ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 23 ottobre 2024

Sul Treno del Foliage alla scoperta dell’arte di Lorenzo Peretti e Gian Maria Rastellini

Quattro ore di viaggio, cinquantadue chilometri di binari, quattro valli incontaminate, ottantatré ponti, trentuno gallerie e un paesaggio sempre differente, nel quale dominano le tonalità calde degli ocra, dei rossi, degli aranciati e dei marroni che colorano boschi di castagni, vigneti, prati per il pascolo, faggeti e paesi ricchi di testimonianze del passato: sono questi i numeri di un’esperienza da vivere tra il Lago Maggiore e la Valle d’Ossola, che rende l’autunno ancora più speciale. Stiamo parlando del Treno del Foliage®, linea panoramica sulla storica Ferrovia Vigezzina-Centovalli, che dal 25 novembre 1923 collega la piemontese Domodossola alla ticinese Locarno.

Attiva trecentosessantacinque giorni all'anno, nel periodo autunnale questa tratta ferroviaria è in grado di regalare una variopinta avventura sui suoi caratteristici trenini vintage bianchi e blu, tutti con ampie vetrate panoramiche, che lascia la meraviglia negli occhi, tanto da essere stata inserita dalla «Lonely Planet» tra le dieci linee più spettacolari d’Europa.

Definito «uno dei must turistici autunnali» tra il nostro Paese e la Svizzera, il Treno del Foliage®, sperimentabile fino al 17 novembre con un biglietto A/R dalla tariffa promozionale, comprensivo di una sola fermata facoltativa lungo il percorso, parte, per quanto riguarda la tratta italiana, dalla cittadina di Domodossola, con i suoi gioielli architettonici come la splendida piazza del Mercato e Palazzo san Francesco. Sale, poi, fino alla «valle dei pittori», la Valle Vigezzo, con il suo punto più alto nel borgo di Santa Maria Maggiore. A questa altitudine i treni proseguono fino al confine, toccando Re con il suo celebre Santuario della Madonna del Sangue. Superato il valico, i binari iniziano a scendere lentamente attraverso le Centovalli fino a raggiungere Locarno e la sponda elvetica del Lago Maggiore, prima di rifare il viaggio in senso opposto.

Tra le tappe intermedie della ferrovia ci sono anche il borgo vigezzino di Malesco e le località svizzere di Intragna, con il campanile più alto del Ticino e il Museo regionale, e di Verdasio, da cui partono due funivie per raggiungere comodamente le alte quote e ammirare i colori dell’autunno da un punto di osservazione privilegiato.

Ma quest’anno il Treno del Foliage® non è solo un viaggio nella natura illuminata da una tavolozza di colori caldi, talvolta incorniciata dal bianco delle prime nevicate sulle vette alpine, ma è anche un’occasione per scoprire i pittori di questi territori, ma non solo. A Domodossola, nelle sale dei Musei civici «Gian Giacomo Galletti» è, per esempio, visitabile la mostra «I tempi del Bello. Tra mondo classico, Guido Reni e Magritte», a cura di Antonio D’Amico, Stefano Papetti e Federico Troletti. Si tratta di un percorso nell’interpretazione del concetto di bellezza come frutto di un equilibrio tra valori estetici ed etici, secondo una concezione antica espressa dal termine greco kalokagathìa, che spazia dall’epoca romana al Novecento, attraverso quarantasei opere – dipinti e sculture in marmo e bronzo, provenienti da importanti musei italiani e da prestigiose collezioni private – che portano la firma di artisti del calibro di Peter Paul Rubens, Ludovico Carracci, Antonio Canova, Pompeo Batoni, Achille Funi, Mario Sironi, Massimo Campigli e Giorgio De Chirico. Punto di riferimento per questo percorso che racconta come, attraverso i secoli, gli artisti abbiano guardato ai modelli antichi come punto di riferimento per il loro lavoro è la statuaria classica del Museo nazionale romano e delle Terme di Diocleziano, esposto per la prima volta nel capoluogo ossolano.

Sempre a Domodossola si può visitare, a Casa De Rodis, la mostra «Lorenzo Peretti (1871-1953). Natura e mistero», curata da Elena Pontiggia e organizzata dalla Collezione Poscio, che ripercorre tutta la breve vicenda di questo singolare artista vigezzino, dal «carattere misantropo» (per usare le parole del suo maestro Enrico Cavalli), che ha dipinto solo una dozzina d’anni, non ha mai esposto durante la sua vita e nel suo studio non faceva entrare nessuno. Il percorso espositivo si articola in un’ottantina di opere che offrono uno sguardo completo sulla produzione di questo pittore colto e misterioso, ancora poco conosciuto, da qualcuno considerato addirittura un alchimista in odore di stregoneria. Attraverso tele di impronta divisionista (che colpirono anche l’attenzione di Angelo Morbelli) come «Oratorio», «Lavandaie alla lanca di Toceno» e «Paesaggio» (tutti del 1895-97), un quadro visionario come «Bosco dei druidi» (1898 ca), l’incompleto lavoro «Parigi» (1903) e, ancora, paesaggi, ritratti dei familiari e autoritratti, il visitatore può ripercorrere una storia che spazia dal 1980, l’anno in cui Lorenzo Peretti è compagno di studi di Carlo Fornara alla scuola «Rossetti Valentini» di Santa Maria Maggiore, sino al «Testamento filosofico» dei primi anni del Novecento, documento recentemente ritrovato, pervaso di una forte tensione religiosa, nel quale l’artista piemontese spiegava che la natura è un riflesso dell’infinito e nel mondo non c’è nulla che non sia un riverbero di Dio.

Spostandoci a Santa Maria Maggiore merita, infine, una visita, proprio la Scuola di Belle arti «Rossetti Valentini», dove studiò Lorenzo Peretti, che fa da scenografia alla mostra «Gian Maria Rastellini nella Milano di Grubicy e Tosi», a cura di Lorella Giudici e Elisabetta Staudacher: un avvincente viaggio nella pittura ottocentesca italiana, tra paesaggi ossolani, marine ligure, nature morte, ritratti della borghesia lombarda, ma anche numerosi documenti, registri scolastici, lettere, cartoline, oggetti personali e due album fotografici realizzati da Emilio Sommariva.

Viene così ripercorsa la formazione e l’attività pittorica di Gian Maria Rastellini (Buttogno Ossola, 1869 – Milano, 1927), artista che ci ha raccontato il mondo con cromie seducenti, riverberi luminosi e un’attenzione al vero tipica di quel periodo storico, ma anche di suo fratello Gian Battista (Buttogno Ossola, 1860–Milano, 1926), anch’egli pittore e decoratore, attivo soprattutto nel campo del restauro di artisti come il seicentesco Daniele Crespi, in mostra con lavori «di largo impasto, di fermo costrutto e disegno» raffiguranti prevalentemente gente del popolo e nature morte.

Come in un gioco di specchi le mostre di Domodossola e di Santa Maria Maggiore ci raccontano, dunque, il paesaggio della Valli Vigezzo e d’Ossola nell’Ottocento. Mettono davanti ai nostri occhi crinali di montagne, sagome aguzze di campanili, prati, boschi e case immerse nella natura. Ci fanno vedere quello stesso paesaggio che, pur nelle diversità date dallo scorrere dei secoli, il Treno del Foliage® ci restituisce ammantato da una tavolozza di colori ruggine e albicocca, porpora e zafferano, diversi alla luce del sole o sotto la pioggia di una giornata brumosa. Vengono così in mente, guardando fuori dal finestrino e ripensando all’arte di Lorenzo Peretti e Gian Maria Rastellini, le parole di Vincent Van Gogh: «Finché dura l'autunno, non avrò abbastanza mani, tele o colori per dipingere le cose belle che vedo».

Didascalie delle immagini 
[fig. 1] Treno del Foliage - Ferrovia Vigezzina-Centovalli - Foto Emanuela Ricci; [fig. 2] Treno del Foliage - Ferrovia Vigezzina-Centovalli - Foto Marco Benedetto Cerini per visitossola; [figg. 3 e 4] Allestimento della mostra «I tempi del Bello. Tra mondo classico, Guido Reni e Magritte» a Domodossola, nelle sale dei Musei civici «Gian Giacomo Galletti». Foto: © Michela Piccinini; [fig. 5] Lorenzo Peretti, Oratorio, 1895-97. Opera esposta nella mostra «Lorenzo Peretti (1871-1953). Natura e mistero» alla Casa De Rodis di Domodossola; [figg. 6, 7 e 8] Vista della mostra «Gian Maria Rastellini nella Milano di Grubicy e Tosi» a Santa Maria Maggiore. Foto di Marco De Bernardi 
 
Informazioni utili
Treno del Foliage® - Da Domodossola a Locarno. Prezzi: sabato, domenica, festivi e prefestivi - adulti 1a classe € 50 – 2a classe € 40 – biglietto comprensivo di una sola fermata intermedia facoltativa
(all'andata o al ritorno); altri giorni - adulti 1a classe € 46 – 2a classe € 36 – biglietto comprensivo di una sola fermata intermedia facoltativa (all'andata o al ritorno); bambini e ragazzi dai 6 ai 16 anni non compiuti viaggiano con lo sconto del 50%; sotto i 6 anni viaggiano gratis se non occupano un posto a sedere. Note: pper i viaggiatori in arrivo dalla Lombardia, è consigliabile intraprendere il viaggio della Ferrovia VigezzinaCentovalli con partenza dal capolinea svizzero di Locarno, la cui stazione è raggiungibile comodamente con il treno diretto TILO RE80 che collega quotidianamente Milano Centrale a Locarno. I dettagli e il link alla biglietteria online per il Treno del Foliage® sono disponibili su www.vigezzinacentovalli.com/foliage. Informazioni: www.distrettolaghi.it 

«I tempi del Bello. Tra mondo classico, Guido Reni e Magritte»
. Musei civici «Gian Giacomo Galletti» in Palazzo San Francesco - Domodossola (Vb). Giorni e orari d’apertura: da giovedì a domenica: 10-12 / 15-18; lunedì, martedì e mercoledì chiuso. Costi del biglietto: € 8,00 intero; € 6,00 ridotto over 65, tesserati AMO; € 3,00 ridotto bambini/ragazzi da 6 a 19 anni, universitari, guide interpreti e accompagnatori turistici senza gruppo, scuole, accompagnatori diversamente abili; € 15,00 famiglia (genitori con almeno un figlio); gratis: bambini fino 5 anni, diversamente abili con disability card, docenti accompagnatori classi scuole, guide turistiche dell’UE e interpreti turistici nell'esercizio della propria attività professionale; giornalisti; studiosi e ricercatori con esigenze attestate dalle istituzioni di appartenenza- Info e prenotazioni: info@museicivicidomodossola.it - cell. 3385029591. Sito internet: www.museicivicidomodossola.it. Fino al 12 gennaio 2025

«Lorenzo Peretti (1871-1953). Natura e mistero». Casa De Rodis, piazza Mercato 8 - Domodossola (Vb). Orari di apertura: venerdì dalle ore 15 alle ore 19; sabato e domenica dalle ore 10 alle ore 13 e dalle ore 15 alle ore 19. Ingresso: € 5.00 (biglietto nominativo, dà diritto a un successivo ingresso gratuito esibendo un documento), gratuito bambini e studenti con tesserino, visite guidate per scolaresche durante la settimana su prenotazione. Informazioni e prenotazioni: tel. +39.347.7140135, e-mail info@collezioneposcio.it. Sito web: www.collezioneposcio.it. Fino al 26 ottobre 2024

«Gian Maria Rastellini nella Milano di Grubicy e Tosi». Scuola di Belle Arti Rossetti Valentini, Santa Maria Maggiore (VCO). Orari: sabato e domenica dalle 10 alle 12:30 e dalle 16 alle 18.Ingresso a contribuzione responsabile, Informazioni: www.fondazionerossettivalentini.it. Fino al 3 novembre 2024

martedì 22 ottobre 2024

Marcello Mastroianni, quattro mostre per celebrare cent'anni di cinema e di vita

«Marcello, Marcello, come here! Hurry up!»: l’invocazione della giunonica Anita Ekberg, mentre cammina languida nell’acqua della fontana di Trevi, è diventata la scena cult di uno dei film più amati di Federico Fellini e il simbolo di una delle icone cinematografiche del made in Italy. Quella pellicola, datata 1960, era «La dolce vita» - Palma d’oro al festival di Cannes, nella giuria presieduta da George Simenon, Oscar per i costumi a Piero Gherardi, David di Donatello per la regia a Federico Fellini e svariati altri riconoscimenti ai Nastri d’argento del 1961. E quel Marcello era Marcello Mastroianni, il volto maschile più noto e riconoscibile del nostro cinema, interprete, in oltre cinquant’anni di carriera, di centinaia di pellicole che lo hanno visto lavorare con i maggiori registi del suo tempo tra cui Vittorio De Sica, Luchino Visconti, Mario Monicelli, Pietro Germi, Dino Risi, Ettore Scola, Michelangelo Antonioni e con altri grandi attori protagonisti della commedia all’italiana come Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman e Nino Manfredi.

Il suo talento attoriale, straordinario e poliedrico, che gli ha permesso di cimentarsi nei più disparati generi cinematografici e in ruoli ricchi sempre di nuove sfumature, unito all’eleganza innata, alla bellezza involontaria, a una buona dose di riservatezza e a quella rara capacità che hanno solo i grandi di non prendersi mai troppo sul serio - che non è umiltà, ma saggia conoscenza del mondo e dei suoi equilibri precari - hanno fatto di Marcello Mastroianni un divo sui generis, una star «sempre in punta di piedi», per usare le parole di Federico Fellini, che gli era amico nella vita privata e che lo diresse anche in un altro capolavoro del cinema italiano come «8 e mezzo», ma anche nei film «La città delle donne», «Ginger e Fred» e «Intervista».

Poco incline al divismo e all’etichette stereotipate come quella di latin-lover, affibbiatagli per il suo fascino indolente che ammaliò più di una donna dello spettacolo - da Silvana Mangano a Catherine Deneuve, da Flora Carabella a Faye Dunaway, senza dimenticare la regista Anna Maria Tatò -, l’attore di Fontana Liri (cittadina in provincia di Frosinone), figlio di artisti-artigiani del legno e nessun studio all’Accademia d’arte drammatica alle spalle, era più che altro un «anti-divo di successo», come ebbe a scrivere il giornalista Paolo Emilio Poesio. Lo dimostra chiaramente il suo curriculum con un palmares di coppe e di nomination da fare invidia, che lo classificano come l’attore italiano più premiato di sempre: tre candidature all'Oscar per «Divorzio all'italiana» (1961), «Una giornata particolare» (1977) e «Oci ciornie» (1987), due Prix d’interprétation masculine al Festival di Cannes, due Coppe Volpi, otto David di Donatello, due Golden Globe, due Premi Bafta, otto Nastri d'argento e, nel 1990, un Leone d’oro alla carriera al Festival del cinema di Venezia. Ed è proprio l’etichetta «anti-divo di successo» a essere stata scelta come titolo della mostra che Lucca dedica, negli spazi di Palazzo Pfanner, a Marcello Mastroianni, in occasione dei cent’anni dalla nascita (28 settembre 1924) e a ventotto dalla morte (19 dicembre 1996).

Manifesti originali, locandine, foto-buste e bozzetti pubblicitari, provenienti dalla sterminata collezione di Alessandro Orsucci, documentano quasi sessant’anni di storia del nostro cinema, dal Neorealismo alla Commedia all’italiana. Il percorso parte, infatti, dagli anni Cinquanta e dalla pellicola «Domenica d'agosto» di Luciano Emmer, con un Marcello Mastroianni esordiente, doppiato da Alberto Sordi, per giungere agli anni Novanta e all’intensa interpretazione di «Sostiene Pereira» (1995), film diretto da Roberto Faenza e tratto dall’omonimo romanzo di Antonio Tabucchi, passando per pellicole quali «Cronache di poveri amanti» (1954) di Carlo Lizzani, «Le notti bianche» (1954) di Luchino Visconti, «I soliti ignoti» (1958) di Mario Monicelli, «Il bell’Antonio» (1960) di Mauro Bolognini, «Divorzio all’italiana» (1961) di Pietro Germi, «La notte» (1961) di Michelangelo Antonioni, «Dramma della gelosia» (1970) di Ettore Scola e «La grande abbuffata» (1973) di Marco Ferreri, senza dimenticare i successi diretti da Federico Fellini.

In quegli anni, Marcello Mastroianni è sul set con attrici dall’indubbio fascino come Monica Vitti, Claudia Cardinale, Sandra Milo e Stefania Sandrelli e con attori di comprovata bravura quali Giancarlo Giannini, Ugo Tognazzi, Vittorio De Sica, Michel Piccoli e Philippe Noiret. In quei film veste, di volta in volta, i panni del giornalista, del regista in crisi esistenziale, del seduttore, del prete, dell'omosessuale e del marito infedele, con la stessa identica credibilità, così da diventare la perfetta metafora dell’«italiano ideale», ora sex symbol ora uomo pieno di fragilità e tenerezza, malinconia e rammarico, arrendevolezza e colpa, empatia e azzardo.

Nella mostra lucchese, non manca, poi, un focus sulla collaborazione tra l’attore laziale e Sofia Loren, la coppia d’oro del cinema italiano, insieme sul grande schermo per ben quattrodici volte, dal film «Cuori sul mare» del 1950, in cui l’attrice napoletana ha appena sedici anni ed è una semplice comparsa, fino a pellicole applaudite come «Peccato che sia una canaglia» di Alessandro Blasetti (1954), «Ieri, oggi, domani» (1963) di Vittorio De Sica (con l'indimenticabile scena dello spogliarello), «Matrimonio all'italiana» (1964), sempre di Vittorio De Sica, e «Una giornata particolare» di Ettore Scola (1977).

Vale, infine, la pena sottolineare che a fare da filo rosso al racconto espositivo, ideato in occasione del Lucca Film Festival, è la musica con un allestimento di colonne sonore originali in vinile, composte da maestri quali Nino Rota, Carlo Rustichelli, Armando Trovajoli e Ennio Morricone, corredate di copertine originali, spesso disegnate, oltre a libri e spartiti musicali.

Anche Roma rende omaggio, in questi giorni, a Marcello Mastroianni con la mostra «Ieri, Oggi, Sempre», per la curatela di Gianluca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna, che porta negli spazi di Castel Sant’Angelo cento scatti fotografici di celebri maestri dell’obbiettivo che hanno catturato il volto pubblico e quella privato dell’attore, restituendoci un duplice ritratto, quello dell’interprete amato dal grande pubblico e quello, più intimo e domestico, lontano dalle luci della ribalta, con la famiglia d’origine o gli amici, in quella che l’attore definiva la sua «vita tra parentesi», dove le parentesi erano il palcoscenico di un teatro o il set di un cinema.

A Torino, invece, il centenario della nascita di Marcello Mastroianni viene ricordato attraverso una piccola mostra open-air formata da dodici pannelli di grande formato, su cui sono riprodotti diciassette ritratti dell’attore provenienti dall’Archivio fotografico di Angelo Frontoni. Gli scatti, insieme intensi e scanzonati, sono stati selezionati da Roberta Basano per essere collocati sulla cancellata della Mole Antonelliana, il Museo nazionale del cinema, ed essere così fruibili dal pubblico ventiquattro ore su ventiquattro.

Infine, a Venezia è l’isola di San Servolo a fare da scenografia alla mostra «Marcello, come here… Cent’anni e oltre cento volte Mastroianni», a cura di Laura Delli Colli, con immagini, anche inedite, e filmati d’archivio provenienti dal Centro sperimentale di cinematografia. Ne esce il ritratto di «un uomo che attraverso i suoi personaggi – si legge nella nota stampa - ha unito al fascino di un’indolenza leggiadra un carisma e una capacità interpretativa che ha toccato tutte le corde del cinema, dalla commedia al dramma, e un feeling speciale, nella vita come sulla scena, con le donne, sì, ma soprattutto con il suo pubblico».

Marcello Mastroianni era, in effetti, amato perché era indubitabilmente bravo, ma anche perché aveva capito che il set di un cinema o il palcoscenico di un teatro erano «un luogo dove si giuoca a far sul serio» (mutuando le parole dai «Sei personaggi in cerca d’autore» di Luigi Pirandello) e, con leggerezza calviniana – ovvero senza mai prendersi troppo sul serio, ma sempre con un lavoro costante, ostinato e mai superficiale -, aveva finito per essere il più umano tra i divi, il più divino tra gli umani. Intelligente. Istrionico. Unico.

---------------------------------------

[Aggiornamento di domenica 3 novembre 2024]

CINEMA & FOTOGRAFIA: RIMINI CELEBRA MARCELLO MASTROIANNI, «L'ANTIDIVO DI SUCCESSO» 
Si arricchisce di una nuova mostra l'ampio omaggio che l'Italia fa a Marcello Mastroianni in occasione dei cento anni dalla nascita. Nell'anniversario della morte di Federico Fellini, scomparso il 31 ottobre di trentuno anni fa, la sua città natale, Rimini, ha aperto l'esposizione «Semplicemente Marcello. Il cinema, il fascino, lo stile di un antidivo di successo», a cura di Laura Delli Colli, giornalista ed esperta di cinema, con la collaborazione di Antonella Felicioni, responsabile dell’Archivio fotografico della Cineteca nazionale.
L'esposizione, allestita fino al 20 gennaio 2025, porta nelle di Palazzo del Fulgor una carrellata di oltre cento immagini tra foto di scena, scatti rubati sul set e qualche prezioso fotogramma, provenienti dal Centro sperimentale di cinematografia, da Reporters Associati & Archivi, da Bridgeman Images, dalla Collezione Maraldi, dalla Fondazione Cineteca di Bologna e dagli archivi di Patrizia Mannajuolo, David Secchiaroli, Emilio Lari e Franco Pinna.
Si tratteggia così il talento poliedrico di uno degli attori più amati del nostro Paese, simbolo riconosciuto in tutto il mondo dell’«italian way of life», la cui multiforme versatilità si impose sulla scena internazionale proprio grazie a due dei film più iconici di Federico Fellini: «La dolce vita» e «8½».
Applaudito come grande attore e identificato a Hollywood come il latin lover italiano, erede del mito di Rodolfo Valentino, Marcello Mastroianni rifiutò spesso indignato l’etichetta attribuitagli dai rotocalchi di irresistibile seduttore. Proprio alcuni ritratti fotografici e immagini di quel fascino speciale che ne accompagnò il successo planetario sono esposti nella prima delle cinque sezioni nelle quali si articola il percorso espositivo riminese, intitolata semplicemente «Marcello!». In questo incipit ci sono gli scatti delle pagine più patinate, che vedono l'attore laziale ritratto in piazza Duomo, a Venezia, al circuito di Monza e anche a Rimini, in spiaggia, con alle spalle il mare.
Come in un gioco di depistaggio e di straniamento il Mastroianni dei ritratti diventa nella seconda sezione della mostra «L’altro Marcello», quello colto sul set, nei momenti di pausa o negli istanti più tesi, prima di una scena. E proprio al «Marcello in scena», quello del grande schermo, è dedicata la terza sezione. Non poteva, poi, mancare «Il dolce cinema», con una selezione di scatti tratti da film nei quali Mastroianni si fatto, forse, invidiare da tanti spettatori uomini in tutto il mondo. Lungo le pareti scorrono le immagini di alcune sequenze di coppia girate insieme a diverse tra le più belle attrici del cinema nazionale e internazionale, da Sofia Loren a Anita Ekberg. A chiudere il percorso è «Caro Marcellino…», una sezione dedicata al rapporto speciale con Federico Fellini che al suo amico e attore preferito era legato affettuosamente dalla stima e dall’amicizia.  
Per maggiori informazioni sulla mostra riminese: fellinimuseum.it.


Didascalia delle immagini
[fig. 1] Immagine guida della mostra «Marcello Mastroianni -  Ieri, Oggi, Sempre» (Roma, Castel Sant’Angelo - Fino al 12 gennaio 2025). Marcello Mastroianni sul set di 8 ½ ph. Paul Ronald © Archivio storico del cinema / AFE; [fig. 2] Marcello Mastroianni e Sofia Loren. Fotografia esposta nella mostra «Marcello Mastroianni -  Ieri, Oggi, Sempre» (Roma, Castel Sant’Angelo - Fino al 12 gennaio 2025); [fig. 3] La Dolce Vita © Reporters Associati & Archivi-Cineteca di Bologna (fotografia esposta nella mostra «Marcello Mastroianni -  Ieri, Oggi, Sempre» (Roma, Castel Sant’Angelo - Fino al 12 gennaio 2025); [fig. 4] La Dolce Vita © Reporters Associati & Archivi-Cineteca di Bologna (fotografia esposta nella mostra «Marcello Mastroianni -  Ieri, Oggi, Sempre» (Roma, Castel Sant’Angelo - Fino al 12 gennaio 2025); [fig. 5] Colonna sonora del film «Ieri oggi e domani» autografata. Opera esposta nella mostra «Marcello Mastroianni. Un antidivo di successo» (Lucca - Fino al 27 ottobre 2024); [fig. 6] Prima locandina del film «La dolce vita» di Federico Fellini. Opera esposta nella mostra «Marcello Mastroianni. Un antidivo di successo» (Lucca - Fino al 27 ottobre 2024); [fig. 7] Veduta della mostra «
Il gioco del cinema. Omaggio a Marcello Mastroianni» (Torino, fino al 28 ottobre 2024); [fig. 8] Locandina della mostra «Semplicemente Marcello. Il cinema, il fascino, lo stile di un antidivo di successo», allestita a Rimini; [fig. 9] 
Marcello Mastroianni sul set del film Lo straniero. Foto di Frontoni. Copy Centro sperimentale di cinematografia. Opera esposta nella mostra «Semplicemente Marcello. Il cinema, il fascino, lo stile di un antidivo di successo», allestita fino al 20 gennaio 2025 a Rimini, nelle sale di Palazzo del Fulgor; [fig. 10] Marcello Mastroianni in La Dolce Vita. Foto di Praturlon. Copy Reporters Associati & Archivi e Fondazione Cineteca di Bologna. Opera esposta nella mostra «Semplicemente Marcello. Il cinema, il fascino, lo stile di un antidivo di successo», allestita fino al 20 gennaio 2025 a Rimini, nelle sale di Palazzo del Fulgor; [fig. 11] Veduta della mostra «Marcello, come here… Cent’anni e oltre cento volte Mastroianni» (Venezia, Isola di San Servolo -  Fino al 9 gennaio 2025)

Informazioni utili
Marcello Mastroianni - Un antidivo di successo. Palazzo Pfanner, via degli Asili, 33 - Lucca. Orari: tutti i giorni, dalle ore 10:00 alle ore 18:00. Ingresso: intero € 4,50, ridotto € 4,00 (ragazzi 12-16 anni / studenti / adulti > 65 anni), gruppi (>10) € 4,00. Informazioni: | www.luccafilmfestival.it. Fino al 27 ottobre 2024
 
Marcello Mastroianni -  Ieri, Oggi, Sempre. Castel Sant’Angelo - sala Clemente VIII, Apollo e Giustizia, Lungotevere Castello 50 - Roma. Orari: da martedì a domenica, dalle ore 9:00 alle ore 19:30 (ultimo ingresso ore 18:30); lunedì chiuso. Biglietti intero € 16,00, ridotto € 2,00 (18-25 anni, gratuità di legge; biglietti acquistabili in loco oppure online al link https://www.gebart.it/musei/museo-nazionale-di-castel-santangelo/ o telefonicamente al numero 06.32810 (lunedì-venerdì, ore 9:30-18:00). Informazioni: www.civita.art . Fino al 12 gennaio 2025

Marcello, come here…Cent’anni e oltre cento volte Mastroianni. Isola di San Servolo - Venezia. Ingresso libero. Informazioni (anche per gli orari): tel. + 39.041.2765001 | https://servizimetropolitani.ve.it/it/sanservolo?view=article&id=1861&catid=58. Fino al 9 gennaio 2025

Il gioco del cinema - Omaggio a Marcello Mastroianni. Museo Nazionale del Cinema - Cancellata esterna, via Montebello, 20 - Torino. Orari: sempre aperto. Ingresso gratuito. Informazioni: https://moleantonellianatorino.it/notizie/60-mole-antonelliana-e-lomaggio-a-marcello-mastroianni.html. Fino al 28 ottobre 2024

lunedì 21 ottobre 2024

«National Gallery 200», al cinema un viaggio intimo ed emozionale tra le opere del museo londinese

Era il 1824 quando il collezionista e banchiere russo John Julius Angerstein vendeva trentotto dipinti della sua collezione - principalmente opere d’arte italiane e fiamminghe, tra cui spiccava la grande pala d’altare «La resurrezione di Lazzaro» di Sebastiano del Piombo - al Parlamento britannico. Nasceva così il primo nucleo della National Gallery di Londra, che trovò dapprima casa in un edificio al n. 100 di Pall Mall per poi spostarsi, nel 1838, nell’attuale sede sul lato nord di Trafalgar Square, progettata dall’architetto William Wilkins e più volte rimaneggiata nel corso dei secoli con interventi di restauro e di ampliamento che hanno visto all’opera, tra gli altri, Edward Middleton Barry e Robert Venturi e che le hanno conferito la dimensione attuale di oltre 46mila metri quadrati, suddivisi in sessantasei gallerie.

Di decennio in decennio, il museo britannico ha arricchito il proprio patrimonio soprattutto grazie al lavoro dei primi direttori, tra i quali si ricordano Charles Lock Eastlake e Frederic William Burton, e a donazioni da parte di privati, che a tutt'oggi rappresentano i due terzi della collezione.

Oggi, a duecento anni dalla fondazione, la National Gallery, con la sua raccolta di oltre duemila e trecento opere, rappresenta il sogno realizzato di re Giorgio IV che voleva dotare il suo Paese di un museo capace di rivaleggiare in magnificenza con il Louvre di Parigi e il Prado di Madrid, ma senza statalizzare le raccolte reali britanniche.
Il museo londinese, guidato dal 2015 da Gabriele Finaldi, offre, infatti, al suo pubblico un viaggio nel mondo dell’arte lungo quasi mille secoli, che spazia dal XIII secolo fino agli inizi del Novecento, e annovera capolavori firmati da maestri del calibro di Bellini, Cézanne, Degas, Leonardo, Raffaello, Rembrandt, Renoir, Rubens, Tiziano, Turner, van Dyck, e Velázquez. La National Gallery è, per esempio, la casa dei «Girasoli» (1888 circa) di Vincent Van Gogh, dello «Stagno delle ninfee» (1899) di Monet, della «Vergine delle Rocce» (1483-1486) di Leonardo da Vinci, della «Battaglia di San Romano» (1440) di Paolo Uccello, della «Cena in Emmaus» (1601) del Caravaggio.

In occasione del bicentenario dalla fondazione, questa storia diventa un film: «National Gallery 200», che sarà nelle sale italiane martedì 22 e mercoledì 23 ottobre nell’ambito della nuova stagione della rassegna «La grande arte al cinema», progetto originale ed esclusivo di Nexo Studios, che a novembre presenterà anche il titolo «Pissarro. Il padre dell’Impressionismo».

Diretto da Ali Ray e Phil Grabsky e prodotto con Exhibition on Screen, il lungometraggio mostra come il potere della grande arte risieda nella sua capacità di comunicare con chiunque, indipendentemente dalle conoscenze storiche e dal background culturale. Dalla guardia di sicurezza al direttore, dal visitatore comune alle celebrità fino ai membri della famiglia reale sono molte le persone che sfilano davanti alla cinepresa dando vita a un discorso corale che non solo dipinge un ritratto, intimo e inedito, della collezione di uno dei musei più importanti del mondo, «scrigno di infinite storie, commoventi, sorprendenti, straordinarie», ma che parla anche di inclusività, soprattutto in un luogo a ingresso gratuito come l’istituzione londinese, perché – come recita il trailer del film – «l’arte è di tutti e tutti hanno da dire qualcosa sull’arte».

Ciascun intervistato ha raccontato l'opera che più gli sta a cuore, secondo il suo punto di vista, spaziando tra capolavori noti a gemme nascoste, da «Pioggia, valore e velocità» (1884) di William Turner a «Gli ombrelli» (1881-1886) di Pierre Auguste Renoir, da «Allegoria del Trionfo di Venere» (1545) del Bronzino al «San Michele trionfa sul demonio» (1468) di Bartolomé Bermejo, ma non solo. 
Tra i tanti, ci faranno così conoscere il loro legame personale con la National Gallery la giornalista Claudia Winkleman, l’attore Michael Palin, al regista Terry Gilliam, la scrittrice Jacqueline Wilson e la principessa Eugenie, che racconta il suo rapporto speciale con la «Madonna della cesta» (1524) del Correggio, «una scena reale e domestica» dalla «natura serena, rilassata ed eterea» che raffigura una madre che si prende cura del proprio figlio.

«Il tentativo dei due registi - si legge nella nota stampa - è quello di incoraggiare il pubblico a guardare coi propri occhi quadri e sculture, senza perdersi dietro la fotografia affrettata e senza rinunciare a creare un contatto personale con l’opera» che si ha di fronte, per capire se questa ha qualcosa da raccontare che possa – in qualche modo – essere connessa alla propria vita.

La rassegna «La grande arte al cinema» proseguirà il 19 e il 20 novembre con «Pissarro. Il padre dell’Impressionismo», film diretto da David Bickerstaff, che rivela allo spettatore il percorso e l'opera del maestro francese attraverso la sua arte e alcuni documenti, come la sua corrispondenza con gli amici e il suo archivio conservato all'università di Parigi, nonché il racconto delle mostre promosse dall'Ashmolean di Oxford e dal Kunstmuseum di Basilea. 
Ma prima sarà la National Gallery di Londra a finire sotto i riflettori, svelandoci non solo i «dietro le quinte» di un grande tempio della cultura internazionale, ma raccontandoci anche come l’arte possa essere una fonte di terapia nei momenti di crisi, uno spunto di ispirazione per il proprio lavoro, una gioia per i propri occhi.

Informazioni utili

venerdì 18 ottobre 2024

«La main des autres», in una monografia di 5 Continents Editions il lavoro del designer Emmanuel Babled

Si intitola «La main des autres» la monografia che la casa editrice milanese 5 Continents Editions ha appena dedicato al lavoro di Emmanuel Babled, progettista francese, classe 1967, che ha stabilito il proprio studio a Lisbona - dopo aver vissuto a Parigi, Milano e Amsterdam - e che, in Italia, ha all’attivo una lunga collaborazione con la maison del vetro Venini. E il titolo del volume, uscito in libreria lo scorso settembre per la curatela di Angela Vettese e Veerle Devos, non poteva essere più azzeccato.

All’inizio della sua carriera, ispirato dal grande Ettore Sottsass, il designer francese si rese, infatti, conto che la sua vera passione non risiedeva nella realizzazione in serie di oggetti destinati a riprodursi in migliaia di copie, ma piuttosto nel creare pezzi in piccole quantità, essenzialmente unici, attraverso «la main des autres», ovvero «la mano degli altri». Nacque così una stretta collaborazione con maestri artigiani altamente specializzati, solitamente legati al materiale utilizzato, dove tradizioni secolari e artigianato altamente qualificato continuano a produrre magia: soffiatori del vetro, maestri cavatori e tecnici nella lavorazione del marmo, mediatori che conoscono le temperature necessarie per fare nascere e poi solidificare il plexiglass, esperti di legnami che padroneggiano le regole del materiale.

Così le opere di Emmanuel Babled possono considerarsi una summa che racchiude in sé la conoscenza collettiva dei maestri artigiani, il suo talento nel design e la sua capacità di collaborare con maestri di tutto il mondo. Perciò, il suo impareggiabile talento nell’integrare un pensiero progettuale fuori dagli schemi con una tecnologia all’avanguardia culmina in edizioni limitate che contengono un patrimonio mondiale immateriale di tradizioni preziose.

All’interno della monografia pubblicata da 5 Continents Editions, disponibile in lingua inglese e francese, possiamo osservare ciò che avviene «dietro le quinte» delle sue creazioni in edizione limitata, approfondendo lo spirito del designer che oggi celebra una carriera di successo che dura da oltre trent’anni. E, grazie a questo lavoro, il lettore è introdotto anche in quei luoghi generalmente inaccessibili al pubblico, dove i segreti dei maestri artigiani vengono tramandati di generazione in generazione.

Le regole d’azione vengono anzitutto dettate dal materiale prescelto, vissuto come una cosa viva, densa di richieste specifiche, mai come un’entità̀ amorfa. Semmai la materia viene concepita come qualcosa che non ha ancora espresso tutte le sue potenzialità̀, e che dunque si può̀ condurre in territori e a risultati a cui non era mai giunta. Qui si suturano la fase del disegno iniziale, a mano libera e privo di limiti immaginativi, e il risultato finale, che è un compromesso tra quel disegno e la traducibilità̀ in un oggetto reale.

Emmanuel Babled, peraltro, non si innamora di una sola tipologia di oggetto. Ha realizzato lampade, vasi, tavolini, tavoli, mobili, sedie, lampadari da soffitto, sedute. Non predilige un ambito di specializzazione, anche se ciò̀ che fa solitamente riguarda il corpo, segue le curve dei viventi, cerca forme che possono persino avere qualcosa di fantascientifico, ma che sono sempre fortemente compatibili con la fisicità: come se fossero nostre protesi o animali mai visti o esseri che potrebbero improvvisamente prendere vita. Anche in relazione a settori in cui la mediazione non è di carattere tecnologico, il designer francese osserva e ascolta le tradizioni che guidano l’uso e la composizione di certe materie, per poi metterle insieme in maniera innovativa, ma senza mai perdere di vista il dialogo con chi le conosce bene.

Può̀ anche non esserci alcuna tecnologia apparente, sostituita da un ritorno a un artigianato basico, fatto di gesti ripetuti, come accade per la parte di produzione iniziata in Tanzania dal 2021, quando lo studio Babled si è sdoppiato dando luogo a Zanzibar anche alla casa di produzione Kukua. In questo caso le mani da seguire, da consigliare e di cui accogliere i consigli lavorano senza elettricità, senza trapani, senza altro mezzo che una manualità molto educata da cui nascono sedie di pelle e legno flessibile, tavoli fatti con la tecnica dei cestini, lampade di rafia a forma di palma, sgabelli imbottiti, prodotti con l’aiuto della comunità̀ locale di falegnami e di circa seicento donne dell’organizzazione WomenCraft, nata quattordici anni fa nei campi di rifugiati dell’Onu. Se la tecnologia qui è scarsissima, la tradizione offre soluzioni che sarebbe sciocco evitare.

Attraverso tutte queste molteplici declinazioni, Emmanuel Babled supera il proprio ego e la propria firma individuale, incarnando l’idea che un designer non è un’entità solitaria ma un’impresa collettiva.

Oltre alla monografia, l’artista ha realizzato un’opera in edizione speciale e in serie limitata, fatta di vetro soffiato e legno pregiato, per racchiudere il volume, che trae ispirazione dalla celebre serie di oggetti «Osmosi».

In questo primo scorcio d’autunno, il lavoro di Emmanuel Babled può essere, dunque, conosciuto attraverso le pagine di un libro, ma anche grazie a una mostra: «Territorie», inaugurata alla Galerie Yves Gastou, in occasione della Paris Design Week, e aperta fino al 26 ottobre.
Ogni opera esposta, da pezzi iconici come la lampada Digit e il tavolo Quark a novità assolute, racconta l’evoluzione di un percorso creativo che si distingue per la continua ricerca e sperimentazione di tecniche artigianali d'eccellenza, reinterpretate con uno spirito contemporaneo e innovativo, attento alle contaminazioni culturali e al dialogo con le tradizioni locali.

Il vetro di Murano, il marmo di Carrara, i metalli e la pietra lavica dell’Etna sono i materiali utilizzati in questi lavori, dai quali si percepisce una riflessione profonda sul rapporto tra artigianato e tecnologia, uomo e materia, passato e futuro.
«Il lavoro del designer – racconta, a tal proposito, Emmanuel Babled - è quello di provocare un processo e coglierne i frutti. Il mio compito è quello di dirigere i materiali, come un direttore d’orchestra, per arrivare a un risultato finale che mantenga la grazia naturale originale, senza un’imposizione esterna». I materiali sono le note, gli artigiani gli orchestrali. Il risultato? Una sinfonia eterea e avvincente. Magica.

Didascalie delle immagini
1. Cover del libro Emmanuel Babled. La main des autres; 2. Ubuntu | © Babled Studio; 3 e 4. Venini blown glass (Paglia &  Cipria) - Tuya wood / Verre  Soufflé Venini (Paglia & Cipria) -  bois de tuya; 5. Emmanuel Babled, Osmosi_Furniture. Ph Nicole Marnati; 6. Emmanuel Babled, Etnastone Gueridon. Ph BabledStudio
 
Informazioni utili
Emmanuel Babled. La main des autres, 5 Continent Editions, Milano 2024. 27,5 x 35,5 cm, 336 pagine, 800 illustrazioni a colori. Cartonato con sovracoperta. Edizione bilingue, inglese e francese. ISBN: 979-12-5460-064-1. Prezzo: € 80. Data di pubblicazione: settembre 2024

giovedì 17 ottobre 2024

Nespolo & Chiarlo, una lunga storia tra vino e arte

Era l’estate del 2003 quando Michele Chiarlo, «il signore del Barbera e del Moscato», uno dei grandi nomi dell’enologia piemontese, dava vita sulle colline di Castelnuovo Calcea, in provincia di Cuneo, all’Art Park La Court, un museo a cielo aperto tra i vitigni di un territorio di indiscusso fascino, quello delle Langhe-Roero e del Monferrato, che da dieci anni è inserito all’interno dei Patrimoni mondiali dell’Umanità di Unesco.

A guidare la trasformazione in un cantiere artistico dei venti ettari di terreno disposti ad anfiteatro che circondano la tenuta La Court, dando così corpo alle parole di Cesare Pavese che definiva le viti di una vigna le «quinte di una scena favolosa, di un evento che né il ricordo né la fantasia conoscono», fu Giancarlo Ferraris (San Marzano Oliveto, 1950), pittore e illustratore di Nizza Monferrato, nonché insegnante al Liceo artistico di Torino, che già firmava le etichette per i vini dell’azienda di Michele Chiarlo (e che è presente all’interno del parco con un bell’omaggio a Umberto Eco).

Sarebbe nato così, nel cuore del Barbera astigiano, «il più esteso museo a cielo aperto in vigna» e «uno dei rari esempi italiani di land art tra i vigneti», le cui quinte scenografiche dedicate ai quattro elementi naturali - terra, acqua, aria e fuoco - portano la firma di Emanuele Luzzati (Genova, 1921 – 2007). 

 Il percorso, che regala un’atmosfera da fiaba al luogo, è disseminato anche di opere di altri artisti internazionali come il designer americano Chris Bangle (l’ideatore delle Big Bench, le panchine di grandi dimensioni), Balthasar Brennenstuhl, Dedo Roggero Fossati, Rolando Carbone e molti altri ancora.

A questa storia, che ora viene portata avanti dai figli di Michele Chiarlo, Stefano e Alberto, si aggiunge un nuovo capitolo. È stato, infatti, da poco inaugurato il «Cannubi Path», un cammino tra le vigne del cru più antico d’Italia, la collina del Barolo storicamente riconosciuta nel 1752, che prende ispirazione dal concetto dell’Art Park La Court, e che disegna un’esperienza multisensoriale e non una semplice decorazione estetica. Attraverso installazioni tra i filari e nel ciabot (un antico capanno caratteristico dei vigneti), i visitatori possono immergersi nell'essenza del paesaggio e nella passione di chi lo coltiva.

Il progetto, visitabile liberamente e aperto al pubblico tutto l’anno (fatta eccezione per i giorni di vendemmia), celebra la storicità vitivinicola del territorio e il suo valore culturale, consolidando il legame tra la tradizione della Michele Chiarlo e l’arte di Ugo Nespolo (Mosso - Biella, 29 agosto 1941), uno dei grandi nomi dell’arte italiana, noto per le sue opere vibranti e colorate, che spaziano dalla pittura alla scultura, dal design alle installazioni, nelle quali emerge un’impronta ironica, trasgressiva, ludica, per un personale senso del divertimento che rappresenta da sempre una sorta di marchio di fabbrica.
Ugo Nespolo è, infatti, uno degli artisti che, con la sua opera «La porta sul vigneto», una sorta di ingresso scanzonato e colorato realizzato nel 2013, «illumina» l’Art Park La Court. Sua è anche l’etichetta per il Nizza Docg Riserva La Court Vigna Veja, prodotto solo nelle annate d'eccezione e in un numero limitato di bottiglie.

Il «Cannubi Path», dedicato alla memoria di Michele Chiarlo, scomparso nel novembre del 2023 all’età di ottantotto anni, si unisce ad altre due novità che hanno visto la luce nel 2024: lo Sky Bar & Lounge, inaugurato a giugno all’interno del resort Palás Cerequio di La Morra, e la mostra «Nespolo & Chiarlo: dal 2010 arte in vigna», allestita nel caveau del Barolo. Nell’esposizione, visitabile fino alla fine dell’anno, si possono ammirare alcune delle opere più importanti dell’artista piemontese e scoprire anche bozzetti inediti che raccontano la sua lunga collaborazione con l’azienda piemontese, una delle eccellenze del vino in Italia, che dal 1956 parla il linguaggio della tradizione e della passione, della sostenibilità e della sperimentazione.

Informazioni utili

mercoledì 16 ottobre 2024

Illy Art Collection, i diritti delle donne sulle nuove tazzine del «Progetto Genesi»

Era il 1992 quando, su spinta di Matteo Thun, l’azienda triestina Illy dava il via a una pagina importante della sua storia, quella che univa all’attenzione per il gusto la passione per il bello e il ben fatto. Con l’intento di amplificare il piacere sensoriale dato dal caffè coinvolgendo anche la vista e l’intelletto, attraverso l’arte, quell’anno nacquero le illy Art Collection, celebri tazzine d’artista che hanno trasformato un oggetto quotidiano in una tela bianca su cui, negli anni, si sono cimentati centinaia di artisti di fama internazionale.

Da allora non c’è grande evento, in Italia e all’estero, che non faccia da scenografia alla presentazione di una nuova serie di tazzine. Ed ecco che, in occasione di Frieze London e di Art Basel Paris (mercoledì 16 ottobre alle ore 17:00 e giovedì 17 ottobre alle ore 11:30 alla Lounge illy, al pianterreno del Grand Palais), l’azienda friulana ha presentato la sua ultima collaborazione, quella con Genesi, associazione nata a Milano nel 2020 per volontà di Letizia Moratti, che è impegnata nella difesa dei diritti umani attraverso la valorizzazione delle differenti culture e dell’ambiente.

In questi anni l’istituzione lombarda ha dato vita a una collezione d’arte contemporanea e, con altre realtà, ha sviluppato il progetto E4Impact Foundation, per lo sviluppo dell’imprenditorialità in Africa.

In seno all’associazione è nato anche, nel 2021, il «Progetto Genesi. Arte e Diritti umani», curato da Ilaria Bernardi: un percorso interdisciplinare, itinerante e inclusivo, in edizioni annuali, che coniuga momenti espositivi ed educativi con l’obiettivo di fornire una formazione permanente in tema di diritti umani.

Proprio quest’ultimo progetto ha incontrato l’interesse di illy, azienda da sempre attenta alla funzione sociale dell’arte intesa come strumento capace di parlare a tutti e di incidere sulla società per trasformarla e favorirne il progresso. Sono nate così le illy Art Collection di «Progetto Genesi», tazzine in edizione limitata realizzate dalle quattro artiste di fama internazionale protagoniste dell’edizione 2024 del format espositivo, che ha fatto tappa a Gubbio (1 marzo – 7 aprile 2024), Pavia (4 maggio-2 giugno 2024), Torino (20 giugno-13 ottobre 2024) e Cesano Maderno (28 settembre-1 dicembre 2024), cittadina del Milanese dove è attualmente in corso una mostra che «parla» della condizione femminile nel mondo, del colore della pelle, della tutela dell’ambiente e delle tradizioni come memoria collettiva di un popolo.

La siriana Simone Fattal (Damasco, Siria, 1942), l’iraniana Shirin Neshat (Qazvin, Iran, 1957), l’italiana Monica Bonvicini (Venezia, Italia, 1965) e la milanese di origini senegalesi Binta Diaw (Milano, 1995), ognuna con il proprio linguaggio espressivo, hanno, dunque, utilizzato la tazzina illy come una tela bianca per riflettere attorno ad alcune delle più urgenti questioni culturali, ambientali e sociali, raccontando la propria esperienza di donne in differenti contesti geografici e sociali, e facendosi così portavoce della condizione femminile nel mondo.

Monica Bonvicini - poliedrica e pluripremiata artista veneziana, con base a Berlino, dove insegna scultura all'Universität der Künst, e che è attualmente in mostra nella scenografica cornice della chiesta sconsacrata di San Carlo a Cremona con la sua installazione «And Rose» - ha scelto, per esempio, per la sua tazzina illy Art Collection di replicare il motivo delle maglie della catena, elemento che compare in molte delle sue opere ispirate alla serie di disegni rossi «Hanging Heavy» del 2001. Le catene e i loro nodi, resi neri per l’occasione, si riferiscono a quei momenti che condividiamo davanti a un caffè, scambiandoci idee, impegnandoci in conversazioni, parlando di cose di nuovo. Rappresentano le relazioni e i ricordi, esprimono un senso di comunità e connessione.

La giovane artista visuale italo-senegalese Binta Diaw, la cui ricerca plastica fa parte di una riflessione filosofica sui fenomeni sociali che definiscono il mondo contemporaneo attraverso il corpo e la spazialità, ci porta, invece, a riflettere con la sua tazzina illy Art Collection sul tema dell’identità, in particolare di quella di «una donna nera in un contesto occidentale».

Mentre la siriana Simone Fattal, tra le più importanti artiste contemporanee internazionali e tra le protagoniste del Padiglione della Santa Sede alla Biennale d’arte di Venezia, ha realizzato per la sua tazzina un gioco di linee e segni colorati, che vogliono restituire l’intimità profonda dei sentimenti e dei pensieri degli esseri umani ed esprimono il valore e la fragilità della vita.

Infine, Shirin Neshat, artista conosciuta principalmente per il suo lavoro nel mondo del cinema e per le sue fotografie in bianco e nero che immortalano figure femminili velate sulle quali sono sovrascritti versi di poetesse iraniane, usa la porcellana bianca della sua illy Art Collection per una riflessione sulla complessità della condizione sociale della donna nella cultura islamica, esprimendo così il suo forte impegno civico a favore del femminismo e contro ogni forma di pregiudizio o censura.

La storia di illy, che subito richiama alla mente il sapore affascinante e retrò dei salotti culturali triestini di epoca asburgica, dove ci si scambiava opinioni davanti a un caffè, incrocia così il linguaggio contemporaneo di quattro artiste, di differenti origini, che mettono al centro del loro lavoro una riflessione sul mondo che viviamo, a partire dai diritti delle donne, troppo spesso ancora negati.

Informazioni utili
La collezione in edizione limitata di tazzine sarà disponibile nell’e-shop illy, negli store (illy Caffè e illy Shop), nei canali della grande distribuzione al dettaglio e nei canali di e-commerce indiretti, in diversi formati:

Kit da 4 tazzine da espresso al prezzo consigliato di € 94,00
Kit da 4 tazzine da cappuccino al prezzo consigliato di € 114,00
Kit da 2 tazzine da espresso al prezzo consigliato di € 51,00
Kit da 2 tazzine da cappuccino al prezzo consigliato di € 61,00

Per saperne di più

martedì 15 ottobre 2024

Reggio Emilia, David Tremelett fa «suonare» i silos dell’Ex Caffarri

C’è una città che, in questi ultimi anni, sta ridisegnando il suo volto attraverso l’arte contemporanea, con un’attenzione alla modernizzazione e all’internazionalizzazione che ha pochi uguali in Italia. È Reggio Emilia, che già a partire dalla sua porta di accesso alla città, la Stazione AV Mediopadana con le forme leggere e sinuose dei tre ponti – detti anche Vele – realizzati dall’architetto spagnolo Santiago Calatrava, mostra il suo aspetto dinamico e futuristico.
Dirigendosi verso il centro storico, questa virtuosa trasformazione, frutto di importanti scelte istituzionali, risulta ancora più evidente. Sono, infatti, molti gli edifici con un illustre passato che, grazie a sapienti interventi di archeologia industriale, sono stati riconvertiti in spazi per le eccellenze della città con l’obiettivo di creare un percorso di miglioramento sociale ed educativo. Si spazia dal Tecnopolo, nell'area delle Ex Officine Meccaniche Reggiane, oggi considerata il più grande laboratorio di street art in Europa, alla Fonderia39, sede della prestigiosa Fondazione Nazionale Danza – ArteBalletto, senza dimenticare la Collezione Maramotti, ospitata nel primo, storico stabilimento di Max Mara, con oltre duecento opere firmate, tra gli altri, da Lucio Fontana, Alberto Burri, Jannis Kounellis, Jean-Michel Basquiat e Mark Manders, che spaziano dall’Espressionismo e dall’Astrattismo degli anni Quaranta del Novecento fino alla Pop art, all’Arte povera, alla Transavanguardia e alla New Geometry americana.

Reggio Emilia è la «città del contemporaneo» anche grazie al progetto di arte pubblica «Invito a…», ideato e proposto dall’artista Claudio Parmiggiani, che, tra il 2003 e il 2006, ha coinvolto quattro protagonisti dell’arte internazionale come Luciano Fabro, Eliseo Mattiacci, Robert Morris e Sol Lewitt, invitandoli a vestire di nuovi abiti luoghi quali l’antico Foro Boario (oggi Università degli studi di Modena e Reggio Emilia), l’Ex Fonderia Lombardini, i Chiostri di San Domenico e la Sala di lettura della Biblioteca Panizzi. A questo progetto si è aggiunta nel 2022 «CuriosaMeravigliosa», lavoro di arte collettiva firmato da Joan Fontcuberta per il Palazzo dei Musei.

In questa prospettiva si inserisce «The Organ Pipes» («Le canne dell’organo»), uno degli interventi artistici permanenti più grandi che David Tremlett (St. Austell, Cornovaglia, 1945) - artista con un consolidato curriculum internazionale e sessant’anni di ricerca alle spalle - abbia mai realizzato. Scenografia dell’operazione è l'Ex Caffarri, edificio situato nell’area nord della città, che fu prima falegnameria e poi mangimificio delle Officine Meccaniche Reggiane. La scelta dell’artista britannico naturalizzato svizzero - giunto nella città emiliana su invito di Marina Dacci - è stata quella di intervenire sui tredici grandi silos e sull’adiacente facciata dell’edificio per creare il segno visibile di un luogo dedicato alla formazione e all'aggregazione della comunità, soprattutto dei più giovani, visto che l’Ex Caffari è stato riqualificato per ospitare la Fondazione Reggio Children, il Centro teatrale MaMiMò e la palestra Reggiana Boxe Olmedo.

A proposito dell’intervento artistico, la cui realizzazione è durata circa un mese e si è avvalsa della collaborazione di un team specializzato, l’autore afferma: «Osservando i silos ho iniziato a sognare un po’. Ho iniziato a pensare alla funzione di questi grandi tubi e mi sono chiesto perché mi attraggono così tanto. Ho realizzato che quando entro in una cattedrale o in una chiesa posso vedere le canne d’organo che salgono lungo le pareti insieme al suono. Questi silos hanno la stessa magnificenza: sono alti e tubolari hanno in sé qualcosa che ha a che fare con il suono. I 13 elementi si innalzano verso il cielo soverchiati da una cacofonia di tubi e linee intrecciate che mi hanno ricordato le canne d’organo e la musica che emettono».

I silos dell’Ex Caffari – che occupano 750 metri quadrati di superficie per una lunghezza complessiva di 75 metri e hanno ciascuno una facciata di 100 metri quadrati e un’altezza di 11,30 metri - sono stati così trasformati in «una partitura musicale». Hanno trovato un movimento, un ritmo e una musicalità, che è data dall’utilizzo del colore, oltre cento litri di acrilico, le cui tinte sono state scelte dall’artista dopo uno studio specifico del territorio in cui l'opera si inscrive: i verdi rimandano alla vegetazione circostante, mentre i grigi e i marroni richiamano i materiali originari, metallo e mattone.
«In termini ‘sonori’ – racconta ancora l’artista - ho lavorato sulla superficie passando da tonalità di colore più chiare a più scure e viceversa, creando movimenti dall’alto al basso, dal basso all’alto e dal buio alla luce, dalla luce al buio. C’è un ritmo in tutto questo. Naturalmente non si sente alcun suono, ma in quello che ho cercato di realizzare c’è musicalità».

In occasione dell’intervento site-specif, i Chiostri di San Pietro ospitano, fino al prossimo 9 febbraio, la mostra «Another Step», a cura di Marina Dacci, con un catalogo degli Ori Edizioni che rimarrà a documentazione del progetto. Si tratta di un omaggio a tutto tondo alla ricerca di David Tremlett attraverso una settantina di opere - disegni, collage, composizioni testuali - che vanno dal 1969 al 2023, di cui oltre la metà non sono mai state esposte e sono in gran parte focalizzate sul suo lavoro in studio.
«Concepita non come percorso cronologico né tantomeno come un’antologica, la mostra - racconta la curatrice - si sviluppa su alcuni elementi chiave che da sempre hanno caratterizzato il lavoro dell’artista e che ne dimostrano la coerenza e la continuità nel tempo. In particolare: la sua attitudine da perenne viaggiatore; il piacere della scoperta che si misura con il suo avanzare fisico creando personali mappature e reinvenzione dei luoghi; il suo rapporto con le architetture e la loro rilettura visionaria che li trasforma in paesaggi astratti e sonori in cui il movimento del corpo e dello sguardo sono intesi come atteggiamento scultoreo dell'artista; il suo confronto con il linguaggio inteso come un'ossatura dell'opera, a volte in forma di alfabeti, a volte di piccoli poemi realizzati sulla base di libere associazioni; la sua relazione con lo spazio inteso come espressione sonora che accompagna tutte le sue opere».

Completa il percorso espositivo - articolato in otto sale, una delle quali è dedicata al disegno preparatorio dell’opera «The Organ Pipes» - un prezioso intervento permanente: un piccolo wall drawing, intitolato «Interno», con pastelli strofinati a mano sulla parete in una nicchia, all’interno della Sala delle Colonne, nei Chiostri di San Pietro. Le linee di questo lavoro incorniciano e seguono l’andamento della superficie, i colori graduano dai grigi ai verdi salvia e bosco creando uno sfondamento virtuale della stanza. «L’opera - afferma Marina Dacci - è una entrata mistica che apre uno spiraglio verso l’altrove». 

David Tremelett scrive, dunque, ancora una tappa della sua lunga storia d’amore – prolifica e ricambiata – con l’Italia, Paese dove si trovano molti altri suoi drawing permanenti, in un percorso che spazia dal borgo di Peccioli alla metropolitana di Napoli, dal Castello di Formigine (a due passi da Modena) al borgo di Ghizzano in Toscana, dalle Langhe al centro di Pavia. In tutti questi luoghi, così come a Reggio Emilia, l’artista britannico ha posato il suo sguardo attento e con il suo genio creativo è stato capace di infondere nuova vita e nuova bellezza a oggetti, architetture, paesaggi.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] David Tremlett, The Organ Pipes, 2024, Reggio Emilia, ph Lorenzo Palmieri; [fig. 2] David Tremlett all'Ex Caffarri, 2024, Reggio Emilia, ph Piergiorgio Casotti; [fig. 3]  David Tremlett, The Organ Pipes, 2024, Reggio Emilia, ph Lorenzo Palmieri; [fig.  4] David Tremlett, Interno, Chiostri di San Pietro, 2024, Reggio Emilia, ph Lorenzo Palmieri; [fig. 5] David Tremlett, Wall idea, Are you waiting for someone, 1999, courtesy dell'artista; [fig. 6] David Tremlett, Drawing #3 (I'll Fly), 1982, pastello su carta, courtesy dell'artista

Informazioni utili
 David Tremlett - Another Step. Chiostri di San Pietro, Via Emilia San Pietro 44/C - Reggio Emilia. Orari di apertura: giovedì, ore 10-21; venerdì, sabato, domenica, ore 10-19; 1, aperture straordinarie: 24 novembre (Santo Patrono), 26 dicembre, 6 gennaio: ore 10-19; 6 gennaio: ore: 15-19. Ingresso: Intero 12 €, Sostenibile 13 €, Ridotto 10 €, Studenti (19-26 anni) 8 €, Ragazzi (6-18 anni) 5 €, Biglietti famiglia 14-32 €; per gratuita guardare il sito internet della mostra. Catalogo: Gli Ori Editore. Sito internet: https://www.palazzomagnani.it - https://www.chiostrisanpietro.it/. Informazioni: t. 0522.456233. Fino al 9 febbraio 2025
 

lunedì 14 ottobre 2024

Milano, al Poldi Pezzoli si restaura «in diretta» la Dama del Pollaiolo

È uno dei mestieri più complessi nel mondo dell’arte, ma è forse anche quello che dà maggiori soddisfazioni perché permette di stare lungamente «a tu per tu» con grandi e piccoli capolavori del passato e, dopo mesi di studio febbrile e di lavoro minuzioso, vedere una tela, una scultura, un particolare architettonico, un manufatto antico trovare una nuova bellezza. Quello del restauratore è anche un mestiere fatto di passione, pazienza, maestria e manualità, spesso invisibile al grande pubblico, ma prezioso perché è, nel silenzio di un laboratorio o sulle alte impalcature di un ponteggio, che si rimuovono secoli di sporco e di polvere accumulati sulla superficie di un’opera restituendola così alla fruizione del pubblico, senza intaccarne l’originalità, ma regalandole colori più brillanti o una migliore leggibilità del disegno iconografico.

Guardare un capolavoro del passato con gli occhi di chi «cura», come un medico, manufatti antichi è, dunque, un’occasione da non perdere. A proporla, in questi giorni, è il Museo Poldi Pezzoli di Milano con il progetto «Oltre il ritratto. Il restauro visibile della Dama», un’occasione per seguire da vicino e «in diretta» tutte le fasi di un intervento conservativo, così da comprendere l’importanza della diagnostica per immagini applicata all’arte e il valore della ricerca ai fini della conservazione del nostro patrimonio storico-artistico.

Il restauro è di quelli importanti perché riguarda uno dei più bei ritratti del Quattrocento, che è anche un’opera identitaria del Museo Poldi Pezzoli: il «Ritratto di giovane donna» di Piero del Pollaiolo, icona che ha conosciuto una notevolissima fama a partire dagli anni Settanta dell’Ottocento, quando fu acquisita da Gian Giacomo Poldi Pezzoli, per diventare ben presto una delle opere più rinomate e apprezzate dell’intera collezione, aperta al pubblico nel 1881.

Ascritto per lungo tempo al catalogo di Piero della Francesca, questo dipinto a tecnica mista, databile al 1470 circa, ritrae una dama, di profilo (impostazione, questa, in voga fino al terzo quarto del XV secolo, su ispirazione della numismatica antica), sul cui fondo si staglia un cielo azzurro solcato da alcune nubi. La complessa acconciatura arricchita dal frenello, il filo di perle che scende sulla fronte, la collana a cui si aggancia un pendente con un grosso rubino e la sontuosa manica in velluto dalla decorazione floreale indicano la ricchezza e l’origine aristocratica della giovane.
L’identità della donna, il cui profilo è evidenziato da una sottile linea nera, è ignota ma è probabile che si tratti di una dama fiorentina andata in sposa nella seconda metà del Quattrocento a Giovanni II da Barbiano, conte di Cunio, presso la cui famiglia il dipinto restò fino al 1814.
L’opera, che è il più famoso di una serie di ritratti femminili eseguiti nell’arco di quindici anni da Piero del Pollaiolo, potrebbe essere stata commissionata nell’imminenza delle nozze, ai tempi il momento di massima visibilità pubblica per una giovane.

Tipica dell’artista toscano, a cui il dipinto fu attribuito a partire dagli inizi del XX secolo, è la tecnica pittorica, resa con una materia densa e compatta che dà consistenza e spessore ai dettagli più minuti. La straordinaria attenzione ai valori della luce testimonia, poi, l’influenza delle novità introdotte dai pittori fiamminghi contemporanei.

Già da qualche anno si era pensato di intervenire sull’opera, la cui superficie pittorica, già sottoposta a restauro nel 1881 da Luigi Cavenaghi e nel 1951 da Mauro Pelliccioli, appariva ormai ingiallita e presentava delle piccole increspature sul volto della dama, formatesi a causa compressione delle traverse presenti sul retro della tavola.

Dallo scorso giugno, anche grazie al prezioso sostegno del museo Diözesanmuseum Freising di Monaco di Baviera e della Fondazione Bracco, il dipinto e il suo supporto sono stati sottoposti a un’approfondita campagna di indagini diagnostiche per poter definire in maniera scientifica e con molta prudenza l’intervento conservativo da effettuare.
 
Nella fase di analisi le attuali ricerche sono state anche comparate con quelle eseguite sulla tavola nel 2004 e nel 2014 e con quelle effettuate sulle altre «Dame» del Pollaiolo, conservate al Metropolitan di New York, alla Gemäldegalerie di Berlino e alle Gallerie degli Uffizi.
 
Questo lavoro di ricerca, che ha incluso anche l’uso dell’intelligenza artificiale, ha visto all’opera un gruppo di scienziati delle Università di Milano e Pavia, in collaborazione con il Centro conservazione e restauro «La Venaria Reale», coordinati da Isabella Castiglioni.

Per i restauratori, Carlotta Beccaria e Roberto Buda, questo studio è stato indispensabile per valutare lo stato di salute non solo degli strati pittorici, ma anche del supporto ligneo, la cui strategia di restauro verrà definita non appena il dipinto sarà liberato dalle traverse inserite nel 1951 da Mauro Pellicioli allo scopo di costringere la tavola alla planarità, allora considerata la forma esteticamente migliore.
 
I dati raccolti hanno evidenziato che anche gli interventi conservati eseguiti in passato sono ora visibilmente alterati e interferiscono con la lettura dell’opera. «Se non si intervenisse– dichiara la restauratrice Carlotta Beccaria – i restauri del passato e lo strato di vernice invecchiata continuerebbero a enfatizzare la loro alterazione, scurendo e macchiando ulteriormente la superficie. L’intervento di restauro della pellicola pittorica restituirà, quindi, una migliore leggibilità e godibilità dell’opera, ripristinando l’equilibrio cromatico delle tinte».

In occasione del restauro una serie di attività di approfondimento - incontri con studiosi, visite guidate, laboratori per le famiglie, aperitivi per i più giovani e percorsi per i pubblici fragiliarricchiranno il progetto: un’occasione unica per scoprire nuovi segreti sulla pittura di Piero del Pollaiolo, uno dei più raffinati pittori del Quattrocento.

Informazioni utili
«Oltre il ritratto. Il restauro visibile della Dama». Museo Poldi Pezzol, via Manzoni 12 - Milano. Orari: mercoledì — lunedì, ore 10:00 — 18:00 (ultimo ingresso ore 17:00). Ingresso: intero — € 14,00, ridotto Over 65 — € 10,00.  Informazioni: https://museopoldipezzoli.it/scopri/mostre-ed-eventi/evento/oltre-il-ritratto/. Conferenze: - Lunedì 14 ottobre, ore 18.00: Aldo Galli, Attorno a un’icona. La dama Poldi Pezzoli tra storia, tecnica e stile; - Lunedì 11 novembre, ore 18.00: Carlotta Beccaria e Isabella Castiglioni; - Lunedì 16 dicembre, ore18.00: Chiara Buss e Maria Luisa Frisa, L’arte della comunicazione nella moda del Quattrocento; - Martedì 21 gennaio, ore 18.30 – Gallerie d’Italia – Piazza Scala - Carlotta Beccaria e  Giovanni Morale. Visite guidate: - Mercoledì 16 ottobre dalle ore 18:15 alle ore 19:00; - Mercoledì 30 ottobre dalle ore 18:15 alle ore 19:00; - Mercoledì 6 novembre dalle ore 18:15 alle ore 19:00; - Mercoledì 20 novembre dalle ore 18:15 alle ore 19:00; - Mercoledì 4 dicembre dalle ore 18:15 alle ore 19:00; - Mercoledì 15 gennaio dalle ore 18:15 alle ore 19:00; - Mercoledì 22 gennaio dalle ore 18:15 alle ore 19:00. Fino al 31 gennaio 2015