Quel giovane elevato al rango di semidio ad appena nove anni e morto prematuramente e inaspettatamente nel 1824 a.C., non ancora ventenne, per un intreccio di casualità, 3342 anni dopo la sua sepoltura, stava per diventare uno dei faraoni più famosi dell’antico Egitto, l’unico capace di guadagnarsi la celebrità per il suo sarcofago d’oro massiccio, per i suoi gioielli, per le sue armi, per le sue gemme, per il suo trono e, ultimo ma non ultimo, per quella leggendaria e misteriosa «maledizione» che sembra aver colpito tutti quelli che parteciparono al ritrovamento della tomba.
A questa storia, che principia il 26 novembre 1922, è dedicato il nuovo film-evento del progetto «La grande arte al cinema» di Nexo Digital, «Tutankhamon. L’ultima mostra», su soggetto e per la regia di Ernesto Pagano, in cartellone nei principali cinema italiani dal 9 all’11 maggio.
Ad accompagnare lo spettatore nel racconto di questa vicenda entusiasmante - che farà tappa anche tra le sale del Museo egizio del Cairo e nelle location di Los Angeles, Londra e Parigi, dove, a partire dal 2018, sono stati ospitati centocinquanta oggetti del tesoro appartenuto al leggendario faraone egizio (l’intero corredo è composto da 5398 manufatti) - sarà Manuel Agnelli, vincitore del David di Donatello per la migliore canzone originale con la sua «La profondità degli abissi», brano inserito nel film «Diabolik» dei Manetti Bros.
Mentre la colonna sonora del progetto cinematografico di Ernesto Pagano, che sarà disponibile da questo maggio su etichetta Nexo Digital, porta la firma di Marco Mirk, che ha realizzato per l’occasione, a suo dire, «musiche orchestrali e sognanti, colorate da chitarre elettriche dilatate e pianoforti arpeggiati», ma anche melodie «più psichedeliche con synth scuri e dal sapore enigmatico» o «più post rock con batterie riverberate e chitarre desertiche».
Il docu-film, prodotto da Laboratoriorosso, nasce, inoltre, da un confronto serrato tra Ernesto Pagano e il fotografo Sandro Vannini, conosciuto per il suo lavoro ormai ventennale attorno alle antichità egiziane e, in particolare, alla figura di Tutankhamon. Sono, infatti, sue le immagini che corredano il catalogo della più grande mostra internazionale mai dedicata al «Golden Boy», l’ultima in assoluto che ha acceso i riflettori sul tesoro del giovane faraone perché, per volere del governo egiziano, ora questo patrimonio immenso diverrà inamovibile e potrà essere visitato solo nella sua sede del Cairo.
Le fotografie ad altissima risoluzione di Sandro Vannini, unico fotografo ad aver avuto accesso al tesoro liberato dalle sue vetrine, prima della partenza per la tournée internazionale della mostra «King Tut. Treasures of the Golden Pharaoh», raccontano come gli oggetti danneggiati nel corso della Rivoluzione egiziana del 2011 abbiano recuperato le loro fattezze originarie grazie al sapiente lavoro dei restauratori.
Il lavoro di Sandro Vannini, commissionato nel 2017 dalla società Img, è basato principalmente su tecnologie digitali sofisticate e d'avanguardia che, applicate alla ricostruzione virtuale, alla fotografia e alle riprese video, rappresentano la nuova frontiera della narrazione e della descrizione dei patrimoni artistici e culturali.
Le fotografie ad altissima risoluzione di Sandro Vannini, unico fotografo ad aver avuto accesso al tesoro liberato dalle sue vetrine, prima della partenza per la tournée internazionale della mostra «King Tut. Treasures of the Golden Pharaoh», raccontano come gli oggetti danneggiati nel corso della Rivoluzione egiziana del 2011 abbiano recuperato le loro fattezze originarie grazie al sapiente lavoro dei restauratori.
Il lavoro di Sandro Vannini, commissionato nel 2017 dalla società Img, è basato principalmente su tecnologie digitali sofisticate e d'avanguardia che, applicate alla ricostruzione virtuale, alla fotografia e alle riprese video, rappresentano la nuova frontiera della narrazione e della descrizione dei patrimoni artistici e culturali.
Grazie all’incarico ricevuto in esclusiva, il fotografo non ha solo avuto la fortuna di poter «mettere in posa» il tesoro del giovane faraone, ma si è anche trovato nella posizione unica di raccontare dall’interno come viene spostato un capolavoro fragile e prezioso come l’imponente Statua del guardiano del re in legno dipinto e dorato (mai più mossa da quando Carter l’aveva inviata da Luxor al Cairo alla fine degli anni Venti).
Attraverso le spettacolari e rivoluzionarie fotografie di Sandro Vannini si snoda anche la ricostruzione di stralci della vita e del rituale funebre del faraone della XVIII dinastia.
Mentre grazie a uno dei più ricchi archivi fotografici privati del mondo dedicati al tesoro e a materiali fotografici e cinematografici originali raccolti tra il Metropolitan Museum di New York e il Griffith Institute di Oxford, gli spettatori potranno rivivere i momenti più emozionanti della scoperta della tomba e del suo tesoro, l’eco della celebre maledizione di Tutankhamon, i frammenti della storia del giovane faraone.
Come in una macchina del tempo, il docu-film porterà, dunque, gli spettatori a cento anni fa raccontando – anche attraverso interviste a esperti e letture drammatizzate dei diari di Howard Carter – la storia dell’epocale scoperta del 1922, con la conseguente ondata di «Tutmania», che rese un archeologo inglese ostinatamente innamorato dell’Egitto e il suo finanziatore, Lord Carnarvon, due star mediatiche. «Nel 1924, mentre Billy Jones & Ernest Hare – racconta, a tal proposito, il regista - suonavano il primo pezzo ballabile di successo, intitolato «Old King Tut», alla British Empire Exhibition di Wembley veniva aperta al pubblico una ricostruzione della tomba di Tutankhamon capace di attirare folle oceaniche di visitatori». Era l’inizio di una fama che non è mai andata scemando».
Attraverso le spettacolari e rivoluzionarie fotografie di Sandro Vannini si snoda anche la ricostruzione di stralci della vita e del rituale funebre del faraone della XVIII dinastia.
Mentre grazie a uno dei più ricchi archivi fotografici privati del mondo dedicati al tesoro e a materiali fotografici e cinematografici originali raccolti tra il Metropolitan Museum di New York e il Griffith Institute di Oxford, gli spettatori potranno rivivere i momenti più emozionanti della scoperta della tomba e del suo tesoro, l’eco della celebre maledizione di Tutankhamon, i frammenti della storia del giovane faraone.
Come in una macchina del tempo, il docu-film porterà, dunque, gli spettatori a cento anni fa raccontando – anche attraverso interviste a esperti e letture drammatizzate dei diari di Howard Carter – la storia dell’epocale scoperta del 1922, con la conseguente ondata di «Tutmania», che rese un archeologo inglese ostinatamente innamorato dell’Egitto e il suo finanziatore, Lord Carnarvon, due star mediatiche. «Nel 1924, mentre Billy Jones & Ernest Hare – racconta, a tal proposito, il regista - suonavano il primo pezzo ballabile di successo, intitolato «Old King Tut», alla British Empire Exhibition di Wembley veniva aperta al pubblico una ricostruzione della tomba di Tutankhamon capace di attirare folle oceaniche di visitatori». Era l’inizio di una fama che non è mai andata scemando».
Il racconto storico permetterà di arrivare anche all’epoca contemporanea quando il celebre archeologo Zahi Hawass, Ministro delle antichità egizie fino al 2011, trasformò il «Golden Boy» in un ambasciatore d’Egitto nel mondo. Fu in quegli anni che per la prima volta venne fattaa una Tac alla mummia del faraone per indagarne le cause della morte: proprio alle scansioni di quelle Tac è stato concesso l’accesso esclusivo in occasione del docu-film.
La storia del progetto cinematografico di Ernesto Pagano è, dunque, avvincente ed ha anche una morale. Secondo gli egizi, l’eternità di un uomo finirà soltanto quando non ci sarà più nessuno al mondo a pronunciare il suo nome. Cento anni fa il «Golden Boy», a lungo dimenticato, è ritornato sotto i riflettori. La giostra dei media e delle mostre internazionali, così come dei documentari e dei libri fotografici, continua ancora oggi a vorticare, luccicante e piena di fascino, attorno al suo nome e al suo volto, riscoperto grazie alla folle ostinazione di un uomo innamorato dell’archeologia. La maschera d’oro di Tutankhamon e la scoperta di Howard Carter rimangono e rimarranno ben incise e vive nella memoria dell’umanità. I loro nomi continueranno a essere pronunciati ad alta voce. Saranno consegnati all’eternità.
La storia del progetto cinematografico di Ernesto Pagano è, dunque, avvincente ed ha anche una morale. Secondo gli egizi, l’eternità di un uomo finirà soltanto quando non ci sarà più nessuno al mondo a pronunciare il suo nome. Cento anni fa il «Golden Boy», a lungo dimenticato, è ritornato sotto i riflettori. La giostra dei media e delle mostre internazionali, così come dei documentari e dei libri fotografici, continua ancora oggi a vorticare, luccicante e piena di fascino, attorno al suo nome e al suo volto, riscoperto grazie alla folle ostinazione di un uomo innamorato dell’archeologia. La maschera d’oro di Tutankhamon e la scoperta di Howard Carter rimangono e rimarranno ben incise e vive nella memoria dell’umanità. I loro nomi continueranno a essere pronunciati ad alta voce. Saranno consegnati all’eternità.
Informazioni utili