ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

lunedì 22 giugno 2020

I nudi di Re Hang per la riapertura del Pecci di Prato

Non si è fermato nemmeno durante i giorni più duri dell'emergenza sanitaria per il Covid-19. Ha dato vita, con la sua web-tv, a un ricco palinsesto di contenuti giornalieri e, contemporaneamente, ha lanciato un progetto per i suoi spazi esterni: «Extra-Flags», una serie di bandiere d’artista commissionate, una a settimana, per essere issate sul pennone davanti al museo, come segnale fisico di vitalità e resistenza.
Le dieci opere nate durante i giorni del lockdown sono state il biglietto da visita con cui il Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci di Prato ha mostrato alla città la sua voglia di ripartire, superando il momento drammatico e straordinario che stavamo vivendo.
Marinella Senatore, Nico Vascellari, Marzia Migliora, Eva Marisaldi, Flavio Favelli, Marcello Maloberti, Massimo Bartolini, Elena Mazzi e Andreco sono gli artisti che hanno risposto all'appello. Le loro bandiere sono ora esposte all'interno del museo toscano, tra i primi sul territorio italiano a riaprire lo scorso maggio, dopo circa dieci settimane di chiusura.
Per l'occasione, gli spazi sono stati sanificati e riorganizzati secondo le indicazioni delle autorità, con tutti i presidi di protezione personale necessari, mentre le caratteristiche dell’edificio, con più di ottomila metri quadrati di spazi e grandi sale, rendono semplice il distanziamento fisico e la gestione contingentata del flusso di visitatori, che, comunque, non potranno essere più di sessanta contemporaneamente.
«Nei prossimi mesi –racconta la direttrice Cristina Perrella- il rapporto fisico con i nostri spazi sarà riservato principalmente a un pubblico di prossimità e questa sarà un’occasione importante per aumentare la familiarità dei cittadini con il museo e rafforzare una dimensione territoriale. Altrettanto importante sarà rimanere connessi al mondo. Da questo punto di vista l’uso dello spazio digitale sarà uno dei contesti in cui alimentare il pensiero critico e il confronto con la scena culturale globale, oggi che la condivisione di pensieri, contenuti, esperienze è più essenziale che mai e può generare nuovi scenari per l’arte nazionale e internazionale».
Globale e locale si incontreranno, dunque, questa estate al Pecci, che continuerà a produrre contenuti multimediali e, nello stesso tempo, punterà i riflettori sui suoi concittadini, a partire dai più piccoli. Pensa, infatti, a loro il laboratorio didattico su «Extra Flags» e la call pubblica, lanciata in occasione della riapertura, per co-progettare uno strumento digitale per la visita autonoma del museo dedicata alle famiglie con bambini dai 6 ai 12 anni.
L'attività di progettazione partecipata, in linea con i protocolli di sicurezza, si svolgerà all'aperto, nel giardino antistante il museo, e consentirà di creare una guida multimediale da scaricare sul proprio smartphone per visitare in autonomia il centro pratese, alla scoperta della sua architettura, del suo giardino delle sculture e delle sue collezioni.
Per quanto riguarda la programmazione espositiva il museo toscano apre, questa estate, le porte alla prima mostra italiana dedicata all’acclamato fotografo e poeta cinese Ren Hang (1987-2017), tragicamente scomparso a neppure trent’anni.
L’artista, le cui opere sono ritenute in Cina pornografiche e sovversive, è noto soprattutto per la sua ricerca su corpo, identità, sessualità e rapporto uomo-natura, che ha per protagonista una gioventù cinese nuova, libera e ribelle.
I suoi nudi appaiono su un tetto tra i grattacieli di Pechino, in una foresta di alberi ad alto fusto, in uno stagno con fiori di loto, in una vasca da bagno tra pesci rossi che nuotano oppure in una stanza spoglia; i loro volti sono impassibili, le loro membra piegate in pose innaturali. Cigni, pavoni, serpenti, ciliegie, mele, fiori e piante sono utilizzati come oggetti di scena assurdi, ma dal grande potere evocativo.
L'esposizione, visitabile fino al prossimo 23 agosto, allinea novanta scatti, accompagnati da un portfolio che documenta il backstage di uno shooting di Ren Hang nel Wienerwald nel 2015 e un’ampia sezione di libri rari sul suo lavoro.
Nello stesso periodo sarà possibile vedere «The Missing Planet, visioni e revisioni dei “tempi sovietici” dalla collezione del Centro Pecci e da altre raccolte», a cura di Marco Scotini e Stefano Pezzato, con progetto di allestimento di Can Altay.
L'esposizione propone un’immersione nelle ricerche artistiche sviluppate dagli anni Settanta a oggi nelle ex repubbliche sovietiche, dalla Russia alle province baltiche, caucasiche e centro-asiatiche, che parte dalla rilettura del ricco nucleo di opere dedicate a quest’area geografica presenti nella collezione del Centro Pecci, già esposte nelle mostre «Artisti russi contemporanei» (1990) e «Progressive nostalgia» (2007).
«L’intento della nuova rassegna -raccontano dal Pecci, nelle note di presentazione- è pertanto quello di agire sul tempo, ma anche “contro il tempo”, in favore di un tempo che deve ancora accadere. Per questo, tra metafora e realtà, lavora sull’immaginario cosmico e utopistico che ha accompagnato l’epopea dell’Unione Sovietica, trasformando lo spazio espositivo del museo in uno «Space Shuttle», dentro al quale «Solaris» di Andrei Tarkovskij incontra «Once in the XX Century» di Deimantas Narkevicius come pure «Kunst camera» di Sergei Volkov e «Perestroika» di Erik Bulatov».
In occasione della mostra viene presentata «Interregnum», video installazione di Adrian Paci (Scutari 1969), composta da un montaggio di sequenze di funerali di dittatori comunisti di diverse nazionalità ed epoche, recuperate dagli archivi di stato o dalle trasmissioni televisive nazionali albanesi.
L'opera mostra uomini, donne, bambini ripresi in primo piano, in lacrime, oppure da lontano, in code chilometriche: la morte di un leader libera il dolore dei singoli che, dice l’artista albanese, «non era contemplato nella società comunista».
Una programmazione, dunque, varia quella del Centro Pecci di Prato per questa Fase 3 dell'emergenza sanitaria per il Covid-19, con l'intento di regalare un po' di cultura in un periodo difficile come quello che stiamo vivendo. D'altronde - lo diceva anche Fëdor Dostoevskij- «la bellezza salverà il mondo».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1]Elisabetta Benassi, Bumblebee needs protection for humankind’s sake, 2017-2020. Bandiera in tessuto nautico, 210 x 300 cm. Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, courtesy dell’artista; [fig. 2] he Missig Planet. Visioni e revisioni dei "tempi sovietici" dalle collezioni del Centro Pecci ed altre raccolte, 2019. Vista dell'allestimento al Centro Pecci. Ph. Ela Bialkowska, OKNOstudio; [fig. 3] Ren Hang, Girl with Ants, 2014. Courtesy Stieglitz19 and Ren Hang Estate; [fig. 4] Ren Hang, Kissing Roof, 2012. Courtesy Stieglitz19 and Ren Hang Estate; [fig. 5] Ren Hang, Peacock, 2016. Courtesy Stieglitz19 and Ren Hang Estate; [fig. 6]Ren Hang, Muur, 2016. Courtesy Stieglitz19 and Ren Hang Estate 

Informazioni utili 
Centro Pecci per l'arte contemporanea, Viale della Repubblica, 277 – Prato. Orari: dal giovedì alla domenica, dalle ore 12 alle ore 20. Ingresso: Ingresso gratuito per tutti, fino al 31 luglio, alle mostre The Missing Planet. Visioni e revisioni dei ‘tempi sovietici’, Mohamed Keita: KENE/Spazio, Adrian Paci. Interregnum, Extra Flags | Ingresso alla mostra Ren Hang. Nudi intero 7,00 €, ridotto 5,00 €. Informazioni: +39 0574 5317, info@centropecci.it. Sito internet: www.centropecci.it

venerdì 19 giugno 2020

«Cinque minuti con Monet», a Genova un inusuale «tu per tu» con le ninfee

È il 1883 quando Claude Monet, al seguito della seconda moglie, Alice Hoschedé, e degli otto figli, si trasferisce in una casa colonica a Giverny, piccolo e tranquillo paese immerso nella campagna della Normandia, a poca distanza da Parigi.
Di quel suo buen retiro, dove visse oltre quarant’anni, l’artista francese ama la luce «unica», vibrante: «non si trova uguale in nessun’altra parte del mondo», diceva.
Qualche anno dopo, quella casa diventa di proprietà dello stesso Monet che, nell’estate del 1893, decide di trasformare il modesto orto che la circonda in un affascinante giardino alla francese, il clos Normand.
L’artista ottiene, in quello stesso periodo, anche l’autorizzazione a deviare il corso dell’Epte che costeggiava allora il villaggio di Giverny.
Alla fine dell’anno, i lavori sono conclusi e Monet, che da giardiniere e botanico esperto cura i dettagli del suo giardino, fa piantare quattro salici piangenti della varietà cosiddetta «di Babilonia» sul perimetro dello stagno delle ninfee; uno in prossimità del ponte giapponese, due sul lato lungo del laghetto parallelamente alla strada e un ultimo sulla riva opposta al ponte.
La piantagione di essenze esotiche accentua ancora di più l'orientalismo di questo gioiello acquatico.
In questo bucolico mondo costruito su misura -cavalletto, colori e pennello alla mano- Monet si mette a dipingere en plein air; nel 1897 le ninfee colpiscono la sua attenzione e l’artista le dipinge più e più volte.
Lo stesso soggetto viene rappresentato da angolazioni leggermente diverse, in varie ore del giorno, in differenti stagioni e con una luce sempre differente. «E, naturalmente, -raccontava lo stesso artista- l’effetto cambia costantemente, non soltanto da una stagione all’altra, ma anche da un minuto all’altro, poiché i fiori acquatici sono ben lungi da essere l’intero spettacolo, in realtà sono solo il suo accompagnamento. L’elemento base è lo specchio d’acqua il cui aspetto muta ogni istante per come brandelli di cielo vi si riflettono conferendogli vita e movimento».
Alla fine il ciclo dedicato alle ninfee costa di oltre duecentocinquanta tele, che documentano l’evoluzione del pittore, capostipite della corrente impressionista, verso uno sfilacciamento delle forme e una fluidità della pennellata che lo avvicinano al linguaggio astrattista.
Una di queste opere, quella di proprietà del Musée Marmottan Monet di Parigi, è attualmente in mostra a Genova, negli spazi di Palazzo Ducale, grazie alla collaborazione con Arthemisia e con il progetto Generali Valore Cultura, il programma della compagnia assicurativa italiana per promuove l’arte e la cultura su tutto il territorio italiano e avvicinare un pubblico vasto e trasversale - famiglie, giovani, clienti e dipendenti - al mondo dell’arte.
L’opera di Monet è al centro di un inusuale progetto espositivo, attento a tutti i protocolli anti-Covid diffusi dal Mibact: misurazione della temperatura all’ingresso, utilizzo della mascherina all’interno della mostra, rispetto della distanza di sicurezza tra le persone seguendo il percorso segnalato all’interno delle sale espositive.
Il distanziamento sociale che stiamo vivendo in questi mesi per l’emergenza sanitaria da Coronavirus diventa l’occasione per un’esperienza estetica immersiva ed emozionante: cinque minuti esclusivi da soli, o con qualche familiare, a tu per tu con uno dei quadri più famosi del grande pittore impressionista.
La mostra, in programma fino al prossimo 23 agosto, si trasforma così in una sfida alla riscoperta della contemplazione, del contatto e della forza espressiva di un’opera. «In un tempo che ci costringe a costruire barriere per proteggerci, -raccontano da Arthemisia- l’invito è quello a un incontro diretto con un capolavoro, per metterci in ascolto di quanto l’arte con grande capacità narrativa riesce a dire di sé, ma anche di noi».
La mostra si impreziosisce di un’altra piccola chicca, invito a scoprire - con sempre maggiore profondità - il patrimonio culturale genovese, soprattutto in questi mesi dove molti trascorreranno le vacanze in Italia, a poca distanza dalle proprie case.
Nel 1894 fu Giovanni Boldini, pittore italiano e uno dei massimi rappresentanti della Belle Époque, a sollecitare la conoscenza di Monet in Italia. E qui, oggi come allora, è ancora l’artista ferrarese a introdurre l’incontro con l’opera del maestro francese. E lo fa con un altro capolavoro, appunto uno dei tesori artistici della città di Genova: il dipinto «La contessa Beatrice Susanne Henriette van Bylandt», proveniente dalle Civiche raccolte Frugone di Nervi.
A corredo della mostra ci sono, poi, alcune fotografie di Monet, un video introduttivo che ne racconta la vita e un altro, d’epoca (1915 ca.), che riprende l’artista mentre dipinge nel suo giardino a Giverny.
Nelle Ninfee esposte al Ducale, il maestro francese offre la visione di un «mondo fluttuante», spazio piano dove si fa fatica a distinguere l’immagine dal suo riflesso, dove due cascate di salici, vicino ai bordi laterali, incorniciano un tappeto di ninfee su cui poggiano i riflessi delle nuvole. L’orizzonte è aperto. Non vi è né terra, né cielo. Solo l’onda e il fogliame ricoprono la tela luminosa e sovrastata da corolle di fiori eterei. Il risultato è «un incantesimo di acqua e luce», un’arte non tanto da capire, quanto – lo diceva il suo stesso autore- da amare.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Monet (1840-1926), Nymphéas, vers 1916-1919. Huile sur toile, 150x197 cm. Paris, musée Marmottan Monet, legs Michel Monet, 1966. © Musée Marmottan Monet, Paris / Bridgeman Images; [fig. 2] Giovanni Boldini, «La contessa Beatrice Susanne Henriette van Bylandt», 1901. Genova, Civiche raccolte Frugone di Nervi; [fig. 3] Ingresso di Palazzo Ducale a Genova; [fig. 4] Casa di Monet a Giverny

Informazioni utili

Cinque minuti con Monet. A tu per tu con le Ninfee. Palazzo Ducale, piazza Matteotti, 9 – Genova. Orari: lunedì, ore 14 – 19; dal martedì alla domenica, ore 10 – 19 (la biglietteria chiude un’ora prima dell’orario di chiusura). Ingresso: intero 7,00 €, bambini dai 6 ai 14 anni 3 €. Biglietti online: www.vivaticket.it. Fino al 23 agosto 2020

giovedì 18 giugno 2020

Da Helmut Newton alle «Storie del Marocco»: un'estate di grandi mostre per la Fondazione Torino Musei

«La moda è stato il mio primo desiderio, sin da ragazzo. E, ovviamente, volevo diventare un fotografo di Vogue»: così, semplicemente, Helmut Newton (Berlino, 1920 ‒ Los Angeles, 2004) raccontava il suo sogno di bambino diventato realtà. Su quella rivista prestigiosa, capace di dettare lo stile di più di un’epoca, il fotografo tedesco naturalizzato australiano, uno dei maestri indiscussi del Novecento, pubblicò, a partire dagli anni Sessanta, i suoi scatti, facendosi conoscere nel mondo per quel suo stile provocante e provocatorio, di certo rivoluzionario per il tempo, nel quale convivevano voyerismo, eleganza, seduzione, gioco e ironia.
Davanti al suo obiettivo sfilavano donne semi-vestite o nude, dai corpi scultorei e dall'evidente tensione erotica, immortalate in eleganti suite d’albergo o per le strade di una città, in luoghi banali come un garage, un bagno o un bar, trasformati per l’occasione in palcoscenici teatrali per storie che strizzavano, velatamente, l’occhio alle pratiche sadomaso e all’amore omossessuale.
Ci fu, allora, chi gridò allo scandalo; ed Helmut Newton, caustico e tranchant, provò a zittirli: «Non m’interessa il buon gusto. (...) Mi piace essere l'enfant terrible» e, ancora, «bisogna essere sempre all’altezza della propria cattiva reputazione».
Oggi tutto è cambiato. Quella fotografia non appare più così trasgressiva e in parte lo si deve proprio alla costanza del fotografo berlinese, classe 1920, nel continuare incessantemente una ricerca fotografica che ha sdoganato un genere, oggi conosciuto come porno-chic, che in tanti cercano di copiare ed emulare.
A cento anni dalla nascita, la Fondazione Torino Musei, con la collaborazione di Civita, ha voluto rendere omaggio ad Helmut Newton con una grande retrospettiva, a cura di Matthias Harder, direttore della fondazione berlinese dedicata all’artista, di cui rimarrà documentazione in un bel catalogo edito da Taschen.
Negli spazi della Gam – Galleria d’arte moderna, che ha riaperto i battenti il 12 giugno dopo la serrata per l’emergenza sanitaria da Covid-19, sfilano sessantotto fotografie che presentano una panoramica, la più ampia possibile, del lavoro del fotografo, dagli anni Settanta, con le numerose copertine per «Vogue», sino all’opera più tarda con il bellissimo ritratto di Leni Riefenstahl, datato 2000.
Delle importanti campagne fotografiche di moda sono esposti, tra l’altro, alcuni servizi realizzati per Mario Valentino e per Thierry Mugler nel 1998. Interessante è, poi, la galleria di ritratti a personaggi famosi del Novecento, tra i quali spiccano Andy Warhol (1974), Gianni Agnelli (1997), Paloma Picasso (1983), Catherine Deneuve (1976), Anita Ekberg (1988), Claudia Schiffer (1992) e Gianfranco Ferré (1996). In questa serie di lavori, che ha raggiunto milioni di persone grazie alle pagine di giornali e riviste, ma anche nei suoi celebri nudi, molti ritratti nell'elegante bianco e nero, si ritrovano quelli che per Helmut Newton erano i tre concetti della fotografia: «il desiderio di scoprire, la voglia di emozionare, il gusto di catturare».
In occasione della riapertura, la Gam permette al suo pubblico di ammirare ancora, per tutta estate, anche la maestosa «Fiera di Saluzzo» di Carlo Pittara, presentata nel 1880 alla IV Esposizione nazionale di Belle arti di Torino e nelle sue collezioni dal 1917, a seguito della donazione del barone Ignazio Weil-Weiss.
La tela, di 4,08 metri di altezza per 8,11 metri di larghezza, raffigura, con un’abile resa realistica, una grande parata di cavalieri, personaggi in costume e moltissimi animali: dalle capre ai bovini, dai cavalli di razza a quelli da tiro, dagli animali da cortile ai cani, fino alla scimmietta ritratta sulla spalla di un giovane con lo scopo di attrarre l’attenzione sulla merce di un pittoresco venditore di chincaglieria.
Alla Gam riprende, inoltre, l’attività della videoteca con un progetto dedicato a Giuseppe Chiari (Firenze, 1926–2007), compositore e artista concettuale del quale vengono presentati, in collaborazione con l’Archivio storico della Biennale di Venezia, due video -«Kunst ist einfach» (1973) e «Spoleto Concert»- e i fogli disegnati per il progetto «La musica è facile» (1972).
L’offerta espositiva si arricchirà, dal 24 giugno, della mostra «Forma /Informe», dedicata alla nascita della fotografia non-oggettiva e informale in Italia, con cinquanta stampe vintage e originali in gran parte inedite di sette grandi fotografi, da Giuseppe Cavalli (1904-1961) a Luigi Veronesi (1908- 1998), da Franco Grignani (1908-1999) a Pasquale De Antonis (1908-2001), da Piergiorgio Branzi (1928) a Paolo Monti (1908-1982), per finire con Nino Migliori (1926).
Dopo l’apertura dello scorso 28 maggio di Palazzo Madama, dove è in corso una mostra su Andrea Mantegna, oltre alla Gam è ritornato di nuovo accessibile, nella giornata di venerdì 12 giugno, anche il Mao – Museo d’arte orientale, che per l’occasione propone al pubblico una nuova rotazione di stampe e dipinti giapponesi su rotolo verticale, dal titolo «La poesia del paesaggio», e il progetto «Storie dal Marocco. Oggetti testimoni di identità e memoria».
Sono, dunque, ritornati tutti fruibili gli spazi civici gestiti dalla Fondazione Torino Musei che, per la sua riapertura, si è avvalsa della consulenza del Politecnico di Torino e della società Onleco Srl, il cui aiuto ha portato alla revisione delle procedure di sicurezza imposte dall’emergenza sanitaria per il Covid-19.
Al fine di garantire un’offerta culturale più ampia, i tre musei del circuito saranno aperti quattro giorni a settimana in modo scaglionato, escluso il mercoledì, che sarà l’unico giorno di chiusura comune a tutti. La Gam sarà accessibile dal venerdì al lunedì; il Mao dal sabato al martedì; Palazzo Madama dal giovedì alla domenica. Nei giorni infrasettimanali l’orario per tutti i musei sarà dalle 13 alle 20; il sabato e la domenica dalle 10 alle 19. Mercoledì 24 giugno, festa patronale di San Giovanni, i tre musei civici di Torino saranno straordinariamente aperti dalle 10 alle 20.
Ovviamente in tutte e tre le strutture verranno rispettate le norme predisposte dal Mibact per la Fase 2 della cultura: dalla mascherina al distanziamento sociale, dalla creazione di percorsi di visita a senso unico all'agevolazione dell'acquisto dei biglietti on-line . Il tutto con l'intento di garantire ai visitatori un appuntamento con la bellezza, all'insegna della sicurezza.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Helmut Newton, Claudia Schiffer, Vanity Fair, Menton, 1992 ©Helmut Newton Estate; Helmut Newton, Stern, Monte Carlo, 1997 ©Helmut Newton Estate; [fig. 3] Helmut Newton, Andy Warhol, Vogue Uomo. Parigi, 1974 ©Helmut Newton Estate; [fig. 4] Carlo Pittara, Fiera di Saluzzo (secolo XVII), 1880. Olio su tela. Esposto alla IVª Esposizione Nazionale di Belle Arti, Torino, 1880 · Dono di Giuseppe Weil-Weiss, Lainate (Milano), 1917; [fig. 5] Andrea Mantegna, Pala Trivulzio, 1497. Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco

Informazioni utili
www.fondazionetorinomusei.it