 2015; la giovane di Bressanone è stata in grado di convincere il pubblico della votazione on-line con la sua interpretazione del tema «Un vino di mondo, di casa a Caldaro». Mentre il Kalterersee classico superiore 2016 porta un’etichetta creata dal designer e docente milanese Stefano Mandato, che ha concepito un’opera d’arte tesa a raccontare la «gioia di vivere al lago di Caldaro». Infine, il Merlot dalla vendemmia 2018 porta il vestito di Anita Ladurner, che ha lavorato sul tema «Baciato dal sole».
Le opere realizzate diventano così un fermo immagine del tempo che scorre. «Gli acini, come perle, - raccontano, a tal proposito, dalle Cantina Cantina Kaltern, che premierà il vincitore con mille euro - racchiudono un tesoro che verrà svelato dalla mano dell’uomo e rinchiuso nuovamente, stavolta in una bottiglia. Resterà lì, in silenziosa attesa del momento in cui si alzerà il sipario e verrà il suo momento da protagonista, un assolo, al centro della scena. E l’esperienza diventerà memoria, impresso ricordo nel cuore e nella mente: kunst.stück». 

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mercoledì 14 aprile 2021

Nasce a Viareggio la Fondazione Alfredo Catarsini

Ha attraversato anagraficamente tutto il Novecento. Ha sperimentato le principali correnti artistiche del secolo scorso, dal Naturalismo all’Espressionismo, dal Primitivismo al Neocubismo. È stato il padre di due «ismi» del XX secolo: il Riflessismo, mutuato dalla breve esperienza nel Secondo futurismo, e il Simbolismo meccanico, le cui opere dedicate agli ingranaggi tecnologici gli valsero la Medaglia d’oro al Salon Babjlone di Parigi nel 1971. Ha partecipato più volte alla Biennale di Venezia (nel 1942, nel 1948 e nel 1950). Ha preso in mano non solo la tavolozza e il pennello, ma anche la penna, dando alle stampe il romanzo «Giorni neri» (1968), che verrà ripubblicato a breve dalla casa editrice La nave di Teseo, e scrivendo il libro «Tra l’incudine e il martello», ancora inedito. Ha conosciuto intellettuali del calibro di Amedeo Modigliani, Filippo Tommaso Marinetti, Lorenzo Viani, Carlo Carrà, Giuseppe Ungaretti, Emilio Vedova, Afro e Moses-Levy. Figura dall’atteggiamento riservato e schivo, ancora poco conosciuta al grande pubblico, Alfredo Catarsini (Viareggio, 17 gennaio 1899 – Viareggio, 28 marzo 1993), che Antonio Paolucci ha definito «il pittore toscano dell’emozione», è tornato in questi giorni sotto i riflettori. Per volontà della nipote del maestro viareggino, Elena Martinelli, e di suo marito Gianvittorio Serralunga, è nata, anche in ricordo della madre Mity Catarsini, la Fondazione Alfredo Catarsini 1899.
La nuova istituzione, che ha sede a Viareggio, ha come scopi statutari la conservazione e la valorizzazione dell’opera intellettuale e artistica del pittore toscano, ma si propone anche – si legge nella presentazione – una serie di «azioni volte a perseguire, proporre, valorizzare la promozione, la divulgazione, l’istruzione, la ricerca, la formazione di tutte le attività inerenti le discipline artistiche in ogni forma e espressione attraverso la diffusione e l’ampliamento della conoscenza umana, i contatti tra persone, enti ed associazioni». Mostre, seminari, convegni, dibattiti, stage, festival, ricerche e catalogazioni, ma anche eventi didattici pensati per le scuole di ogni ordine e grado, caratterizzeranno, dunque, l’attività della Fondazione Catarsini per i prossimi anni. 
 Contemporaneamente si lavorerà alla valorizzazione dell’atelier dell’artista, riallestito nel 2003 in due stanze nelle soffitte di Palazzo Paolina Bonaparte a Viareggio (in via Machiavelli 2). Lo studio si presenta così come è stato lasciato dal pittore - con cavalletti, quadri, sedie, pennelli e ritagli di giornale - e rievoca le atmosfere parigine degli atelier artistici di inizio Novecento.
Unitamente allo studio, in un’altra sala della soffitta di Palazzo Paolina Bonaparte trova spazio l’archivio storico dell’artista, riordinato a cura dell’Istituto storico Lucchese e attualmente curato dalla storica dell’arte Claudia Menichini.
Viareggio conserva, inoltre, nelle proprie collezioni una trentina di opere, donate nel 2001 da Mity e Orazio Catarsini al Comune, oggi conservate nella Galleria civica d'arte moderna e contemporanea Lorenzo Viani di Viareggio.
Il lancio della nuova istituzione avviene in un momento preciso, cioè in occasione dei trent’anni trascorsi dalla mostra antologica di Palazzo Paolina Bonaparte a Viareggio, l’ultima della lunga carriera  di Alfredo Catarsini, ma soprattutto a quarant’anni dalla grande personale di Palazzo Strozzi a Firenze del 1981, dove furono mostrate oltre trecento e settanta opere dell’artista. L’anniversario viene celebrato in questi giorni con una retrospettiva allestita a Villa Bertelli di Forte dei Marmi. L’esposizione, intitolata «Esplorazioni», si avvale della curatela di Elena Martinelli e della collaborazione di Adolfo Lippi, Claudia Menichini e Andrea Pucci. Aperta gratuitamente in presenza fino al 6 giugno (secondo le disposizioni governative in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Coronavirus), ma visibile anche tramite virtual tour in 3D e in risoluzione K4 con approfondimenti di vario tipo, la mostra allinea una selezione di sessantaquattro opere dell’artista viareggino, selezionate tra il 1934 e il 1982, divise in quattro sezioni: paesaggi; figure, ritratti, autoritratti e disegni; Riflessismo e Simbolismo meccanico. In aggiunta, vi sono alcuni documenti inediti provenienti dall’Archivio storico della fondazione e un video dedicato alla vicenda dell’artista con opere, immagini della sua casa natale e del suo atelier.
Elemento imprescindibile della Fondazione Alfredo Catarsini 1899 è il sito www.fondazionecatarsini.com, ricco di contenuti, immagini, proposte e costantemente aggiornato. Articolato in cinque sezioni, il sito è dedicato, nella prima parte, all’artista. Vengono presentati la biografia, la bibliografia e il curriculum espositivo. Segue, poi, la ricca sezione d’arte con gli autoritratti, le darsene, i disegni, le figure femminili, le marine, le nature morte, i paesaggi, il Riflessismo, il Simbolismo meccanico e i soggetti sacri. Viene esplicata anche l’attività letteraria composta da racconti, articoli e libri. Mentre la terza sezione del sito ospita le pagine dedicate alla fondazione e alle sue attività e iniziative, comprese quelle relative agli allestimenti degli spazi di Catarsini nei musei civici di Viareggio e la pagina «Gallery» con i video dedicati all’artista. Ci sono, infine, due sezioni che si riferiscono all’area media e ai contatti.
In occasione della presentazione della fondazione toscana, è stato, poi, realizzato un volume dal titolo «Alfredo Catarsini. L’arte vera affascinante amica», edito da Belforte editori. In quasi duecento pagine, con circa novanta documenti e ottanta immagini, il libro ripercorre la parabola artistica del maestro anche attraverso una serie di contributi scritti per l’occasione da Vittorio Sgarbi, Cristina Acidini, Andrea Buscemi, Alessandra Belluomini Pucci, Paola Chini, Elena Torre, Andrea Pucci ed Elena Martinelli.
Per ricordare che il pittore viareggino fu insegnante dal 1951 al 1968 all’Istituto d’arte «Stagio Stagi» di Pietrasanta, la fondazione proporrà anche il «Premio Alfredo Catarsini» per la migliore opera grafico/pittorica eseguita dal vero ex tempore con libertà di tecnica e interpretazione; il riconoscimento, che a causa dell’emergenza sanitaria verrà assegnato nel 2022, è riservato agli studenti degli istituti superiori della Regione Toscana.
Tra i prossimi appuntamenti in cartellone c’è anche la Festa dell’arte, in programma dal prossimo 24 luglio, con l'apertura a ingresso libero della casa-museo in via Palermo 4 a Viareggio. Per l’occasione i visitatori potranno ammirare una selezione di oltre duecento opere lasciate dal maestro al momento della sua scomparsa, rappresentanti l’intera parabola stilistica, nonché partecipare a visite guidate al suo interno. L’evento permetterà così di accostarsi alla figura di un artista che ha sperimentato tutti i linguaggi delle avanguardie senza subirli; li ha sperimentati e li ha elaborati, li ha ripresi e li ha abbandonati, non seguendo però un percorso cronologico né progressivo, ma scegliendo di volta in volta ciò che lo stato d’animo o un’urgenza formale gli suggeriva, come lui stesso ha scritto: «Il soggetto è un pretesto per fare l’arte, quindi tutto è legittimo, non esiste il dilemma di passare dall’astratto al figurativo e viceversa, per l’artista è lo stesso. La pittura muta come mutano le stagioni». La pittura, dunque, per Alfredo Catarsini non è «una vana ambizione», ma «un bisogno supremo di vita interiore».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] A. Catarsini, Autoritratto, olio su legno, 1943 ca.; [fig. 2] Archivio storico Catarsini, Villa Paolina Bonaparte, Viareggio; [figg. 3 e 4] Atelier Catarsini, Villa Paolina Bonaparte, Viareggio; [fig. 5] A. Catarsini, Ritratto di Mity, olio su tema, 1941

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martedì 13 aprile 2021

«ARThletes», con Suzuki l’arte incontra il mondo dei motori

Il gusto italiano incontra la competenza tecnica e la cultura giapponese. La divisione italiana di Suzuki Motor Corporation ha pensato di celebrare il nuovo scooter della casa di Hamamatsu, il Burgman 400 MY22, con «ARThletes». L’ispirazione arriva dalle prossime Olimpiadi di Tokyo, evento che vedrà i migliori atleti del mondo confrontarsi in varie specialità sportive.
La scelta di presentare un progetto artistico in occasione dell’uscita del Model Year 2022, prevista per luglio, proprio nei giorni della trentaduesima edizione dei giochi olimpici, non è casuale. Il Burgman 400 è, infatti, considerato - dichiara Enrico Bessolo, direttore commerciale di Suzuki - «un atleta elegante», una vera e propria icona per gli amanti delle due ruote, come conferma la sua ultradecennale permanenza sul mercato. 
Da questa considerazione è nata l’idea di incrociare i destini dell’azienda nipponica con la storia delle Olimpiadi e di ideare «ARThletes», una mostra di opere tese a sottolineare i valori dell’atleta, che vedrà al lavoro quattro artisti italiani di fama internazionale che hanno dimostrato grandi affinità con la cultura giapponese. La tecnica scelta dai curatori - la gallerista Lorenza Salomon e l’illustratore Ale Giorgini, fondatore dell’agenzia Magnifico e vincitore nel 2017 del «Good Design Award» del Chicago Museum of Design - è quella dell’illustrazione, per le capacità di quest’arte - si legge nella nota stampa - «di essere attuale in ogni epoca storica e di suggestionare un ampio pubblico pur rimanendo espressione artistica autoriale».
Per la mostra Suzuki ha chiesto a Gianluca Folì, Riccardo Guasco, Francesco Poroli e i Van Orton, duo creativo composto da due fratelli gemelli Stefano e Marco, di interpretare quattro caratteristiche fondamentali del nuovo Burgman 400 – eleganza, sportività, stabilità e sicurezza – abbinandole ad altrettanti sport olimpici - tuffi, atletica leggera, ginnastica artistica e scherma - da rappresentare in quattro opere uniche che diventeranno, poi, altrettante livree per un Burgman da collezione.
I quattro artisti selezionati sono dei veri e propri talenti dell’illustrazione. Gianluca Folì, con all’attivo collaborazioni con «The Boston Globe», il «New York Time», il «Wall Street Journal», il «Los Angeles Times» e il «Corriere della Sera», è stato selezionato e premiato nel 2015 dalla «Society of Illustrators» di New York con la medaglia d’oro categoria Editorials and Books; nello stesso anno è stato anche medaglia di bronzo alla «Society of Illustrators» di Los Angeles.
Riccardo Guasco mescola poesia e ironia creando illustrazioni per far sorridere gli occhi. Le sue opere sono apparse in campagne pubblicitarie, riviste, libri, navi e biciclette; tra le sue collaborazioni ci sono, tra l’altro, Eni, Tim, Poste Italiane, Martini, Ferrari, Touring club italiano, Emergency e Greenpeace.
Francesco Poroli
, premiato da «Society of Illustrators» di New York e «The Society of Publication Designers», ha collaborato con «The New York Times Magazine», «Wired», «GQ» e «Il Sole24 Ore», ma anche con Facebook, Campari, Apple, NBA, Barilla, FCA e molti altri. Nel 2017 ha pubblicato «Like Kobe - Il Mamba spiegato ai miei figli» per Baldini&Castoldi.
I Van Orton, infine, vantano collaborazione con marchi quali Marvel, Microsoft, Armani, Bmw e artisti come Pearl Jam. La loro arte è fortemente influenzata dalla cultura pop e da un design ispirato alle vetrate delle chiese, per poi evolversi con innesti simmetrici e linee luminose.


A proposito del progetto, Lorenza Salamon ha dichiarato in conferenza stampa: «A ogni artista abbiamo affidato un tema che corrisponde ad altrettanti punti di forza del veicolo per intraprendere un viaggio fra il virtuale e il reale la cui tappa finale è la prossima Olimpiade che si terrà a Tokyo».
Mentre Ale Giorgini ha sottolinea quanto sia importante in un momento storico come quello che stiamo vivendo il progetto «ARThletes»: «L’illustrazione – ha affermato, a tal proposito, il creativo - è un linguaggio universale che abbatte i confini. Un linguaggio che unisce popoli e culture diverse, proprio come le Olimpiadi. In un momento come quello che stiamo vivendo, credo sia ancora più importante riuscire a creare connessioni – anche solo virtuali – fra luoghi e persone. In un periodo in cui siamo stati costretti a limitarlo, celebrare il movimento e la libertà è un dovere morale».
Suzuki celebra così le Olimpiadi e lo sport con un progetto di ampio respiro, che unisce gesto atletico e gesto artistico, per parlare direttamente al cuore delle persone con un linguaggio estremamente variegato: «ecco allora – raccontano ancora da Suzuki Italia - che le opere in mostra potranno riprendere stilemi tipici dei writer urbani oppure di artisti acclamati come Basquiat» per dar vita a uno scooter da collezione.

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lunedì 12 aprile 2021

Cappella della Sindone, concluso il restauro dell’altare di Antonio Bertola


Era la notte tra venerdì 11 e sabato 12 aprile 1997 quando, a Torino, un terribile incendio divampava all’interno della Cappella della Sindone, mirabile opera barocca di Guarino Guarini, collocata tra il Duomo e Palazzo Reale.
Le fiamme divoravano l’altare progettato dall’ingegnere e matematico Antonio Bertola, pregevole opera in marmo nero di Frabosa, con decorazioni e sculture in legno dorato, costruita tra il 1688 e il 1694 per volontà della famiglia Savoia, e più precisamente del duca Vittorio Amedeo II. Il rogo lambiva anche la robusta teca d’argento che conservava al proprio interno il «sacro lenzuolo» della Passione di Cristo, icona vivente della sofferenza dell’umanità, giunta a Torino nel 1578. Ma a scongiurare il peggio ci pensò un pompiere, Mario Trematore, che, sfidando le fiamme, riuscì a rompere la teca di cristallo antiproiettole che custodiva il sudario e a portare fuori la reliquia dalla chiesa.
La Sindone, che dal 1993 era stata trasferita per alcuni interventi di restauro nel coro dei canonici della cattedrale, dietro l’altare maggiore, era, dunque, salva. Ma le fiamme avevano lasciato segni evidenti a quella che era da sempre la sua casa. Per il recupero della struttura ci sono voluti più di vent’anni e dopo la riapertura al pubblico della Cappella Guarini, festeggiata il 27 settembre 2018, la restituzione del monumento alla fruizione della comunità è stata da poco completata con l’altare di Antonio Bertola.
I lavori, cofinanziati dal Ministero della cultura - progetti Art Bonus 2018, dalla Fondazione compagnia di San Paolo e da una raccolta fondi lanciata nel 1997 della Fondazione La Stampa-Specchio dei Tempi, hanno permesso di riportare l’opera all’antica bellezza. 
«Finalmente, a 24 anni di distanza dal terribile rogo, – spiega Enrica Pagella, direttrice dei Musei Reali – vogliamo celebrare la rinascita di un’opera stupefacente e unica, la cui maestosa struttura era insieme un segno di rispetto per la reliquia, un punto focale per i fedeli in preghiera e una celebrazione del potere della casata regnante».
Simile a un gigantesco reliquario, l’altare della Cappella della Sindone, che ha conservato il sudario nell’urna centrale dal 1694 al 1993, ha un impianto che si adatta alla forma circolare della cappella e presenta due fronti, uno rivolto verso il Palazzo Reale e l’altro verso la cattedrale. «Benché non si conoscano i disegni di questo progetto, - si legge nella nota stampa - è molto probabile che la struttura rifletta il pensiero scenografico di Guarino Guarini, che precedeva l’inquadramento al centro della loggia che si affaccia sul duomo, come fulcro prospettico per chi, dalla navata, volge lo sguardo verso il Palazzo Reale».
L’intervento di restauro è stato affidato al Consorzio San Luca di Torino, che si è avvalso della progettazione e della direzione dei lavori dell’architetto Marina Feroggio, aiutata dalla restauratrice Tiziana Sandri e dagli storici dell’arte Franco Gualano e Lorenza Santa dei Musei Reali.
Il progetto, il cui cantiere è stato seguito passo dopo passo dal pubblico dei Musei reali, ha restituito all’altare la sua immagine architettonica. Sono state restaurate e integrate le parti lapidee e quelle lignee, e ricollocati nella loro posizione originaria gli apparati decorativi scultorei, scampati all’incendio in quanto ricoverati nell’attigua sacrestia, ovvero gli otto putti alati realizzati tra il 1692 e il 1694 dagli «Intagliatori di S.A.R.» Francesco Borello e Cesare Neurone, nonché i due angeli superstiti posti ai lati della cassa: l’angelo con la colonna della flagellazione (angolo destro, lato Palazzo Reale) e l’angelo con la spugna (angolo sinistro, lato Cattedrale).
In ultimo, sono stati ricollocati gli arredi sacri: le quattro lampade pensili di Innocente Gaya e Carlo Balbino (1824-1828) in argento cesellato e sbalzato, volute dal re Carlo Felice, che fece destinare alla Cappella del Guarini due esemplari già destinati alla Basilica di Superga e ne ordinò altrettanti. Quella serie – ornata da stemmi sabaudi e ancora una volta da simboli della Passione come la Veronica e la Sindone stessa – fu allestita dagli anni Venti dell’Ottocento fino al cantiere di restauro precedente l’incendio, in sostituzione delle quattro lampade pensili di inizio Settecento, fuse per motivi economici alla fine del secolo. 
A completamento, si sono ricostruite anche le balaustre in legno dorato dei tre coretti della Cappella, anch’esse completamente distrutte dall’incendio.
La chiusura dei musei, dovuta alle misure anti-pandemia per contrastare la diffusione del Coronavirus, non consente per il momento ai visitatori di accedere alla Cappella di Guarino Guarini, che fa parte del percorso di visita dei Musei reali di Torino; ma dal 31 marzo al 7 aprile, in via straordinaria, è stato aperto il grande finestrone che affaccia sulla navata del Duomo, così da permettere al pubblico, durante i riti della Settimana Santa, uno scorcio prospettico sull’altare e sul monumento che conserva la Sindone.
La Consulta per la valorizzazione dei beni artistici e culturali di Torino ha promosso la realizzazione di un progetto multimediale con lo scopo di offrire ai visitatori dei Musei Reali tutte le informazioni sul restauro della cappella e dell’altare, con la creazione di un’applicazione mobile gratuita, che utilizzerà la tecnologia della realtà aumentata. Attraverso contenuti interattivi sarà possibile vivere un’esperienza coinvolgente durante la visita. L’applicazione sarà rilasciata in occasione della riapertura al pubblico dei Musei Reali ed è stata realizzata in collaborazione con i partner tecnologici Ribes Solutions e Visivalab. Il pubblico potrà così, attraverso un’esperienza multimediale e immersiva, ma anche di rigoroso valore storico e culturale, avere tutte le informazioni sul restauro della Cappella della Sindone, casa di un'immagine capace di evocare il cuore stesso del cristianesimo con grande aderenza ai racconti evangelici. 

Didascalie delle immagini
[Figg. 1, 2 e 3] Altare Cappella della Sindone. Credits Musei Reali Torino; [figg.4 e 5] Cappella della Sindone. Altare di Antonio Bertola, fasi di integrazione e ritocco. Crediti Consorzio san Luca; [fig. 6] Altare Cappella della Sindone. Credits Musei Reali Torino

mercoledì 31 marzo 2021

Da Nexo + a VatiVision: piattaforme on demand per l’arte e la cultura

Sarà una Pasqua in zona rossa con i musei, i cinema e i teatri chiusi al pubblico. Come lo scorso Natale mostre e spettacoli saranno, dunque, fruibili unicamente on-line sui siti e sui canali social delle principali istituzioni culturali italiane.

9 mondi, 4 canali dedicati, 40 playlist e 1500 ore di contenuti: nasce Nexo +
Novità di questo inizio di primavera per chi è alla ricerca di concerti, film d’autore, contenuti d’arte, documentari, musica, opera, balletto, teatro, approfondimenti culturali è Nexo+, la piattaforma di contenuti on demand per un tempo libero di qualità ideata da Nexo Digital, la casa di produzione e distribuzione italiana che, negli ultimi anni, ha portato l’arte sui grandi schermi dei nostri cinema.
Lanciata lo scorso 10 marzo, Nexo + offre, attualmente, oltre millecinquecento ore di contenuti, suddivise in nove mondi da esplorare. Si spazia dalle biografie dei grandi personaggi del passato alla musica sinfonica e pop in scena nei più importanti teatri del mondo, dai film premiati dal pubblico e dalla critica alla storia del nostro Paese, dai balletti con danzatori icone dei tempi recenti agli eventi on stage, senza dimenticare la sezione «Current» con al centro le infinite sfaccettature del presente raccontate in una selezione di documentari italiani e internazionali sui grandi temi del mondo in cui viviamo: sostenibilità, diversity e diritti civili.
Nei prossimi mesi su Nexo + si parlerà anche di fotografia, fashion, masterclass e formazione, design, architettura e sport. Sono, inoltre, state pensate delle Playlist; al momento sono circa una quarantina quelle on-line e tra queste c’è «Le signore delle arti», una selezione di documentari e film dedicati a grandi attrici, pittrici e donne della cultura, realizzata in occasione della mostra allestita a Milano, nelle sale di Palazzo Reale, sulle grandi artiste del Cinquecento e Seicento, attualmente fruibile on-line attraverso una serie di visite guidate.
Inoltre, con cadenza mensile, tutti gli utenti registrati riceveranno il «Monthly Magazine» con tutte le indicazioni circa le novità della piattaforma. Tra queste, al momento, ci sono quattro costellazioni, quelle di Elisabetta Sgarbi, Far East Film Festival, Feltrinelli Real Cinema e Scuola Holden, vere e proprie mappe per orientarsi nel nostro presente, che spesso percorrono percorsi meno battuti.
Ideata come in «una piazza in cui ci si incontra più che in un rifugio esclusivo, Nexo + si propone – affermano dallo staff della piattaforma - come un luogo in cui il proprio tempo diventa uno spazio per la mente, dove nutrire le proprie passioni e dove scoprirne di nuove». L’intento è quello di stimolare la partecipazione attiva degli utenti offrendo «un luogo che promuove la curiosità, tutela le differenze, amplifica il sapere, il divertimento, l'emozione».

Dalla serie su Salvador Dalì allo spettacolo su Beethoven di Alessandro Baricco: le prime proposte di Nexo + per «un tempo libero di qualità»
Tra i primi spettacoli disponibili sulla piattaforma Nexo + c’è «Ludwig Van Beethoven | 5 cose da sapere sulla sua musica», di e con Alessandro Baricco, realizzato per il teatro Comunale di Ferrara, che vede in scena anche la pianista Gloria Campaner, particolarmente apprezzata per la sua versatilità, e i trenta giovanissimi musicisti dell’Orchestra Canova, tutti under 25, diretti dall’altrettanto giovanissimo Enrico Saverio Pagano. È, inoltre, possibile vedere, dallo scorso 27 marzo, il docu-film «Il terremoto di Vanja» di Vinicio Marchioni, che parte dal capolavoro «Zio Vanja» di Anton Čechov e conduce gli spettatori nella provincia italiana distrutta dal terremoto, a dieci anni dal sisma che ha colpito L’Aquila e a tre da quello di Amatrice, riportando l’attenzione sulle persone che ancora oggi combattono contro i danni subiti da quei tragici eventi. 
Grazie al dialogo ideale tra Marchioni e Čechov - a cui ha prestato la voce Toni Servillo – all’alternanza dei luoghi e delle situazioni filmate ora a colori, ora in bianco e nero e ai contributi di Andrej Končalovskij, Gabriele Salvatores e Fausto Malcovati, il film prende per mano lo spettatore e lo conduce in un molteplice viaggio, che è «un atto d’amore, verso il teatro, la letteratura e gli esseri umani che resistono».
Per gli appassionati della musica classica sono, invece, visibili i concerti dell’ultima edizione del Festival Salisburgo, quella del centenario. Tra le chicche si segnalano: tre esibizioni con i Wiener Philharmoniker, condotti da Nelsons, Thielemann e Dudamel; il concerto del pianista russo-tedesco Igor Levit con le ultime tre sonate per pianoforte di Beethoven; i recital di Juan Diego Flórez e quello della soprano bulgara Sonya Yoncheva; il concerto con Martha Argerich e il violinista Renaud Capuçon.
Mentre per gli amanti del cantautorato italiano c’è il documentario «Note di viaggio» di Andrea Longhin e Claudio Spanu, che raccolta la raccolta di Francesco Guccini composta da canzoni scelte dallo stesso cantautore insieme a Mauro Pagani, reinterpretate dalle grandi voci della musica italiana come, tra gli altri, Elisa, Ligabue, Giuliano Sangiorgi, Nina Zilli, Malika Ayane, Samuele Bersani, Luca Carboni, Zucchero, Fiorella Mannoia, Roberto Vecchioni, Vinicio Capossela e Gianna Nannini.
Il catalogo di Nexo + contempla, al momento, anche tre belle proposte per gli amanti della pittura e della storia antica: dal documentario «Il catalogo Goering - una collezione di arte e sangue» di Laurence Thiriat e con François Gonce (sulle oltre cinquemila opere accumulate dal numero due del Terzo Reich nella sua residenza di Carinhall) alla mini-serie «Salvador Dalì – La ricerca dell’immortalità» del regista David Pujol, senza dimenticare i sedici episodi di «Mille e una notte in Egitto» di Ernesto Pagano e Sandro Vannini, un lungo, appassionato viaggio lungo il Nilo tra geroglifici, gioielli, cucina, arte, navi, agricoltura, mobilio, moda, superstizioni, piramidi, dinamiche familiari, animali, musica, feste.

Tra le novità di VatiVision i film «Artemisia Gentileschi, pittrice guerriera» e «Un luogo, una carezza»

Mentre tutto tace sul fronte di «ItsArt, il nuovo palcoscenico virtuale per teatro, musica, cinema, danza e ogni forma d’arte», tanto voluto dal ministro Dario Franceschini, un’offerta culturale trasversale arriva anche da VatiVision, «la Netflix del Vaticano», piattaforma on-demand disponibile dallo scorso 8 giugno, nata dalla sinergia tra la società di produzione cinematografica «Officina della comunicazione» e «Vetrya», azienda di Orvieto leader nel settore della tecnologia.
«Cultura, arte e fede. Ovunque. Con te» è lo slogan di presentazione scelto, che spiega chiaramente i fili conduttori dell’offerta, il cui catalogo è in costante aggiornamento. La vita dei santi e dei papi, i luoghi sacri, i miracoli, la storia della Chiesa sono gli argomenti più trattati nei film e nei documentari presenti sulla piattaforma, ma non mancano proposte per gli amanti della pittura, della scultura e dei musei nelle sezioni «Vite per l’arte e nell’arte» ed «Elevarsi nell’arte». Tra i titoli disponibili ci sono: «Leonardo – Cinquecento» di Francesco Invernizzi, film uscito nelle sale in occasione dei cinquecento anni dalla morte del genio vinciano; il documentario «Botticelli – Inferno», per la regia di Ralph Loop, viaggio nella rappresentazione botticelliana dei gironi danteschi, fra gli Uffizi, gli archivi del Vaticano, Londra, Berlino e la Scozia; «Frida. Viva la vida» di Giovanni Troilo, racconto di un’icona del femminismo contemporaneo tra interviste esclusive, documenti d’epoca, ricostruzioni suggestive e opere; «Hokusai dal British Museum» di Patricia Wheatley, primo film inglese dedicato al grande pittore giapponese della fine del Settecento. 
Tra le novità c’è il film «Artemisia Gentileschi, pittrice guerriera» di Jordan River, uscito lo scorso 25 novembre in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne promossa dall'Onu. Il docu-film, con l’attrice Angela Curri, ripercorre la storia della pittrice seicentesca, la prima donna a essere ammessa in un’Accademia di disegno e ad avere una propria bottega, la cui figura è stata a lungo legata alla storia dello stupro ad opera del pittore Agostino Tassi, che si concluse con un doloroso processo pubblico.
Da poco disponibile è anche il film «Un luogo, una carezza» del regista Marco Marcassoli, che racconta le fasi di realizzazione della chiesa dell’ospedale Papa Giovanni XXIII a Bergamo, simbolo non solo di dolore o di sconfitta, ma anche casa capace di accogliere e ridare la vita. «Due importanti artisti internazionali, Stefano Arienti e Andrea Mastrovito, affiancati dal maestro vetraio Lino Reduzzi e dall’architetto Pippo Traversi, hanno lavorato insieme – si legge nella presentazione - per rendere speciale questo luogo di contemplazione e consolazione: un vero e proprio spazio di luce capace di offrire ristoro dinanzi alle difficoltà o alle sofferenze che sono inevitabilmente legate a una struttura ospedaliera». Fede, preghiera e vissuto si aprono così al racconto della bellezza in un film che la Cei ha inserito nel sussidio pastorale per la Quaresima e la Pasqua e che è per tutti, fedeli e non, una «contro-meditazione» sugli eventi di quest’ultimo anno, sulle immagini del Covid impresse nella nostra memoria, a partire da quella con la lunga colonna di mezzi militari con a bordo i feretri delle vittime,  sul dolore e sul senso di precarietà.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Sonya Yoncheva, Cappella Mediterranea. Leonardo Alarcon, Festival di Salisburgo 2020; [figg. 2 e 3] Frame del film «Mille e una notte in Egitto» di Ernesto Pagano e Sandro Vannini; [fig. 4] Locandina del film «Il catalogo Goering - una collezione di arte e sangue» di Laurence Thiriat ; [fig. 5] Un frame del film «Salvador Dalì – La ricerca dell’immortalità» del regista David Pujol; [fig. 6] «Il terremoto di Vanja» di Vinicio Marchioni; [fig. 7] Locandina del film «Artemisia Gentileschi, pittrice guerriera» di Jordan River; [figg. 8 e 9] Un frame del film  «Un luogo, una carezza» del regista Marco Marcassoli

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martedì 30 marzo 2021

Tre virtual tour per il progetto ravennate «Dante. Gli occhi e la mente»

È visibile anche sul Web il progetto «Dante. Gli occhi e la mente», che riunisce le tre mostre promosse dal Comune di Ravenna e organizzate dal Mar - Museo d'arte della città e dalla Biblioteca classense, in occasione del settimo centenario della morte di Dante Alighieri.
In un momento storico così particolare e difficile, che ha reso inagibili tanti luoghi di cultura su tutto il territorio nazionale, in molti non si sono fermati, ma anzi hanno lavorato intensamente per portare mostre e collezioni museali nelle case degli italiani e non solo.
Punta sull’offerta digitale anche la città di Ravenna che, in collaborazione con Zeranta Edutainment Srl, ha dato vita a una piattaforma con tre virtual tour, che permettono di visionare ben sette ambienti virtuali a 360°, oltre un centinaio di opere e circa sessanta contenuti multimediali tra interviste, piccoli documentari e un divertente video musicale pop, che contiene un brano composto ed eseguito per l’occasione dal cantautore e teatrante Ivan Talarico. La popolarità dei versi di «Dante, il sommo poeta dal naso importante, persona volgare e talvolta scostante», come recita con ironia l’incipit della canzone, viene ripercorsa, con questo contributo, attraverso la citazione di brani di noti cantautori, da Antonello Venditti e Fabrizio De Andrè, che si solo fatti suggestionare dalla storia di Paolo e Francesca, a Luciano Ligabue e Daniele Silvestri, che hanno preso a prestito il verso «nel mezzo del cammin di nostra vita», senza dimenticare Francesco Gabbani, Franco Battiato e Gianluca Grignani. Il video fa parte del percorso promozionale di «Un’epopea pop», la mostra curata da Giuseppe Antonelli, professore di linguistica all’Università di Pavia, la cui inaugurazione è prevista per il prossimo 4 settembre al Mar - Museo d’arte della città.
Dalle illustrazioni di Gustav Dorè alle figurine dei dadi Liebig, dall’«Inferno» di Topolino alla pubblicità della Magnesia San Pellegrino, dalle monete ai francobolli, il virtual tour racconta la fortuna dell’Alighieri e della sua «Commedia» in un viaggio che spazia dal Trecento ai giorni nostri. Nel video iniziale Giuseppe Antonelli spiega, infatti, che il poeta era già famoso ai suoi tempi e, a conferma di questa tesi, riporta un episodio tramandato nelle «Trecentonovelle» di Franco Sacchetti, nel quale si racconta di Dante che, passeggiando per Firenze, sente prima un fabbro poi un asinaio cantare pezzi del suo libro. E tutte e due le volte si arrabbia: col primo perché «tramestava i versi suoi, smozzicando e appiccando»; col secondo perché, «quando avea cantato un pezzo, toccava l’asino, e diceva: Arri».
Intrecciato alla mostra, il Mar propone un percorso d’arte contemporanea, a cura di Giorgia Salerno, con una selezione di opere di artisti contemporanei scelte in attinenza concettuale a riferimenti danteschi con temi guida come le anime, la figura femminile, il sogno, il viaggio e la luce. Edoardo Tresoldi, Richard Long, Kiki Smith e Robert Rauschenberg sono solo alcuni degli artisti che sarà possibile incontrare nel virtual tour, che si chiude con «Stella-acidi» di Gilberto Zorio, uno tra i maggiori esponenti dell’Arte Povera.
Un’altra mostra non ancora allestita, ma che si può già in parte visitare on-line, è «Le arti al tempo dell’esilio», a cura di Massimo Medica, direttore dei Musei civici di arte antica di Bologna, in programma dal 24 aprile al 4 luglio nella Chiesa di San Romualdo. Brevi interventi audio spiegano alcune delle preziose opere trecentesche che comporranno il percorso espositivo, a partire dal «Polittico di Badia» di Giotto - importante prestito delle Gallerie degli Uffizi - che l'artista realizzò per l'altare maggiore della Badia Fiorentina, chiesa vicina all'allora abitazione di Dante a Firenze, e che, con ogni probabilità, il poeta ebbe modo di vedere durante la sua realizzazione. Cimabue, Arnolfo di Cambio, Giovanni e Nicola Pisano sono gli altri artisti documentati nella mostra virtuale, che si chiude con la visita a 360° del ciclo di affreschi per Santa Chiara in Ravenna, attribuito a Pietro da Rimini.
Sul portale, realizzato con la consulenza di Jader Giraldi e la produzione multimediale di Flatmind Videoproduction, è possibile vedere anche la mostra «Inclusa est flamma. Ravenna 1921: Il secentenario della morte di Dante», a cura di Benedetto Gugliotta, attualmente allestita nel Corridoio Grande della Biblioteca Classense. Libri, manifesti, fotografie, dipinti, manoscritti e numerosi oggetti d'arte offerti come omaggio a Dante e alla città che fu il suo «ultimo rifugio» raccontano l'amore degli italiani verso quello che viene considerato il padre della nostra lingua. A scandire il percorso ci sono diversi Albi di firme della Tomba di Dante e della Classense, con autografi di visitatori illustri, ma anche di comuni cittadini. 
Lungo il percorso espositivo sono presenti, inoltre, il manifesto realizzato da Galileo Chini per il seicentenario e i sacchi in tela di juta, contenenti foglie di alloro in omaggio a Dante, donati da Gabriele D'Annunzio e decorati da Adolfo De Carolis con il motto «Inclusa est flamma» («la fiamma è all'interno»). Sul portale non manca, infine, una testimonianza dei lavori di restauro alla Tomba di Dante, con un intervento di Maurizio Tarantino, il direttore della Biblioteca Classense, che racconta come il titolo del progetto ravennate sia ispirato a un verso del canto XXVII del «Paradiso»: «pigliare occhi, per aver la mente», ovvero catturare l'attenzione attraverso lo sguardo dello spettatore per averne il pensiero.

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[Fig. 1] [Fig. 1] Galileo Chini, Dante, 1921, manifesto per il secentenario della morte di Dante Alighieri. È esposta nella mostra «Dante. Gli occhi e la mente. Inclusa est flamma. Ravenna 1921: il Secentenario della morte di Dante», Biblioteca Classense; [fig. 2] Virtual tour della mostra «Un’epopea pop»; [fig. 3] Giotto, «Polittico di Badia», tempera su tavola, 142x337cm, 1300 circa, Firenze, Galleria degli Uffizi; [fig. 4] Maestro della Croce 434, «San Francesco riceve le stimmate», tempera e oro su tavola, 81x51cm, 1250 circa, Firenze, Galleria degli Uffizi; [fig. 5] Virtual tour della mostra «Le arti al tempo dell’esilio» 
 
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Per accedere alla piattaforma: www.mar.ra.it/dante-vitual-tour-2021

lunedì 29 marzo 2021

«Foresta M9», a Mestre seicento essenze arboree e duecento alberi per un’installazione green

Querce, carpini, farnie, oppi, olmi campestri, frassini, ciliegi, sanguinelle, noccioli, cornioli, sambuchi, frangole, biancospini, ligustri, rose canine, prugnoli e lantane: sono quasi seicento le essenze arboree scelte per la mostra, a cura di Luca Molinari e Claudio Bertorelli, che segna la ripartenza di M9 – Museo del Novecento a Mestre. Centoottanta alberi, alti fino a quattro metri, vanno a comporre una vera e propria foresta, un’oasi di pace e serenità, che sovrasta con la sua chioma la variegata vegetazione sottostante, tipica del sottobosco, con altezze tra i trenta e i quaranta centimetri, suggellando da un lato l’emblematico significato di risveglio, ripresa e rinascita, e celebrando dall’altro il forte legame con le radici della città lagunare e il territorio che le fa da cornice. L’installazione è riflessa sulle pareti del terzo piano del museo, grazie all’applicazione di una pellicola a specchio, sottolineando così il rapporto che unisce il territorio veneto ai suoi boschi e, nello stesso tempo, raccontando il fascino paesaggistico di un territorio che ha pochi eguali in Italia.
Quella foresta temporanea nel cuore di M9, luogo emotivo ed essenziale nella sua semplicità, vuole, dunque, essere anche una testimonianza della grande attenzione e lungimiranza del comprensorio veneziano, che, già dai tempi della Serenissima, rivolge la propria attenzione alla salvaguardia dell’ambiente. «Da almeno due decenni la terra veneta – ricordano, a tal proposito, i curatori - è teatro di pratiche di paesaggio finalizzate a rifondare, entro il 2050, il suo arcipelago di foreste, almeno fino alle dimensioni dei gloriosi tempi veneziani: 7.000 ettari di rovereti di pianura necessari alla flotta per mare, pari all’1% della superficie estesa. Tutto è cominciato grazie a comunità locali che hanno deciso di prendersi cura dei luoghi abitati, consapevoli e responsabili nei confronti delle generazioni future».
«Foresta M9. Un paesaggio di idee, comunità e futuro»
– questo il titolo della mostra a Mestre - non è, dunque, solo una suggestiva installazione temporanea, ma anche un dispositivo di orientamento culturale e politico per restituire senso a un territorio che è insieme urbano e rurale. L’esposizione vuole, inoltre, essere un gesto tangibile per le sue comunità di riferimento; per questo motivo, a conclusione della mostra, sette comuni di medie e grandi dimensioni della pianura veneta - Concordia Sagittaria, San Donà di Piave, San Stino di Livenza, Venezia, Padova, Treviso e Cessalto - riceveranno in dono da M9 alcuni degli alberi che animano l’installazione, per rinvigorire o dare avvio ad altrettante foreste che arricchiranno il territorio. Mentre le piante più giovani saranno donate, a fine mostra, ai cittadini per un collettivo guerrilla gardening che diffonda l'arte di coltivare la biodiversità, nel proprio giardino o nel proprio quartiere.
L’idea di questo dono nasce da un’idea vincente, che dovrebbe essere centrale nel fare di molti, se non di tutti noi: «gli alberi -raccontano ancora i curatori - non sono un ornamento alla moda, non lavano il nostro senso di colpa e l'indifferenza, ma sono nostri compagni di viaggio, vivono con noi, sono più di noi e ci ricordano che tutti apparteniamo a un mondo che sta soffrendo troppo e che merita conoscenza, cura e amore».
L’esperienza green di «Foresta M9» non si esaurirà con la mostra, ma prevede anche un «semestre verde» di laboratori e incontri, che si muove nel solco della vocazione ecosostenibile con cui il Polo M9, laboratorio permanente del contemporaneo ideato nel 2018, è stato progettato da Matthias Sauerbruch e Louisa Hutton. Nei prossimi mesi saranno, dunque, approfonditi i temi dell’Agenda 2030 dell’Onu per l’ambiente, organizzati laboratori e iniziative per bambini e ragazzi, con visite e letture dedicate agli alberi, giungendo all’inaugurazione della prima mostra satellite dedicata ai grandi alberi della storia italiana.
La presentazione di «Foresta M9», avvenuta rigorosamente in streaming secondo le disposizioni vigenti in materia di contrasto alla diffusione del Coronavirus e delle sue varianti, è stata anche l’occasione per far conoscere «M9 Impatto Zero», il progetto greentech, eseguito da RnB4culture, che intende rendere il complesso veneto il più grande museo italiano a impatto energetico zero. Il progetto si avvia in questi giorni con l’installazione di un nuovo grande impianto fotovoltaico sui tetti degli edifici del distretto M9, con l’obiettivo di raggiungere la neutralità energetica entro il prossimo triennio. «L'impianto - raccontano dal museo - porterà a una espansione della potenza da 80 a 270 kW. RnB4culture sta realizzando l'intervento con 995 metri quadri di pannelli solari senza impatto visivo, con una produzione totale attesa di 6,4 milioni di kWh».
L’installazione sarà aperta al pubblico appena le condizioni legate alla situazione pandemica lo renderanno possibile, ma può già essere vista on-line grazie a una serie di appuntamenti. Si spazia dai «Forest sound» (il prossimo ci sarà venerdì 23 aprile, alle ore 21), concerti nella natura diffusi sui canali social di M9, agli incontri della rassegna «Il mio 900 in verde» (lunedì 29 marzo con Daniele Zovi, mercoledì 31 marzo con Giustino Mezzalira e lunedì 5 aprile con Maurizio Dissegna), dalle attività per i più piccoli (giovedì 1°, 8, 15 e 22 aprile) alle quattro lezioni (sabato 3, 10, 17 e 24 aprile) in streaming di yoga con Laura Lena. Foresta M9 ci offre così una pausa virtuale a contatto con la natura e ci regala un piccolo, ma significativo, attimo di pace dell’anima, «un'esperienza sensoriale e culturale unica – racconta Luca Molinari - in un momento in cui tutti noi siamo stati costretti nelle nostre case».

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Le fotografie sono di Alessandro Scarpa. Si ringrazia per le immagini lo studio associato di giornalisti BonnePresse di Milano

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L’installazione sarà aperta al pubblico non appena le condizioni legate alla situazione pandemica lo renderanno possibile. Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.m9museum.it

venerdì 26 marzo 2021

Una nuova identità visiva per l’Asolo art film festival. Ola Niepsuj firma l’immagine guida dell’edizione 2021

Dagli anni Settanta racconta il meglio della produzione cinematografica legata ai film sull’arte e sulle biografie degli artisti. Stiamo parlando dell’Asolo art film festival, nato nel 1973 quale distaccamento della Biennale d’arte di Venezia su impulso della critica e saggista Flavia Paulon e patrocinato all’epoca da Unesco. Per la trentanovesima edizione, in agenda dal 24 al 27 giugno (pandemia permettendo), la manifestazione, che vede alla direzione artistica Thomas Torelli, si rinnova e trova a Sarmede, il «paese della fiaba», un’altra eccellenza veneta, la sua nuova identità visiva.
Alla selezione dell’immagine ha, infatti, preso parte la Mostra internazionale dell’illustrazione per l’infanzia e in particolare il suo presidente Umberto di Remigio, che ha messo a disposizione dell’Asolo art film festival, una rosa di opere ricevute nell’ultimo biennio da autori di tutto il mondo.
La scelta è caduta su un disegno dell’artista e illustratrice polacca Ola Niepsuj, scelto da Thomas Torelli per esprimere visivamente il tema del festival 2021: «Fai della tua vita un’opera d’arte».
L’immagine selezionata è stata, poi, elaborata graficamente da Saglietti.Branding+Digital di Torino.
«In questa raffigurazione – spiega il direttore del festival - ho riconosciuto quei sentimenti di allegria e speranza che dovranno accompagnare noi e le generazioni future nei prossimi decenni, fondamentali per creare quel futuro che tutti auspichiamo in cui possa rinascere un nuovo umanesimo e una coscienza maggiore di comunità come genere umano, non ‘proprietario’ del pianeta terra, ma ‘appartenente’ al sistema pianeta terra».
In questa immagine troviamo vari elementi che conducono verso questo auspicio. Ci sono tre figure che rappresentano: il nostro passato con un adulto, il nostro presente con un bambino e la natura con un cane, tutti rivolti verso destra, che guardano avanti, quindi, verso il futuro.
Sono vicini, formano un gruppo, una comunità, ma l’adulto, a differenza del bambino e del cane, raffigurati in cammino, è fermo, come a volerli accompagnare con lo sguardo verso il futuro, come a dire «andate avanti, io mi fermo qui, non voglio portare i miei errori nel futuro».
L’adulto disegnato con la testa piccola, quasi a simboleggiare il suo dolore per gli errori commessi, spinge il bambino, con la testa enorme, piena di idee rivoluzionarie, e il suo cane, a vivere le loro vite come opere d’arte.
A coronare il tutto abbiamo il sole, logo storico del festival, simbolo eterno di rinascita e speranza che rende tutto colorato, come in una sorta di nuova primavera che porterà a un’estate di pace e armonia.
Lo stile grafico dell’immagine è chiaramente di ispirazione futurista richiamando ancora una volta quella speranza nel futuro e nel cambiamento, sebbene basata su presupposti e strumenti decisamente diversi, che animò i primi decenni del XX secolo.
«Asolo Art film festival 2021 – spiega ancora Thomas Torelli - lancia così un messaggio di opposizione all’omologazione e alla cupezza del periodo, attraverso la spinta creativa che l’arte infonde in tutti gli individui. Invita a credere nella forza creativa che alberga in ognuno di noi e che attraverso la spinta catartica dell’arte può emergere facendoci trovare la nostra vera via». 

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giovedì 25 marzo 2021

Buon compleanno, Dams. A Bologna mostre, spettacoli e incontri per i cinquant’anni del corso di laurea che mette in cattedra l’arte

Ci sono idee che fanno la storia. È il caso della felice intuizione avuta negli anni Settanta del grecista Benedetto Marzullo, membro del Consiglio superiore di pubblica istruzione e grande amante del teatro, al quale si deve la nascita del Dams di Bologna, il corso di laurea in discipline delle arti, della musica e dello spettacolo che portò a insegnare sotto le Torri personalità del calibro di Umberto Eco, Renato Barilli, Luciano Anceschi, Gianni Polidori, Luigi Squarzina, Thomas Maldonato, Paolo Monti, Giuliano Scabia, Carlo Volpe, Roberto Leydi, Gianni Celati, Furio Colombo e molti altri.
Era il 1971 e chi voleva fare della cultura il suo lavoro aveva finalmente un ateneo dove studiare e specializzarsi. Ma non fu facile dare vita, all’interno della Facoltà di lettere e filosofia di Bologna, a quel laboratorio di sperimentazione, di utopia e di critica culturale che metteva in cattedra la creatività in ogni sua forma. Nell’Italia che viveva tutte le tensioni politiche ed economiche dei cosiddetti «anni di piombo», quella sfida visionaria «non aveva - affermò, tempo dopo, lo stesso Benedetto Marzullo - precedenti, ma solo avversari», sia all’interno della gloriosa Alma Mater Studiorum, che si avvicinava ai novecento anni di storia, sia in città, dove per molto tempo gli studenti del Dams vennero visti come un gruppo di scapestrati e «caciaroni», poco dediti allo studio, «da evitare assolutamente – ricorda Cristian Tracà -, come inquilini per i proprietari e come coinquilini per i ‘veri studenti’, la futura classe dirigente».
Ma il mondo, si sa, è di chi ha il coraggio di credere nei propri sogni e gli stereotipi e i pregiudizi, le etichette appiccicate velocemente e distrattamente, sono fatte solo per ingannare la mente.
Quei giovani intellettuali che riempivano a dismisura l’Aula Magna per ascoltare Umberto Eco in un pirotecnico assolo che mischiava semiotica e letteratura, cinema e fumetto, o che, con il drammaturgo Giuliano Scabia, coloravano Bologna lanciando in cielo piccole mongolfiere erano destinati a diventare la classe dirigente di un settore che, purtroppo, è ancora oggi la Cenerentola dell’economia italiana, quello dell’industria culturale, ma anche ad affermarsi nel giornalismo, nella televisione e persino in politica. Sui banchi del Dams si sono, infatti, seduti il musicista Paolo Fresu, la giornalista Milena Gabanelli, lo scrittore e saggista Pier Vittorio Tondelli, il fumettista Andrea Pazienza, il cantautore Roberto «Freak» Antoni, il regista Carlo Mazzacurati, il conduttore Patrizio Roversi, il politico Gianni Cuperlo e una schiera di ragazzi e ragazze con l’ambizione di diventare attori, registi, compositori, artisti, pubblicitari, curatori, drammaturghi, musicisti.
Talento, passione e sensibilità, talvolta voglia di andare controcorrente e di sfidare i limiti, ma anche rigore, disciplina e impegno: era questo che si insegnava, e tuttora si insegna, al Dams di Bologna, un progetto che è stato, poi, «esportato» in più parti d’Italia, da Torino a Firenze, da Roma a Palermo.
Da quel 1971 che vide nel capoluogo emiliano la nascita del primo corso di laurea in discipline delle arti, della musica e dello spettacolo sono passati cinquant’anni; per festeggiare questo importante traguardo è stato organizzato un lungo e ricco calendario di appuntamenti culturali, on-line e in presenza: incontri, dialoghi con ex alunni, mostre, una laurea honoris causa, convegni, spettacoli e, pandemia permettendo, una festa lunga tre giorni – dal 18 al 20 giugno – in piazza Maggiore e in diversi luoghi del centro storico.
«Smettere di evolverci: l’unica cosa che non impareremo mai»
è lo slogan scelto dall’agenzia creativa The Big Now/mcgarrybowen, con BAM! Strategie culturali, per pubblicizzare questa iniziativa, ribattezzata «Dams50», che raccoglie una trentina di eventi, a partire da una serie di live-streaming attraverso la pagina Facebook e YouTube di DAMSLAb/LaSoffitta, con professionisti passati dai banchi dell’ateneo bolognese. Fra le testimonianze in programma ci sarà, giovedì 25 marzo, quella del curatore e critico d'arte contemporanea Massimiliano Gioni, in conversazione con Roberto Pinto; mentre mercoledì 31 sarà Chiara Alessi a parlare di cultura materiale, di design e della sua ormai celebre rubrica #designinpigiama, insieme con Anna Rosellini e Francesco Spampinato.
Molto ricco è anche il programma di aprile e maggio: in agenda ci sono gli incontri con l’attore e regista Toni Servillo (laureato ad honorem nel 2015), il giornalista e scrittore Stefano Bartezzaghi, il regista Romeo Castellucci, il trombettista Paolo Fresu, il giornalista Riccardo Iacona e il cantautore Giovanni Lindo Ferretti, ma anche gli appuntamenti in absentia dedicati alla memoria di Tondelli, Pazienza, «Freak» Antoni e Mazzacurati.
Il cartellone prevede anche tre progetti espositivi. Si inizierà il 24 aprile, al Museo della musica in Strada Maggiore, con «No Dams! 50 anni di Corso di laurea in Discipline delle arti, della musica e dello spettacolo»: fotografie, articoli di giornale, documenti ufficiali e filmati storici, materiali provenienti da archivi pubblici e privati, tessono la trama di un avvincente racconto, iniziato nel 1971 e ancora in corso, che si avvale dell’allestimento immersivo progettato dall’architetto Eric Lapierre. Dal 29 aprile è, invece, in programma, in SalaBorsa, una mostra di Mimmo Paladino sui suoi disegni dedicati alla grande letteratura universale, da Omero a Collodi, da Dante a Manzoni, preludio alla laurea ad honorem che sarà conferita all’artista il 14 maggio al teatro Comunale di Bologna. A corollario, per le vie del centro storico, in giugno, sarà, infine, possibile imbattersi nel progetto di public art ideato appositamente per «Dams50», che presenterà delle video-installazioni architettoniche realizzate da ex studenti dell’ateneo bolognese. Le sedi di Palazzo Marescotti-Brazzetti (via Barberia 4), del Complesso di Santa Cristina (piazzetta Morandi) e del DAMSLab (piazzetta Pasolini) verranno rispettivamente «accese» da tre interventi di Tommaso Arosio, Apparati Effimeri e Riccardo Benassi, mentre le sedi storiche di via Guerrazzi, Strada Maggiore e l’Ospedale dei Bastardini saranno oggetto di un intervento di Elisa Seravalli a partire dai materiali d’archivio esistenti.
Di un ex alunno, ovvero di Ambrogio Lo Giudice, è anche il docu-film «Andate a lavorare», realizzato per l’occasione, che ripercorre, in bilico tra finzione e realtà, la straordinaria avventura del Dams.
Non mancheranno, poi, appuntamenti teatrali: da un laboratorio con Marco Martinelli (attualmente previsto per i giorni dal 20 al 29 aprile) a una lectio magistralis di Giuliano Scabia. Completerà il cartellone un progetto dedicato a Torgeir Wethal, storico attore dell’Odin Teatret, a cura di Teatro Ridotto - Casa delle culture, che prevede, tra l’altro, dialoghi con Eugenio Barba, Roberta Carreri e Iben Nagel Rasmussen (2 maggio), oltre alla presentazione di «Fiori per Torgeir» (3 e 4 maggio), spettacolo che parla di lutto e di dolore, raccontando come la morte di una persona cara ci cambi per sempre e come la gratitudine per ciò che è stato è la chiave di volta per guardare al futuro. «Non sono la stessa che ero prima della morte di Torgeir, e mai tornerò ad esserlo - racconta Roberta Carreri, autrice e attrice dello spettacolo -. Ma sono ancora capace di cantare e di sorridere, accompagnata dalla sua assenza per il resto del mio cammino. Si dice che si muore due volte. La seconda è quando si viene dimenticati. Io non voglio che Torgeir sia dimenticato». Memoria e futuro si incontrano, dunque, in questo spettacolo così come nell’intero cartellone di «Dams50», un invito ad evolversi, guardando alla storia passata senza nostalgia, - racconta Giacomo Manzoli, direttore del Dipartimento delle arti al Dams - ma con un po’ orgoglio». 

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