ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 13 giugno 2017

Da Shirin Neshat alla collezione Carraro, le mostre dei Musei civici veneziani per la Biennale

È ricco il cartellone di eventi che i Musei civici di Venezia hanno ideato in occasione della cinquantasettesima Mostra internazionale d’arte contemporanea con l’intento di essere non solo depositari della memoria storica della città, ma anche promotori di un’indagine critica e di un’esplorazione sui linguaggi più attuali della ricerca creativa. «Muve contemporaneo», progetto nato nel 2013 per iniziativa di Gabriella Belli, giunge così alla sua terza edizione anche grazie alla collaborazione con prestigiose istituzioni internazionali come il Lacma di Los Angeles, il Guggenheim di Bilbao, il Museum of Fine Arts di Boston, la Royal Academy di Londra e la Phillips Collection di Washington.
Il Museo Correr -che si affaccia su piazza San Marco, cuore pulsante della città lagunare- apre, per esempio, le sue porte a Shirin Neshat con la mostra «La casa dei miei occhi», per la curatela di Thomas Kellein, che espone parte dell’omonima serie di ritratti scattati dall’artista iraniana, di stanza a New York, tra il 2014 e il 2015 in Azerbaijan, Paese crocevia di tante lingue, etnie e religioni.
Il risultato è un grande arazzo di ventisei volti umani, sistemati in pose e abiti simili su uno sfondo scuro, che rimarrà collocato fino al prossimo 26 novembre nella Sala delle Quattro porte al secondo piano del palazzo veneziano, nell’ambito del percorso permanente.
Quasi tutte le persone raffigurate hanno le mani giunte; questo dettaglio è un richiamo ai dipinti religiosi cristiani e in particolare a quelli di El Greco. Sullo sfondo delle stampe, impresse su gelatina d’argento, appaiono testi calligrafici scritti in inchiostro che Shirin Neshat ha in parte tratto da poesie di Nizami Ganjavi, scrittore iraniano del XII secolo che visse in quello che è oggi l’Azerbaijan.
Nella stanza vicina a questa ipnotica installazione -che circonda una bella Madonna gotica in legno, tesoro della collezione dei Musei civici veneziani- è possibile vedere anche il video «Roja» (2016), riflessione, a partire dai sogni e dai ricordi della stessa artista, sulla nostalgia di legami di una donna iraniana per la sua terra e sul tema, quanto molto attuale, della migrazione e dello sradicamento dalle proprie radici.
Al Correr, fino al prossimo 10 settembre, è esposta anche una piccola mostra di Roger de Montebello, per la curatela di Jean Clair. Il lavoro dell’artista franco-americano -affermano gli organizzatori- «si potrebbe definire borderline, al limite tra astrazione e figurazione, sempre guidato da una poetica della luce di grande efficacia, con effetti in bilico tra pensiero e sensazione, che gli fanno esplorare, in una visione quasi metafisica, dettagli delle cose o delle persone, porte sull’acqua, alberi, volti, architetture affacciate sui canali veneziani, specchi in cui si riflettono immagini di architetture».
Sempre in piazza San Marco, ma nel vicino Palazzo ducale, «Muve contemporaneo» propone in anteprima mondiale, e fino al prossimo 24 novembre, il nuovo video dell’artista scozzese Douglas Gordon: «Gente di Palermo». Si tratta di un filmato amatoriale di due minuti o poco più girato dallo stesso artista con il cellulare durante una visita casuale alla Cripta dei Cappuccini a Palermo, un vasto e celebre cimitero sotterraneo che conserva migliaia di cadaveri imbalsamati ed esposti ai visitatori in lunghi e tetri corridoi.
Qui, tra le mummie dei più piccoli, Douglas Gordon si è imbattuto per caso in un delfino gonfiabile abbandonato, che fluttuava verso il soffitto. Il macabro contrasto tra l’aspetto ludico del palloncino e la drammaticità del contesto, tra la vita e la morte, è stato sintetizzato in pochi fotogrammi carichi di pathos, nei quali si racconta la macabra ironia della sorte che porta un giocattolo da luna park tra i corpi di bambini che non potranno giocare mai più.
Il percorso tra le mostre più significative di «Muve contemporaneo» non può non fare tappa a Palazzo Fortuny, dove è allestita fino al prossimo 27 novembre la mostra «Intuition», curata da Daniela Ferretti e Axel Vervoordt, con Dario Dalla Lana, Davide Daninos e Anne-Sophie Dusselier.
Artefatti antichi e opere del passato dialogano con manufatti contemporanei creando una riflessione, colta e affascinante, sui concetti di intuizione, sogno, telepatia, fantasia paranormale, meditazione e potere creativo, per giungere all’ipnosi e all’ispirazione.
Da Vassily Kandinsky a Paul Klee, da Kazuo Shiraga a Lucio Fontana, da André Breton a Joseph Beuys, senza dimenticare le sperimentazioni fotografiche di Raoul Ubac e Man Ray, le opere su carta di Henry Michaux e Joan Miró o le sperimentazioni di figure cruciali dell’attualità come Marina Abramovic e Anish Kapoor, il percorso espositivo analizza i meccanismi segreti della genesi creativa e intellettuale, soffermandosi su quei «lampi improvvisi» che ci permettono di acquisire conoscenze senza prove, indizi o ragionamento cosciente. Ad aprire la carrellata di opere in mostra sono una serie di menhir del periodo Neolitico, provenienti da antiche civiltà europee, che creano un'immediata correlazione tra cielo e terra e che da soli meritano una visita a Palazzo Fortuny.
Interessante è anche la proposta espositiva di Palazzo Mocenigo che, fino al 1° ottobre, presenta nella sua White Room la mostra «Trasformation», a cura di Inger Wästberg, con le opere-gioiello di sei artiste svedesi le cui creazioni sono già al museo nazionale di Stoccolma.
Quelli esposti non sono monili convenzionali, ma manufatti che contengono messaggi, simbolismi e riferimenti subliminali, oltre a essere ornamenti esteticamente belli e affascinanti. Metà delle artiste in mostra lavora con materiali semplici e poco costosi: ecco così -accanto ai lavori di Tobias Alm, Hanna Hedman e Märta Mattsson- le collane di crine di cavallo di Agnes Larsson, l’uso fantasioso delle pelli di salmone e pesce persico di Catarina Hallzon o la corda di cotone usata nelle collane di Sara Borgegard Alga, a sottolineare come il significato artistico possa apportare valore a un pezzo più delle pietre preziose.
Nello stesso museo, ma fuori dal circuito «Muve contemporaneo», merita una visita anche la mostra «Cabinet of Curiosities. La collezione Storp», allestita nel Pòrtego del piano nobile del palazzo per la curatela di Gergana von Heyking. «Naturalia», «Artificialia» e «Mirabilia» sono le tre sezioni in cui è divisa l’esposizione, che allinea una selezione di flaconi e contenitori per profumi, occasione creativa per esercitazioni virtuosistiche, dove il talento del design e dell’esecuzione si accompagna alla scelta di materiali pregiati, come l’oro e l’argento, e a tecniche sofisticate, come gli smalti e l’incisione, capaci di emulare in un prodigioso equilibrio estetico e cromatico la perfezione della natura che può mettere a disposizione materiali speciali come corazze di animali marini, piante e cortecce esotiche.
Poco distante da Palazzo Mocenigo merita una visita Ca’ Pesaro che, in occasione della Biennale d’arte, presenta un nuovo allestimento delle sue collezioni permanenti con l’inserimento, alle Sale 6 e 7, delle opere provenienti dalla raccolta di Chiara e Francesco Carraro. Ottantadue le opere che compongono il lascito, compresi come la splendida collezione di vetri che vede la firma, tra gli altri, di Ercole Barovier, Carlo Scarpa, Fulvio Bianconi, Napoleone Martinuzzi, Archimede Seguso, Paolo Venini e Vittorio Zecchin, o rare creazioni di arredamento di inizio del Novecento, con nomi di grido come quelli di Eugenio Quarti e Carlo Bugatti. Accanto a questi lavori è esposta una selezione di sculture e dipinti di grande livello, che spazia dal grande «Polittico Garagnani» (1957) di Gino Severini, restaurato per l’occasione, alle nature morte di Giorgio Morandi, dagli affascinanti ritratti borghesi di Antonio Donghi, tra cui si segnalano «Gli amanti alla stazione» e «Le villeggianti», alla bella formella in marmo «Maria dà luce ai pargoli cristiani» di Adolfo Wildt, senza dimenticare le sculture «La Pisana» e «Il bevitore» di Arturo Martini.
L’acquisizione a lungo termine della collezione Carraro ha offerto anche l’occasione per ripensare l’intero percorso espositivo, ora arricchito da opere provenienti dai depositi che danno conto di un movimento nato proprio in questo palazzo, quei «Ribelli di Ca’ Pesaro» che negli anni tra il 1908 e il 1924 videro il coinvolgimento di nomi quali Umberto Boccioni e Gino Rossi, o che omaggio artisti simbolo dell'arte contemporanea come Calder, Kandinskij, Klee, Picasso o Matisse.
Un programma, dunque, articolato quello offerto dai Musei civici veneziani per questa estate, che si completa con le mostre sulle isole di Murano e Burano dedicate alla sperimentazione contemporanee nel campo del vetro e del merletto di Gaetano Pesce, Dino Martens e Mario Bissacco, creando così un virtuoso cortocircuito tra ieri, oggi e domani «ideato -racconta Gabriella Belli- soprattutto per chi vive in questa città d’acqua e di terraferma, che nel consumo quotidiano della cultura può intravedere la nascita di una nuova identità. Tutto serve per proiettare la città nel futuro, portandosi appresso la grande storia del suo passato».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Shirin Neshat, «Anna», from «The Home of My Eyes» series, 2015. Silver Gelatin Print and Ink, 152.4 x 101.6cm (40 x 60 in). Courtesy Written Art Foundation, Frankfurt am Main, Germany; [fig. 2] Shirin Neshat, «Javid», from «The Home of My Eyes» series, 2015. Silver Gelatin Print and Ink, 152.4 x 101.6cm (40 x 60 in). Courtesy Written Art Foundation, Frankfurt am Main, Germany; [fig. 3] Roger de Montebello, «Porta delle Terese», 2014. Oil on canvas, 140x190cm; [fig. 4] Douglas Gordon, un frame del video «Gente di Palermo», 2017; [fig. 5] Giorgio Morandi, «Natura morta», 1943. Opera esposta a Ca'Pesaro nell'ambito dell'allestimento per la presentazione della Collezione Carraro; [fig. 6] Scarabeo diamantato. Opera esposta nella mostra «Trasformation» a Palazzo Mocenigo; [figg. 7 e 8] Veduta della mostra «Intuition» a Palazzo Fortuny

Informazioni utili
Per notizie sugli orari di apertura e sui costi dei biglietti delle mostre in corso ai Musei civici veneziani è possibile consultare il sito http://www.visitmuve.it/.

lunedì 12 giugno 2017

Alla Rocca di Cento una mostra su Minguzzi

Sono oltre quaranta le opere scelte dalla città di Cento per rendere omaggio al grande artista Luciano Minguzzi (Bologna 1911 – Milano 2004). Sede dell’esposizione, allestita fino al 20 agosto, è la Rocca cittadina, sorta alla fine del ‘300 per volontà del vescovo di Bologna, il cui aspetto attuale è frutto dell’impronta voluta nel 1483 da Giuliano della Rovere, futuro Papa Giulio II.
L’intreccio tra tradizione e modernità è una costante nell’arte di Luciano Minguzzi che sulle orme di Arturo Martini, Giacomo Manzù e Marino Marini, guardava agli etruschi e all’Antelami, a Nicolò dell’Arca e a Jacopo della Quercia, per assimilarne la sintesi e la potente energia espressiva, e ugualmente ammirava la scomposizione e ricomposizione di Picasso e la capacità di far vibrare la materia di Medardo Rosso. Formatosi all’Accademia delle Belle Arti di Bologna sotto la guida di Ercole Drei e Giorgio Morandi, e di Roberto Longhi all’università, soggiorna più volte a Parigi e nel 1951 si trasferisce a Milano dove prosegue la sua carriera verso il successo.
La mostra presenta opere caposaldo in un percorso emozionale e cronologico che rivela significative scoperte formali e tematiche, dove primitivismo, espressionismo e astrazione si intrecciano alimentandosi delle tendenze europee, in uno stile originale e unico.
Ad accogliere il visitatore nel piazzale della rocca, all’ingresso della mostra e in dialogo con la città, è la monumentale scultura «Grande contorsionista» (1952-89), di oltre due metri, tema molto amato dall’artista come quello degli «Acrobati» (1954) esposti nelle sale interne insieme a «Donna al trapezio», legno policromo del 1956, «Donna sul divano» (1990) e «Oplà», ultima creazione del 2000, evoluzione dinamica estrema degna del Giambologna o del Bernini che Minguzzi ha sempre ammirato, sfidando da par loro la materia.
La prima grande commissione pubblica, la V Porta del Duomo di Milano, vinta in concorso nel 1958 superando Lucio Fontana e inaugurata nel 1965, è documentata da bozzetti, disegni e dalle sculture lignee «Giangaleazzo Visconti a cavallo» e «Frate a cavallo», riprese dalle formelle narranti la storia della cattedrale. Un’opera volutamente figurativa e tradizionale nel racconto storico-religioso eppure lo stile tagliente e geometrico è in sintonia con i coevi esperimenti astratti, tra cui i «Sei personaggi» (1957), ambientati nel cortile della rocca, perché anche se Minguzzi non abbandona mai del tutto la figurazione negli anni del dibattito tra realismo e astrazione, accoglie nuovi stimoli, per esempio la scultura di Brancusi e di Harp, e raggiunge sorprendenti esiti.
In contemporanea nascono opere drammatiche come «Gli uomini del Lager» (1957), eseguita in ricordo della guerra e dopo la visita ai campi di Auschwitz, di cui si ammira in mostra il bozzetto; corpi scarnificati in scatole-sepolcro provviste di ante che si possano tramutare in giochi di chiuso-aperto, dentro-fuori, ripresi poi in «Fiori chiari» ispirata alla via milanese, in «Omaggio a Gagarin», eseguito dopo il viaggio a Mosca, opere del 1969, e ne «I coniugi del n. 7» (1972) inseriti in una finestra con vere e proprie persiane, da un ricordo rimasto impresso dall’infanzia. Lo stesso “espressionismo narrativo”, che mai prescinde da una componente grottesca, si ritrova nel tema degli animali, come il fantastico «Oronte» (1970) e la «Civetta in gabbia» (1952), a cui tocca una condizione di prigionia, e certamente nella grandiosa «Porta del Bene e del Male» (1970-77), nata per San Petronio a Bologna e poi commissionata da papa Montini per San Pietro in Vaticano. Le vicende religiose sono ancora una volta l’occasione per tracciare con ironia ed epos popolare momenti di profonda sacralità in cui il dramma del martirio o delle crocifissioni sono resi con quella gestualità violenta divenuta un segno di inequivocabile distinzione.
Tra le opere degli anni Ottanta, dedicate in modo più esplicito al sentimento del destino attraverso il mito, si possono ammirare «Dafne» (1981-84), l’inedita «Grande nuotatrice» (1992), tema desunto da Martini o Carrà, e l’omaggio al poeta Nievo morto naufrago in mare ovvero l’«Ippolito» del 1989, che rivelano un sentimento di calma e serena fiducia in ciò che ci attende. Di quegli anni sono anche grandi chine dalle tinte accese, arricchite da colate di vino rosso, spesso su manifesti pubblicitari riciclati sul retro, o i più crudi disegni in pandan con le sculture ispirate alla guerra, tra cui la «Fucilazione di Giovanni Minguzzi» (1991), zio del padre che venne fucilato nel 1851 dalle forze dell’ordine a Bagnacavallo perché aveva ospitato il bandito detto Passator Cortese. Infine una curiosità poco nota che lega Luciano Minguzzi alla città di Cento è il concorso per la realizzazione del monumento a Ugo Bassi a cui partecipò negli anni ’50, documentato in mostra dal modellino e dal busto in gesso del patriota, provenienti dalla Galleria d’arte moderna centese.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Luciano Minguzzi, «Il grande urlo», 1985; [fig. 2] Luciano Minguzzi, bozzetto per «Gli uomini del lager», 1957; [fig. 3] Luciano Minguzzi, «Donna sul divano», 1990

Informazioni utili
Rocca di Cento, corso del Guercino - Cento (Ferrara). Orari: venerdì, sabato, domenica e festivi, ore 10.00-13.00 e ore 15.30-19.30. Ingresso libero. Informazioni: tel. 051.6843334 – 390 o informaturismo@comune.cento.fe.it. Sito internet: www.comune.cento.fe.it. Fino al 20 agosto 2017.

venerdì 9 giugno 2017

Shakespeare sotto le stelle di Roma

È uno degli appuntamenti più attesi dell’estate romana. Stiamo parlando della stagione del Silvano Toti Globe Theatre, unico teatro elisabettiano in Italia, fatto costruire nel 2003 per i cent’anni di Villa Borghese, che giovedì 22 giugno inaugura un nuovo cartellone con «Troppu trafficu ppi nenti», uno spettacolo in cui lo scrittore Andrea Camilleri e il regista Giuseppe Dipasquale si sono divertiti a mettere in scena un mistero che si celerebbe dietro la vita e le opere del Bardo. Una serie di coincidenze, infatti, porterebbero a credere che William Shakespeare fosse in realtà siciliano e più precisamente un certo Michele Agnolo Florio Crollalanza, di origine quacquera, che, per sfuggire alle persecuzioni religiose, visse tra Messina, Venezia, Verona, Stratford e Londra. Fu autore di molte tragedie e commedie, alcune delle quali sembrano essere la versione originaria di altre ben note opere attribuite a Shakespeare, come «Troppu trafficu ppi nnenti», scritta in messinese, che potrebbe essere l'originale di «Troppo rumore per nulla» di Shakespeare, apparsa cinquant’anni dopo.
Lo spettacolo, in cartellone fino al 2 luglio, è già stato ospite al Silvano Toti Globe Theatre così come il secondo appuntamento della rassegna estiva che, dal 7 al 16 luglio, rivedrà salire sul palco Gigi Proietti in veste di attore con «Edmund Kean» di Raymond Fitz Simons. Il testo è un'occasione per entrare nel segreto del camerino, luogo in cui monologhi, battute, idee prendono e perdono forma. In scena c’è un attore solo, colto poco prima di salire sul palcoscenico e di dar vita a una storia. Beve, si trucca ma soprattutto interpreta e si interroga sulle parole di Shakespeare, passando in rassegna una vita di battaglie e successi. È Edmund Kean, grande interprete inglese del primo Ottocento, idolatrato dal pubblico e dalla critica che ne decretarono l'ascesa dal ruolo di Arlecchino ai grandi protagonisti shakespeariani, e poi la rovinosa decadenza. Il suo merito è quello di aver scardinato la forma classica della recitazione, in contrapposizione alle interpretazioni di un altro grande attore inglese, John Kemble, inventando una recitazione emozionale e moderna.
Gigi Proietti lascerà il palco a un altro attore molto amato: Daniele Pecci che, dal 21 luglio al 6 agosto, proporrà al pubblico l’«Enrico V», vestendo anche i panni del regista.
La programmazione proseguirà con uno spettacolo cult del Silvano Toti Globe Theatre: dal 9 al 20 agosto, andrà in scena per l’undicesimo anno consecutivo «Sogno di una notte di mezza estate», a firma dell’indimenticabile Riccardo Cavallo. Grandi e piccoli potranno emozionarsi con le magnifiche scene e i costumi da sogno di questa storia che racconta il tempo breve della felicità con un sottile sottofondo di malinconia. L’opera è stata scritta in occasione di un matrimonio e rappresenta, come una scatola cinese, un mondo stregato in cui dominano il capriccio e il dispotismo. Linguaggi diversi vi si intrecciano: quello delle fate che alterna al verso sciolto, canzoni e filastrocche, e quello degli artigiani, in cui la prosa di ogni giorno è interrotta dalla goffa parodia del verso raffinato.
Spettacolo non nuovo per il pubblico del Silvano Toti Globe Theatre è anche quello in agenda dal 24 agosto al 10 settembre, quando Loredana Scaramella firmerà ancora una volta la regia de «Il mercante di Venezia», ) un testo dai toni contrastanti, in cui si affronta il tema della tolleranza e lo scontro fra clemenza e giustizia.
Nuovo, invece, l’allestimento del «Macbeth», curato da Daniele Salvo, in cartellone dal 15 settembre al 1° ottobre. La volontà di potere e di predominio che divora tutto è al centro della tragedia, che si configura in questo allestimento, regolato dalle leggi del sogno e del sonno, come «un precisissimo iter all'interno del cuore e della mente di un uomo che sembra destinato al vertice della società, ma che diviene invece vittima della fragilità e della manipolazione. Vittima del suo stesso lato oscuro che si fa carne in un alter ego formidabile: Lady Macbeth».
Toni più gioiosi, uniti ad altri più cupi si ritrovano, invece, in Much Ado About Nothing (Molto rumore per nulla), il nuovo spettacolo in lingua inglese, con la regia di Chris Pickles, che va in scena dal 5 al 15 ottobre , a chiusura della stagione.
A corredo del cartellone ci saranno anche una serie di appuntamenti speciali. Si inizierà con un viaggio tra i sonetti d’amore del Bardo, per la regia di Melania Giglio (lunedì 26 giugno, 10 luglio, 28 agosto e 4 settembre). Si proseguirà con «Playing Shakespeare», un percorso alla scoperta dello scrittore inglese, tra musica e parole, con qualche sorpresa, gioco e molta leggerezza (giovedì 13 luglio, lunedì 18 e 25 settembre, lunedì 9 e martedì 10 ottobre). Infine con «Il canto di Shakespeare» (lunedì 24 e 31 luglio), il Silvano Toti Globe Theatre di Villa Borghese ospiterà per la prima volta un concerto elisabettiano originale con musica e parole. Le musiche di scena saranno portate in palcoscenico dall'ensemble rinascimentale «Musica Antiqua Latina», diretta da Giordano Antonelli, con il tenore Andrès Montilla Acurero; la lettura e l'interpretazione sarà affidata a Pamela Villoresi. La drammaturgia è di Michele Di Martino, la regia di Francesco Sala.
È, dunque, tutto pronto a Roma per una nuova stagione di grande teatro shakespeariano immersi nel verde di Villa Borghese Un’occasione, questa nuova rassegna capitolina, per ricordarci ancora una volta che «siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni e nello spazio e nel tempo d'un sogno è racchiusa la nostra breve vita».

Informazioni utili 
Stagione 2017 del Silvano Toti Globe Theatre. Villa Borghese, largo Aqua Felix (piazza di Siena)- Roma. Orari:. Ingresso: con biglietto | botteghino dal 14 giugno in viale P. Canonica (tutti i giorni, dalle 15 alle 19, e nei giorni di spettacolo fino alle 21.15) | circuito Ticket One. Informazioni: tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00-21.00) . Sito internet: www.globetheatreroma.com. Dal 22 giugno al 15 ottobre 2017.