ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 2 novembre 2021

Una guerra e la resistenza delle donne: debutto torinese per il tour delle «Troiane» di Luigi Orfeo


Antica eppure sempre attuale: «Le Troiane», la tragedia di Euripide rappresentata per la prima volta ad Atene nel 415 a. C., simbolo dell’atrocità di ogni guerra, continua a parlare agli uomini e alle donne di oggi.
Il peggio è già accaduto. Intorno ci sono solo polvere e macerie, rovine in fumo, cadaveri abbandonati per le strade, uomini e donne sconfitti, la cui resistenza eroica e disperata non ha salvato Ilio dall’assalto dei nemici achei.
Ma chi ha vinto ha veramente vinto? E chi ha perso ha veramente perso? È questo il dubbio che ci instilla la messa in scena de «Le Troiane», nell’allestimento di Casa Fools e per la regia di Luigi Orfeo, che debutta giovedì 4 novembre a Torino, al teatro Vanchiglia.
Lo spettacolo - che sarà in cartellone fino a sabato 6 e, ancora, da giovedì 18 a sabato 20 - riscrive la tragedia originale mettendo in secondo piano il punto di vista maschile per raccontare la storia attraverso gli occhi e la voce di cinque donne. Interpretano madri, mogli e figlie, che subiscono l’onta della violenza fisica e psicologica, ma che sono capaci, ognuna a proprio modo, di reagire alla follia assurda e atroce dell’invasore. Ecuba, Andromaca, Cassandra hanno perso tutto, la loro città, la libertà, i propri figli e mariti, ma non il loro coraggio e la loro dignità. La loro umanità è rimasta intatta. Non si può dire lo stesso per gli Achei, sul podio di una guerra, vinta per giunta con l’inganno, con lo stratagemma di un cavallo di legno, ma sconfitti sul piano dell’etica e degli ideali.
La riscrittura del testo, opera di Luigi Orfeo, è frutto di una ricerca sul potere intrinseco della parola che ha dato vita a una vera e propria «lingua del Mediterraneo», un melting pot di dialetti del sud Italia che danno allo spettacolo una componente ancestrale e profonda.
Non esiste artificio scenico: i cambi di personaggio, l’intonazione dei cori a cappella armonizzati per cinque voci, tutto avviene sotto gli occhi dello spettatore.
A vestire i panni di Ecuba, la vecchia moglie di Priamo, è Roberta Calia. Rebecca Rossetti è in scena nel doppio ruolo di Menelao e di Andromaca, la donna straziata per la morte di Ettore e del giovane figlio Astianatte. Paola Bertello interpreta l’opportunista Elena. Alle prese con il ruolo di Taltibio c’è, invece, Silvia Laniado, mentre la giovane Cindy Balliu è la tormentata Cassandra, profetessa di sciagure.
Sesta attrice a tutti gli effetti è, infine, la musica. Dalla collaborazione con il giovane compositore Alberto Cipolla sono nati, infatti, i cinque brani inediti, inseriti nell'album «Troiane Original Score», pubblicato su Spotify, e eseguiti dalle attrici sul palco a cappella. «Il lavoro di Cipolla – raccontano gli organizzatori - si è concentrato nel caricare le voci femminili di una grande valenza simbolica: ora coro armonico a rappresentare la forza della comunità, ora voci soliste come urlo disperato di sopraffazione».
Mentre per la realizzazione dei costumi è stata messa in piedi una collaborazione con la sartoria Colori Vivi, atelier di donne rifugiate che confezionano insieme, con metodi artigianali, capi con una forte impronta innovativa.
Dopo il debutto a Casa Fools, il tour proseguirà fino al 21 novembre con altre sette rappresentazioni: lo spettacolo sarà in scena lunedì 8 al teatro Agnelli di Torino (via Paolo Sarpi 111), mercoledì 10 al Teatro Le Glicini di Pino Torinese (via Martini 18), venerdì 12 allo Spazio Gloria del circolo Xanadù di Como (via Varesina 72), sabato 13 al teatro Matteotti di Moncalieri (via Matteotti 1), domenica 14 al Circolo Arci Tom di Mantova (Piazza Tom Benetollo 1), lunedì 15 all’Arci Bellezza di Milano (via Bellezza 16/A) e domenica 21 all’Heracles Symposium, sempre a Milano (via Padova 21).
Tappa dopo tappa, il pubblico potrà così rivivere il messaggio antimilitarista di Euripide, autore che parla - oggi come duemila anni fa – al cuore dell'uomo. «Tutti i giorni – racconta, a tal proposito, Luigi Orfeo - abbiamo davanti agli occhi la miseria di popoli sopraffatti da decisioni impulsive e irrazionali prese molto lontano da loro. Proprio come accadde ai Troiani. Il nostro spettacolo vuole mostrare questa assurdità, provocando empatia e non compassione e facendo affiorare il coraggio».

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lunedì 1 novembre 2021

Da Chiara Dyns a Daan Roosegaarde: «Nuove visioni» a Palazzo Maffei, la casa veronese della collezione Carlon

Era il febbraio del 2020 quando Verona si arricchiva di un nuovo luogo d’arte e di cultura: Palazzo Maffei, importante edificio seicentesco della città, affacciato su piazza delle Erbe, che, dopo un qualificato restauro, diventava la casa della collezione Carlon.
Un anno e mezzo dopo l’edificio amplia i suoi spazi espositivi con l’apertura al pubblico, dallo scorso 23 ottobre, del secondo piano, dove sono stati riqualificati anche gli stucchi, i pavimenti e le pitture murali, opera dell’accademico veronese Pio Piatti.
Grazie al coinvolgimento dell’architetto Daan Roosegaarde, tra gli young global leaders del World Economic Forum, in questi spazi sono state ricavate ulteriori otto sale e una project room, con nuove opere e installazioni artistiche, oltre a un teatrino di più di cento posti e a una biblioteca specialistica.
Il nuovo percorso espositivo, che si avvale del progetto museografico di Gabriella Belli, è un invito alla riflessione, ricco di suggestioni e stimoli. Non segue un fluire cronologico, ma racconta tematiche eterne o di stringente attualità come il rapporto tra l’uomo e il cosmo, la natura e l’infinito o la sostenibilità ambientale.
Nella prima sala e nella connessa vetrina, l’Antiquarium, si trova un omaggio alla Verona romana, il cui cuore era l’attuale piazza delle Erbe: un piccolo busto in basalto di Serapide, dio di origine orientale, è esposto accanto a sculture, fregi architettonici e manufatti ascrivibili tra il I e il III secolo d. C., provenienti da diverse parti dell’Impero. Sempre in questi spazi spicca, una testa virile di marmo bianco dalle dimensioni superiori al vero, probabilmente raffigurante Marco Aurelio, l’imperatore filosofo autore di «A me stesso», dodici libri di meditazioni intorno alla vita e al cosmo. 
Anche l’arte contemporanea racconta l’antico con «Testimone» (1991) di Mimmo Paladino, figura pietrificata ed enigmatica tra arcaismo e bizantinismo, che porta sul petto tre volti, forse le tre età dell’uomo, invitando a una riflessione sullo scorrere del tempo e sul valore della vita. Data al Novecento, e per la precisione al biennio 1928–1929, pure «I gladiatori nella stanza» di Giorgio de Chirico, che ricordano i protagonisti dei combattimenti che animavano le arene, mostrando le sfide di ieri e di oggi per tornare padroni del proprio destino.
La seconda sala, intitolata «Sulla metamorfosi del paesaggio e la bella natura», presenta un poetico intervento site specific di Chiara Dynys: «Over Nature». L’eclettica artista contemporanea ha dato nuova veste alle antiche vedute settecentesche che ornano le pareti del palazzo, scenario dell’incontro avvenuto nel 1786 tra lo scrittore tedesco Johann Wolfgang von Goethe, del quale l’intervento artistico propone due aforismi sulla natura, e Antonio Canova, scultore neoclassico cui si deve l’«Amorino» al centro della sala, un gesso di nobile semplicità e composta bellezza.
Il tema del paesaggio torna anche nella terza sala, «Vedute», dove è protagonista la città di Verona, ritratta, interpretata, analizzata da diverse angolature e prospettive. Tra i vari artisti, le cui opere scorrono davanti agli occhi dei visitatori, ci sono Carlo Ferrari detto il Ferrarina, i cui dipinti erano amati anche da «turisti» stranieri come il maresciallo Radetzky e il principe russo Anatolij Demiov, Carlo Canella, di cui si possono ammirare un’inconsueta veduta di «Piazza Bra con il Palazzo della Gran Guardia» e «I mulini sull’Adige a sant’Anastasia», e il veronese Renato Di Bosso che ci consegna il ritratto di una città dal sapore futurista.
Straniante e nel contempo di grande impatto appare la sala intitolata «Sul perimetro del mondo e i suoi limiti» che attraverso l’esposizione di pregiate cornici d’epoca - incredibile florilegio di forme e manifatture preziose - ci induce a riflettere sul senso del vuoto creativo che esse, pur nella loro bellezza, non riescono a colmare.
Propone, invece, una riflessione sulla natura la stanza successiva, «Sul sapere universale e la caducità delle cose», dove si trovano nature morte seicentesche in dialogo con l’edizione integrale dell’«Encyclopedie» di Diderot e d’Alambert, summa del sapere universale del XVIII secolo e manifesto della fede progressista, e l’opera «Untitled» di Mario Schifano, «che – si legge nella presentazione - deflagra il paesaggio, rendendolo in una versione quasi pop falsato e surreale, con immagini seriali affiancate a sagome bianche di probabili schermi televisivi, in un inevitabile contrasto tra tecnologia e natura, tra immagine reale e immagine riflessa».
Si trova, poi, il salotto del collezionista, quasi un intermezzo d’autore, in cui antico e moderno s’incontrano secondo le passioni e il gusto eclettico che hanno animato e continuano ad alimentare la ricerca collezionistica di Luigi Carlon. Tra arredi preziosi, come le magnifiche lacche veneziane del XVIII secolo e i commode sei-settecenteschi di manifatture fiorentine e veneziane, si possono ammirare due bellissimi dipinti a soggetto biblico e mitologico di Pietro Rotari - parte di una serie di quattro tele provenienti dalla casa veronese dello stesso artista - o ancora pittura dei Paesi Bassi, con un paesaggio boscoso di grande qualità databile tra il secondo e il terzo decennio del Seicento, accanto a una scultura di Gino De Domincis e all’iconica «Hope» di Robert Indiana.
La sala «Sulla natura dello spazio e della materia» mette a confronto uno straordinario «Contrappunto semplice» (1971) di Fausto Melotti, equilibrio perfetto di pieni e di vuoti, accanto ai tagli di Lucio Fontana, agli «Achrome» di Pietro Manzoni, alle plastiche combuste di Alberto Burri, a lavori di Fausto Melotti e Carla Accardi, artisti che agiscono con prepotenza attraverso i segni.
Trascinati oltre la terra e la natura che lo abita, oltre il finito, oltre il contingente, gli spettatori entrano nella sala «Sul cosmo e i suoi satelliti». «L’illusionistico movimento circolare creato da Alberto Biasi in «Dinamica ’62», con la sovrapposizione di strutture lamellari dalle cromie contrastanti, - si legge nella presentazione - sembra volerci inghiottire in un vortice, mentre il «Teatrino» di Fontana ci porta in una nuova dimensione onirica. Ma è l’opera di Eliseo Mattiacci «Tempo globale» del 1991 a ricondurci al dialogo /confronto tra l’individuo e il mondo che lo circonda, tra l’io e il cosmo», evocando «l’entità incommensurabile dell’universo, che si espande ininterrottamente spinto da forze magnetiche in equilibrio tra loro, mentre da un nucleo sospeso emergono frammenti brulicanti di vita».
Il percorso si chiude con Daan Roosegaarde e con uno dei suoi spettacolari progetti che fondono tecnologia della luce interattiva, arte e sostenibilità ambientale: «Lotus Maffei», un fiore intelligente, sensibile alla luce e al calore che muove le sue forme in base al contatto con gli esseri umani. Una magia tra le magie.

Vedi anche
Apre a Verona Palazzo Maffei
 
Didascalie delle immagini
Le foto sono di Luca Rotondo

Informazioni utili 
Palazzo Maffei, piazza delle Erbe, 38 - Verona. Orari: dal lunedì al venerdì, ore 10.00 – 18.00; sabato, domenica e festivi, ore 11.00 – 19.00; 1° gennaio, ore 13.00- 19.00; chiuso il martedì e il 25 dicembre. Ingresso: intro € 10,00, rido o € 8,00; tu e le convenzioni e riduzioni sono consultabili sul sito. Informazioni: tel. 045.5118529 o info@palazzomaffeiverona.com. Sito internet: palazzomaffeiverona.com





sabato 30 ottobre 2021

#Notizieinpillole, cronache d'arte della settimana dal 25 al 31 ottobre 2021

IL «QUARTO STATO»: ON-LINE IN HALTADEFINIZIONE IL CAPOLAVORO DI PELLIZZA DA VOLPEDO
È il manifesto pittorico del proletariato italiano, simbolo delle battaglie politico-sociali dei lavoratori, ed è uno dei dipinti che meglio rappresenta il passaggio dal Divisionismo di fine ’800 alla modernità. Stiamo parlando dell’olio su tela «Quarto Stato» di Giuseppe Pellizza da Volpedo, usualmente conservato al Museo del Novecento di Milano.
L’opera si aggiunge al prezioso archivio di immagini digitali di Haltadefinizionetech company della casa editrice Franco Cosimo Panini, che ha avviato da tempo, in collaborazione con i musei di tutta Italia, un progetto per rendere l’arte accessibile al pubblico in ogni momento e in ogni parte del mondo. L'idea di poter visitare le opere nel profondo attraverso la riproduzione digitale, che rivela nel dettaglio ogni singola pennellata, è un'esperienza affascinante che contribuisce alla conoscenza dei nostri artisti e dei nostri musei.
Di grandi dimensioni (293×545 cm), il «Quarto Stato» è il risultato finale di un processo creativo durato dieci anni. Giuseppe Pellizza da Volpedo la termina nel 1901 dopo vari tentativi insoddisfacenti, tra i quali si ricorda la «Fiumana», il bozzetto preparatorio realizzato tra 1895 e il 1896, oggi conservato alla Pinacoteca di Brera, anch’esso disponibile sul sito di Haltadefinizione.
Dopo essere stato acquisito con una tecnica fotografica ad altissima risoluzione, il «Quarto Stato» è ora accessibile in gigapixel e può, quindi, essere ingrandito infinite volte grazie al visore multimediale che rivela nel dettaglio ogni particolare, dalle tre figure in primo piano (due uomini e una donna, con in braccio un bambino) al cielo violaceo alle spalle, che fa da scenario a un popolo di lavoratori che costruisce il suo stato di diritto marciando verso il futuro.
Per maggiori informazioni: https://www.haltadefinizione.com/

TERMINATO A TORINO IL RESTAURO DEL «GRANDE ASSENTE». RITORNA NELLA GALLERIA DELLA SINDONE IL DIPINTO DEL CONTE VERDE
Il «Grande Assente» è ritornato ai Musei Reali di Torino. Dopo diversi mesi di attente indagini diagnostiche e scrupoloso restauro, il dipinto «Amedeo VI presenta a Urbano V il patriarca di Costantinopoli», dedicato al celebre Conte Verde, è finalmente stato ricollocato al suo posto d'onore nella Galleria della Sindone.
Nell’autunno del 2020 l’importante tela, realizzata nel 1849 dal pittore livornese Tommaso Gazzarrini su commissione di re Carlo Alberto e gravemente danneggiata nel 1997 durante l’incendio della Cappella della Sindone, è stata protagonista di una raccolta fondi digitale, promossa dal Rotary Club Torino Palazzo Reale e da un team di giovani partecipanti al corso di alta formazione «Talenti per il Fundraising» della Fondazione Crt. Trecentosettantadue donatori hanno partecipato alla campagna, intitolata proprio «Il Grande Assente», per la quale sono stati raccolti 15mila euro.
L’intervento conservativo, realizzato tra l’aprile e il luglio 2021 da Koiné Conservazione beni culturali, ha interessato il consolidamento della tela di supporto e degli strati pittorici, nonché la pulitura della pellicola pittorica, le cui ritrovate cromie appaiono ora particolarmente vivide e brillanti.
La grande tela di Tommaso Gazzarrini - quattro metri e sessanta di altezza per metri metri e settanta di larghezza - mostra un ampio concorso di persone: più di quaranta figure circondano il papa, seduto sul suo seggio e ritratto in un ambiente ecclesiastico di stampo classicista, caratterizzato da colonne, pilastri, architravi e lunette dipinte. Riconoscibile, al centro della tela, c’è Amedeo VI di Savoia, in età giovanile, con casacca rossa con croce sabauda bianca, e mantello dai risvolti appunto verdi.
«Il quadro come si disse all’epoca, ha quell’elemento di bravura illusionistica che caratterizza certi spazi, dove si fatica a numerare la moltitudine dei presenti, che si accalcano fin su di uno sfondo remoto, – scrive Franco Gualano nella brochure realizzata per l’occasione - e fu sempre molto ammirato». Si ritrovano, infatti, in questa tela tutti i tratti caratteristici della pittura di Tommaso Gazzarrini: l’influenza dei modelli del classicismo cinquecentesco di Raffaello e di fra’ Bartolomeo, l’apertura al gusto verista, lo stile pittorico sintetico e personale, fatto di pennellate ora robuste, ora appena accennate, e di un disegno maggiormente svincolato dalle norme accademiche.
Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina museireali.beniculturali.it.

DAL «CONCERTO A PEDALI» AL TANGO DI PIAZZOLLA: AL VIA IL MONCALIERI JAZZ FESTIVAL
Dal Green jazz day a Fred Buscaglione, da Astor Piazzolla a Dante e Beatrice: sono questi i fili conduttori della ventiquattresima edizione del Moncalieri Jazz Festival, in programma dal 30 ottobre al 14 novembre.
A tenere a battesimo la manifestazione sarà un appuntamento con le sette note a impatto zero. Alla Cascina «Le Vallere» il gruppo Magasin Du Cafè si esibirà nel «Concerto a pedali», dove l’energia sufficiente ad alimentare l’audio e le luci per tutta la band sarà prodotta dalle pedalate di un musicista.
Mentre a chiudere il festival sarà un appuntamento promosso in occasione del settecentesimo anniversario della morte di Dante Alighieri: l’opera epica-jazz «Beatrice», le cui musiche sono di Roger Treece, nella quale sarà la donna cardine del Dolce Stil Novo a prendere parola in un ribaltamento di specchi e ad accompagnare il poeta durante il suo viaggio lungo tutta una vita. Scenario dell'appuntamento, in prima assoluta, sarà l’auditorium Rai Toscanini di Torino. Sul palco saliranno l’Orchestra sinfonica nazionale della Rai, la grande pianista solista Rita Marcotulli, il fisarmonicista Ugo Viola, Albert Hera con il soundteller narrativo, il gruppo vocale Real Circle Project, il coro di voci bianche della Scuola musicale di Mondovì e dell’Istituto civico musicale «Giuseppe Verdi» di Asti, diretti da Maurizio Fornero, insieme con gli attori Alessia Navarro e Pino Insegno, nel ruolo di Dante e Beatrice.
Il cartellone ricorderà, poi, due centenari di spicco, quelli di Astor Piazzolla e Fred Buscaglione. Giovedì 11 novembre, alle Fonderie teatrali Limone, il pubblico sarà ammaliato dalle note del tango, negli arrangiamenti di Andrea Ravizza e nell'esecuzione di musicisti del calibro del fisarmonicista Ugo Viola (direttore artistico del Mjf) e di Gegè Telesforo, Flavio Boltro, Fulvio Albano e Fabrizio Bosso, nonché del Sestetto Renacerò e dell'Orchestra filarmonica di Torino. Sabato 13 novembre, sempre alle Fonderie teatrali Limone, si terrà, invece, «Che notte questa notte!!!», con Fred Chiosso e gli AsterVjas. Oltre a questo concerto, a Fred Buscaglione verrà dedicata la tavola rotonda «Parole & musica», con interventi, tra gli altri, di Fred Chiosso, Maurizio Tarnavasio e Franco Bergoglio.
Sul palco del Moncalieri jazz festival saliranno anche i Rhythm and Bones, Gegè Telesforo 4tet, Fabrizio Bosso e il suo quartetto, nonché l’ensemble di giovani talenti italiani e svizzeri, creatosi in occasione della prima edizione dell’Italian&Swiss Jazz Festival per il Consolato d’Italia in Basilea.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.moncalierijazz.com. 

«HIGH-KEY ON JAZZ»: UNA MOSTRA FOTOGRAFICA DI ROBERTO CIFARELLI PER JAZZMI
Eleganza e serenità: sono questi due sentimenti ad animare le immagini in mostra al Blue Note di Milano, nell’ambito della nuova edizione di JAZZMI, la kermesse, in programma fino al 31 ottobre, che offre al pubblico più di duecento eventi in oltre sessanta diverse location.
«High-Key on Jazz», questo il titolo dell’esposizione, raccoglie tredici scatti di Roberto Cifarelli realizzati con la tecnica dell’High-Key, grazie alla quale la luce invade le superfici e i contrasti vengono ridotti al minimo. Dal sapiente utilizzo di questa particolare tecnica nascono immagini molto chiare, con una netta predominanza del colore bianco, e caratterizzate da un’intensa luminosità che elimina quasi del tutto i giochi di ombra e conferisce allo scatto un’aura di brillantezza.
I soggetti ritratti da Roberto Cifarelli, tutti musicisti jazz, sono avvolti da una luminosità innaturale che a volte sottolinea ed esalta sorrisi ed espressioni di gioia, a volte edulcora con l’inganno e nasconde concentrazione e tensione suggerendo sensazioni di pace e di misticismo, rendendo i protagonisti delle fotografie eteree presenze.
«Roberto Cifarelli - racconta Daniele Genovese, direttore generale di Blue Note Milano - stupisce ancora una volta con la sua capacità di rappresentare e interpretare il mondo della musica in modo davvero autentico». I toni chiari che predominano in questi scatti vogliano anche essere un augurio di serenità per il mondo dello spettacolo, dopo il periodo buio appena trascorso e i tanti mesi di chiusura di teatri e luoghi della cultura.
Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina www.bluenotemilano.com.

ROMA, A VILLA MEDICI UNA NOTTE BIANCA ALL’INSEGNA DELL’ARTE
Torna la Notte bianca dell’Accademia di Francia a Roma. L’appuntamento è per giovedì 4 novembre, dalle ore 19:00 a mezzanotte, quando i sedici borsisti in residenza a villa Medici fino all’estate del 2022 - artisti visivi, storici dell’arte, compositori, scrittori, architetti, designer e videomaker - presenteranno un saggio delle loro ricerche individuali e multidisciplinari.
Opere di arte visiva, performance, videoproiezioni, installazioni, interventi sonori, conferenze creeranno un percorso dinamico che unirà il grande parco alla sede centrale dell’Accademia di Francia, una dimora del XVI secolo sulle colline del Pincio, svelando anche ambienti solitamente non accessibili al pubblico. Da questo punto di vista, la Notte bianca rappresenta un’occasione unica di visita alla villa romana, in una condizione – di notte e con i contributi dei borsisti – densa di suggestioni.
Parteciperanno alla serata: Kaouther Adimi (scrittrice), Ivàn Argote (artista visivo e regista), Charlie Aubry (artista visivo e musicista), Théodora Barat (artista visiva), Samir Boumediene (dottore in storia), Nidhal Chamekh (artista visivo), Aude Fourel (cineasta), Marta Gentilucci (compositrice), Noémie Goddard (architetta d'interni), Evangelia Kranioti (artista visiva), Marielle Macé (scrittrice), Benoît Maire (artista visivo), Hèctor Parra Esteve (compositore), Julie Pellegrin (critica e curatrice), Mathieu Peyroulet Ghilini (designer) e Guy Regis Jr. (scrittore e regista teatrale). Cura il progetto Saverio Verini.
La Notte bianca avrà una dimensione laboratoriale. Non sarà cioè una vera e propria mostra e nemmeno un tradizionale open studio, ma una serata in cui i borsisti avranno l’opportunità di presentarsi a Roma e al suo pubblico, e di prendere confidenza con gli spazi di villa Medici.
Per questa edizione è stato scelto il titolo «Presto, la notte», riferimento al contesto in cui l’iniziativa ha luogo, tra il crepuscolo e le prime ore della notte; e esortazione a riappropriarsi delle ore estreme della giornata, a margine di un periodo nel quale il nostro rapporto con esse è stato messo in discussione nei periodi di confinamento e coprifuoco.
Per maggiori informazioni: www.villamedici.it.

 DAI PRIMI DAGHERROTIPI ALLE PIÙ RECENTI SPERIMENTAZIONI DIGITALI: IN UN LIBRO DI DAVE BATE LA STORIA DELLA FOTOGRAFIA

La fotografia è stata definita un’arte democratica, perché è una tecnologia alla portata di tutti. Ma, al giorno d’oggi, avere una fotocamera a disposizione fa di ciascuno di noi un fotografo? Parte da questo quesito il viaggio tra le pagine del libro «Fotografia» (brossura 14 x 21,5 cm, 176 pp. corredate da 100 illustrazioni, € 14,90, ISBN 978-88-6648-552-0), nuovo volume della collana «Art Essentials» di 24 Ore Cultura.
L’autore, David Bate, ripercorre la nascita e l’evoluzione del mezzo fotografico, dai primi dagherrotipi alle più recenti sperimentazioni digitali, rivelandone la natura eclettica, le molteplici forme e l’impatto sulla storia dell’arte e della cultura. Il libro offre anche suggerimenti bibliografici essenziali per comprendere al meglio i principali argomenti trattati, nonché riferimenti a importanti mostre che hanno segnato un cambiamento di prospettiva.
Il viaggio parte dai primi esperimenti compiuti dai pionieri della fotografia, tra cui Joseph Nicéphore NiépceLouis-Jacques-Mandé Daguerre e William Henry Fox Talbot, chimici che si cimentavano in complesse formule, calcolavano i tempi di esposizione, valutavano le condizioni della luce e la composizione delle immagini. Si prosegue, poi, con il Pittorialismo, uno dei primi movimenti artistici legato alla fotografia, e con le continue sperimentazioni delle avanguardie dei primi decenni del Novecento, tra cui il Costruttivismo russo e il Surrealismo francese.
Il racconto continua, quindi, con la fotografia «umanista» del dopoguerra di Henri Cartier-Bresson e la nascita della fotografia istantanea grazie all’avvento della Polaroid, fino ad arrivare al movimento concettuale e postmoderno.
A chiudere il percorso, è la fotografia contemporanea, che vede una molteplicità di approcci e tendenze, e nuove tecnologie che espandono il concetto tradizionale di immagine.
Bate si discosta da un racconto di stampo euro-americano e include opere che hanno avuto un profondo impatto in ogni parte del mondo, come quelle di Tsuneko Sasamoto (1914), prima fotogiornalista del Giappone, dei coniugi Mu Chen e Shao Yinong (1961 e 1970), che fotografano spazi sociali in Cina risalenti all’epoca della Rivoluzione culturale degli anni Sessanta, e di Farah Al Qasimi (1991), che documenta i nuovi scenari culturali dei Paesi arabi.
Nelle pagine del libro viene dato ampio spazio anche a fotografi che, con i loro scatti, hanno dato un volto a minoranze e comunità spesso emarginate. È il caso di James Van Der Zee (1886-1983), uno dei fotografi più importanti a operare all’inizio del XX secolo nel quartiere afroamericano newyorkese di Harlem, o di Nan Goldin (1954), riconosciuta come una maestra della fotografia a colori e icona per donne e artisti Lgbtq.
Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina www.24orecultura.com.

«STRAPPI», A PALAZZO GRASSI DI VENEZIA UN «CANTIERE DI RESTAURO A SCENA APERTA» 
Prenderà il via mercoledì 27 ottobre a Venezia, negli spazi di Palazzi Grassi, «Strappi», cantiere di restauro aperto al pubblico di due dipinti murali di grandi dimensioni di Carlo Innocenzo Carloni (Scaria d'Intelvi, 1687 – Scaria d'Intelvi, 17 maggio 1775), realizzati tra il 1740 e il 1745 per la Villa Colleoni Capigliata di Calusco d’Adda. Si tratta delle opere «L’imperatore Federico II riceve dal Colleoni un salvacondotto per recarsi a Roma» e «Papa Paolo II riceve Colleoni e gli affida l’incarico di combattere i Turchi», oggi parte del patrimonio mobile della Pinault Collection.
Strappati negli anni Cinquanta dal loro contesto originale e riportati su supporti rigidi per ragioni conservative legate allo stato di abbandono della villa, questi dipinti murali sono stati acquistati dall'azienda milanese Snia Viscosa sul mercato antiquario e sono entrati a Palazzo Grassi come elementi di arredo. Negli anni Ottanta sono finiti in deposito e ora, in accordo con la Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per il Comune di Venezia e Laguna, vengono restaurati da Paolo Roma, Laura Ruggieri, Sara Savian, Martina Serafin e Marina Vece di Seres Srl.
Il progetto, che si avvale di un allestimento firmato ad hoc dallo studio di grafica e design Zaven, si sviluppa prima al secondo piano espositivo e, poi, nell’atrio di Palazzo Grassi, il luogo dove i dipinti di Carlo Innocenzo Carloni erano allestiti prima degli anni Ottanta. Dal 27 ottobre - ogni mercoledì alle ore 11, 12, 15 e 15:45 - il pubblico potrà scoprire le operazioni più delicate che si svolgono orizzontalmente sulle opere ripristinandone la foderatura. Nei mesi successi, dopo il trasferimento dei dipinti nell'atrio piccolo, si potranno, invece, osservare gli aspetti più dinamici dei lavori che riguardano direttamente la pellicola pittorica per restituirne l’originale splendore.
Il progetto proseguirà, nei prossimi mesi, con il restauro dei dipinti «Colleoni riceve dal Doge il bastone del comando».
Per ulteriori informazioni è possibile consultare il sito https://www.palazzograssi.it/it/

[Foto di Matteo De Fina]

A MILANO SEI INCONTRI PER SCRIVERE IL «MANIFESTO DELLA NUOVA CERAMICA»
La Fondazione Ica – Istituto contemporaneo per le arti di Milano prova a scrivere un «Manifesto della nuova ceramica» e lo fa attraverso sei talk, in programma da giovedì 28 ottobre a giovedì 3 marzo.
Gli appuntamenti sono curati da Irene Biolchini, autrice del libro «Viva. Ceramica arte libera», edito da Gli Ori, e porteranno alla stesura di un documento a firma unitaria, un’occasione per «tornare ad affermare – si legge nella nota stampa - chi sono oggi gli artisti della ceramica accettando le molteplici contraddizioni di ogni identità e di qualsiasi dichiarazione di intenti».
Il primo appuntamento (giovedì 28 ottobre, ore 18:30) ha visto la presenza di Ugo La Pietra, che ha recentemente pubblicato, per Marsilio editore, il libro «Terre. Artigianato artistico italiano nella ceramica contemporanea».
I talk che seguiranno sono organizzati per gruppi di ceramisti accomunati dal contesto geografico di provenienza o dall’appartenenza ad aree di ricerca limitrofe. Biolchini metterà così a fuoco gli ultimi sviluppi della plastica in ceramica, caratterizzati da un nuovo modo di creare che nasce «senza padri né madri, senza ombelichi e senza cordoni». Tra gli artisti al centro degli incontri ci sono Liliana Moro, una delle voci di «Milano chiama terra» (11 novembre, ore 18:30), Claudia Losi, tra i protagonisti del talk «L'incontro. Il workshop, la performance e la ceramica» (18 novembre, ore 18:30), Sissi e Francesco Simeti, le cui produzioni saranno trattate nell’appuntamento «Natura e terra, organi e rami» (3 marzo, ore 18:30). Completano il calendario gli incontri «La plastica, la scultura, il ritratto e l'autoritratto» (9 dicembre, ore 18:30) e «Oggetto, non oggetto, opera» (10 febbraio, ore 18:30). Gli incontri sono aperti al pubblico previa prenotazione obbligatoria all’indirizzo rsvp@icamilano.com. Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.icamilano.com.
 
INAUGURATA «THE JOURNEY», LA NUOVA OPERA DEL PARCO ARTE SELLA
Da più di trent’anni Arte Sella è sinonimo di arte nella natura. Eduardo Souto de Moura, Kengo Kuma, Michelangelo Pistoletto, Edoardo Tresoldi, Michele de Lucchi, Stefano Boeri, Giulio Mauri e Aldo Cibic sono solo alcuni degli artisti che hanno dato vita a opere di land art e installazioni site specifc, trasformando questo inedito parco tra i boschi della Valsugana, in Trentino, in una meta turistica per gli amanti dell’arte contemporanea.
In questi ultimi giorni il percorso si è arricchito di una nuova installazione architettonica: «The Journey», realizzata dai giovani progettisti di YACademy, sotto la guida di MC A - Mario Cucinella Architects e con il contributo di Scrigno.
Il risultato è un’architettura nomade, insieme riparo per i viandanti e luogo di meditazione, che invita al viaggio inteso come percorso interiore. La struttura, che ricorda quella di una tenda, è formata da aste lignee che partono da due basi disegnate sul profilo della sezione aurea, per incontrarsi alla sommità, per lasciando libera la vista del cielo. All’interno si trova un grande masso proveniente dal torrente Moggio, che scorre vicino a pochi metri. L’incontro tra l’elemento della terra e quello del cielo vuole simboleggiare il ritorno alle origini così come il carattere precario e nomade della permanenza dell’uomo su questo pianeta.
L’intero progetto è stato concepito per essere climate positive prevedendo, quindi, di assorbire più gas serra di quello emesso durante la costruzione dell’opera e incarnando così la volontà di lasciare alle nuove generazioni un mondo migliore. Per ottenere questo risultato, sono stati piantumati nuovi alberi di varie specie - aceri, betulle, sorbi, faggi, carpini, noccioli e abeti rossi - nelle vicinanze della struttura, creando così una sinergia concreta fra arte e natura.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.artesella.it.
 
[Le immagini fotografiche sono di Giacomo Bianchi

ARRIVA A TORINO LA MOSTRA «GRANI D’AUTORE: DALLA SEMINA AL RACCOLTO DEL GRANO DURO BARILLA»
Palazzo Madama
apre le proprie porte alla mostra itinerante «Arte e cucina grani d’autore: dalla semina al raccolto del grano duro Barilla», in programma a Torino dal 28 ottobre al 1° novembre in occasione di «Buonissima» 2021, manifestazione che intreccia gastronomia, cultura e creatività.
Punto di partenza e ispirazione del progetto artistico, già presentato a Milano e Parma, è l’innovativa visione di prodotto e di filiera riassunta nel «Manifesto del grano duro, un prospetto in dieci punti con gli impegni e i valori guida dell’azienda emiliana per una pasta di qualità prodotta responsabilmente.
Undici artisti italiani, professionisti di calibro internazionale e talenti emergenti, raccontano in illustrazioni uniche e originali la loro visione di questo programma, attraverso l’utilizzo di linee, forme, simboli e colori ispirati alla nuova pasta. Sono, dunque, le cromie calde dell’azzurro, del giallo e del rosso a fare da fil rouge tra tutte le illustrazioni. Mentre i temi trattati spaziano dalla sostenibilità al territorio, dalla sicurezza alla condivisione, dall’innovazione alla tradizione, dalla filiera alla collaborazione, e molto altro ancora.
Ospite di casa è la talentuosa e visionaria Elisa Seitzinger, le cui immagini si ispirano all’arte classica, medioevale sacra e cortese, alla pittura primitiva e alle icone russe e ai mosaici bizantini. Insieme a lei, espongono a Torino la romana Irene Rinaldi, la palermitana Giulia Conoscenti, la napoletana Andrea Boatta, la fiorentina Celina Elmi, la ferrarese Emiliano Ponzi, il parmigiano Cristian Grossi, il vicentino Ale Giorgini, il leccese Massimiliano di Lauro, la pesarese Alessandro Baronciani e il milanese Francesco Poroli.
L’esposizione, curata Maria Vittoria Baravelli, è una vera e propria mostra esperienziale: grazie alla realtà aumentata, le illustrazioni prendono vita diventando dinamiche e interattive. L’esperienza di visita può continuare on-line, dove è possibile scoprire le storie degli artisti e il loro pensiero. Il sito offre, inoltre, la possibilità di partecipare a un tour guidato virtuale e di scaricare i wallpaper delle opere per stampa e riproduzione.
Per scoprire di più sul progetto è possibile consultare la pagina barilla.it/granidautore.

«THROWING BALLS AT NIGHT»: UNA PERFORMANCE DI JACOPO MILIANI PER TORINO CAPITALE MONDIALE DEL TENNIS
L’arte celebra Torino capitale mondiale del tennis. In occasione delle Nitto Atp Finals, importante torneo indoor maschile in programma nella città piemontese 14 al 21 novembre, ORG presenta «Throwing Balls at Night» di Jacopo Miliani (ingresso libero fino al raggiungimento della capienza massima).
Ispirata al poème-dansé «Jeux» di Claude Debussy, Sergej Diaghilev e Vaslav Nijinsky, la performance intreccia cultura sportiva ed espressione artistica, descrivendo l’incontro fortuito, in un parco di notte, di tre giocatori di tennis che, non potendo riprendere il gioco, si intrattengono in un corteggiamento reciproco, lasciando spazio a momenti di ambiguo erotismo.
Opera del 1913, «Jeux» è passato alla storia come un balletto profetico e anticonvenzionale per tre motivi: il suo uso dello sport sulla scena, lo spazio dedicato a identità sessuali all’epoca oggetto di censura, e la scelta di un linguaggio privato, da club, che sembrava presagire la cultura giovanile degli Anni Venti. Mescolando danza accademica e atteggiamenti tratti dalla vita moderna, il balletto ha avuto una fortuna critica molto contestata, ma si è guadagnato un posto nella storia della danza per la sua visionarietà, in seguito associata alla nascita del cosiddetto balletto neoclassico.
Partendo da queste suggestioni, Jacopo Miliani fonde in «Throwing Balls at Night» l’assoluta modernità delle tecniche coreutiche e delle concezioni rivoluzionarie di Nijinsky con il «Vogueing» degli anni Ottanta newyorkesi. Così, dopo qualche minuto di ascolto di Debussy, i danzatori/performer iniziano a muoversi al ritmo di MikeQ – leggenda del ballroom sound – scaldando il lungo catwalk allestito per la serata con movimenti, gesti, pose.
Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina www.ogrtorino.it.
 
Nella foto: Jacopo Miliani, Throwing Balls at Night, 2016. Performance at David Roberts Art Foundation, London. Performers divaD Magnifique, Prince Maya Magnifique, Benjamin Milan, Eve Stainton. Photo Sylvain Deleu Still from documentation Reynir Hutber

UNA MOSTRA DI RON GALELLA, IL «RE DEI PAPARAZZI», SUL SITO DI PHOTOLOGY
John Travolta
e Sylvester Stallone, Elvis Presley e Louis Amstrong, Frank Sinatra e Marlon Brando, Maria Callas, Sophia Loren, Frank Zappa e Richard Burton, Elton John e Yves Saint Lauren, Mick Jagger e Jackie Kennedy, Truman Capote e Andy Warhol: è un viaggio nella storia americana dagli anni Cinquanta in poi quello che propone la nuova mostra on-line di Photology, a cura di Davide Faccioli.
Protagonista è Ron Galella, «il re dei paparazzi», che per oltre sessant’anni ha inseguito e fotografato per strada, fuori dai locali più famosi, nei vernissage delle mostre o alle anteprime cinematografiche attori, registi, cantanti e politici, narrando, rigorosamente in bianco e nero, il mondo delle celebrities. Ne è nato un archivio di oltre 3 milioni di fotografie meticolosamente custodite nell’immensa villa che il fotografo americano ha in un angolo di campagna del New Jersey.
La mostra sul sito di Photology, visibile fino al prossimo 30 novembre, allinea, nello specifico, una quarantina di opere fotografiche, tratte dal libro «Exclusive Diary», pubblicato da Photology nel 2004. Si tratta di immagini edite sui principali magazine di tutto il mondo e oggi presenti nei musei più prestigiosi, suddivise in due categorie: singole o «sequenze d’azione», composte da due o tre stampe ciascuna.
La piattaforma 3D è disponibile con un sistema di navigazione semplice e intuitivo che permette agli utenti di muoversi all’interno di uno spazio virtuale ma allo stesso tempo del tutto realistico, dove i lavori esposti possono essere ingranditi, guardati nei dettagli e visti da varie angolazioni. I testi, i contributi video e gli apparati informativi sono inseriti nel contesto espositivo per una omogeneità di informazione.
La mostra è visibile al link http://www.photology.com/rongalella/.

Nella foto: Ron Galella, Sophia Loren, Americana Hotel, NYC 22 December 1965, Vintage gelatin silver print. @2004 by Ron Galella-Courtesy Photology Milano

DA DEUTSCHE BANK UN DIBATTITO ON-LINE SULL’INVISIBILITÀ DELLE DONNE NELL’ARTE
«La discriminazione di genere si può manifestare in tutti gli ambiti della vita di una persona e il mondo dell’arte non ne è esente: le donne hanno una minor rappresentatività nei musei e nelle esposizioni, minor visibilità sui libri, minori riconoscimenti e minore valorizzazione economica delle loro opere». Partendo da questo spunto di riflessione, Deutsche Bank ha organizzato l’incontro digitale «Da Gentileschi ad Abramovic: conversazione sull’invisibilità delle donne nel mondo dell’arte», in programma nel pomeriggio di martedì 9 novembre.
Sul tema dell’invisibilità delle donne nel mondo dell’arte si confronteranno, a partire dalle ore 15, tre esponenti d’eccezione: Liliana Moro, artista milanese affermata in Italia e all’estero, Raffaella Cortese, fondatrice dell’omonima galleria d’arte a Milano, nella quale su 30 artisti rappresentati, 22 sono donne, e Patrizia Sandretto Re Rebaudengo (nella foto), collezionista e presidente dell’omonima fondazione torinese, fra le donne più autorevoli nel panorama artistico e nelle istituzioni d’arte in Italia e nel mondo. Modererà la discussione Patrizia Zambianchi.
L’evento, parte dei progetti di Deutsche Bank dedicati alla diversità e all’inclusione, si inserisce nella cornice di «4 Weeks 4 Inclusion» (#4W4I), una grande maratona interaziendale di quattro settimane, in programma fino al 22 novembre, in cui oltre duecento partner si alternano in una staffetta di 187 tra webinar ed eventi condivisi dedicati alla valorizzazione delle diversità e all’inclusione.
Per partecipare, è possibile iscriversi al link https://dbevents.cventevents.com/event/6993a557-d419-4f6f-9997-3a41e1231fe1.
Maggiori informazioni sono disponibili su www.4w4i.it.

mercoledì 27 ottobre 2021

Martini, Morandi e De Pisis a Palazzo Cini: Venezia va alla scoperta della collezione Malabotta

Non è solo la storia di una donazione quella che va in scena in questo scorcio di fine ottobre alla Galleria di Palazzo Cini a San Vio, nel cuore del quartiere veneziano di Dorsoduro. Ma è anche la storia di un amore, quello tra Franca Fenga Malabotta (1924-2020), la «signora dei sestanti» come l’ha definita icasticamente Daniele Del Giudice nel romanzo «Lo stadio di Wimbledon» (1983), e il marito Manlio Malabotta (1907-1975), notaio triestino, critico d’arte, poeta e collezionista, tra le personalità più affascinanti del Novecento giuliano.
Per più di quarant’anni, - racconta Alessandro Martoni - Franca Fenga Malabotta «è stata custode ammirevolmente tenace e magistralmente competente» della collezione d’arte e di libri del marito. Ne è stata anche una «lungimirante ambasciatrice» con lasciti, donazioni, mostre e pubblicazioni, mostrando «una dedizione profonda, segno estroflesso di un amore serbato con dolcezza e riserbo», che non la faceva mai essere stanca, sino agli ultimi giorni, di occuparsi del patrimonio che custodiva.
Con garbo e con saggezza, con intelligenza e generosità, Franca Fenga Malabotta ha, infatti, sempre intessuto relazioni con persone e istituzioni perché il nome del marito Manlio fosse adeguatamente ricordato e studiato. Nel 1996, il corpus della raccolta dedicato a Filippo de Pisis - composto da ventiquattro oli, settanta disegni, centodiciassette litografie, insieme a lettere e documenti - è stato, per esempio, donato alla Galleria d’arte moderna e contemporanea di Ferrara. Palazzo Massari si è arricchito così di capolavori come «La bottiglia tragica» (1927), «I pesci marci» (1928), «La coupole» (1928), «Il gladiolo fulminato» (1930), «L’aviatore» (1949), «Ritratto di Allegro» (1940), «Pesci nel paesaggio di Pomposa» (1928), «Una rosa sta buttando» (1938), «Viale di Parigi» (1938), già di Umberto Saba, «Il galletto» (1934), appartenuto a Leonor Fini, e «La falena» (1945), ceduto del grande amico editore, libraio, critico d’arte italo-svizzero Giovanni Scheiwiller.
Nel 2011 è seguita la donazione all’Archivio di Stato di Trieste dei settantadue fascicoli con le carte di Manlio Malabotta, un prezioso fondo documentale, ricchissimo di corrispondenza, che ha permesso la ricostruzione puntuale della poliedrica personalità del collezionista e del côté delle sue frequentazioni intellettuali. Al 2015 risale, invece, la donazione delle opere triestine della collezione al Museo Revoltella - Galleria d’arte moderna.
Mentre, con lascito testamentario disposto nel 2013 e perfezionato nel 2020, Franca Fenga Malabotta ha legato il resto della raccolta al nome della Fondazione Giorgio Cini. Le collezioni dell’Istituto di storia dell’arte, diretto da Luca Massimo Barbero, si sono così arricchite dell’intera raccolta d’arte grafica novecentesca (disegni e stampe di Attardi, Biasion, Cassinari, Chagall, Dova, Guacci, Guidi, Kubin, Lilloni, Maccari, Marini, Mascherini, Minguzzi, Morandi, Morlotti, Reggiani, Vedova, Zigaina), di un significativo nucleo di libri d’artista (con illustrazioni di Barbisan, Bartolini, Carmelich, Carrà, Cesetti, Clerici, De Chirico, De Pisis, Gentilini, Guttuso, Maccari, Martini, Rosai, Sassu, Scipione, Viviani, Zancanaro), di alcuni pregevoli volumi illustrati ottocenteschi di interesse istriano e giuliano provenienti dalla ricca biblioteca. 
A rendere speciale il lascito Malabotta è senza dubbio il nucleo di opere, in particolare sculture, di Arturo Martini, rivoluzionario protagonista della plastica nel Novecento italiano. La sezione martiniana della collezione risulta essere – scrive, a tal proposito, Nico Stringa - un «rappresentativo microcosmo di quel punto di osservazione, laterale e periferico, delle ‘gesta’ dell’artista che è diventata, dagli anni Trenta in poi, la terra trevigiana».
In questi giorni la Fondazione Cini rende un primo omaggio all’importante donazione con la mostra «Arturo Martini, Giorgio Morandi, Filippo De Pisis. Il lascito Franca Fenga Malabotta», visitabile fino al 31 ottobre.
Tra le opere martiniane esposte a Venezia è possibile vedere il gesso «La sete» (1932), preparatorio per l’omonima scultura in pietra di Finale del 1934, oggi al Museo del Novecento di Milano: «corpi scabri e belluini di madre e figlio – racconta Alessandro Martoni - protesi nella tensione spasmodica che anela all’acqua, ispirati, nella sintesi tra simbolico e mitico, ai giacenti pompeiani sorpresi dall’eruzione e alle loro pose estreme» che l’artista aveva visto nel 1931. Dal gesso deriva anche un bronzo con lo stesso titolo, presente in mostra, di cui non è però documentata l’acquisizione.
Altro pezzo importante della collezione e della rassegna lagunare è la splendida formella in terracotta «Ofelia» (1932), appartenuta a Giovanni Comisso. «Di toccante poesia, plasmata con rapida sprezzatura nella morbida e calda materia della creta che si fa gesto lirico di vibrante pittoricismo, quasi un ritorno nel grembo dell’informe bergsoniano nel segno di Medardo Rosso, l’«Ofelia» – spiega ancora Alessandro Martoni - è opera cardine nella serie delle opere che Martini dedica all’eroina tragica shakespeariana e alla sua ‘folle’ morte per annegamento».
La mostra presenta anche il bronzo «Donna al mare» (1932), dalle forme più raccolte, compatte, levigate, di matrice sintetista, che dimostra come sia difficile racchiudere in rigidi schemi evolutivi lo stile polimorfo, inquieto, sperimentale del genio di Martini. È, poi, visibile la scultura in bronzo «Cavallino» (1943 ca.), acquistata dall’albergatore e collezionista veneziano Arturo Deana nel 1951, fusione dalla superficie resa crepitante dalla modellazione a colpi di stecca. 
Alle sculture si affianca una rara prova di Martini pittore: un olio su cartone con «Natura morta» del 1945, dalla trama segnica nella quale le paste cromatiche sono percorse da «solchi scultorei» che rendono grassa e fremente la superficie pittorica.
Di Arturo Martini è, infine, visibile anche un libro d’artista: il volume «Lirici minori del XIII e XIV secolo», a cura di Anceschi e Salvatore Quasimodo (Edizioni della Conchiglia, 1941, con 70 tavole di cui 11 fuori testo, 14/150, con litografie), con opere arricchite dalle potenti linee plastiche del segno litografico martiniano.
Sono, poi, visibili tre lavori di Giorgio Morandi: l’acquaforte «Natura morta con scatole e bottiglie su sfondo ovale» (1921), l’acquaforte «Natura morta con vasetto e tre bottiglie» (1945-1946) e l’acquerello «Natura morta» (1963), il cui disegno fu realizzato nell’ultima estate a Grizzana, trovando nella smaterializzazione e provvisorietà dell’umile oggetto la sua forza evocativa. Completano l’esposizione due opere di Filippo de Pisis: «Bobby», tavola litografica del volume «Alcune poesie e dieci litografie a colori di Filippo de Pisis» (Il Tridente, Venezia 1945), «Gli amanti», prova di stampa litografica per una delle illustrazioni del volume «I carmi di Catullo» (Verona, Officina Bodoni/Hoepli 1945), di cui si espone l’esemplare integro.
La mostra permette così un primo approccio conoscitivo allo stile collezionistico del notaio triestino, di cui Luca Massimo Barbero racconta: in Malabotta e nel suo «vivere l’idea di collezionare» vi è «una sorta d’inarrestabile anelito di completezza, di ricerca che superando la filologia, giunge alla volontà ferma e al tempo stesso inarrestabile, di riunire, ricostruire, e infine catalogare tutte le immagini di un racconto artistico. Immagini che in forma d’opera o di oggetto, di lettera o documento, fotografia o libro, riflettono non solo i suoi interessi, ma raccolgono (…) appunto la ricchezza di un mondo ch’egli si accanisce a riunire e quasi contemporaneamente a consegnare ordinato ai posteri».

Didascalie delle immagini
1. Arturo Martini, Natura morta, 1945, olio su cartone; 2. Giorgio Morandi, Natura morta con vasetto e tre bottiglie, 1945-1946, acquaforte; 3. Filippo de Pisis, Bobby, tavola litografica del volume, Alcune poesie e dieci litografie a colori di Filippo de Pisis, Il Tridente, Venezia 1945; 4. Arturo Martini, Donna al mare, 1932, scultura in bronzo; 5. Arturo Martini, Morte di Ofelia, 1932, terracotta; 6 e 7. Foto dell’allestimento della mostra «Arturo Martini, Giorgio Morandi, Filippo De Pisis. Il lascito Franca Fenga Malabotta». Foto: Noemi La Pera

Informazioni utili 
Palazzo Cini, Campo San Vio, Dorsoduro 864 Venezia. Orari: venerdì, sabato e domenica, ore 12 – 20 (ultimo ingresso ore 19:15). Ingresso: intero 10,00€ , ridotto 8,00€ (Gruppi superiori a 8 persone/Ragazzi 15–25 anni/over 65/Soci Touring Club Italiano/Soci Coop/Soci ALI); ridotto Voucher Guggenheim 7,00€ (per possessori di voucher Peggy Guggenheim Collection/Assicurazioni Generali), ridotto 5,00€ (Residenti Comune di Venezia/Soci Guggenheim/studenti e docenti universitari U.E. delle facoltà di architettura, conservazione dei beni culturali, scienze della formazione, iscritti ai corsi di laurea in lettere o materie letterarie con indirizzo archeologico, storico artistico delle facoltà di lettere e filosofia, iscritti alle Accademie delle Belle Arti); gratuito per minori di 15 anni (i minori devono essere accompagnati)/ membri ICOM (International Council of Museums)/diversamente abili accompagnati da un familiare o da un assistente socio-sanitario/giornalisti accreditati con tesserino/dipendenti Assicurazioni Generali/guide turistiche accreditate. Informazioni: palazzocini@cini.it. Apertura stagionale fino al 31 ottobre 2021

Arriva al cinema il documentario «Napoleone. Nel nome dell’arte»



Durante «l’angosciosa deriva di Sant’Elena», prima della morte, Napoleone Bonapoarte si dedicò con impegno sistematico a mettere ordine nei ricordi del lungo periodo storico del quale era stato protagonista assoluto. Dalle «Memorie», apprendiamo che il generale francese era convinto che i posteri lo avrebbero ammirato non solo per le battaglie, ma anche per l’apporto dato al mondo della cultura e della bellezza. Al suo nome si legano, infatti, la creazione della scuola pubblica e l’idea moderna di museo universale. Nasce da questo premessa il documentario «Napoleone. Nel nome dell’arte», prodotto da 3D Produzioni e Nexo Digital, in partnership con Intesa Sanpaolo e Gallerie d'Italia, in arrivo nelle sale italiane solo nelle giornate di lunedì 8, martedì 9 e mercoledì 10 novembre.
Su soggetto di Didi Gnocchi, che firma la sceneggiatura con Matteo Moneta, il film è diretto da Giovanni Piscaglia e vede nelle vesti di guida eccezionale il premio Oscar Jeremy Irons. La colonna sonora originale, in uscita il 5 novembre per Sony Classical, è del compositore e pianista Remo Anzovino.
Scrittore mancato, lettore compulsivo, ammiratore dell’arte e della sua forza di comunicazione, Napoleone fu spinto alle sue imprese dalla brama di potere e di gloria, ma anche dal bisogno di conoscenza e dall’ambizione di associare la sua immagine alle grandi civiltà del passato. Durante le campagne militari, promosse ricerche, colossali furti di opere e scavi archeologici, soprattutto in Italia e in Egitto, da cui nacquero scoperte come quella della Stele di Rosetta e la fondazione dei primi musei pubblici del mondo: il Louvre di Parigi e, sul suo esempio, la Pinacoteca di Brera di Milano.
Mente infaticabile, memoria prodigiosa, appassionato di ogni disciplina, Napoleone trasformò il suo naturale senso di superiorità in istinto paterno: i cittadini dell’Impero erano per lui figli da educare, con i dipinti, le sculture, la musica, il teatro. Nei territori conquistati portò riforme scolastiche, rivoluzioni architettoniche e urbanistiche e un nuovo modo di intendere il classicismo: lo Stile Impero, di cui parte integrante è la figura del sovrano, effigiato in busti di marmo, monete e tabacchiere, oppure solo citato attraverso la celebre N. Punto di partenza del film è l’incoronazione di Napoleone a re d’Italia nel Duomo di Milano il 26 maggio 1805: un momento che sottolinea lo stringente legame col mondo greco-romano, con quello rinascimentale e persino con l’eredità longobarda, rappresentata dalla Corona ferrea che Napoleone volle indossare al culmine della cerimonia. Inoltre, per la prima volta da allora, è stato fatto trascrivere, orchestrare ed eseguire in Duomo il Te Deum di Francesco Pollini, che fu composto e suonato per l’incoronazione e che è stato solo recentemente ritrovato tra le carte dell’Archivio di Stato: nel film lo vediamo eseguito in prova generale nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale e poi nella cattedrale di Milano dall'Orchestra Fondazione «I Pomeriggi Musicali», diretta da Marco Pace, con il mezzosoprano Giuseppina Bridelli. Per l’occasione seguiremo anche il restauro del manto indossato quel giorno da Napoleone e degli oggetti cerimoniali che lo accompagnavano, preziosa opera di recupero legata al progetto «Restituzioni» di Intesa Sanpaolo.
Milano, scelta come prima capitale del regno d’Italia, città di forti simpatie napoleoniche, è luogo fondamentale del film. Dalla Biblioteca nazionale Braidense - con il manoscritto autografo de «Il cinque maggio» di Manzoni e i volumi della «Description de l’Egypte» - alla Pinacoteca di Brera, uno dei fulcri della narrazione. Se infatti, a partire dalla campagna d’Italia, la penisola fu oggetto di meticolose spoliazioni di opere d’arte, è vero che con Brera venne fondato il primo «museo universale» italiano, un «piccolo Louvre» dove converge il meglio della produzione italiana. Se Milano fu centro di ricezione e smistamento di opere, Roma fu certamente luogo privilegiato di estrazione, nonché portale attraverso cui riconnettersi ai miti di Alessandro Magno, Augusto e Adriano. Dal Museo Pio Clementino e dai Musei Capitolini, il film racconta l’odissea delle opere partite per Parigi e tornate a casa, in silenzio, di notte, nel 1816, grazie all’impegno di Canova. Si tratta di alcune delle opere più importanti della tradizione occidentale: l’Apollo del Belvedere, il Laocoonte, il Galata morente e anche il Bruto capitolino, divenuto a Parigi icona di libertà repubblicana e lotta tirannicida e portato in trionfo nei cortei che celebravano la morte di Robespierre. Nelle sale del Louvre possiamo approfondire i criteri scientifici ed enciclopedici con cui era organizzata l’esposizione delle opere e ammirare l’«Incoronazione di Napoleone e Giuseppina di Beauharnais il 2 dicembre 1804, in Notre-Dame», opera monumentale di Jacques-Louis David. Una parentesi toscana conduce poi lo spettatore a San Miniato, luogo d’origine dei Bonaparte, e all’Isola d’Elba, dove i libri che l’Imperatore portò con sé nell’esilio permettono di parlare del suo amore ossessivo per la lettura, della sua memoria eccezionale.
Per comprendere appieno la figura del Bonaparte, il film raccoglie svariati interventi, tra i quali quelli di James Bradburne, direttore della Pinacoteca di Brera, Jean-Luc Martinez, presidente e direttore del Museo del Louvre, di Luigi Mascilli Migliorini, direttore della rivista italiana di studi napoleonici, dell’archeologo Salvatore Settis, dello scrittore Ernesto Ferrero, di Charles Bonaparte, ultimo discendente della famiglia Bonaparte, di Christophe Beyeler, curatore del Castello di Fontainebleau, e di Marco Pupillo del Museo napoleonico di Roma.

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martedì 26 ottobre 2021

L’eredità di Milva: donate alla Galleria d’arte di Gradisca cinque opere di Luigi Spazzapan

Si arricchisce di cinque nuove opere il percorso espositivo della Galleria regionale d’arte contemporanea «Luigi Spazzapan» di Gradisca d’Isonzo, in Friuli Venezia Giulia. 
La storica dell'arte Martina Corgnati, figlia di Milva Biolcati e Maurizio Corgnati, ha appena donato al museo una piccola raccolta di oli su tela e tempere su carta e cartone appartenenti alla sua famiglia. Si tratta di lavori significativi per ricostruire la storia artistica di Luigi Spazzapan (Gradisca d'Isonzo, 18 aprile 1889 – Torino, 18 febbraio 1958), artista friulano di nascita e torinese d'adozione, dotato di un pungente istinto disegnativo e di un vivace senso del colore, la cui pittura potente e dinamica ebbe estimatori tra molti professionisti e intellettuali del tempo, a partire da Lionello Venturi ed Edoardo Persico
Le opere donate sono: «Pesci sul tavolo» (1932), «La camicia bianca» (1935 c.), «Deposizione (con angelo)» (1945), «Cosma e Damiano benedicenti» (1951) e «Santone (evangelista)» (1955-56).
«Il fondo - racconta Martina Corgnati - vuole essere omaggio permanente alle figure di mio padre, per la sua cultura, generosità e umana condivisione dei valori dell’arte, e di mia madre, per il suo grande viaggio nella musica e nella vita». 
Come spiega ancora la storia dell'arte, Maurizio Corgnati «ammirava incondizionatamente la libertà di espressione, il coraggio, l’attualità della pittura di ‘Spazza’, l’originalità e la forza del suo segno che da sensibilità quasi secessioniste attraversava con impeto l’intero secolo, passando per l’espressionismo e approdando al magma informale».
La passione per la pittura di Luigi Spallanzan venne trasferita da Maurizio Corgnati alla moglie Milva: «mia madre – racconta ancora Martina Corgnati - non ha potuto conoscere Luigi Spazzapan, visto che alla morte dell’artista, nel febbraio del 1958, lei aveva solo diciott’anni e non era ancora arrivata a Torino. La sua pittura, però, si può dire che fosse entrata in lei, tanto che, dopo la separazione e il trasferimento a Milano, i dipinti che ora approdano a Gradisca d’Isonzo hanno costituito il suo paesaggio domestico per cinquant’anni, senza essere mai una volta spostati, prestati o messi in dubbio. Il Santone blu in sala, i Pesci sul tavolo da pranzo, la Deposizione sulla testata del suo letto».
Le cinque opere sono visibili per la prima volta al pubblico, fino al prossimo 18 aprile, in un percorso al secondo piano della Galleria Spazzapan, insieme con una selezione di sue opere appartenenti alle collezioni Giletti e Citelli, in un allestimento che ripercorre l’intero iter artistico di Spazzapan: dai primi richiami all’Espressionismo che si condensano nell’incisività del segno e nella forza del colore, ai tratti più morbidi di derivazione impressionista francese, verso i quali l’artista virò dopo l’arrivo a Torino; dalle strutturazioni geometriche degli anni ’40, all’ultima fase informale, tutta puntata sulla predominanza del colore sulla linea.
Grazie alla collaborazione di Rai Teche, all'interno della mostra viene proiettato il film «Ricordo di Luigi Spazzapan», realizzato da Maurizio Corgnati nel 1956, prezioso documento audiovisivo con testimonianze storiche, tra gli altri, di Lionello Venturi e Jettà Donegà.
Ad arricchire ulteriormente il percorso espositivo è stata attivata la postazione permanente Spazzapan VR, realizzata da Ikon digital Farm. L'esperienza virtuale consente al visitatore di affrontare con cuffie e visore un viaggio sorprendente, altamente immersivo ed emozionale nel mondo dell’artista friulano, nella genesi del suo segno pittorico e della sua arte, accompagnati da pensieri e note tratte dalla sua autobiografia. Nel ripercorrere alcuni momenti salienti della sua formazione e del suo iter creativo, si scoprono le relazioni con i movimenti culturali e pittorici che dai primi del Novecento hanno animato dibattiti, mostre e incontri nelle grandi capitali europee e nel panorama italiano. Dalla Secessione viennese, al Liberty e Futurismo, le figure pittoriche si decostruiscono e confluiscono nelle esperienze cubiste, espressioniste e infine grafiche ed astratte in una continua evoluzione di forme, figure e geometrie che raccontano di un mondo in rapida evoluzione, dove la vicenda pittorica di Spazzapan si intreccia indissolubilmente con gli eventi tragici dei due conflitti mondiali.

Didascalie delle immagini
1. Luigi Spazzapan, La camicia bianca, 1935 c., tempera su carta, 48 x 61 cm; 2. Luigi Spazzapan, Cosma e Damiano benedicenti, 1951, tempera su cartone, 73 x 100 cm; 3. Luigi Spazzapan, Pesci sul tavolo, 1932, olio su tavola, 59 x 66 cm 

Informazioni utili
Fondo Milva Biolcati - Maurizio Corgnati.Galleria regionale d'arte contemporanea Luigi Spazzapan, via Marziano Ciotti, 51- 34072 Gradisca d'Isonzo (Gorizia). Orari: da mercoledì a domenica, ore 10-13 e ore 15-19. Ingresso libero. Informazioni: galleriaspazzapan@regione.fvg.it.  Sito Web: www.musei.regione.fvg.it. Dal 24 ottobre 2021 al 18 aprile 2022

lunedì 25 ottobre 2021

Al via «Amart», la mostra degli antiquari milanesi

Undici protagonisti eccellenti dell'architettura e del design internazionale «ci mettono la faccia» per raccontare l’attualità dell’antico e il futuro dell’arte antiquaria. Nicolò Castellini Baldissera, Gaia Chaillet Giusti, Aldo Cibic, Terry Dwan, Massimo Iosa Ghini, Massimiliano Locatelli, Fabio Novembre, Palomba-Serafini, Filippo Perego, Laura Sartori Rimini e Roberto Peregalli, Verde Visconti sono gli undici testimonial che Paolo Landi ha scelto per la campagna pubblicitaria della terza edizione di «Amart», la mostra degli antiquari milanesi in programma dal 27 al 31 ottobre (tutti i giorni, dalle ore 11 alle ore 21) al Museo della Permanente.
Maki Galimberti ha fotografato questi protagonisti del mondo della progettazione al Superstudio13, dando vita a una galleria di ritratti dai colori vivaci e dallo stile moderno e dinamico.
Ogni foto è affiancata da una riflessione sul binomio antiquariato-design. «Un oggetto antico non va visto come il retaggio di un mondo scomparso ma come punto di forza e suggestione per vivere meglio il presente», dichiarano, per esempio, Roberto Peregalli e Laura Sartori Rimini. «Cos'ha saputo selezionare la storia? Opere di qualità, che sono rimaste» è la riflessione che regala al pubblico Massimo Iosa Ghini. Mentre Gaia Chaillet Giusti dice: «L'antiquariato può essere usato anche in un giardino, illuminandolo. Come una quercia centenaria illuminata dal sole». Aldo Cibic, invece, afferma: «Mi innamoro delle cose a prescindere che siano antiche o moderne». «Il design di oggi sarà l'antiquariato di domani» è, poi, il pensiero di Terry Dwan. «Amore senza tempo» è, infine, il messaggio che Fabio Novembre regala ai visitatori della fiera milanese, una vera e propria wunderkammer con trecento anni di capolavori che celebrano l’arte pittorica e grafica in tutte le sue espressioni.
Il percorso spazia dalla «Madonna con il Bambino e San Giovannino» di Lorenzo Lippi alla «Camozza» di Marzio Tamer, passando per lo «Sposalizio della Vergine» di Giovanni Battista Crespi e bottega, la «Madonna col Bambino» di Francesco Albani, il «Vaso istoriato di fiori con pappagallo» di David De Coninck, «Battaglia tra cavallerie cristiane e turche» di Marzio Masturzo, «Ritrovamento di Mosè» di Giuseppe Antonio Pianca, «Ritratto di Antonio Canova» di Giovanni Battista Lampi junior. Ci sono, poi, in mostra «Neve a Milano» di Mosè Bianchi, «Paesaggio a Castiglioncello» di Giovanni Fattori, «All'Acquabella» di Emilio Longoni, «San Siro» di Pompeo Mariani, «L’amatore d’arte», «La tenda rossa» e «Signora elegante di spalle» di Giovanni Boldini, «Dopo il bagno» di Camillo Innocenti, «Notturno metafisico» di Mario Reviglione, l’acquaforte «Paesaggio con ciminiera» di Giorgio Morandi e il disegno «Pellicano» di Fortunato Depero.
In un continuum di scoperte e di sorprese, la proposta espositiva focalizza l’attenzione anche su sculture e oggetti inattesi come la «Natività» in cera rossa di Antonio Giorgetti, una «Figura femminile» di Joseph Gott, una terracotta quattrocentesca di Niccolò Baroncelli, il «Nettuno fanciullo» in legno, perle, e corallo del messinese Ignazio Brugnami, una rara coppa rinascimentale in diaspro di Ottavio Miseroni, l’elegante «Arianna dormiente» attribuita a Benedetto Cacciatori e un pendente decò di brillanti, corallo, zaffiri e perla naturale.
La fiera antiquaria ospita anche rarità storiche e artistiche come lo straordinario «Grande murale» (1965) in bronzo di Mario Negri, i candelieri retour d’Égypte, la crisoelefantina «Figlia del sultano Bou-Sadaa» di Ernest Barrias, uno Shiva pakistano del VII-IX secolo, un sofisticato paravento giapponese del Seicento, un Suzuribako nipponico in lacca e oro, un Kawari Kabuto con maschera e un piatto laccato e intarsiato firmato Yasumasa, anch’essi di produzione nipponica.
Un altro pezzo molto atteso dai collezionisti è, infine, lo «Stipo architettonico con arione con arpa su un Delfino» (1550-1600) del Museo Poldi Pezzoli, un mobile dotato di nove cassetti – otto minori e uno, inferiore, più ampio –, chiuso da una ribalta decorata, con decorazioni a sbalzo e ad agemina in oro e argento, già sottoposto un intervento di restauro eseguito a Tolone nel 1902.
«Allestimenti di livello, qualità dell'esposizione, eccellenza nell'offerta» rimarranno gli elementi distintivi della fiera, che quest’anno, per iniziativa dei Giovani antiquari milanesi, avrà anche il suo Fuorisalone: Mog - Milano Open Galleries, un cartellone di esposizioni, talk, incontri, degustazioni in programma dal 25 al 29 ottobre in quaranta gallerie antiquarie della città, divise idealmente in due zone contrassegnate da altrettanti colori, il magenta e l’ottanio (Brera, via Pisacane/Porta Venezia, Quadrilatero).
Il piacere di interagire con il fascino dell’antico, per tornare a vivere l’arte in presenza in una fiera e nelle tante gallerie della città che tramandano al futuro il bello del passato è, dunque, quello che offre questa nuova edizione dell’«Amart», raffinata vetrina per la bellezza, wundekammer da visitare con curiosità e desiderio.

Didascalie delle immagini
1. Francesco Albani (Bologna, 1578-1660), Madonna col Bambino, 1610 circa. Olio su tela, cm 116 x 90. Provenienza: Francia, collezione privata. Iscrizioni: “Hannibal Caracci”, in grafia antica sul retro della tela. Stato di conservazione: buono. Bibliografia: D. BENATI, in Fondantico Tefaf Maastricht 2019, catalogo della mostra, Bologna, 2019, pp. 25-29, n. 4. Opera esposta da Fondantico di Tiziana Sassoli - Bologna; 2. Natale Schiavone (Chioggia, 1777 - Venezia, 1858),Venere. Olio su tela, cm 100 x 150. Perizia del Prof. Fernando Mazzocca; 3. Brun Fine Art - Joseph Gott Londra 1786 - Roma 1860. Scultura raffigurante figura femminile, cani e cestino, marmo bianco e scolpito, h. 108 cm, l. 65 cm.Firmato sul restro J. GOTT Ft., 4. Francesco Hayez (Venezia, 1791 – Milano, 1882), Giuseppe interpreta i sogni ai prigionieri, 1810-1815. Olio su tela, 97,5 x 136 cm. Firmato in basso a sinistra: “Hayez”

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