ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 26 novembre 2015

Benozzo Gozzoli, la «Madonna della Cintola» ritorna a Montefalco

Era il 1450 quando il giovane Benozzo Gozzoli dipingeva a Montefalco, per l’altare maggiore della Chiesa francescana di San Fortunato, una splendida pala raffigurante la Vergine Assunta al cielo nell’atto di donare la cintola a San Tommaso, come prova della sua assunzione.
Quell’opera, donata a papa Pio IX nel 1848 in occasione della concessione al borgo umbro del titolo di città e di solito conservata nella Pinacoteca vaticana, è ritornata questa estate nella sua sede originaria grazie al sostegno della Regione Umbria, della Fondazione Cassa di risparmio di Foligno, della Camera di commercio di Perugia e dell’Accademia di Montefalco.
L’occasione è stata offerta dal restauro che nei mesi scorsi ha interessato l’opera, realizzato nei laboratori del Musei vaticani da Alessandra Zarelli e Massimo Alesi, sotto la direzione di Arnold Nesselrath, grazie al protocollo d’intesa sottoscritto dal Comune di Montefalco, dal Consorzio Tutela Vini Montefalco, da Sistema Museo e dal Club dei Lions di Foligno.
Bellezza, armonia spirituale e mistica poesia regnano sovrane nella pala d’altare di Benozzo Gozzoli, che resterà in Umbria fino al prossimo 30 dicembre accostata agli altri affreschi commissionati dai conventuali all’artista, allievo del Beato Angelico, per la chiesa montefalchese. Il pubblico può così apprezzare la visione paradisiaca della «Madonna della Cintola» di San Fortunato accanto alla decorazione ad affresco delle leggiadre storie di San Francesco, in gran parte perduta, di cui sono conservate all’ingresso la lunetta con la «Madonna tra i Santi Francesco d’Assisi e Bernardino da Siena» e sulla parete nord due opere frammentarie, una ieratica figura di «San Fortunato» e una «Madonna col Bambino e un angelo» di incredibile bellezza. Benozzo dipinse la pala della «Madonna della Cintola» per l’altare maggiore della chiesa secondo i più aggiornati dettami del gusto rinascimentale fiorentino, non più divisa in pannelli e ornata da pinnacoli, ma costituita da un’unica tavola quadrata tra due pilastri corinzi, conclusa da una cornice, e completata in basso da una predella continua, dove le «Storie della Vergine» sono separate da pilastrini dipinti.
Nella tavola centrale della Pala di Montefalco, la Madonna, ispirata alle incantevoli Vergini dell’Angelico, appare seduta su un trono di nubi, mentre sale al cielo in una mandorla di luce dorata costituita da serafini delicatamente tratteggiati e incisi sull’oro del fondo con tocchi leggeri, delicate lumeggiature in oro e velature di colore rosso. Nella nube che funge da seggio per Maria occhieggiano due testine rosse che potrebbero essere interpretate sia come cherubini che come troni, dal momento che ogni artista era abbastanza libero nell’interpretazione dell’invisibile.
Una schiera di giovani angeli biondi, gli spiriti custodi, dalle vesti eleganti e multicolori e dalle acconciature raffinate, attornia la Vergine: due intenti a suonare il tamburello e il liuto, gli altri uniti nel coro celestiale che inneggia alla gloria di Maria. Sulle loro vesti, tra arabeschi e lettere cufiche ornamentali, si leggono gli epiteti con cui è invocata la Madonna negli inni e nelle Sacre Scritture.
Sull’orlo dorato del mantello della Vergine sono incise le invocazioni: «[Av]e Regina Madre Santa» e «Ave Regina C[i]elo». Nella veste dell’angelo abbigliato di azzurro a sinistra della Madonna si leggono sulla spalla le parole «Reg[i]na [Coeli]» e sul fianco «[S]a[n]cta V[i]r[go]».
L’angelo abbigliato in verde chiaro, posto in alto dietro alla Madonna, reca su una spalla la scritta in oro «Ave Maria», con cui ha inizio la preghiera mariana per eccellenza, la salutazione angelica.
L’evento dell’Assunzione di Maria al cielo è strettamente connesso nelle fonti al momento che lo precede, ovvero alla morte della Madonna. Nella nostra tavola la Madonna mentre sale al cielo si volge dolcemente verso l’apostolo Tommaso per offrirgli la sua cintura.
Tommaso, che già aveva dubitato della resurrezione di Cristo, riceve il dono a testimonianza dell’evento miracoloso dell’assunzione al cielo di Maria in anima e corpo. Il giovane Santo è raffigurato di profilo, con i capelli biondi e ricciuti alla moda, inginocchiato accanto al sarcofago e abbigliato con un ricco mantello rosa foderato di verde che si solleva per l’impeto e l’emozione dell’incontro con Maria dopo la sua morte e risurrezione. Sul bordo del mantello corre un’iscrizione in caratteri cufici ornamentali non leggibile. La cintura è verde e intessuta d’oro: si tratta di una reliquia che Benozzo e i devoti hanno probabilmente visto esposta nel Duomo di Prato durante alcune cerimonie solenni e in occasioni particolari in cui si invocava la fine di un’epidemia o di una guerra o del maltempo.
In posizione simmetrica rispetto alla figura di San Tommaso, è raffigurato un rigoglioso albero che si riconosce come un leccio. Negli scritti agiografici su San Fortunato si narra come alla sua morte i devoti raccolsero il suo bastone che miracolosamente prese vita germogliando e mettendo le radici. Intorno al convento di San Fortunato tuttora si estende uno splendido bosco di lecci. L’albero, quindi, raffigura l’attributo del Santo e richiama il bosco locale.
La rappresentazione della «Madonna che porge la cintola a San Tommaso» è molto diffusa in Toscana dove questo particolare culto mariano è vivo fin dal Medioevo e dove si conserva a Prato la reliquia di quella che è ritenuta la sacra cintura di Maria, costituita da una striscia di tessuto di colore verde intessuta d’oro.
A testimonianza della grande venerazione attribuita a tale reliquia anche in ambito francescano, lo stesso San Francesco nel 1212 vi si recò in pellegrinaggio e così pure San Bernardino da Siena nel 1424, mentre nel 1439 volle omaggiarla il pontefice Eugenio IV.

Informazioni utili 
Benozzo Gozzoli. La Madonna della cintola. Complesso museale di San Francesco, via Ringhiera dell’Umbria, 6 - Montefalco (Perugia). Orari di apertura: ore 10.30-13.00 e ore 14.30-17.00; chiuso il lunedì e il martedì. Ingresso: intero € 7,00; ridotto € 5,00 (da 18 a 25 anni; convenzionati Tci); omaggio fino a 17 anni, giornalisti accreditati, soci Icom, residenti. Catalogo: Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo (Milano). Informazioni: Sistema Museo, call center 199151123 (dal lunedì al venerdì, dalle ore 9.00 alle ore 15.00) e callcenter@sistemamuseo.it; Museo di Montefalco, tel. 0742.379598 o montefalco@sistemamuseo.it. Sito internet: www.museodimontefalco.it. Fino al 30 aprile 2016.

mercoledì 25 novembre 2015

Marchesi Antinori, un’installazione permanente di Giorgio Andreotta Calò per la cantina di Bargino

È Giorgio Andreotta Calò (Venezia, 1979) l’artista scelto dalla Marchesi Antinori per arricchire il progetto artistico ideato nel 2012, in occasione dell’inaugurazione della nuovo cantina a Bargino, con l’intento di promuovere le arti visive contemporanee. È, infatti, del giovane veneziano, che ha partecipato alla cinquantaquattresima edizione della Biennale di Venezia e che per anni ha collaborato con Ilya ed Emilia Kabakov, l’opera «Clessidra (serie AB)», da pochi giorni collocata nella monumentale e seducente struttura scavata nelle terre del Chianti classico dall’architetto Marco Casamonti.
Dopo Yona Friedman, Rosa Barba, Jean-Baptiste Decavèle e Tomàs Saraceno, la curatrice Ilaria Bonacossa ha scelto, quindi, di puntare su un giovane talento italiano, con all’attivo studi alla KunstHochSchule (2003-2004) di Berlino e una residenza d’artista alla Villa Arson di Nizza.
L’opera, che è stata presentata contemporaneamente al libro monografico «Prima che sia notte» della Archive Books, è una scultura nata dalla riproduzione in bronzo di una bricola, il massiccio palo di legno usato per ormeggiare le barche a Venezia. Corroso dal perenne movimento delle maree della laguna, questo oggetto viene sdoppiato dall’artista: la parte superiore è il riflesso simmetrico di quello inferiore, evocando nuovamente la laguna e il suo orizzonte specchiato. La scultura parla così del tempo e del suo scorrere, matrice d’incessanti trasformazioni, e lo fa catturando in bronzo il processo di corrosione, appena prima che le due parti del tronco si rompano separandosi. La clessidra non è, quindi, solo una forma, ma è anche simbolo del tempo e del suo lavoro.
Giorgio Andreotta Calò fa così un richiamo simbolico alla cantina Antinori, dove un vino perfetto non è solo frutto del lavoro della mano umana, ma anche dell’imprescindibile contributo del tempo.
Lo spazio scelto per la collocazione dell’opera è uno dei più suggestivi della cantina di Bargino: le grandi vetrate che corrono lungo tutto il fronte della struttura accolta nel ventre della collina, da cui si possono vedere i filari di giovani viti scandire il paesaggio del Chianti. Luogo di raccordo tra natura e opera umana, il punto scelto per l’allestimento enfatizza l'opera con la sua atmosfera immersiva. La verticalità della scultura dialoga con l’orizzonte e riporta il tronco da cui è nata l’opera a un nuovo rapporto con la natura. «Clessidra (serie AB)» s’inserisce nella ricerca formale di Giorgio Andreotta Calò, giovane artista che mette in discussione le tradizionali tecniche scultoree e converte forme rubate al paesaggio in opere concettuali che cristallizzano la forza creativa e distruttiva della Natura, in un’ode all’entropia dell’universo.
Con l’acquisizione di questa nuova opera, Antinori nel Chianti classico prosegue l’impegno per le arti del nostro tempo avviato con Antinori Art Project, piattaforma che porta avanti l’attività di collezionismo della famiglia toscana, indirizzandola però verso il contemporaneo. Ma chi accede alla cantina di Bargino ha anche la possibilità di visionare parte della collezione di famiglia comprendente dipinti, ceramiche, tessuti pregiati e antichi manoscritti, prima conservati nello storico Palazzo Antinori di Firenze e ora, grazie al contributo di Giovanna Giusti, collaboratrice degli Uffizi, resi accessibili a chi, giornalmente, visita la zona del Chianti classico, alla ricerca di esplorazioni legate alle degustazioni e a esperienze sinestetiche.

Didascalie delle immagini 
[Figg.1, 2 e 3] Giorgio Andreotta Calò, Clessidra (serie AB), veduta dell’installazione e dettagli @Cantina Antinori. Foto di Nuvola Ravera. 

Informazioni utili 
Antinori nel Chianti Classico, via Cassia per Siena, 133 | Località Bargino - 50026 San Casciano Val di Pesa (Firenze). Come raggiungere la cantina: a 15 km da Firenze in direzione Siena, sulla superstrada Autopalio, uscita Bargino | Coordinate GPS : +43° 36’ 43.30”, +11° 11’ 29.76”. Orari: ore 11.00-18.00 (apertura della sezione museale con visite guidate); è obbligatoria la prenotazione per i gruppi. Informazioni: tel. 055.2359700, visite@antinorichianticlassico.it. Sito internet: www.antinorichianticlassico.it o www.antinoriartproject.it.

martedì 24 novembre 2015

«Burri-Brandi, un’amicizia informale», in mostra a Siena la collezione del critico toscano

Siena festeggia il centenario della nascita di Alberto Burri con una piccola ma significativa esposizione, al complesso museale Santa Maria della Scala, che ricostruisce il legame amicale tra l’artista umbro e Cesare Brandi, critico toscano dalla grande sensibilità e cultura artistica che ha intessuto rapporti con i più importanti protagonisti del Novecento.
Nata sotto il segno di Siena capitale italiana della cultura 2015 e promossa dall’Amministrazione comunale con il Polo museale della Toscana, la Soprintendenza della Belle arti e del paesaggio per le province di Siena, Grosseto ed Arezzo e la locale Università degli Studi, la rassegna permette di vedere una bella selezione di opere appartenute alla collezione di Brandi.
De Pisis, Guttuso, Manzù, Sadun e Morandi sono solo alcuni degli artisti esposti in questo rassegna, aperta fino al prossimo 31 gennaio, accanto ad Alberto Burri, autore del quale Cesare Brandi conservava quattro opere, due delle quali sono visibili nelle sale di Villa Brandi a Vignano, aperta tutte le domenica a partire dal 29 novembre e visitabile anche grazie a un servizio di bus navetta attivo nei giorni festivi, alle ore 10.30, presso le Logge del Papa.
«Le opere esposte -raccontano gli organizzatori- sono state scelte perchè esprimono bene le due zone del linguaggio artistico -il figurativo e il non figurativo- presenti nella collezione Brandi, ma anche il confine segnato dall’arte di Alberto Burri che apre a nuovi sentimenti e nuove frontiere».
L’esposizione, intitolata «Burri-Brandi, un’amicizia informale», comincia con l’opera «Due mele» di Filippo de Pisis, realizzata nel 1934, dopo l’uscita del saggio a lui dedicato dal critico senese che con quel testo, scritto ad appena ventisei anni, avvia la sua “vicenda” di critico d’arte. Ci sono, quindi, una selezione di opere di Renato Guttuso e Giacomo Manzù, Del primo è in mostra «Paesaggio», un olio su tavola del 1938, raffigurante uno scorcio di paesaggio visto da Vignano. Del secondo è, invece, possibile ammirare la scultura in bronzo «Cardinale seduto» del 1939. Sempre in bronzo è la «Testa di giovane» realizzata nel 1940 da un Umberto Mastroianni, non ancora trentenne, al quale Cesare Brandi dedicherà un saggio per la monografia (condivisa con Giulio Carlo Argan) apparsa nel 1980.
Spazio in mostra anche all’opera «Bottiglia con brocche» (1957) di Giorgio Morandi, artista la cui amicizia con il critico senese è testimoniata da un fitto carteggio intessuto tra il 1936 e il 1963. In mostra sono, quindi, visibili le opere «Natura morta e mandolino» e «Composizione astratta» di Afro Basaldella, artista al quale Brandi dedicherà nel 1973 un importante studio. Ecco, poi, la «Natura morta con frutta» (1945) di Antonio Donghi, tre tele di Piero Sadun -«Vaso con fiori», «Gatto» e «Composizione astratta»- e due opere di Toti Scialoja: «Cour de Rohan» (1948) e «Natura morta con ombr»e (1951).
Chiudono la rassegna due opere di Alberto Burri, punto focale intorno al quale ruota il progetto espositivo: una piccola combustione del 1960 e un «Cretto bianco» del 1977, alle quali si aggiungono nella villa di Vignano un «Cellotex» dei primi anni Ottanta e la «Scultura in ceramica» del 1972.
All’interno della mostra saranno proiettati anche due video inediti, uno dei quali racconta dalla voce viva di Brandi le ragioni del lascito della sua collezione e della sua villa alla città di Siena; nell’altro Vittorio Brandi Rubiu, erede del critico, racconta in una intervista rilasciata a Massimo Vedovelli il rapporto dello storico dell’arte con Alberto Burri.

Informazioni utili 
«Burri-Brandi, un’amicizia informale». Complesso Museale Santa Maria della Scala, piazza Duomo, 1 – Siena. Orari: lunedì, mercoledì, giovedì e venerdì, ore 10.30-16.30 I sabato e domenica, ore 10.30-18.30 I chiuso il martedì ad eccezione del 1° e dell’8 dicembre; dal 23 dicembre al 6 gennaio 2016, tutti i giorni, ore 10.30-18.30 I chiuso venerdì 25 e martedì 29 dicembre. Ingresso: intero € 9,00, ridotto (ragazzi 11/19 anni, over 65, studenti universitari non iscritti ad istituzioni universitarie senesi, militari, categorie convenzionate, gruppi minimo 15 persone) € 8,00, famiglia € 22,00, gratuito per residenti nel Comune di Siena, minori anni 11, scuole pubbliche senesi, docenti accompagnatori, accompagnatori di gruppi 1 ogni 15 persone, portatori di handicap. Informazioni: tel. 0577.534571 e infoscala@comune.siena.it. Fino al 31 gennaio 2016.