Riapre a Venezia il gotico Palazzo Pesaro degli Orfei, magico scenario del genio creativo del talentuoso Mariano Fortuny y Madrazo (Granada 1871, Venezia 1949) e della moglie Henriette Negrin, luogo di riferimento agli inizi del Novecento della élite intellettuale europea.
A due anni dall'«acqua granda» del novembre 2019, dopo i necessari interventi conservativi al piano terra, sabato 5 marzo la casa-atelier dell’artista, che a inizio Novecento scelse la città lagunare per le sue eclettiche sperimentazioni, verrà restituita al pubblico e diventerà un museo permanente.
Nel week-end del 12 e 13 marzo sono previste due giornate a ingresso gratuito (con obbligo di prenotazione), durante le quali sarà possibile ammirare anche un nucleo di opere di artisti americani di primo piano della raccolta Panza di Biumo.
I consistenti lavori di ripristino e messa in sicurezza, finanziati tramite Art Bonus, hanno permesso il restauro del portego, cui si accede da Campo San Beneto, con la riorganizzazione completa dei servizi di accoglienza. Nel contempo sono stati riallestiti gli ambienti del palazzo in senso filologico, con la restituzione delle sale alla memoria di ciò che l’artista spagnolo ci ha lasciato, e con la riapertura ai piani nobili delle meravigliose polifore, punto focale dell’architettura dell’edificio, ora pienamente valorizzata, e fonte di luce naturale modulata in base alle necessità.
Il percorso espositivo, di straordinaria suggestione, ha visto all’opera il maestro Pier Luigi Pizzi, con Gabriella Belli e Chiara Squarcina.
Il retroterra moresco, la cultura classica, le influenze orientali, il mito e il mondo wagneriano, i molteplici interessi e passioni di Mariano Fortuny rivivono, ora, con maggiore suggestione nel palazzo.
Dipinti, scenografie teatrali, invenzioni illuminotecniche, meravigliosi abiti e incredibili tessuti, ma anche opere della collezione personale, documenti e brevetti, testimonianze degli artisti e degli amici che al tempo giungevano a Venezia convivono nelle sale del palazzo veneziano con una selezione di fotografie d’epoca, testimoni di gusti, presenze, accostamenti, rimandi e relazioni tra personaggi, oggetti, creazioni, arti e saperi.
Per maggiori informazioni: https://fortuny.visitmuve.it/it/.
(aggiornato il 3 marzo 2022, alle ore 14:30)
«Il berretto a sonagli», un Pirandello a due lingue per Gabriele Lavia
Era l’agosto del 1916 quando la penna prolifica di Luigi Pirandello dava vita al primo dei suoi tanti personaggi, teatrali e non, beffati dal destino, costretti a sentirsi addosso il peso dell’infelicità, ma capaci di prendersi un’amara rivincita nei confronti delle umiliazioni della vita. Dalle novelle «La verità» (1912) e «Certi obblighi» (1912), nasceva «Il berretto a sonagli», commedia in due atti in dialetto siciliano, messa in scena per la prima volta dalla compagnia di Angelo Musco al teatro Nazionale di Roma, nella giornata del 27 giugno 1917, sotto la regia di Nino Martoglio.
Considerato il primo esempio radicale di teatro italiano «espressionista», questo testo amarissimo, comico e crudele, specchio di una società «malata di menzogna», avrebbe avuto due anni dopo, nel 1918, anche una versione in lingua italiana, rappresentata per la prima volta il 15 dicembre 1923 al teatro Morgana di Roma dalla compagnia di Gastone Monaldi.
Protagonista del racconto, da sempre banco di prova per attori di consolidata esperienza, è Ciampa, un umile scrivano di mezza età che, tradito dalla moglie, accetta la condanna e la pena di spartire l’amore della propria donna con un altro uomo, facendo ricorso al silenzio, anzi dando della pazza alla moglie del suo rivale, che il tradimento invece lo vuole denunciare, pur di mantenere la facciata di rispettabilità del suo triste matrimonio.
A dare corpo e anima a Ciampa sul palco del teatro Strehler di Milano sarà, dal 3 al 13 marzo, Gabriele Lavia, una delle voci più appassionate ed efficaci del teatro del Nobel siciliano, qui in scena con Federica di Martino e con Francesco Bonomo, Matilde Piana, Maribella Piana, Mario Pietramala, Giovanna Guida, Beatrice Ceccherini. Le musiche sono di Antonio Di Pofi; le luci portano la firma di Giuseppe Filipponio. Le scene sono state disegnate da Alessandro Camera; mentre gli eleganti costumi hanno visto al lavoro gli allievi del terzo anno dell'Accademia Costume & Moda.
«Non c’è dubbio – dichiara Gabriele Lavia, nella doppia veste di attore e regista – che in siciliano questa ‘commedia nerissima’ sia più viva e lancinante. Noi faremo una mescolanza tra la ‘prima’ e la ‘seconda’ versione di questo ‘specchio’ di una umanità che fonda la sua convivenza ‘civile’ sulla menzogna. […] La verità – conclude l’artista - non può trovare casa nella società umana. Solo un pazzo può dirla… Ma tanto, si sa ‘…è pazzo!’».
Dall’Ermitage a Roma, in mostra da rhinoceros la «Giovane donna» di Pablo Picasso
È la volta di Pablo Picasso al palazzo rhinoceros di Roma, il polo culturale affacciato sull’Arco di Giano e progettato da Jean Nouvel, cuore delle proposte artistiche e culturali della Fondazione Alda Fendi – Esperimenti. Dopo «L’adolescente» di Michelangelo e «I Santi Pietro e Paolo» di El Greco, lo spazio espositivo accoglie una nuova opera proveniente dal Museo statale dell’Ermitage di San Pietroburgo, per la prima volta sul suolo italiano: la «Giovane donna» olio su tela realizzato nel 1909 da Pablo Picasso, proveniente dalla collezione di Sergej Ščukin, celebre mercante moscovita di opere del Modernismo francese.
Al di fuori della rappresentazione canonica di una bellezza ideale, la donna ritratta – la modella Fernanda Olivier - è nuda e appare seduta in una poltrona di forma complessa e si staglia su uno sfondo neutro, scuro e astratto. I suoi occhi sono chiusi; sembra dormiente oppure sognante e la sua testa è leggermente inclinata. Manca una fonte di luce e le parti in cui si scompone il suo corpo sembrano illuminarsi dall’interno.
Attorno al dipinto cubista, che emerge dal nero delle pareti, Raffaele Curi, responsabile della linea artistica della fondazione romana, ha costruito un’ampia mappa esperienziale con un approccio immersivo e multimediale, in un percorso capace di mescolare musica, danza (dal Ballet Nacional de España al balletto «Parade» di Erik Satie) e memorie fotografiche della vita del pittore, dedicando, inoltre, un focus espositivo al rapporto tra l’artista spagnolo e l’attore italiano Raf Vallone.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito https://rhinocerosroma.com/.
[Nella foto: Pablo Picasso, «Giovane Donna», 1909, olio su tela, 92,3 x 73,3 cm. Photograph © The State Hermitage Museum, 2022. Foto di Pavel Demidov]
Era l’agosto del 1916 quando la penna prolifica di Luigi Pirandello dava vita al primo dei suoi tanti personaggi, teatrali e non, beffati dal destino, costretti a sentirsi addosso il peso dell’infelicità, ma capaci di prendersi un’amara rivincita nei confronti delle umiliazioni della vita. Dalle novelle «La verità» (1912) e «Certi obblighi» (1912), nasceva «Il berretto a sonagli», commedia in due atti in dialetto siciliano, messa in scena per la prima volta dalla compagnia di Angelo Musco al teatro Nazionale di Roma, nella giornata del 27 giugno 1917, sotto la regia di Nino Martoglio.
Considerato il primo esempio radicale di teatro italiano «espressionista», questo testo amarissimo, comico e crudele, specchio di una società «malata di menzogna», avrebbe avuto due anni dopo, nel 1918, anche una versione in lingua italiana, rappresentata per la prima volta il 15 dicembre 1923 al teatro Morgana di Roma dalla compagnia di Gastone Monaldi.
Protagonista del racconto, da sempre banco di prova per attori di consolidata esperienza, è Ciampa, un umile scrivano di mezza età che, tradito dalla moglie, accetta la condanna e la pena di spartire l’amore della propria donna con un altro uomo, facendo ricorso al silenzio, anzi dando della pazza alla moglie del suo rivale, che il tradimento invece lo vuole denunciare, pur di mantenere la facciata di rispettabilità del suo triste matrimonio.
A dare corpo e anima a Ciampa sul palco del teatro Strehler di Milano sarà, dal 3 al 13 marzo, Gabriele Lavia, una delle voci più appassionate ed efficaci del teatro del Nobel siciliano, qui in scena con Federica di Martino e con Francesco Bonomo, Matilde Piana, Maribella Piana, Mario Pietramala, Giovanna Guida, Beatrice Ceccherini. Le musiche sono di Antonio Di Pofi; le luci portano la firma di Giuseppe Filipponio. Le scene sono state disegnate da Alessandro Camera; mentre gli eleganti costumi hanno visto al lavoro gli allievi del terzo anno dell'Accademia Costume & Moda.
«Non c’è dubbio – dichiara Gabriele Lavia, nella doppia veste di attore e regista – che in siciliano questa ‘commedia nerissima’ sia più viva e lancinante. Noi faremo una mescolanza tra la ‘prima’ e la ‘seconda’ versione di questo ‘specchio’ di una umanità che fonda la sua convivenza ‘civile’ sulla menzogna. […] La verità – conclude l’artista - non può trovare casa nella società umana. Solo un pazzo può dirla… Ma tanto, si sa ‘…è pazzo!’».
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.piccoloteatro.org.
Foto di Tommaso Lepera
Dall’Ermitage a Roma, in mostra da rhinoceros la «Giovane donna» di Pablo Picasso
È la volta di Pablo Picasso al palazzo rhinoceros di Roma, il polo culturale affacciato sull’Arco di Giano e progettato da Jean Nouvel, cuore delle proposte artistiche e culturali della Fondazione Alda Fendi – Esperimenti. Dopo «L’adolescente» di Michelangelo e «I Santi Pietro e Paolo» di El Greco, lo spazio espositivo accoglie una nuova opera proveniente dal Museo statale dell’Ermitage di San Pietroburgo, per la prima volta sul suolo italiano: la «Giovane donna» olio su tela realizzato nel 1909 da Pablo Picasso, proveniente dalla collezione di Sergej Ščukin, celebre mercante moscovita di opere del Modernismo francese.
Al di fuori della rappresentazione canonica di una bellezza ideale, la donna ritratta – la modella Fernanda Olivier - è nuda e appare seduta in una poltrona di forma complessa e si staglia su uno sfondo neutro, scuro e astratto. I suoi occhi sono chiusi; sembra dormiente oppure sognante e la sua testa è leggermente inclinata. Manca una fonte di luce e le parti in cui si scompone il suo corpo sembrano illuminarsi dall’interno.
Attorno al dipinto cubista, che emerge dal nero delle pareti, Raffaele Curi, responsabile della linea artistica della fondazione romana, ha costruito un’ampia mappa esperienziale con un approccio immersivo e multimediale, in un percorso capace di mescolare musica, danza (dal Ballet Nacional de España al balletto «Parade» di Erik Satie) e memorie fotografiche della vita del pittore, dedicando, inoltre, un focus espositivo al rapporto tra l’artista spagnolo e l’attore italiano Raf Vallone.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito https://rhinocerosroma.com/.
[Nella foto: Pablo Picasso, «Giovane Donna», 1909, olio su tela, 92,3 x 73,3 cm. Photograph © The State Hermitage Museum, 2022. Foto di Pavel Demidov]
Ferrara ricorda Giorgio Bassani con la proiezione del documentario «Il Giardino che non c’è» di Rä di Martino
Era il 1962 quando usciva in libreria l'indimenticabile romanzo «Il giardino dei Finzi-Contini», uno dei primi libri italiani a parlare delle Leggi razziali del 1938 e della deportazione degli ebrei attraverso la narrazione delle storie d’amore e di amicizia, dei progetti di vita e delle partire a tennis di un gruppo di giovani ferraresi. A sessanta anni dalla pubblicazione del volume, nella settimana in cui si ricorda la nascita dell'autore Giorgio Bassani (Bologna, 4 marzo 1916 – Roma, 13 aprile 2000), il Museo nazionale dell'ebraismo italiano e della Shoah-Meis presenta, al Cinema Boldini in Sala Estense (piazza del Municipio 14), la proiezione, gratuita e aperta a tutta la cittadinanza, del documentario «Il giardino che non c'è» di Rä di Martino. L’appuntamento, in programma mercoledì 2 marzo, alle ore 21, verrà introdotto da Noa Karavan, autrice del soggetto, e da Amedeo Spagnoletto, direttore del Meis.
Il legame del museo ferrarese con «Il giardino dei Finzi-Contini» ha radici lontane. Nel 2018 l'artista israeliano Dani Karavan (1930-2021) e sua figlia Noa Karavan Cohen, notando come centinaia di turisti in giro per la città cercassero il celeberrimo Giardino dei Finzi-Contini scoprendo con stupore che non esisteva, immaginarono di dare corpo a questa suggestione, realizzando un omonimo pro-getto composto da un binario, una bicicletta, una scala e un muro di vetro, installati di fronte alle mura di Corso Ercole I d'Este, come nella vivida creazione di Bassani.
Prodotto da Alto Piano e Les Films du Poisson in co-produzione con Arte France e presentato fuori concorso all'ultima edizione del Torino Film Festival, il documentario si interroga su come un'opera d'arte può condizionare il modo di vedere il mondo, sul suo potere di creare un immaginario collettivo che trascende la realtà. Partendo dal capolavoro di Giorgio Bassani, «Il giardino che non c'è» mostra come questo romanzo abbia condizionato il nostro modo di rappresentare una città, un periodo storico drammatico, una famiglia ebraica, un giardino.
A raccontare l'effetto dirompente del romanzo di Bassani e del film che ne ha tratto Vittorio De Sica, vincendo nel 1972 il Premio Oscar, attori, comparse e intervistati che, nella cornice di giardini ferraresi, laziali e parigini, ripercorrono la fortuna dell'opera e l'immortale storia dei suoi protagonisti, alternandosi a stralci di film storici in continui rimandi temporali. Tra questi, non possono manca-re Lino Capolicchio e Dominique Sanda, che hanno incarnato il volto di Giorgio e di Micòl Finzi-Contini sul grande schermo. Hanno partecipato, tra gli altri, Paola Bassani, Simonetta Della Seta, Andrea Pesaro, Portia Prebys, Anna Quarzi e Chiara Valerio.
Questo appuntamento, in cui Ferrara ha l'opportunità di specchiarsi nella sua immagine, si pone così come la chiusura di un cerchio e porta a compimento un omaggio tanto alla memoria che alla città che continua a custodirla.
L’ingresso è gratuito, ma è consigliata la prenotazione su boxerticket. Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.meis.museum.
Torino, da Fondazione per l'arte Crt sette nuove opere per le collezioni di Gam e Rivoli
Sono sette le opere appena entrate nelle collezioni della Fondazione per l’arte moderna e contemporanea Crt, composta da circa 890 opere realizzate da più di 300 artisti dai linguaggi espressivi differenti, per un investimento di oltre 40 milioni di euro.
Le acquisizioni sono state effettuate grazie all’approvazione del Comitato scientifico internazionale di Fondazione Arte Crt, composto da Rudi Fuchs, presidente e già direttore dello Stedelijk Museum ad Amsterdam, Francesco Manacorda, direttore artistico di V-A-C Foundation (Mosca-Venezia), Nicholas Serota, presidente dell’Arts Council England, Manolo Borja-Villel, direttore del Museo Reina Sofia di Madrid, Beatrix Ruf, direttore Hartwig Art Foundation di Amsterdam; Carolyn Christov-Bakargiev, direttore del Castello di Rivoli, e Riccardo Passoni, direttore della Gam di Torino.
I sette lavori appena acquisiti, che portano la firma di sei artisti internazionali, sono stati, quindi, concessi in comodato gratuito ai due principali musei torinesi. Un’opera di Anne Imhof, «Untitled (Sex)» del 2020, e un’opera di Agnieszka Kurant, «Adjacent Possible» del 2021, arricchiranno le proposte espositive del Castello di Rivoli. Il primo lavoro è un’installazione che include un quadro «graffiato», nel quale emerge la sagoma di una testa senza volto, quattro amplificatori Marshalls impilati in due colonne, un materasso e una chitarra. Di Agnieszka Kurant è, invece, stata acquisita una serie di nuovi lavori su pietra di Luserna, che indagano direzioni alternative in cui la cultura umana potrebbe essersi evoluta o in cui si sta evolvendo attualmente. Nello sviluppo di questo progetto, l'artista ha collaborato con gli scienziati sociali computazionali LeRon Shults e Justin Lane per applicare un algoritmo a un archivio di migliaia di fotografie che riproducono le varie iterazioni di trentadue segni grafici, datati dal 40.000 a.C. al 14.000 a.C., documentati nelle grotte Paleolitiche in Europa e in Asia dalla paleoantropologa Genevieve von Petzinger.
Mentre cinque lavori di artisti italiani a metà carriera - Diego Perrone («Untitled», 2016), Luca Bertolo («Veronica», 17#05, 2017), Riccardo Baruzzi («Fisherman Harlequin - After Renato Birolli», 2019; «Via Saragozza 93», 2019) e Flavio Favelli («Military Decò» - A, 2019; nella foto) – già visti nella mostra «Sul principio di contraddizione» (dal 5 maggio al 3 ottobre 2021), saranno destinati ai progetti curatoriali della Gam – Galleria civica d’arte moderna di Torino.
Per maggiori informazioni: www.fondazioneartecrt.it.
Cenacolo vinciano, al via il restauro della Crocefissione del Montorfano
Ha preso il via lo scorso dicembre scorso, al Museo del Cenacolo vinciano di Milano, il restauro della «Crocefissione» di Donato Montorfano e dei dipinti murali che ornano, nel refettorio di Santa Maria delle Grazie, la parete ovest, quella miracolosamente risparmiata dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale.
L’intervento - annunciato nel febbraio 2021 tra quelli prioritari per la Direzione regionale musei della Lombardia – è stato avviato dopo la predisposizione dell’impegnativo cantiere e al termine dell’iter di affidamento, che ha visto l’assegnazione ad AuriFoliaRestauri, di Torino.
La progettazione dell’intervento è stata eseguita da Michela Palazzo, che ha diretto il museo milanese fino a poco prima dell’avvio del cantiere. La direzione dei lavori, invece, è affidata a Emanuela Daffra, non nuova a cantieri impegnativi, coadiuvata da Lorenza dall’Aglio e da Silvia Zanzani, architetto che da pochi giorni ha lasciato la direzione del Castello scaligero di Sirmione per assumere proprio quella del Cenacolo vinciano.
Le attività di restauro, nelle prime fasi, sono concentrate sul grande affresco della «Crocefissione», per procedere poi sulla parete laterale. Su questa parete e sulla volta sono presenti motivi decorativi realizzati a partire dal 1488, mentre alle estremità sono visibili due lunette decorate. Quella adiacente all’«Ultima Cena» raffigura uno stemma in una ghirlanda di foglie e frutti ed è attribuita allo stesso Leonardo da Vinci. Di quasi certa attribuzione leonardesca sono anche i ritratti di Ludovico il Moro con la moglie Beatrice d’Este e i figli, collocati nella parte inferiore della «Crocefissione» e ormai quasi del tutto perduti.
Ogni aspetto dell’intervento, compreso l’allestimento del cantiere, è stato progettato in modo da minimizzarne l’impatto su quella macchina delicata e complessa che è il refettorio, strenuamente protetto da polveri e inquinanti. Non solo: le diverse opere sono state organizzate e programmate in modo da poter mantenere aperto il museo per tutta la durata dei lavori, riservando le lavorazioni più articolate o più rumorose agli orari di chiusura; i dettagli dell’opera temporaneamente nascosta sono offerti ai visitatori tramite un ledwall e il procedere del restauro è raccontato sul sito attraverso costanti aggiornamenti.
«Il cantiere, nato per esigenze conservative, - racconta, infine, Emanuela Daffra - sarà anche una importante occasione di approfondimento sulla storia dell’edificio, sull'opera di Montorfano, sulle effigi ducali. Già dalle prime settimane di lavoro appare chiaro che molti dei luoghi comuni su questo dipinto dovranno essere rivisti».
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito https://cenacolovinciano.org/.
«L’hôpital Des Poupées», a Firenze una mostra di Séléne De Condat
Venticinque fotografie raccontano alla Crumb Gallery di Firenze l’ultimo progetto fotografico della parigina Séléne de Condat, «L’Hôpital des poupées», che narra la storia dell’Ospedale delle bambole, una piccola bottega artigiana nel cuore di Roma, in via di Ripetta, vicino a piazza del Popolo, che esiste dal 1939. Qui Federico Squatriti, erede dell’attività di famiglia, con il sapiente aiuto della madre Gelsomina, ultraottantenne, rimette in sesto bambole di qualsiasi epoca: antiche, di legno o di carta pesta, di pannolenci o di porcellana, soldatini di piombo e marionette.
I clienti del negozio capitolino sono collezionisti che provengono da tutte le parti del mondo per restaurare e riportare a nuova vita questi fascinosi oggetti e come ogni paziente di un vero ospedale, ogni bambola viene dimessa con un referto diagnostico che indica le riparazioni subite e i consigli su come trattarla. E, per chi lo desidera, si può assistere, su appuntamento, a sedute di lavoro dimostrative.
A Roma la bottega è conosciuta anche come «il negozio del terrore» per l’atmosfera un po’ inquietante della vetrina dove si affastellano teste, occhi, braccia e gambe di bambole ed è su questi particolari che si sofferma l’obbiettivo della de Condat, quasi le bambole fossero esseri umani. «Queste bambole sorprese dalla macchina fotografica - scrive Marcelle Padovani nell’introduzione al catalogo - hanno avuto una loro vita, una loro parte, una loro storia, e i loro desideri, ed eccole adesso handicappate, azzoppate, invecchiate, sciancate, e brutalmente confrontate all’idea della propria disgregazione, che non è altro che la morte. Come noi. Esattamente come noi».
Séléne de Condat ci sottopone, come sotto una lente d’ingrandimento, la polvere del tempo che si stratifica sulla superficie delle poupées, negli angoli della bottega che emana un ché di magico e sinistro allo stesso tempo e di cui non puoi che subirne il fascino.
La mostra, visibile fino al 26 marzo, è accompagnata da un catalogo, edito dalla Collana NoLines, con testi di Rory Cappelli e della giornalista francese Marcelle Padovani, attiva dagli anni Settanta, che ha collaborato con Giovanni Falcone alla stesura del libro «Cose di Cosa Nostra», pubblicato nel 1991 da Rizzoli.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.crumbgallery.com.
Su Zoom due incontri sulla mostra veneziana «Surrealismo e magia. La modernità incantata»
C’è grande attesa per la mostra «Surrealismo e magia. La modernità incantata», che aprirà al pubblico il prossimo 9 aprile alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia. In preparazione alla prima esposizione interamente dedicata all’interesse dei surrealisti per la magia, l’alchimia e l’occulto, il 24 febbraio e il 10 marzo, alle ore 18, Gražina Subelytė, curatrice dell’esposizione e associate curator del museo lagunare, conduce su Zoom due incontri, gratuiti e aperti a tutti, volti a presentare e approfondire alcune delle tematiche chiave della mostra. Si tratta dei primi due appuntamenti di un ricco calendario di Public Programs che accompagnerà la mostra nel corso della sua apertura, fino al 26 settembre.
Durante il primo talk del 24 febbraio, dal titolo «Segreti esoterici: il Surrealismo e il suo esordio magico», si è guardato, nello specifico, al rapporto tra Surrealismo e Romanticismo, Simbolismo, Medioevo e Rinascimento nordico, nonché l’arte metafisica, introducendo nozioni e simboli fondamentali che rivelano il lato magico dell’arte surrealista. Se la centralità dell’onirico, dell’irrazionale e dell’inconscio nel movimento è ben nota, meno nota è invece la fascinazione per temi quali la magia, l'alchimia e l'occulto. Il poeta francese André Breton, nel suo libro «L’arte magica» (1957), definisce il Surrealismo come la riscoperta della magia in una modernità disincantata e razionalizzata. Così facendo, Breton inserisce il movimento come ultima espressione di una lunga tradizione di «arte magica», rappresentata, per esempio, dai pittori Hieronymus Bosch, Hans Baldung Grien, Albrecht Dürer e Francisco Goya, il cui immaginario fantastico affascina i surrealisti.
Il 10 marzo è previsto, invece, un incontro dal titolo «Simboli di guarigione: Surrealismo e magia negli anni ’40». Per informazioni e iscrizioni ai due incontri, si deve scrivere a didattica@guggenheim-venice.it.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il link https://www.guggenheim-venice.it/it/mostre-eventi/mostre/surrealismo-e-magia-la-modernita-incantata/.
Il Maxxi di Roma ricorda Francesca Alinovi
Il Maxxi - Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma, in collaborazione con la Fondazione In Between Art Film, omaggia Francesca Alinovi (Parma, 28 gennaio 1948 - Bologna, 12 giugno 1983), una delle grandi protagoniste del clima di sperimentazione artistica che ha caratterizzato il passaggio tra gli anni Settanta e Ottanta.
Mercoledì 23 febbraio, dalle 17 alle 20:30, si è tenuto un simposio a ingresso gratuito, con prenotazione sul sito maxxi.art. L’idea del panel è nata dal dialogo tra Paola Ugolini e Veronica Santi, autrice del documentario «I am not alone anyway» e co-curatrice con Matteo Bergamini del volume «Francesca Alinovi» (2019,) che raccoglie scritti e saggi in parte inediti. Coinvolgendo storici, critici e artisti che negli anni hanno continuato ad approfondire il suo lavoro e valorizzarne la memoria, l’obiettivo del simposio è storicizzare e attualizzare la figura di Francesca Alinovi e la sua impostazione critica tracciando una linea storica che dalla fine degli anni Settanta arriva alla scena contemporanea. Hanno introdotto Bartolomeo Pietromarchi e Alessandro Rabottini. Sono intervenuti Maria Alicata, Matteo Bergamini, Dafne Boggeri, Ivo Bonacorsi, Piersandra Di Matteo, Maria Luisa Frisa, Marcello Jori, Fabiola Naldi, Veronica Santi. Hanno moderato Paola Ugolini.
In occasione del convegno, dal 23 al 27 febbraio (alle ore 11.30 | 13.00 | 14.30 | 16.00 | 17.30), nella videogallery del Maxxi, sarà proiettato il documentario «I am not alone anyway» (2017, durata 75 min), che ripercorre la parabola esistenziale nelle avanguardie artistiche di Francesca Alinovi. Il film ha lo scopo di riportare alla luce il pensiero critico della studiosa, per anni oscurato dalla sua tragica scomparsa nel 1983 divenuta un famoso caso di cronaca nera, con interviste ad artisti, colleghi e amici.
Una ricca selezione di materiale dell'epoca testimonia l'effervescente panorama artistico di New York, dove Francesca Alinovi frequenta la scena New Wave, i graffitisti del Bronx e l’East Village. Il documentario ricostruisce anche la vivacità culturale dell’Italia e di Bologna ngli anni a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta, con le prime edizioni della Settimana internazionale della performance, l’attività degli autori di Linus, Valvoline e Frigidaire, a partire da Andrea Pazienza e Marcello Jori, il teatro d'avanguardia dei Magazzini criminali e della Raffaello Sanzio Societas, il design dello Studio Alchimia e di Alessandro Mendini, gli artisti italiani del postmoderno, tra cui Luigi Ontani e Salvo, fino ad arrivare al manifesto dell'Enfatismo.
Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina https://www.maxxi.art/events/i-am-not-alone-anyway/.
«Territori del futuro», al Maxxi di Roma un incontro sulla mostra «Amazzonia» di Sebastião Salgado
Per sei anni Sebastião Salgado ha viaggiato nell’Amazzonia brasiliana, fotografando la foresta, i fiumi, le montagne e le persone che vi abitano. Sono nate così oltre duecento immagini, che è possibile vedere sino al prossimo 25 aprile al Maxxi di Roma, con l’accompagnamento sonoro creato per l’occasione da Jean-Michel Jarre. Il fruscio degli alberi, le grida degli animali, il canto degli uccelli o il fragore delle acque che scendono dalla cima delle montagne, raccolti in loco, compongono il paesaggio sonoro della mostra.
In occasione dell’appuntamento espositivo, venerdì 25 febbraio, alle ore 18, si è tenuto il talk «Territori del futuro. Emergenza climatica e salvaguardia degli ecosistemi». Introdotti da Pietro Barrera, segretario generale della Fondazione Maxxi, e da Franco Ippolito, presidente della Fondazione Lelio e Lisli Basso Onlus, sono intervenuti Ivanilde Carvalho, Luigi Ferrajoli, Stefano Liberti, Gianni Tognon e, in video, Marcela Vecchione Gonçalves, ricercatrice e docente al Centro di studi avanzati sull’Amazzonia nell’Università Federale del Pará, in Brasile. Ha moderato la giornalista Anna Maria Giordano.
Focus dell’incontro, in programma in Sala Carlo Scarpa, è stata l’Amazzonia, intesa come una finestra sul mondo in cui viviamo, specchio degli effetti del cambiamento climatico e del collasso ecologico che rischiamo di affrontare. Il dialogo tra le comunità indigene e contadine che vivono nella regione e gli esperti che la osservano può offrire nuovi elementi per riformulare la convivenza tra popoli e ambiente e superare le logiche di sfruttamento irrazionale.
A seguire si è tenuta la proiezione del video «Manta Manaos» dell’artista e attivista ecuadoriana Rosa Jijón, che racconta il grande progetto di costruzione di un asse fluviale e stradale tra Manta (Ecuador) e Manaos (Brasile), uno sguardo critico su possibili disastri socio-ambientali su cui è fondamentale riflettere.
Per maggiori informazioni: https://www.maxxi.art.
Era il 1962 quando usciva in libreria l'indimenticabile romanzo «Il giardino dei Finzi-Contini», uno dei primi libri italiani a parlare delle Leggi razziali del 1938 e della deportazione degli ebrei attraverso la narrazione delle storie d’amore e di amicizia, dei progetti di vita e delle partire a tennis di un gruppo di giovani ferraresi. A sessanta anni dalla pubblicazione del volume, nella settimana in cui si ricorda la nascita dell'autore Giorgio Bassani (Bologna, 4 marzo 1916 – Roma, 13 aprile 2000), il Museo nazionale dell'ebraismo italiano e della Shoah-Meis presenta, al Cinema Boldini in Sala Estense (piazza del Municipio 14), la proiezione, gratuita e aperta a tutta la cittadinanza, del documentario «Il giardino che non c'è» di Rä di Martino. L’appuntamento, in programma mercoledì 2 marzo, alle ore 21, verrà introdotto da Noa Karavan, autrice del soggetto, e da Amedeo Spagnoletto, direttore del Meis.
Il legame del museo ferrarese con «Il giardino dei Finzi-Contini» ha radici lontane. Nel 2018 l'artista israeliano Dani Karavan (1930-2021) e sua figlia Noa Karavan Cohen, notando come centinaia di turisti in giro per la città cercassero il celeberrimo Giardino dei Finzi-Contini scoprendo con stupore che non esisteva, immaginarono di dare corpo a questa suggestione, realizzando un omonimo pro-getto composto da un binario, una bicicletta, una scala e un muro di vetro, installati di fronte alle mura di Corso Ercole I d'Este, come nella vivida creazione di Bassani.
Prodotto da Alto Piano e Les Films du Poisson in co-produzione con Arte France e presentato fuori concorso all'ultima edizione del Torino Film Festival, il documentario si interroga su come un'opera d'arte può condizionare il modo di vedere il mondo, sul suo potere di creare un immaginario collettivo che trascende la realtà. Partendo dal capolavoro di Giorgio Bassani, «Il giardino che non c'è» mostra come questo romanzo abbia condizionato il nostro modo di rappresentare una città, un periodo storico drammatico, una famiglia ebraica, un giardino.
A raccontare l'effetto dirompente del romanzo di Bassani e del film che ne ha tratto Vittorio De Sica, vincendo nel 1972 il Premio Oscar, attori, comparse e intervistati che, nella cornice di giardini ferraresi, laziali e parigini, ripercorrono la fortuna dell'opera e l'immortale storia dei suoi protagonisti, alternandosi a stralci di film storici in continui rimandi temporali. Tra questi, non possono manca-re Lino Capolicchio e Dominique Sanda, che hanno incarnato il volto di Giorgio e di Micòl Finzi-Contini sul grande schermo. Hanno partecipato, tra gli altri, Paola Bassani, Simonetta Della Seta, Andrea Pesaro, Portia Prebys, Anna Quarzi e Chiara Valerio.
Questo appuntamento, in cui Ferrara ha l'opportunità di specchiarsi nella sua immagine, si pone così come la chiusura di un cerchio e porta a compimento un omaggio tanto alla memoria che alla città che continua a custodirla.
L’ingresso è gratuito, ma è consigliata la prenotazione su boxerticket. Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.meis.museum.
Torino, da Fondazione per l'arte Crt sette nuove opere per le collezioni di Gam e Rivoli
Sono sette le opere appena entrate nelle collezioni della Fondazione per l’arte moderna e contemporanea Crt, composta da circa 890 opere realizzate da più di 300 artisti dai linguaggi espressivi differenti, per un investimento di oltre 40 milioni di euro.
Le acquisizioni sono state effettuate grazie all’approvazione del Comitato scientifico internazionale di Fondazione Arte Crt, composto da Rudi Fuchs, presidente e già direttore dello Stedelijk Museum ad Amsterdam, Francesco Manacorda, direttore artistico di V-A-C Foundation (Mosca-Venezia), Nicholas Serota, presidente dell’Arts Council England, Manolo Borja-Villel, direttore del Museo Reina Sofia di Madrid, Beatrix Ruf, direttore Hartwig Art Foundation di Amsterdam; Carolyn Christov-Bakargiev, direttore del Castello di Rivoli, e Riccardo Passoni, direttore della Gam di Torino.
I sette lavori appena acquisiti, che portano la firma di sei artisti internazionali, sono stati, quindi, concessi in comodato gratuito ai due principali musei torinesi. Un’opera di Anne Imhof, «Untitled (Sex)» del 2020, e un’opera di Agnieszka Kurant, «Adjacent Possible» del 2021, arricchiranno le proposte espositive del Castello di Rivoli. Il primo lavoro è un’installazione che include un quadro «graffiato», nel quale emerge la sagoma di una testa senza volto, quattro amplificatori Marshalls impilati in due colonne, un materasso e una chitarra. Di Agnieszka Kurant è, invece, stata acquisita una serie di nuovi lavori su pietra di Luserna, che indagano direzioni alternative in cui la cultura umana potrebbe essersi evoluta o in cui si sta evolvendo attualmente. Nello sviluppo di questo progetto, l'artista ha collaborato con gli scienziati sociali computazionali LeRon Shults e Justin Lane per applicare un algoritmo a un archivio di migliaia di fotografie che riproducono le varie iterazioni di trentadue segni grafici, datati dal 40.000 a.C. al 14.000 a.C., documentati nelle grotte Paleolitiche in Europa e in Asia dalla paleoantropologa Genevieve von Petzinger.
Mentre cinque lavori di artisti italiani a metà carriera - Diego Perrone («Untitled», 2016), Luca Bertolo («Veronica», 17#05, 2017), Riccardo Baruzzi («Fisherman Harlequin - After Renato Birolli», 2019; «Via Saragozza 93», 2019) e Flavio Favelli («Military Decò» - A, 2019; nella foto) – già visti nella mostra «Sul principio di contraddizione» (dal 5 maggio al 3 ottobre 2021), saranno destinati ai progetti curatoriali della Gam – Galleria civica d’arte moderna di Torino.
Per maggiori informazioni: www.fondazioneartecrt.it.
Riapre al pubblico il Labirinto della Masone. In programma una mostra di aeropittura futurista
Riapre al pubblico, dopo la pausa invernale, il Labirinto della Masone, nato nel 2015 a Fontanellato, in provincia di Parma, da un’idea di Franco Maria Ricci – editore, designer, collezionista d’arte e bibliofilo – e da una promessa fatta nel 1977 allo scrittore argentino Jorge Luis Borges, affascinato da sempre dal simbolo del labirinto sia in chiave metafisica che come metafora della condizione umana.
Il Labirinto della Masone è il cuore di un borgo reale e immaginario realizzato dagli architetti Pier Carlo Bontempi e Davide Dutto. Il parco culturale si estende per otto ettari e racchiude al suo interno una rigogliosa vegetazione, diverse costruzioni che ospitano libri e collezioni d’arte (in mostra circa quattrocento opere che spaziano dalla scultura del Seicento alla pittura romantica dell’Ottocento). La struttura è arricchita da una caffetteria, un ristorante-bistrò e uno spazio gastronomico, tutti curati dallo chef Andrea Nizzi e dallo staff dei «12 Monaci», a cui si aggiungono due lussuose suite dove è possibile pernottare.
Il Labirinto del Masone è realizzato interamente con piante di bambù - in totale quasi 300.000 - appartenenti ad una ventina di specie diverse, alte tra i 30 centimetri e i 15 metri. Percorrendo questo intricato e affascinante dedalo lungo oltre tre chilometri, è possibile conoscere, grazie ai pannelli posti tra i viali, tutta la storia dei labirinti, a partire dal mito di Creta, passando per il Medioevo e il Rinascimento, fino ad arrivare ai giorni nostri. Un altro percorso a tappe racconta, poi, la storia del suo ideatore, Franco Maria Ricci.
Tra i prossimi eventi in programma si segnala, dal 9 aprile al 3 luglio, la mostra «Dall’Alto. Aeropittura futurista», a cura di Massimo Duranti e Andrea Baffoni, con circa novanta opere di artisti quali Gerardo Dottori, Osvaldo Peruzzi, Fillia, Enrico Prampolini, Tullio Crali e Tato e anche alcune aerosculture come quelle di Umberto Peschi e Mino Rosso.
Inoltre il 17, 18, 19 giugno il Labirinto della Masone ospiterà il Lost (Labyrinth Original Sound Track) Music Festival, una tre giorni e due notti di live, installazioni e mostre nel verde della natura.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito https://www.labirintodifrancomariaricci.it/.
Riapre al pubblico, dopo la pausa invernale, il Labirinto della Masone, nato nel 2015 a Fontanellato, in provincia di Parma, da un’idea di Franco Maria Ricci – editore, designer, collezionista d’arte e bibliofilo – e da una promessa fatta nel 1977 allo scrittore argentino Jorge Luis Borges, affascinato da sempre dal simbolo del labirinto sia in chiave metafisica che come metafora della condizione umana.
Il Labirinto della Masone è il cuore di un borgo reale e immaginario realizzato dagli architetti Pier Carlo Bontempi e Davide Dutto. Il parco culturale si estende per otto ettari e racchiude al suo interno una rigogliosa vegetazione, diverse costruzioni che ospitano libri e collezioni d’arte (in mostra circa quattrocento opere che spaziano dalla scultura del Seicento alla pittura romantica dell’Ottocento). La struttura è arricchita da una caffetteria, un ristorante-bistrò e uno spazio gastronomico, tutti curati dallo chef Andrea Nizzi e dallo staff dei «12 Monaci», a cui si aggiungono due lussuose suite dove è possibile pernottare.
Il Labirinto del Masone è realizzato interamente con piante di bambù - in totale quasi 300.000 - appartenenti ad una ventina di specie diverse, alte tra i 30 centimetri e i 15 metri. Percorrendo questo intricato e affascinante dedalo lungo oltre tre chilometri, è possibile conoscere, grazie ai pannelli posti tra i viali, tutta la storia dei labirinti, a partire dal mito di Creta, passando per il Medioevo e il Rinascimento, fino ad arrivare ai giorni nostri. Un altro percorso a tappe racconta, poi, la storia del suo ideatore, Franco Maria Ricci.
Tra i prossimi eventi in programma si segnala, dal 9 aprile al 3 luglio, la mostra «Dall’Alto. Aeropittura futurista», a cura di Massimo Duranti e Andrea Baffoni, con circa novanta opere di artisti quali Gerardo Dottori, Osvaldo Peruzzi, Fillia, Enrico Prampolini, Tullio Crali e Tato e anche alcune aerosculture come quelle di Umberto Peschi e Mino Rosso.
Inoltre il 17, 18, 19 giugno il Labirinto della Masone ospiterà il Lost (Labyrinth Original Sound Track) Music Festival, una tre giorni e due notti di live, installazioni e mostre nel verde della natura.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito https://www.labirintodifrancomariaricci.it/.
Toscana, apre a Pietrasanta la Andrea Chisesi art gallery
Il centro storico di Pietrasanta, «la piccola Atene» del Lucchese, si arricchisce di una nuova galleria d’arte. Sabato 5 marzo, alle ore 18, inaugura la sede versiliese della Andrea Chisesi Art Gallery, gemella dell’atelier siracusano che ha sede a Ortigia.
Il nuovo spazio, curata da Marcella Damigella, avrà sede al piano terra di un antico edificio del XVII secolo dove, il 12 ottobre 1821, nacque Eugenio Barsanti, il presbitero insegnante di fisica, che insieme all’ingegnere Felice Matteucci nel 1853 inventò il motore a scoppio. Lo stabile, le cui sale interne che ospitano la galleria sono state rivisitate per l’occasione con uno in stile industrial, è ubicato al civico 79 della storica e centralissima via Giuseppe Mazzini, a due passi da piazza Duomo.
Per il taglio del nastro Marcella Damigella ha previsto l’esposizione di una cinquantina di opere di Andrea Chisesi tra pitture, disegni e fusioni, che testimoniano tutto il percorso dell’artista romano, classe 1972, compresa una selezione tratta dalle collezioni più famose degli ultimi anni come la serie sui «Fuochi d’artificio» una vera e propria esplosione di colori e di forme, che si rivela un inno alla vita. Mentre a completare il percorso espositivo è la collezione ispirata alla natura e al panismo dannunziano, che richiama l’ultima esposizione di Andrea Chisesi al Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera.
Il visitatore è accolto in un luogo senza tempo: le pareti cineree accolgono le opere pittoriche che dialogano ed evocano secoli di storia, poiché l’idea è di immaginare un viaggio, attraverso arredi vintage che permettano di richiamare ricordi passati dal sapore di casa e di tradizione. «La galleria – afferma a tal proposito la curatrice Marcella Damigella - deve rimandare a un luogo dove l’arte è qualcosa di familiare, dove ci si sente a proprio agio».
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.andreachisesi.com.
Il centro storico di Pietrasanta, «la piccola Atene» del Lucchese, si arricchisce di una nuova galleria d’arte. Sabato 5 marzo, alle ore 18, inaugura la sede versiliese della Andrea Chisesi Art Gallery, gemella dell’atelier siracusano che ha sede a Ortigia.
Il nuovo spazio, curata da Marcella Damigella, avrà sede al piano terra di un antico edificio del XVII secolo dove, il 12 ottobre 1821, nacque Eugenio Barsanti, il presbitero insegnante di fisica, che insieme all’ingegnere Felice Matteucci nel 1853 inventò il motore a scoppio. Lo stabile, le cui sale interne che ospitano la galleria sono state rivisitate per l’occasione con uno in stile industrial, è ubicato al civico 79 della storica e centralissima via Giuseppe Mazzini, a due passi da piazza Duomo.
Per il taglio del nastro Marcella Damigella ha previsto l’esposizione di una cinquantina di opere di Andrea Chisesi tra pitture, disegni e fusioni, che testimoniano tutto il percorso dell’artista romano, classe 1972, compresa una selezione tratta dalle collezioni più famose degli ultimi anni come la serie sui «Fuochi d’artificio» una vera e propria esplosione di colori e di forme, che si rivela un inno alla vita. Mentre a completare il percorso espositivo è la collezione ispirata alla natura e al panismo dannunziano, che richiama l’ultima esposizione di Andrea Chisesi al Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera.
Il visitatore è accolto in un luogo senza tempo: le pareti cineree accolgono le opere pittoriche che dialogano ed evocano secoli di storia, poiché l’idea è di immaginare un viaggio, attraverso arredi vintage che permettano di richiamare ricordi passati dal sapore di casa e di tradizione. «La galleria – afferma a tal proposito la curatrice Marcella Damigella - deve rimandare a un luogo dove l’arte è qualcosa di familiare, dove ci si sente a proprio agio».
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.andreachisesi.com.
Fondazione Giorgio Cini, lo Scalone del Longhena candidato al Progetto Art Bonus 2021
C’è anche la Fondazione Giorgio Cini di Venezia tra gli enti selezionati per la sesta edizione del concorso «Progetto Art Bonus dell’anno». Fino al prossimo 21 marzo sarà possibile votare on-line, sul sito sul sito https://artbonus.gov.it/concorso/, per il restauro dello Scalone del Longhena, gravemente danneggiato dall’«acqua granda» del 2019.
A questa prima fase di votazione, ne seguirà una seconda: dal 22 marzo al 1° aprile, i dieci interventi di restauro che avranno ricevuto il maggior numero di voti sulla piattaforma, parteciperanno alla finale che si terrà sui profili Facebook e Instagram di Art Bonus.
Il progetto per lo scalone monumentale che dal chiostro palladiano conduce al piano di rappresentanza del monastero e alla foresteria vecchia è il risultato straordinario della lunga e continua attività dell’architetto veneziano Baldassarre Longhena, sull’Isola di San Giorgio Maggiore, risalente agli anni ‘40 del Seicento.
Il monumentale accesso alle sale superiori dell’appartamento abbaziale ha subito ingenti danni con la marea eccezionale del 2019. Grazie al bando promosso dalla Fondazione di Venezia, che ha finanziato con oltre 180.000€ l’intervento coinvolgendo le Fondazioni di origine bancaria associate ad Acri, la Fondazione Giorgio Cini ha presentato l’anno scorso, in occasione dei suoi settant’anni di attività, i risultati del restauro.
Un primo intervento sullo scalone ha richiesto lo smontaggio completo e il successivo restauro della pavimentazione in rosso, biancone di Verona e nero assoluto, nonché al recupero delle tarsie marmoree dei pianerottoli, al rifacimento dei marmorini e al restauro della bellissima nicchia dorata con l’allegoria di Venezia.
A seguire, gli studenti del Corso triennale in Tecniche del restauro dell’Uia-Università internazionale dell’arte, nell’ambito di un progetto formativo condiviso, hanno offerto un prezioso contributo per il completamento del restauro del livello inferiore dello scalone, con operazioni di pulitura, desalinizzazione e stuccatura, che hanno interessato i portali, le cornici architettoniche delle nicchie e le sculture.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.cini.it.
C’è anche la Fondazione Giorgio Cini di Venezia tra gli enti selezionati per la sesta edizione del concorso «Progetto Art Bonus dell’anno». Fino al prossimo 21 marzo sarà possibile votare on-line, sul sito sul sito https://artbonus.gov.it/concorso/, per il restauro dello Scalone del Longhena, gravemente danneggiato dall’«acqua granda» del 2019.
A questa prima fase di votazione, ne seguirà una seconda: dal 22 marzo al 1° aprile, i dieci interventi di restauro che avranno ricevuto il maggior numero di voti sulla piattaforma, parteciperanno alla finale che si terrà sui profili Facebook e Instagram di Art Bonus.
Il progetto per lo scalone monumentale che dal chiostro palladiano conduce al piano di rappresentanza del monastero e alla foresteria vecchia è il risultato straordinario della lunga e continua attività dell’architetto veneziano Baldassarre Longhena, sull’Isola di San Giorgio Maggiore, risalente agli anni ‘40 del Seicento.
Il monumentale accesso alle sale superiori dell’appartamento abbaziale ha subito ingenti danni con la marea eccezionale del 2019. Grazie al bando promosso dalla Fondazione di Venezia, che ha finanziato con oltre 180.000€ l’intervento coinvolgendo le Fondazioni di origine bancaria associate ad Acri, la Fondazione Giorgio Cini ha presentato l’anno scorso, in occasione dei suoi settant’anni di attività, i risultati del restauro.
Un primo intervento sullo scalone ha richiesto lo smontaggio completo e il successivo restauro della pavimentazione in rosso, biancone di Verona e nero assoluto, nonché al recupero delle tarsie marmoree dei pianerottoli, al rifacimento dei marmorini e al restauro della bellissima nicchia dorata con l’allegoria di Venezia.
A seguire, gli studenti del Corso triennale in Tecniche del restauro dell’Uia-Università internazionale dell’arte, nell’ambito di un progetto formativo condiviso, hanno offerto un prezioso contributo per il completamento del restauro del livello inferiore dello scalone, con operazioni di pulitura, desalinizzazione e stuccatura, che hanno interessato i portali, le cornici architettoniche delle nicchie e le sculture.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.cini.it.
«Novecento elegante», in mostra al Museo del tessuto di Prato
abiti e accessori dalla donazione Fineschi
Si intitola «Novecento Elegante. Abiti e accessori dalla donazione Fineschi» la mostra allestita fino al prossimo 29 maggio al Museo del tessuto di Prato. Oltre ottanta oggetti tra abiti e accessori femminili e maschili da giorno e da notte, insieme ad abbigliamento infantile e a una selezione di giocattoli, raccontano un secolo di moda, in un viaggio che spazia dai ricami e dalle trine degli eleganti e raffinati négligé degli anni Venti agli outfit dei primi grandi brand italiani degli anni Ottanta come Gianfranco Ferré e Rocco Barocco.
I pezzi in mostra, per la curatela di Daniela Degl’Innocenti con la collaborazione di Valentina Sonnati, provengono dalla collezione della famiglia Fineschi, tra le più attive della borghesia imprenditoriale pratese fin dalla metà dell’Ottocento, prima con lo storico pastificio fondato nel 1821, poi con l’attività di vendita delle auto degli anni più recenti. I vari oggetti di abbigliamento sono stati raccolti negli ultimi vent’anni con cura e passione da Ada Tirinnanzi, prima di essere donati nel 2021 al museo pratese.
Lo studio della collezione e l’interessante patrimonio fotografico e video conservato dalla famiglia Fineschi hanno permesso non solo di ricostruire il vissuto dei numerosi componenti, ma anche di rintracciare la storia degli abiti, la datazione, la manifattura e l’appartenenza dei curiosi oggetti d’uso quotidiano che corredano la raccolta.
I vestiti della collezione seguono in modo puntuale i riferimenti alle tendenze della moda del periodo, come testimoniano le riviste, le planche, i figurini, i libri tendenze e campionario - appartenenti ad altre collezioni del museo - che arricchiscono l’esposizione creando un suggestivo dialogo tra questa eterogenea varietà di materiali.
Completano il percorso due interessanti dipinti di Galileo Chini del 1934 e un video che racconta come le molte e affascinanti microstorie che attraversano la vita della famiglia Fineschi siano anche lo specchio dei costumi sociali e della moda italiana del secolo scorso.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.museodeltessuto.it/mostre/novecento-elegante/.
Si intitola «Novecento Elegante. Abiti e accessori dalla donazione Fineschi» la mostra allestita fino al prossimo 29 maggio al Museo del tessuto di Prato. Oltre ottanta oggetti tra abiti e accessori femminili e maschili da giorno e da notte, insieme ad abbigliamento infantile e a una selezione di giocattoli, raccontano un secolo di moda, in un viaggio che spazia dai ricami e dalle trine degli eleganti e raffinati négligé degli anni Venti agli outfit dei primi grandi brand italiani degli anni Ottanta come Gianfranco Ferré e Rocco Barocco.
I pezzi in mostra, per la curatela di Daniela Degl’Innocenti con la collaborazione di Valentina Sonnati, provengono dalla collezione della famiglia Fineschi, tra le più attive della borghesia imprenditoriale pratese fin dalla metà dell’Ottocento, prima con lo storico pastificio fondato nel 1821, poi con l’attività di vendita delle auto degli anni più recenti. I vari oggetti di abbigliamento sono stati raccolti negli ultimi vent’anni con cura e passione da Ada Tirinnanzi, prima di essere donati nel 2021 al museo pratese.
Lo studio della collezione e l’interessante patrimonio fotografico e video conservato dalla famiglia Fineschi hanno permesso non solo di ricostruire il vissuto dei numerosi componenti, ma anche di rintracciare la storia degli abiti, la datazione, la manifattura e l’appartenenza dei curiosi oggetti d’uso quotidiano che corredano la raccolta.
I vestiti della collezione seguono in modo puntuale i riferimenti alle tendenze della moda del periodo, come testimoniano le riviste, le planche, i figurini, i libri tendenze e campionario - appartenenti ad altre collezioni del museo - che arricchiscono l’esposizione creando un suggestivo dialogo tra questa eterogenea varietà di materiali.
Completano il percorso due interessanti dipinti di Galileo Chini del 1934 e un video che racconta come le molte e affascinanti microstorie che attraversano la vita della famiglia Fineschi siano anche lo specchio dei costumi sociali e della moda italiana del secolo scorso.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.museodeltessuto.it/mostre/novecento-elegante/.
Aperte le prenotazioni per l’iniziativa «Mi illumino di meno» al Museo Bagatti Valsecchi di Milano
Una visita guidata sul tema dell’energia elettrica: è questa l’iniziativa che il Museo Bagatti Valsecchi di Milano sta organizzando in occasione di «M’illumino di meno», la celebre e partecipata campagna radiofonica dedicata al risparmio energetico e agli stili di vita sostenibili, lanciata da «Caterpillar» e Rai Radio2 nel 2005, che quest’anno si terrà nella giornata dell’11 marzo.
In questa diciottesima edizione, in cui la trasmissione chiede ai suoi ascoltatori di spegnere, pedalare, rinverdire, migliorare, la Casa-museo neorinascimentale ha deciso di partecipare con una visita speciale che ricorda la modernità dei fratelli Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi, che a fine Ottocento realizzarono una dimora dove l’innovazione tecnologica è sempre andata di pari passo con la funzionalità, tanto che fu una delle prime case di Milano dotata di illuminazione elettrica, ma anche di acqua corrente calda e fredda e di riscaldamento in tutte le stanze.
I visitatori che mercoledì 11 marzo, alle ore 15:30, sceglieranno di entrare negli spazi di Via Gesù, quindi, oltre ad ammirare la collezione artistica dei due fratelli, potranno conoscere l’evoluzione dell’illuminazione domestica nel corso degli anni da fine Ottocento fino ai giorni nostri.
È già possibile prenotare la visita guidata sul sito www.museobagattivalsecchi.org.
Una visita guidata sul tema dell’energia elettrica: è questa l’iniziativa che il Museo Bagatti Valsecchi di Milano sta organizzando in occasione di «M’illumino di meno», la celebre e partecipata campagna radiofonica dedicata al risparmio energetico e agli stili di vita sostenibili, lanciata da «Caterpillar» e Rai Radio2 nel 2005, che quest’anno si terrà nella giornata dell’11 marzo.
In questa diciottesima edizione, in cui la trasmissione chiede ai suoi ascoltatori di spegnere, pedalare, rinverdire, migliorare, la Casa-museo neorinascimentale ha deciso di partecipare con una visita speciale che ricorda la modernità dei fratelli Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi, che a fine Ottocento realizzarono una dimora dove l’innovazione tecnologica è sempre andata di pari passo con la funzionalità, tanto che fu una delle prime case di Milano dotata di illuminazione elettrica, ma anche di acqua corrente calda e fredda e di riscaldamento in tutte le stanze.
I visitatori che mercoledì 11 marzo, alle ore 15:30, sceglieranno di entrare negli spazi di Via Gesù, quindi, oltre ad ammirare la collezione artistica dei due fratelli, potranno conoscere l’evoluzione dell’illuminazione domestica nel corso degli anni da fine Ottocento fino ai giorni nostri.
È già possibile prenotare la visita guidata sul sito www.museobagattivalsecchi.org.
Cenacolo vinciano, al via il restauro della Crocefissione del Montorfano
Ha preso il via lo scorso dicembre scorso, al Museo del Cenacolo vinciano di Milano, il restauro della «Crocefissione» di Donato Montorfano e dei dipinti murali che ornano, nel refettorio di Santa Maria delle Grazie, la parete ovest, quella miracolosamente risparmiata dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale.
L’intervento - annunciato nel febbraio 2021 tra quelli prioritari per la Direzione regionale musei della Lombardia – è stato avviato dopo la predisposizione dell’impegnativo cantiere e al termine dell’iter di affidamento, che ha visto l’assegnazione ad AuriFoliaRestauri, di Torino.
La progettazione dell’intervento è stata eseguita da Michela Palazzo, che ha diretto il museo milanese fino a poco prima dell’avvio del cantiere. La direzione dei lavori, invece, è affidata a Emanuela Daffra, non nuova a cantieri impegnativi, coadiuvata da Lorenza dall’Aglio e da Silvia Zanzani, architetto che da pochi giorni ha lasciato la direzione del Castello scaligero di Sirmione per assumere proprio quella del Cenacolo vinciano.
Le attività di restauro, nelle prime fasi, sono concentrate sul grande affresco della «Crocefissione», per procedere poi sulla parete laterale. Su questa parete e sulla volta sono presenti motivi decorativi realizzati a partire dal 1488, mentre alle estremità sono visibili due lunette decorate. Quella adiacente all’«Ultima Cena» raffigura uno stemma in una ghirlanda di foglie e frutti ed è attribuita allo stesso Leonardo da Vinci. Di quasi certa attribuzione leonardesca sono anche i ritratti di Ludovico il Moro con la moglie Beatrice d’Este e i figli, collocati nella parte inferiore della «Crocefissione» e ormai quasi del tutto perduti.
Ogni aspetto dell’intervento, compreso l’allestimento del cantiere, è stato progettato in modo da minimizzarne l’impatto su quella macchina delicata e complessa che è il refettorio, strenuamente protetto da polveri e inquinanti. Non solo: le diverse opere sono state organizzate e programmate in modo da poter mantenere aperto il museo per tutta la durata dei lavori, riservando le lavorazioni più articolate o più rumorose agli orari di chiusura; i dettagli dell’opera temporaneamente nascosta sono offerti ai visitatori tramite un ledwall e il procedere del restauro è raccontato sul sito attraverso costanti aggiornamenti.
«Il cantiere, nato per esigenze conservative, - racconta, infine, Emanuela Daffra - sarà anche una importante occasione di approfondimento sulla storia dell’edificio, sull'opera di Montorfano, sulle effigi ducali. Già dalle prime settimane di lavoro appare chiaro che molti dei luoghi comuni su questo dipinto dovranno essere rivisti».
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito https://cenacolovinciano.org/.
«L’hôpital Des Poupées», a Firenze una mostra di Séléne De Condat
Venticinque fotografie raccontano alla Crumb Gallery di Firenze l’ultimo progetto fotografico della parigina Séléne de Condat, «L’Hôpital des poupées», che narra la storia dell’Ospedale delle bambole, una piccola bottega artigiana nel cuore di Roma, in via di Ripetta, vicino a piazza del Popolo, che esiste dal 1939. Qui Federico Squatriti, erede dell’attività di famiglia, con il sapiente aiuto della madre Gelsomina, ultraottantenne, rimette in sesto bambole di qualsiasi epoca: antiche, di legno o di carta pesta, di pannolenci o di porcellana, soldatini di piombo e marionette.
I clienti del negozio capitolino sono collezionisti che provengono da tutte le parti del mondo per restaurare e riportare a nuova vita questi fascinosi oggetti e come ogni paziente di un vero ospedale, ogni bambola viene dimessa con un referto diagnostico che indica le riparazioni subite e i consigli su come trattarla. E, per chi lo desidera, si può assistere, su appuntamento, a sedute di lavoro dimostrative.
A Roma la bottega è conosciuta anche come «il negozio del terrore» per l’atmosfera un po’ inquietante della vetrina dove si affastellano teste, occhi, braccia e gambe di bambole ed è su questi particolari che si sofferma l’obbiettivo della de Condat, quasi le bambole fossero esseri umani. «Queste bambole sorprese dalla macchina fotografica - scrive Marcelle Padovani nell’introduzione al catalogo - hanno avuto una loro vita, una loro parte, una loro storia, e i loro desideri, ed eccole adesso handicappate, azzoppate, invecchiate, sciancate, e brutalmente confrontate all’idea della propria disgregazione, che non è altro che la morte. Come noi. Esattamente come noi».
Séléne de Condat ci sottopone, come sotto una lente d’ingrandimento, la polvere del tempo che si stratifica sulla superficie delle poupées, negli angoli della bottega che emana un ché di magico e sinistro allo stesso tempo e di cui non puoi che subirne il fascino.
La mostra, visibile fino al 26 marzo, è accompagnata da un catalogo, edito dalla Collana NoLines, con testi di Rory Cappelli e della giornalista francese Marcelle Padovani, attiva dagli anni Settanta, che ha collaborato con Giovanni Falcone alla stesura del libro «Cose di Cosa Nostra», pubblicato nel 1991 da Rizzoli.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.crumbgallery.com.
Mirabilia, arte cinese e design: Tre aste imperdibili nella sede milanese di Cambi
Arte cinese, design per intenditori, artigianato di alta qualità e mirabilia: è questa l’offerta che ha messo in campo la Cambi casa d’aste con i tre appuntamenti in programma dal 22 al 24 febbraio nella sua sede milanese.
Si è cominciato martedì 22 febbraio (in una tornata unica a partire dalle ore 15) con la sezione «Mirabilia», un’asta in pieno stile Wunderkammer che sottolinea la «meraviglia» dell’uomo per gli elementi naturali che lo circondano, la sua attrazione per le bellezze del mondo. Sono andati all’incanto una magnifica selezione di lotti, da affascinanti memento mori a fossili unici. Tra i top lot: una rara ammonite iridescente, il cui guscio è composto di madreperla fossilizzata in ammolite (stima: 24.000 - 28.000 €), il cranio di xiphactinus, uno dei più grandi pesci predatori del tardo cretaceo (stima: 24.000 - 26.000 €) e il magnifico esemplare di halisauro, feroce predatore marino dell'epoca dei dinosauri (stima: 38.000 - 42.000 €): un «mostro» di 3 metri di lunghezza preparato su lastra così da poter essere appeso al muro come un quadro.
Mercoledì 23 febbraio è stata la volta di «Fine Chinese Works of Art». Da segnalare tra i pezzi d’arte orientale all’incanto ci sono stati un vaso flambè, marcato con il nome dell’imperatore Qianlong, come tutti gli oggetti commissionati dal palazzo imperiale (stima: 30.000 - 40.000 €), e una coppia di cachepots della fine dell’800 realizzati per una concubina, che poi divenne imperatrice riuscendo a portare il figlio sul trono (stima: 20.000 - 30.000 €). Il top lot è stato senz’altro la rara figura di Guanyin incoronata, statua in bronzo parzialmente dorata proveniente probabilmente da un tempio (stima: 50.000 - 70.000 €). L’asta si svolgerà in una doppia tornata: la prima alle ore 10 (lotti 1 – 158) e la seconda alle ore 14 (159 – 318).
Le aste di Cambi si sono chiuse giovedì 24 febbraio con «Design Lab» (in una tornata unica a partire dalle ore 14). Tra i pezzi all’incanto si segnalano un mobile contenitore di Borsani (stima: 1.500 – 2.000 €) e una lampada di Achille e Piergiacomo Castiglioni (stima: 1.000 – 2.000 €); mentre il lotto simbolo di questo appuntamento è stato uno dei pezzi cult del design degli anni ’70: la «Poltrona Piede UP7» di Gaetano Pesce (stima: 2.000 – 4.000 €).
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.cambiaste.com.
Arte cinese, design per intenditori, artigianato di alta qualità e mirabilia: è questa l’offerta che ha messo in campo la Cambi casa d’aste con i tre appuntamenti in programma dal 22 al 24 febbraio nella sua sede milanese.
Si è cominciato martedì 22 febbraio (in una tornata unica a partire dalle ore 15) con la sezione «Mirabilia», un’asta in pieno stile Wunderkammer che sottolinea la «meraviglia» dell’uomo per gli elementi naturali che lo circondano, la sua attrazione per le bellezze del mondo. Sono andati all’incanto una magnifica selezione di lotti, da affascinanti memento mori a fossili unici. Tra i top lot: una rara ammonite iridescente, il cui guscio è composto di madreperla fossilizzata in ammolite (stima: 24.000 - 28.000 €), il cranio di xiphactinus, uno dei più grandi pesci predatori del tardo cretaceo (stima: 24.000 - 26.000 €) e il magnifico esemplare di halisauro, feroce predatore marino dell'epoca dei dinosauri (stima: 38.000 - 42.000 €): un «mostro» di 3 metri di lunghezza preparato su lastra così da poter essere appeso al muro come un quadro.
Mercoledì 23 febbraio è stata la volta di «Fine Chinese Works of Art». Da segnalare tra i pezzi d’arte orientale all’incanto ci sono stati un vaso flambè, marcato con il nome dell’imperatore Qianlong, come tutti gli oggetti commissionati dal palazzo imperiale (stima: 30.000 - 40.000 €), e una coppia di cachepots della fine dell’800 realizzati per una concubina, che poi divenne imperatrice riuscendo a portare il figlio sul trono (stima: 20.000 - 30.000 €). Il top lot è stato senz’altro la rara figura di Guanyin incoronata, statua in bronzo parzialmente dorata proveniente probabilmente da un tempio (stima: 50.000 - 70.000 €). L’asta si svolgerà in una doppia tornata: la prima alle ore 10 (lotti 1 – 158) e la seconda alle ore 14 (159 – 318).
Le aste di Cambi si sono chiuse giovedì 24 febbraio con «Design Lab» (in una tornata unica a partire dalle ore 14). Tra i pezzi all’incanto si segnalano un mobile contenitore di Borsani (stima: 1.500 – 2.000 €) e una lampada di Achille e Piergiacomo Castiglioni (stima: 1.000 – 2.000 €); mentre il lotto simbolo di questo appuntamento è stato uno dei pezzi cult del design degli anni ’70: la «Poltrona Piede UP7» di Gaetano Pesce (stima: 2.000 – 4.000 €).
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.cambiaste.com.
Su Zoom due incontri sulla mostra veneziana «Surrealismo e magia. La modernità incantata»
C’è grande attesa per la mostra «Surrealismo e magia. La modernità incantata», che aprirà al pubblico il prossimo 9 aprile alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia. In preparazione alla prima esposizione interamente dedicata all’interesse dei surrealisti per la magia, l’alchimia e l’occulto, il 24 febbraio e il 10 marzo, alle ore 18, Gražina Subelytė, curatrice dell’esposizione e associate curator del museo lagunare, conduce su Zoom due incontri, gratuiti e aperti a tutti, volti a presentare e approfondire alcune delle tematiche chiave della mostra. Si tratta dei primi due appuntamenti di un ricco calendario di Public Programs che accompagnerà la mostra nel corso della sua apertura, fino al 26 settembre.
Durante il primo talk del 24 febbraio, dal titolo «Segreti esoterici: il Surrealismo e il suo esordio magico», si è guardato, nello specifico, al rapporto tra Surrealismo e Romanticismo, Simbolismo, Medioevo e Rinascimento nordico, nonché l’arte metafisica, introducendo nozioni e simboli fondamentali che rivelano il lato magico dell’arte surrealista. Se la centralità dell’onirico, dell’irrazionale e dell’inconscio nel movimento è ben nota, meno nota è invece la fascinazione per temi quali la magia, l'alchimia e l'occulto. Il poeta francese André Breton, nel suo libro «L’arte magica» (1957), definisce il Surrealismo come la riscoperta della magia in una modernità disincantata e razionalizzata. Così facendo, Breton inserisce il movimento come ultima espressione di una lunga tradizione di «arte magica», rappresentata, per esempio, dai pittori Hieronymus Bosch, Hans Baldung Grien, Albrecht Dürer e Francisco Goya, il cui immaginario fantastico affascina i surrealisti.
Il 10 marzo è previsto, invece, un incontro dal titolo «Simboli di guarigione: Surrealismo e magia negli anni ’40». Per informazioni e iscrizioni ai due incontri, si deve scrivere a didattica@guggenheim-venice.it.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il link https://www.guggenheim-venice.it/it/mostre-eventi/mostre/surrealismo-e-magia-la-modernita-incantata/.
Il Maxxi di Roma ricorda Francesca Alinovi
Il Maxxi - Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma, in collaborazione con la Fondazione In Between Art Film, omaggia Francesca Alinovi (Parma, 28 gennaio 1948 - Bologna, 12 giugno 1983), una delle grandi protagoniste del clima di sperimentazione artistica che ha caratterizzato il passaggio tra gli anni Settanta e Ottanta.
Mercoledì 23 febbraio, dalle 17 alle 20:30, si è tenuto un simposio a ingresso gratuito, con prenotazione sul sito maxxi.art. L’idea del panel è nata dal dialogo tra Paola Ugolini e Veronica Santi, autrice del documentario «I am not alone anyway» e co-curatrice con Matteo Bergamini del volume «Francesca Alinovi» (2019,) che raccoglie scritti e saggi in parte inediti. Coinvolgendo storici, critici e artisti che negli anni hanno continuato ad approfondire il suo lavoro e valorizzarne la memoria, l’obiettivo del simposio è storicizzare e attualizzare la figura di Francesca Alinovi e la sua impostazione critica tracciando una linea storica che dalla fine degli anni Settanta arriva alla scena contemporanea. Hanno introdotto Bartolomeo Pietromarchi e Alessandro Rabottini. Sono intervenuti Maria Alicata, Matteo Bergamini, Dafne Boggeri, Ivo Bonacorsi, Piersandra Di Matteo, Maria Luisa Frisa, Marcello Jori, Fabiola Naldi, Veronica Santi. Hanno moderato Paola Ugolini.
In occasione del convegno, dal 23 al 27 febbraio (alle ore 11.30 | 13.00 | 14.30 | 16.00 | 17.30), nella videogallery del Maxxi, sarà proiettato il documentario «I am not alone anyway» (2017, durata 75 min), che ripercorre la parabola esistenziale nelle avanguardie artistiche di Francesca Alinovi. Il film ha lo scopo di riportare alla luce il pensiero critico della studiosa, per anni oscurato dalla sua tragica scomparsa nel 1983 divenuta un famoso caso di cronaca nera, con interviste ad artisti, colleghi e amici.
Una ricca selezione di materiale dell'epoca testimonia l'effervescente panorama artistico di New York, dove Francesca Alinovi frequenta la scena New Wave, i graffitisti del Bronx e l’East Village. Il documentario ricostruisce anche la vivacità culturale dell’Italia e di Bologna ngli anni a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta, con le prime edizioni della Settimana internazionale della performance, l’attività degli autori di Linus, Valvoline e Frigidaire, a partire da Andrea Pazienza e Marcello Jori, il teatro d'avanguardia dei Magazzini criminali e della Raffaello Sanzio Societas, il design dello Studio Alchimia e di Alessandro Mendini, gli artisti italiani del postmoderno, tra cui Luigi Ontani e Salvo, fino ad arrivare al manifesto dell'Enfatismo.
Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina https://www.maxxi.art/events/i-am-not-alone-anyway/.
[Nell’immagine: Francesca Alinovi, ritratto, foto © Lucio Angeletti]
«Dai romantici Segantini», la mostra padovana si può vedere anche on-line
Si può visitare anche da casa la mostra «Dai romantici a Segantini. Storie di lune e poi di sguardi e montagne. Capolavori dalla Fondazione Oskar Reinhart», che raccoglie nelle sale del Centro San Gaetano di Padova settantasei opere che danno testimonianza della ricerca e dei movimenti artistici tra Svizzera e Germania, tra Ottocento e Novecento. Giovedì 24 febbraio, alle 21, il curatore Marco Goldin ha tenuto una visita guidata in diretta su Zoom. Il racconto è stato arricchito da contenuti extra e immagini in alta definizione, montate da Alessandro Trettenero. L’appuntamento on-line, della durata di circa ottanta minuti, è stato pensato per tutti coloro che non abbiano ancora potuto visitare la mostra padovana o vogliano rivivere le emozioni provate lungo il percorso espositivo. Br> Acquistando il biglietto sul sito Linea d’Ombra (biglietto.lineadombra.it), si potrà rivivere l’evento fino al 27 febbraio, compiendo così un viaggio che spazia da Caspar David Friedrich, a Giovanni Giacometti, padre di Alberto, e Giovanni Segantini, passando attraverso artisti noti come Bocklin, Albert Anker o Ferdinand Hodler, un cui quadro, «Sguardo verso l'infinito», chiude significativamente il percorso espositivo. A conclusione della visita guidata, lo stesso curatore risponderà in diretta alle domande del pubblico.
In questi stessi giorni è possibile vedere su YouTube due anteprime dedicate alle opere «Città al sorgere della luna» (1817, Kunst Museum Winterthur, Fondazione Oskar Reinhart) di Friedrich (https://youtu.be/u5Uj2WFtQx0) e «Paesaggio alpino con donna all'abbeveratoio» (1893 circa, Kunst Museum Winterthur, Fondazione Oskar Reinhart) di Segantini (https://youtu.be/TZ99uzgJPF0).
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito https://www.lineadombra.it.
[Nella foto: Caspar David Friedrich, «Le bianche scogliere di Rügen», 1818, olio su tela, cm 90 x 70 Kunst Museum Winterthur, Fondazione Oskar Reinhart © SIK-ISEA, Zurigo (Philipp Hitz)]
«Dai romantici Segantini», la mostra padovana si può vedere anche on-line
Si può visitare anche da casa la mostra «Dai romantici a Segantini. Storie di lune e poi di sguardi e montagne. Capolavori dalla Fondazione Oskar Reinhart», che raccoglie nelle sale del Centro San Gaetano di Padova settantasei opere che danno testimonianza della ricerca e dei movimenti artistici tra Svizzera e Germania, tra Ottocento e Novecento. Giovedì 24 febbraio, alle 21, il curatore Marco Goldin ha tenuto una visita guidata in diretta su Zoom. Il racconto è stato arricchito da contenuti extra e immagini in alta definizione, montate da Alessandro Trettenero. L’appuntamento on-line, della durata di circa ottanta minuti, è stato pensato per tutti coloro che non abbiano ancora potuto visitare la mostra padovana o vogliano rivivere le emozioni provate lungo il percorso espositivo. Br> Acquistando il biglietto sul sito Linea d’Ombra (biglietto.lineadombra.it), si potrà rivivere l’evento fino al 27 febbraio, compiendo così un viaggio che spazia da Caspar David Friedrich, a Giovanni Giacometti, padre di Alberto, e Giovanni Segantini, passando attraverso artisti noti come Bocklin, Albert Anker o Ferdinand Hodler, un cui quadro, «Sguardo verso l'infinito», chiude significativamente il percorso espositivo. A conclusione della visita guidata, lo stesso curatore risponderà in diretta alle domande del pubblico.
In questi stessi giorni è possibile vedere su YouTube due anteprime dedicate alle opere «Città al sorgere della luna» (1817, Kunst Museum Winterthur, Fondazione Oskar Reinhart) di Friedrich (https://youtu.be/u5Uj2WFtQx0) e «Paesaggio alpino con donna all'abbeveratoio» (1893 circa, Kunst Museum Winterthur, Fondazione Oskar Reinhart) di Segantini (https://youtu.be/TZ99uzgJPF0).
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito https://www.lineadombra.it.
[Nella foto: Caspar David Friedrich, «Le bianche scogliere di Rügen», 1818, olio su tela, cm 90 x 70 Kunst Museum Winterthur, Fondazione Oskar Reinhart © SIK-ISEA, Zurigo (Philipp Hitz)]
Per sei anni Sebastião Salgado ha viaggiato nell’Amazzonia brasiliana, fotografando la foresta, i fiumi, le montagne e le persone che vi abitano. Sono nate così oltre duecento immagini, che è possibile vedere sino al prossimo 25 aprile al Maxxi di Roma, con l’accompagnamento sonoro creato per l’occasione da Jean-Michel Jarre. Il fruscio degli alberi, le grida degli animali, il canto degli uccelli o il fragore delle acque che scendono dalla cima delle montagne, raccolti in loco, compongono il paesaggio sonoro della mostra.
In occasione dell’appuntamento espositivo, venerdì 25 febbraio, alle ore 18, si è tenuto il talk «Territori del futuro. Emergenza climatica e salvaguardia degli ecosistemi». Introdotti da Pietro Barrera, segretario generale della Fondazione Maxxi, e da Franco Ippolito, presidente della Fondazione Lelio e Lisli Basso Onlus, sono intervenuti Ivanilde Carvalho, Luigi Ferrajoli, Stefano Liberti, Gianni Tognon e, in video, Marcela Vecchione Gonçalves, ricercatrice e docente al Centro di studi avanzati sull’Amazzonia nell’Università Federale del Pará, in Brasile. Ha moderato la giornalista Anna Maria Giordano.
Focus dell’incontro, in programma in Sala Carlo Scarpa, è stata l’Amazzonia, intesa come una finestra sul mondo in cui viviamo, specchio degli effetti del cambiamento climatico e del collasso ecologico che rischiamo di affrontare. Il dialogo tra le comunità indigene e contadine che vivono nella regione e gli esperti che la osservano può offrire nuovi elementi per riformulare la convivenza tra popoli e ambiente e superare le logiche di sfruttamento irrazionale.
A seguire si è tenuta la proiezione del video «Manta Manaos» dell’artista e attivista ecuadoriana Rosa Jijón, che racconta il grande progetto di costruzione di un asse fluviale e stradale tra Manta (Ecuador) e Manaos (Brasile), uno sguardo critico su possibili disastri socio-ambientali su cui è fondamentale riflettere.
Per maggiori informazioni: https://www.maxxi.art.