È una lunga storia d’amore quella tra Lavazza e la fotografia. Tutto ha inizio nel 1993 con la prima edizione del calendario, progetto internazionale nato per raccontare in maniera innovativa il mondo del caffè e i valori del brand.
Il primo a legare il suo nome all’azienda è Helmut Newton con il suo stile in bilico tra eleganza formale e gusto provocatorio. Il testimone passa, poi, a Ellen Von Unwerth, Ferdinando Scianna, Albert Watson, Marino Parisotto, Elliott Erwitt, i fotografi della Magnum Photos, Martin Franck e Richard Kalvar.
Fino agli anni Duemila è il bianco e nero, più elegante e intimo, a tradurre in immagini il mondo di Lavazza.
Dal 2002, con l'arrivo di David LaChapelle, il calendario si apre al colore: il fotografo costruisce un racconto visivo tutto incentrato sui cromatismi accesi e vibranti dell'indaco e del fucsia, animato da un erotismo giocoso che unisce la seduzione intrinseca al rituale del caffè a una personale rivisitazione dell'immaginario della West Coast.
Ed ecco, poi, JeanBaptiste Mondino, Thierry Le Gouès, Eugenio Recuenco -ricordano dagli uffici di Lavazza- che «creano scatti all’insegna dell'immaginazione, ricchi di visioni fantastiche e popolati da creature immaginifiche».
La pubblicazione dei calendari continua negli anni successivi: «Finlay MacKay si tuffa nell'opulenza del gusto. Erwin Olaf si diverte con i cromatismi del rosso e del bianco mettendo in scena l'eterno gioco delle coppie. Anne Leibovitz e Mark Selinger raccontano con humor e leggerezza l'italianità. Martin Schoeller coinvolge alcuni tra gli chef stellati più famosi del mondo».
Il 2015 è l’anno di una nuova svolta. La fotografia, arte per eccellenza del racconto del reale e dei cambiamenti della società, è il linguaggio migliore per raccontare l’impegno del brand nei confronti della sostenibilità ambientale.
Il calendario è il modo migliore per pubblicizzare, attraverso la poesia e l’artisticità della fotografia d’autore, come Lavazza intenda operare per il futuro del pianeta. Nasce un progetto triennale: «Earth Defenders». Lo inaugura Steve McCurry con «¡Tierra!», un viaggio alla scoperta delle comunità produttrici di caffè. È, poi, la volta di Joey Lawrence, con la serie «From Father to Son», e di Denis Rouvre, che firma «We Are What We Live». La trilogia dei «guardiani della Terra» -questa la traduzione italiana del titolo dei progetti- dà così voce alle storie dei piccoli produttori e dei contadini, giovani e anziani, accomunati dall'amore e dalla salvaguardia del pianeta, il bene più prezioso.
L’impegno di Lavazza prosegue nel 2018 con Platon, che racconta in dodici scatti le storie di chi ha scelto di abbracciare uno degli obietti di sviluppo sostenibile che l'Onu indica come target da raggiungere entro il 2030.
L’ultimo calendario del decennio porta, invece, la firma di Ami Vitale, che documenta con i suoi scatti sei suggestive opere di nature art realizzate in Thailandia, Marocco, Svizzera, Colombia, Kenya e Belgio.
Sostenibilità ambientale e protezione del pianeta sono i temi al centro anche della nuova edizione del calendario Lavazza, recentemente presentato a Venezia.
«Earth CelebrAction» è il titolo scelto per questo nuovo progetto, che vede come sempre alla direzione artistica l’agenzia di comunicazione Armando Testa.
«L’intento -raccontano ancora da Lavazza- è quello di celebrare il potere della bellezza unita all'idea dell'azione e di invitare ogni essere umano a prendersi cura della terra e di chi la abita».
A firmare i dodici scatti del 2020 è lo statunitense David LaChapelle, allievo di Andy Warhol e cantore barocco e sfrontato del glamour scintillante degli anni Novanta, alla sua terza volta a fianco di Lavazza.
Il fotografo ha interpretato il tema scelto per questa edizione mettendo in scena un racconto simbolico, dove gli elementi primari del fuoco, dell'acqua, della terra e dell'aria si combinano alla presenza dell'uomo, inserito in scenari naturali emozionanti.
I dodici mesi dell’anno sono un canto dedicato alla vita e al potere trasformativo della bellezza, capace di risvegliare l'attenzione delle persone nei confronti dei bisogni della terra e del suo delicato equilibrio.
Gli scatti di David LaChapelle sono realizzati alle Hawaii, dove l'artista vive da alcuni anni in una farm eco-sostenibile, nella quale ha sviluppato l'interesse per la fotografia di paesaggio e una peculiare attenzione nei confronti dell'ambiente.
Per il suo calendario il fotografo americano ha scelto dodici parole guida, una per mese: «Celebrate», «Listen», «Realize», «Defend», «Care», «Sustain», «Honor», «Nourish», «Reconnet», «Breathe», «Respect», «Change». Il messaggio, però, è solo uno ed è molto chiaro: «Noi celebriamo la Terra, perché grazie a lei esistiamo. La ascoltiamo, per intervenire in suo aiuto. Realizziamo quanto è importante, per essere importanti per lei. La difendiamo, soprattutto da noi stessi. La curiamo, perché la sua salute è la nostra. La sosteniamo, lavorando per ridurre ogni impatto. La onoriamo, perché ci ha dato tutto senza chiedere niente. La nutriamo, per vederla crescere ancora. Ci riconnettiamo con lei, per provare ciò che prova. La respiriamo, perché è vita. La rispettiamo, perché è nostra Madre. Noi la cambiamo, se cambieremo noi».
Non basta, dunque, per David LaChapelle celebrare la bellezza della terra, ma bisogna anche agire per tutelarla e darle un futuro.
Per saperne di più
calendar.lavazza.com
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
giovedì 17 ottobre 2019
mercoledì 16 ottobre 2019
Busto Arsizio, al ridotto Luigi Pirandello va in scena la poesia
«La letteratura è stata davvero per me, da un certo momento, la vita stessa»: è racchiuso in questa frase che lo scrittore e studioso ligure Carlo Bo vergò nel suo Diario aperto e chiuso, pubblicato dalla milanese Edizioni di Uomo nel 1945, il senso della rassegna Perché tu mi dici: poeta?, in cartellone da ottobre 2009 a maggio 2010 presso gli spazi del ridotto Luigi Pirandello, piccola sala consacrata al «teatro di parola e di ricerca» del Sociale di Busto Arsizio.
A dare il titolo all’iniziativa, promossa dall’associazione culturale Educarte, è un verso dello scrittore crepuscolare Sergio Corazzini, tratto dalla lirica Desolazione di un povero poeta sentimentale, pubblicata nella raccolta Piccolo libro inutile del 1906. Una poesia, questa, che sarà possibile risentire, giovedì 25 febbraio 2010, in un appuntamento dal titolo Tra crepuscolarismo e sperimentalismo futurista, incentrato anche sulle produzioni poetiche di Guido Gozzano, Corrado Govoni, Filippo Tommaso Marinetti e Aldo Palazzeschi.
Da Foscolo a Quasimodo
Undici gli incontri complessivamente in cartellone, rivolti principalmente a un pubblico giovane, che consentiranno di ricostruire alcune delle più significative esperienze poetiche dell’Ottocento e del Novecento. Si inizierà con il carme Dei Sepolcri del pre-romantico Ugo Foscolo, i cui 295 endecasillabi sciolti sul senso del vivere e del perire verranno rievocati giovedì 12 novembre 2009, e si terminerà, nella serata di giovedì 6 maggio 2010, con la poesia socio-filosofica dell’ermetico Salvatore Quasimodo, premio Nobel per la letteratura nel 1959, il quale cantò la condizione dell’uomo moderno, sospeso tra sofferenza e solitudine, e la difficile condizione degli sconfitti dalla guerra e «dal piede straniero sopra il cuore».
A fare da prologo a questi appuntamenti sarà, nella serata di giovedì 29 ottobre 2009, una conferenza-spettacolo sull’avventura in versi del più grande scrittore e drammaturgo di tutti i tempi, l’inglese William Shakespeare, i cui intimi e intensi sonetti («struggente romanzo di un amore senza speranza, che si nutre della propria ambiguità e si sublima nella dignità del dolore», come ebbe a scrivere Gabriele Baldini) videro cimentarsi nella traduzione, dall’inglese all’italiano, due tra i principali poeti del nostro Novecento, entrambi premi Nobel per la letteratura: Giuseppe Ungaretti ed Eugenio Montale.
Dalle atmosfere seicentesche del «grande Bardo», cantore dell’amore quale unione indissolubile tra due anime, si passerà, dunque, alla cosiddetta «letteratura contemporanea italiana», della quale gli Attori del teatro Sociale, con la guida della regista Delia Cajelli, ripercorreranno, secondo un itinerario cronologico, i profili di suoi undici protagonisti illustri, i più studiati nelle scuole italiane, chiarendone i motivi generali della produzione, ma anche fornendone notizie biografiche e un percorso per exempla tra le poesie più conosciute.
Unica voce fuori dai confini nazionali sarà quella di Federico Garcìa Lorca, del quale, nell’incontro A las cinco de la tarde./Eran las cinco en punto de la tarde… di venerdì 2 aprile 2010, verranno analizzate le atmosfere spagnole della sua poesia, innervata di musica flamenca, lirica gitana e tradizioni arabo-andaluse.
Letteratura come vita
Fil rouge tra le varie conferenze-spettacolo sarà il tema della «letteratura come vita», secondo una felice espressione coniata da Carlo Bo nel 1938, sulla rivista fiorentina Frontespizio, per presentare la corrente ermetica.
Gran parte della poesia otto-novecentesca è, infatti, intrisa di autobiografismo. Racconta, per usare le parole di Umberto Saba, la «vita di un uomo», diventandone specchio dei suoi sentimenti e delle circostanze della sua vita, come ben delineano le storie letterarie di Giacomo Leopardi, Giosuè Carducci, Giovanni Pascoli, Giuseppe Ungaretti e dello stesso Umberto Saba.
Il sentimento civile e la contemplazione della storia che anima le liriche degli ottocenteschi Ugo Foscolo e Alessandro Manzoni (del quale giovedì 26 novembre 2009 verrà narrata la genesi delle sue due più note odi civili, Marzo 1921 e Cinque maggio) lasciano, dunque, spazio a una poesia che è cammino introspettivo e che è, per usare le parole di Salvatore Quasimodo, la «rivelazione di un sentimento che il poeta crede sia personale e interiore» e «che il lettore riconosce come proprio».
La quotidianità, la «calda vita» dei luoghi natale, il «male di vivere» di montaliana memoria, la precarietà del destino umano, l’orrore della guerra, il clima di inquietudine e di ricerca che anima il post-positivismo sono solo alcuni degli argomenti al centro della rassegna Perché tu mi dici: poeta?. Ecco così che il 14 gennaio 2010 si analizzeranno i «canti pisano-recanatesi» di Giacomo Leopardi, «storia di un’anima» grondante di delusione e amarezza. Giovedì 4 febbraio 2010 si parlerà di Giosuè Carducci e della sua amata terra natia: la verde e selvaggia Toscana. Due settimane dopo, il 18 febbraio 2010, si farà luce sulla «poetica delle piccole cose» di Giovanni Pascoli, della quale massimi esempi si hanno nelle raccolte Mirycae, Primi poemetti e Canti di Castelvecchio. E ancora, l’11 marzo 2010 si tratterà della «triestinità» del Canzoniere di Umberto Saba. Pochi giorni dopo, il 25 marzo 2010, si focalizzerà l’attenzione sulla raccolta Porto sepolto di Giuseppe Ungaretti, dove viene narrata l’esperienza del primo conflitto bellico, vissuta dallo stesso poeta come soldato semplice presso il XIX Battiglione di fanteria, sulle montagne del Carso. Mentre il 22 aprile 2010 si illustrerà la «cultura del negativo» che emana dai volumi Ossi di seppia e Occasioni, La bufera e l’altro, Satura e Quaderno di quattro anni di Eugenio Montale.
I motivi della rassegna
«Gli incontri –spiega Delia Cajelli- saranno intimi e interattivi, anche per la dimensione quasi domestica del Ridotto, che stimola la partecipazione del pubblico e il suo contatto fisico con gli attori», grazie alla platea mobile e all’esiguità del numero di posti a sedere (una settantina in tutto)». «Lo scopo di questa rassegna –prosegue la direttrice artistica del teatro Sociale di Busto Arsizio- è quello di conquistare l’animo dei più giovani alla poesia, non con lezioni scolastiche, ma con l’emozione della recitazione in teatro».
La poesia, dunque, con Perché tu mi dici: poeta? scende dalla cattedra e va in mezzo alla gente, forse realizzando uno dei sogni del futurista Aldo Palazzeschi, che scrisse «il vero poeta dovrebbe scrivere sui muri, per le vie, le proprie sensazioni e impressioni, fra l'indifferenza o l'attenzione dei passanti».
Tutte le conferenze-spettacolo avranno inizio alle 21.00.
Didascalie delle immagini
[fig. 1] Immagine promozionale della rassegna Perché tu mi dici: poeta?. Foto: Silvia Consolmagno. [fig. 2, fig. 3 e fig. 5] Serata di poesia al teatro Sociale di Busto Arsizio. Foto: Silvia Consolmagno; [ fig. 5] Delia Cajelli con l'attore Gerry Franceschini. Foto: Silvia Consolmagno.
Informazioni utili
Perché tu mi dici: poeta?. Teatro Sociale / ridotto Luigi Pirandello, piazza Plebiscito 8 - 21052 Busto Arsizio (Varese). Biglietti: intero € 8.00, ridotto € 6.00 (riservato a giovani fino ai 21 anni, ultra 65enni, militari, Cral, biblioteche, dopolavoro e associazioni con minimo dieci persone). Botteghino: il botteghino del teatro Sociale, ubicato in piazza Plebiscito 8, presso gli uffici del primo piano, è aperto nelle giornate mercoledì e venerdì, dalle 16.00 alle 18.00, e sabato, dalle 10.00 alle 12.00. E’ possibile prenotare telefonicamente, al numero 0331.679000, tutti i giorni feriali, secondo il seguente orario: dal lunedì al venerdì, dalle 16.00 alle 18.00; il sabato, dalle 10.00 alle 12.00. Informazioni utili: tel. 0331. 679000, e-mail: info@teatrosociale.it. Web site: www.teatrosociale.it.
A Venezia i «piccoli oggetti» del conte Giuseppe Panza
«Essere collezionisti ha significato per noi raccogliere con passione opere disperse, per dar loro unità in un insieme in cui ognuna avesse il suo posto». Così Giuseppe Panza (Milano, 23 marzo 1923 – Milano, 24 aprile 2010) parlava della sua raccolta, creata con la moglie Giovanna, all'interno della quale, in effetti, si possono ritrovare dei fili conduttori: dall'amore per la light art a quello per le installazioni ambientali, senza dimenticare l'attenzione per l'informale europeo.
In occasione della cinquantottesima edizione della Biennale di Venezia, il Fai - Fondo per l'ambiente italiano indaga l'interesse del collezionista milanese per i piccoli oggetti, un’autentica inversione di tendenza rispetto al suo noto interesse collezionistico degli anni Sessanta e Settanta.
Al negozio Olivetti in piazza San Marco, progettato nel 1958 da Carlo Scarpa e riaperto all’inizio di questo decennio grazie all’ente presieduto da Andrea Carandini, è allestita la mostra «Wunderkammer Panza di Biumo», per la curatela di Anna Bernardini e Pietro Caccia Dominioni.
L’esposizione, che si avvale di un elegante allestimento dello Studio Scandurra di Milano, mette in relazione le perfette geometrie, la spasmodica attenzione al dettaglio, i gentili giochi di luce di marmo e vetro di Murano dell’architettura scarpiana con le opere di piccole dimensioni che il conte milanese collezionò o ricevette in dono dai suoi amici artisti in un arco di tempo che va dal 1966 al 1992.
I quaranta lavori selezionati per la rassegna, che spaziano da una seggiolina in ferro di Joel Shapiro (New York, 1941-1975) alla musicassetta «Monologo, 9 maggio 1973» di Vincenzo Agnetti (Milano 1926-1981), sono disposti sui supporti progettati per esporre le macchine da scrivere Olivetti e appaiono agli occhi del visitatore come discrete e preziose apparizioni. L’impressione è quella di trovarsi proprio all’interno di una vera e propria «stanza delle meraviglie» o «gabinetto delle curiosità», tanto in voga tra il Cinquecento e la seconda metà del Settecento.
Maquettes, invenzioni meccaniche, studi, progetti e modelli di installazioni e creazioni artistiche interpretabili come i «primi originali» -un insieme di oggetti realizzati da quattordici artisti- ammaliano così il visitatore, che lungo il percorso scopre o riscopre l’attenzione del collezionista per le tendenze artistiche novecentesche volte a porre al centro della pratica il concetto di idea.
«L’opera per Panza -raccontano dal Fai -Fondo per l’ambiente italiano- rappresenta, infatti, l’espressione e la visualizzazione della facoltà più alta dell’uomo, il pensiero, e la geometria è il mezzo utilizzato da quest’arte che riflette la capacità della mente di ordinare la realtà. Sono, poi, infiniti i modi in cui l’ordine viene realizzato: linee curve, angoli, volumi che si possono usare in un numero illimitato di variazioni dove fantasia e creatività hanno libertà di manifestarsi».
I lavori in mostra, provenienti dalla Collezione Panza di Mendrisio, appartengono, per la maggior parte, ai principali esponenti del Minimalismo e dell’Arte concettuale: da Walter De Maria a Carl Andre, da Robert Morris a Richard Nonas, da Dan Flavin a Joseph Beuys, fino a Robert Barry, Ian Wilson, Jene Highstein, Piero Fogliati, Douglas Davis e Eric Orr.
Lungo il percorso espositivo è possibile approcciarsi, nello specifico, con le ricerche legate al colore di Dan Flavin (Jamaica, New York 1933 - Riverhead, New York City 1996), in mostra con la «Print Series (Blue/Dark 17/25, Yellow/Purple 17/25, Green/Red 4/25)», e con le sperimentazioni di Piero Fogliati (Canelli, 1930 – Torino, 2016) incentrate sulle nuove tecnologie, ben documentate dall’opera «Anemofono» (1970-1973). Non mancheranno nella rassegna veneta una riflessione sui rapporti tra arte e scrittura, con i telegrammi di Pier Paolo Calzolari (Bologna, 1943), e un suggestivo lavoro di Carl Andre (Quincy, Massachusetts, 1935), emblema della sua indagine sulla purezza della luce e della materia. Si tratta di «Brass Square Piece» (1962), un elegante insieme di quadrati in ottone dalle consuete tonalità dorate.
Un bel percorso, dunque, quello della mostra veneziana al negozio Olivetti per dire, con Giuseppe Panza, che «l’idea è l’inizio di tutto».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Dan Flavin, Print Series, 1996. Ph Alessandro Zambianchi. Courtesy Panza Collection; [fig. 2] Carl Andre, Brass Aquare Piece, 1972. Ph Alessandro Zambianchi. Courtesy Panza Collection; [fig. 3] Pier Paolo Calzolari, Telegramma no.349, 26 aprile 1976. Ph Alessandro Zambianchi. Courtesy Panza Collection
Informazioni utili
«Wunderkammer Panza di Biumo. L’arte dei piccoli oggetti 1966-1992». Negozio Olivetti, piazza San Marco 101 – Venezia. Orari: da martedì a domenica, dalle ore 10.00 alle ore 18.30; ultimo ingresso mezz’ora prima della chiusura. Biglietti: intero € 8,00, ridotto (bambini 6-18 anni) € 5,00; famiglia € 22,00; Iscritti FAI e National Trust gratuito, studenti universitari (fino ai 25 anni) e residenti nel Comune di Venezia € 5,00. Informazioni: tel. 041.5228387, fainegoziolivetti@fondoambiente.it. Fino al 27 ottobre 2019.
In occasione della cinquantottesima edizione della Biennale di Venezia, il Fai - Fondo per l'ambiente italiano indaga l'interesse del collezionista milanese per i piccoli oggetti, un’autentica inversione di tendenza rispetto al suo noto interesse collezionistico degli anni Sessanta e Settanta.
Al negozio Olivetti in piazza San Marco, progettato nel 1958 da Carlo Scarpa e riaperto all’inizio di questo decennio grazie all’ente presieduto da Andrea Carandini, è allestita la mostra «Wunderkammer Panza di Biumo», per la curatela di Anna Bernardini e Pietro Caccia Dominioni.
L’esposizione, che si avvale di un elegante allestimento dello Studio Scandurra di Milano, mette in relazione le perfette geometrie, la spasmodica attenzione al dettaglio, i gentili giochi di luce di marmo e vetro di Murano dell’architettura scarpiana con le opere di piccole dimensioni che il conte milanese collezionò o ricevette in dono dai suoi amici artisti in un arco di tempo che va dal 1966 al 1992.
I quaranta lavori selezionati per la rassegna, che spaziano da una seggiolina in ferro di Joel Shapiro (New York, 1941-1975) alla musicassetta «Monologo, 9 maggio 1973» di Vincenzo Agnetti (Milano 1926-1981), sono disposti sui supporti progettati per esporre le macchine da scrivere Olivetti e appaiono agli occhi del visitatore come discrete e preziose apparizioni. L’impressione è quella di trovarsi proprio all’interno di una vera e propria «stanza delle meraviglie» o «gabinetto delle curiosità», tanto in voga tra il Cinquecento e la seconda metà del Settecento.
Maquettes, invenzioni meccaniche, studi, progetti e modelli di installazioni e creazioni artistiche interpretabili come i «primi originali» -un insieme di oggetti realizzati da quattordici artisti- ammaliano così il visitatore, che lungo il percorso scopre o riscopre l’attenzione del collezionista per le tendenze artistiche novecentesche volte a porre al centro della pratica il concetto di idea.
«L’opera per Panza -raccontano dal Fai -Fondo per l’ambiente italiano- rappresenta, infatti, l’espressione e la visualizzazione della facoltà più alta dell’uomo, il pensiero, e la geometria è il mezzo utilizzato da quest’arte che riflette la capacità della mente di ordinare la realtà. Sono, poi, infiniti i modi in cui l’ordine viene realizzato: linee curve, angoli, volumi che si possono usare in un numero illimitato di variazioni dove fantasia e creatività hanno libertà di manifestarsi».
I lavori in mostra, provenienti dalla Collezione Panza di Mendrisio, appartengono, per la maggior parte, ai principali esponenti del Minimalismo e dell’Arte concettuale: da Walter De Maria a Carl Andre, da Robert Morris a Richard Nonas, da Dan Flavin a Joseph Beuys, fino a Robert Barry, Ian Wilson, Jene Highstein, Piero Fogliati, Douglas Davis e Eric Orr.
Lungo il percorso espositivo è possibile approcciarsi, nello specifico, con le ricerche legate al colore di Dan Flavin (Jamaica, New York 1933 - Riverhead, New York City 1996), in mostra con la «Print Series (Blue/Dark 17/25, Yellow/Purple 17/25, Green/Red 4/25)», e con le sperimentazioni di Piero Fogliati (Canelli, 1930 – Torino, 2016) incentrate sulle nuove tecnologie, ben documentate dall’opera «Anemofono» (1970-1973). Non mancheranno nella rassegna veneta una riflessione sui rapporti tra arte e scrittura, con i telegrammi di Pier Paolo Calzolari (Bologna, 1943), e un suggestivo lavoro di Carl Andre (Quincy, Massachusetts, 1935), emblema della sua indagine sulla purezza della luce e della materia. Si tratta di «Brass Square Piece» (1962), un elegante insieme di quadrati in ottone dalle consuete tonalità dorate.
Un bel percorso, dunque, quello della mostra veneziana al negozio Olivetti per dire, con Giuseppe Panza, che «l’idea è l’inizio di tutto».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Dan Flavin, Print Series, 1996. Ph Alessandro Zambianchi. Courtesy Panza Collection; [fig. 2] Carl Andre, Brass Aquare Piece, 1972. Ph Alessandro Zambianchi. Courtesy Panza Collection; [fig. 3] Pier Paolo Calzolari, Telegramma no.349, 26 aprile 1976. Ph Alessandro Zambianchi. Courtesy Panza Collection
Informazioni utili
«Wunderkammer Panza di Biumo. L’arte dei piccoli oggetti 1966-1992». Negozio Olivetti, piazza San Marco 101 – Venezia. Orari: da martedì a domenica, dalle ore 10.00 alle ore 18.30; ultimo ingresso mezz’ora prima della chiusura. Biglietti: intero € 8,00, ridotto (bambini 6-18 anni) € 5,00; famiglia € 22,00; Iscritti FAI e National Trust gratuito, studenti universitari (fino ai 25 anni) e residenti nel Comune di Venezia € 5,00. Informazioni: tel. 041.5228387, fainegoziolivetti@fondoambiente.it. Fino al 27 ottobre 2019.
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